"Ogni grande movimento di questa terra" scrive Hitler nelle prime pagine del "Mein Kampf" "deve la propria crescita ai grandi oratori e non ai grandi scrittori." Eppure, osserva: "Per l'esposizione armonica e coerente di una dottrina occorre che i suoi principi fondamentali siano fissati per sempre". Nel 1924 Hitler ha bisogno di trovare ascolto presso i suoi sostenitori. Dal carcere di Landsberg, in cui è rinchiuso per alto tradimento dopo il putsch fallito, ridefinisce gli obiettivi del movimento, ne progetta l'evoluzione. Mette nero su bianco la sua visione del mondo. Questo saggio, basato su fonti archivistiche finora inaccessibili, dissipa la confusione sul delirante manifesto di Hitler ripercorrendo la sua evoluzione dalla prima stesura alle controversie attuali, facendo luce sulla sua genesi ammantata di leggende e individuandone le fonti. Le informazioni autobiografiche, per esempio, non sono affidabili: il padre non era un oppositore della monarchia austroungarica, ma un funzionario doganale ripetutamente promosso per i suoi servigi e la sua lealtà. E poi, da dove derivò l'antisemitismo di Hitler? Quali crimini del regime nazionalsocialista si ispirarono direttamente al "Mein Kampf"? Leggendo il libro era forse possibile prevedere quale metodo di sterminio sarebbe stato utilizzato ad Auschwitz? E come reagì il pubblico? Come si sviluppò il dibattito dopo il 1945? Fu davvero un "bestseller mai letto"?
Di nessun altro uomo vissuto prima di Petrarca abbiamo una così vasta messe di informazioni biografiche, diceva Ernest H. Wilkins. Ma precisava che tali informazioni si fondano per lo più su lettere e altri scritti petrarcheschi. Bisognerà allora chiedersi: che cosa sappiamo di lui con certezza? La verità è che ogni scrittore mira a diventare, per usare le parole di Ortega y Gasset, «romanziere di se stesso, originale o plagiario». E, come dimostra l'affascinante indagine di Francisco Rico, Petrarca non sfugge alla regola: anzi, la incarna in sommo grado. Il che significa non solo che l'autoritratto che egli va componendo nel tempo è ispirato a exempla illustri, ma che nulla di quanto ci dice è letterale e innocente. Dietro ogni data, dietro la semplice menzione di un giorno della settimana (il venerdì, ad esempio, giorno marcato per eccellenza), si cela una fitta rete di rispondenze, una raffinata simbologia – e un audace disegno: trasformare i momenti vissuti o immaginati in frammenti di un racconto unitario capace di sottrarli alla corrosione del tempo. Ma Petrarca si spinge ancora più in là nella costruzione di un'esistenza ideale: grazie a Rico, lo vediamo infatti applicare la dispositio persino alla vita non scritta, modellarla come un testo, mettendo in atto ciò che non scrive – o, se vogliamo, facendo letteratura con le proprie azioni.
"Poesia religiosa nel Novecento" avvia una prima indagine su un argomento ancora poco esplorato, dove gran parte dello scavo filologico e critico rimane ancora da fare. Sempre sul filo dell'analisi testuale, otto poeti italiani fra i più significativi del Novecento vengono qui letti alla luce dei loro percorsi esistenziali e del rapporto fra la loro opera e la fede (o l'assenza di fede). I saggi, quasi capitoli di una monografia a più voci, vertono su Giovanni Pascoli, Clemente Rebora, Cristina Campo, Giorgio Caproni, Margherita Guidacci, Mario Pomilio, Antonia Pozzi, David Maria Turoldo.
Per la prima volta si cerca di ricostruire un particolare palinsesto dei testi manzoniani, quello della presenza delle S. Scritture. Sulle opere del grande scrittore lombardo si sono condotte le analisi più raffinate, soprattutto sulla sua profonda matrice religiosa. Mai, però, si è pensato di vagliare il retroterra biblico che alimentava il suo dettato e la sua spiritualità. Con questo saggio si sottopongono le "Osservazioni sulla morale cattolica", il suo scritto più strettamente "teologico", a una minuziosa radiografia critica, cosi da identificare la filigrana scritturistica che sorregge ogni pagina.
Alzi la mano chi ha davvero amato il capitolo finale delle Avventure di Pinocchio, dove il protagonista – dopo essere stato vegetale (legno) e animale (ciuchino) – diventa «un bambino per bene» in carne e ossa. Dopo un intero racconto di marachelle e avventure, il finale si spegne in modo moralistico e sciapo. Ma Collodi intendeva davvero questo? Oppure nella sua scrittura c’è qualche indizio che ci porta a pensare ad una burla dell’autore nei confronti dei lettori?
Note sull'autore Daniela Marcheschi, docente e studiosa di letteratura italiana e scandinava, ha curato i «Meridiani» Mondadori delle opere di Carlo Collodi, di cui dirige l’Edizione nazionale. È autrice di saggi tradotti in molte lingue.
Quando ci s'inoltra in un territorio, non tanto ignoto quanto anche semplicemente nuovo o non del tutto conosciuto, ci si rifornisce di cartine, guide e dizionari, in modo da affrontare ben attrezzati l'esperienza, e non correre il rischio di perdersi. Tanto più se questo territorio invece che essere reale è totalmente immaginario, ma di un tipo di immaginazione che è andata nel corso degli anni così ben strutturandosi da diventare qualcosa di simile a una pseudorealtà: è quanto è avvenuto per la Terra di Mezzo di J.R.R. Tolkien. Questo dizionario è un po' tutto insieme una guida, un vocabolario e un beadecker, in cui si alternano in ordine alfabetico brevi "voci" e interventi più ampi, piccoli saggi dedicati ad argomenti o personaggi. Introduzione di Gianfranco de Turris.
Qual era la lingua parlata da Adamo ed Eva nel Giardino dell'Eden? L'ebraico, il greco, il latino? Olender ripercorre il dibattito delle grandi discipline (filologia, linguistica comparata, storia delle religioni), mostrando come nel momento di massima "positivizzazione" delle scienze umane emerse una biforcazione tra Ariani e Semiti, decisiva per tutto il sistema culturale occidentale. Lo studioso ci conduce alle radici della nostra identità religiosa e culturale, e ci consente di intravedere come all'incrocio tra filologia e mitologia, tra religione e scienza si stagliano, già nell'800, come scrive Jean-Pierre Vernant nell'introduzione "quasi sullo sfondo oscuro di un quadro le ombre dei lager e il fumo dei forni".
I sette volumi di Harry Potter non racchiudono solo intrecci misteriosi e magia, ma anche riferimenti a creature della mitologia e del folclore, rielaborazioni di fatti storici, profonde intuizioni psicologiche. Nella guida trovano spazio: le trame dell'intera saga, accompagnate dallo studio dei temi principali dei romanzi e da numerose curiosità sulla loro stesura; i profili dettagliati dei 30 personaggi principali; un'analisi ragionata degli strumenti magici sulla base di fonti storiche e letterarie; le schede complete e aggiornate dei 7 film tratti dai romanzi; una biografia dell'autrice; un panorama dei prodotti legati al mondo di Harry Potter (libri, videogiochi, siti Internet e altro ancora); notizie inedite e l'epilogo che J.K. Rowling non ha mai pubblicato. Completa il volume un dizionario dalla A alla Z di tutte le creature, gli oggetti magici, gli incantesimi e le pozioni che compaiono nella saga, oltre a un esclusivo percorso di visita ai luoghi in cui sono stati girati i film.
Il saggio abilmente incastona le maggiori opere di Gesualdo Bufalino in una cornice intrecciata di ritratti geostorici, di paradigmi letterari, di mitologemi, di hybris cavalleresca, di scrittura arcadico-illuministica, di scienziati sociali, di eroi del riscatto borghese e sociale. Ne viene fuori una sorta di vertiginoso tour intorno alla sicilianitudine di sciasciana memoria, condotto in modo documentato, lasciando, al lettore una pista residuale di speranza, come si può cogliere qua e là nello sviluppo della scrittura, condensata nelle due liriche poste ad apertura e a chiusura della rappresentazione della Sicilia nel Mediterraneo, oggi solcato da desolazione, morte e tribolazioni dei nuovi migranti, ma anche da estremi atti di eroica generosità.
Far cambiare idea a coloro che dicono di non amare la poesia, perché la trovano oscura, difficile, e inutile alla nostra vita: questa è stata la scommessa dell'autrice scrivendo questo libro, e il suo successo sembra averle dato ragione. "La poesia salva la vita", ormai un "classico", è infatti un libro per avvicinare la poesia in un modo del tutto nuovo e vederla non più come una tecnica astrusa, ma un imprevedibile, affascinante "alfabeto del mondo". Perché la connotazione della poesia è - prima ancora che letteraria esistenziale: essa riguarda tutti noi in quanto esseri umani. La poesia è una chiave preziosa e insostituibile per entrare in contatto con quella vasta e per lo più sconosciuta parte della nostra psiche che concerne le nostre emozioni e aiutarci a viverle e a esprimerle in modo creativo. Abbiamo infinitamente bisogno delle sue magie e dei suoi giochi per vivere meglio, e ritrovare quello sguardo di meraviglia che abbiamo forse perduto uscendo dall'infanzia. Allora la poesia può davvero salvare la nostra vita dal senso di noia, di inutilità e di malinconia che ci afferra quando la nostra creatività - un dono che spesso non sappiamo di possedere - giace chiusa e dimenticata in un cassetto.
Salvare l'umanità emancipandola dalla condizione di miseria morale per condurla alla redenzione è l'altissimo scopo extraletterario della Commedia. La teatralizzazione dei peccati e delle virtù esige anche dal lettore odierno una partecipazione non distaccata, una dedizione e un coinvolgimento che prevedono la possibilità di una svolta nella conduzione della sua vita. Pare allora opportuno analizzarne gli intenti retorici, indagandoli non solo nei loro esiti estetici ma anche nelle conseguenze pratiche, privilegiando di Dante la vocazione del missionario e del profeta che, nuovo Mosè, vuole affrancare uomini e donne dalla prigione dei vizi.
Nell'affrontare il pensiero dantesco Gilson evita di apporgli una comoda etichetta classificandolo tra le filosofie già costituite del tempo, si impegna piuttosto nel tentativo pienamente riuscito di comprenderlo secondo i tratti che gli sono singolari e unici. Per Gilson collocare storicamente il pensiero dantesco non significa ricondurlo al tomismo o all'averroismo, come si è maldestramente preteso, quanto invece mostrarne l'impianto teoretico originale e solidamente giustificato nei suoi propri principi in un continuo confronto con le principali e tra loro molto varie correnti filosofiche del tempo. Attraverso una penetrante disamina del "Convivio", della "Monarchia" e della "Commedia" viene messa a fuoco l'idea dantesca fondamentale dell'armonia dei tre ordini: politico, filosofico e teologico. Armonia che per Dante si realizza soltanto attraverso il riconoscimento della completa autonomia, pur in una gerarchia di dignità, di ognuno dei tre ordini e del loro specifico ruolo assegnato dalla Provvidenza divina.