I numeri sono un'invenzione della mente o una scoperta con cui la mente accerta l'esistenza di qualcosa che è nel mondo? Domanda a cui da secoli i matematici hanno cercato di rispondere e che si può anche formulare così: che specie di realtà va attribuita ai numeri? Con la sua magistrale perspicuità, Zellini affronta questi temi, che non riguardano solo i matematici ma ogni essere pensante. Collegata alla prima, si incontrerà un'altra domanda capitale: come può avvenire che qualcosa, pur crescendo in dimensione (e nulla cresce come i numeri), rimanga uguale? Domanda affine a quella sull'identità delle cose soggette a metamorfosi. Ed equiparabile a quelle che si pongono i fisici sulla costituzione della materia.
Scritto fra il 1944 e il 1945, respinto come "intollerabilmente osceno" da prestigiose riviste (con l'eccezione di "Officina", che ne accoglie una sezione fra il 1955 e il 1956) e pubblicato solo nel 1967 in una redazione drasticamente rimaneggiata ed edulcorata, "Eros e Priapo" ci appare oggi, grazie alla scoperta dell'autografo, nella sua autentica fisionomia: vituperante invettiva contro Mussolini - il Priapo Maccherone Maramaldo -, la sua foja di sé medesimo, le sue turpi menzogne, la sua masnada predatrice e la sua claque di femmine fanatizzate, certo. Ma, insieme, freudiano trattato di psicopatologia delle masse, autobiografia di un'intera nazione, micidiale requisitoria contro ogni abdicazione ai principi di Logos (cioè alla ratio e alla coscienza etica) e contro i tiranni di ogni tempo. E, soprattutto, vibrante monito a guardarsi dalle degenerazioni di Eros - responsabili dei comportamenti della banda assassina così come dell'idolatria della moltitudine-femmina nei confronti del Gran Somaro Nocchiero -, a raffrenarle, a sublimarle in un impeto eroico o "impeto-disciplina". Nel compiere questa impresa - notificare il male e indicare la via di una possibile rinascita Gadda non poteva che ricorrere a una lingua sontuosa e abnorme, che gareggia in audacia e insolenza con Porta, Belli, Aretino - e che la versione originale ci rivela ancor più violenta, sboccata e oltraggiosa.
Molto più della guerra, delle bombe che riducono Budapest in macerie, molto più dei rischi che lui stesso corre in quanto ebreo, a occupare i pensieri di Józsi Beregi è il campionato di calcio. E poi trovare il modo di procurarsi quello che più gli manca: un po'di carne da mettere sotto i denti. Ma non dovrà sforzarsi troppo, giacché a offrirgli, con entusiastica e spontanea generosità, tutto ciò di cui ha bisogno saranno le donne, nessuna delle quali sembra poter resistere al suo fascino. Se "Epepe" si presentava da subito come un incubo, "Tempi felici" appare sin dalle prime battute come un divertissement - quasi uno schnitzleriano girotondo. Solo in una commedia, infatti, farsi crescere un paio di baffi può sottrarre un giovane ebreo alle terribili Croci frecciate nell'Ungheria dell'inverno del 1945; e solo in una commedia il giovanotto in questione può vivere le sei drammatiche settimane dell'assedio dei Sovietici, in una città squassata dai bombardamenti e ridotta allo stremo, come una parentesi beata, deliziosamente propizia agli amori clandestini, riuscendo a farsi proteggere, nutrire e coccolare da prostitute e borghesi, da giovani e da vecchie - e perfino da una miliziana fascista. Con una nota di Marion Van Renterghem.
Lo scenario si apre su una scena ormai sorprendentemente esotica: la Germania di fine Ottocento, con la sua opulenza terriera e finanziaria, le aspre tensioni sociali, il presagio di una catastrofe lontana ma già palpabile e, in particolare, su tre famiglie, unite da divergenti tradizioni aristocratiche e separate da irreali visioni del futuro. La prima è costituita da solidi "rentiers" ebrei di Berlino, nel cuore del Nord prussiano e protestante; le altre due appartengono "a realtà discordi del Sud cattolico: l'una sonnolenta, rurale, volta al passato; l'altra ossessionata da sogni ecumenici di dimensioni europee". A unirle provvederanno due matrimoni e uno scandalo.
In questa raccolta, che copre l'intero arco dell'opera di Auden, il lettore non solo troverà tutte le sue poesie più celebri - riproposte in nuove o rinnovate traduzioni di Massimo Bocchiola e Ottavio Fatica -, ma scoprirà un giacimento di tesori, quali si possono celare in un corpus di testi capace di ravvivare o reinventare all'occorrenza ogni forma della tradizione: dall'apocalittico all'arcadico, dal propagandistico al meditativo, dall'ironico al sentimentale, passando dalle antiche saghe islandesi a Dante, a Shakespeare, per approdare infine a Goethe. Con un saggio di Iosif Brodskij.
Due libri, nella seconda metà dell'Ottocento, hanno scoperchiato la pentola dei rapporti sessuali e sentimentali con una immediatezza inaudita: "La sonata a Kreutzer" di Tolstoj e "L'arringa di un pazzo" di Strindberg, cronaca surriscaldata, irta, lacerante dell'attrazione-repulsione fra un uomo, Strindberg stesso, e sua moglie Siri von Essen. È l'autore, del resto, ad affermare "Questo è un libro atroce" sin dalla prima riga della sua Prefazione, che concluderà chiedendo al lettore di essere lui a emettere la sentenza, una volta che avrà acquisito una esatta "conoscenza dei fatti" quella che gli sarà fornita dalle pagine che seguiranno: una fervida arringa, appunto, che è insieme feroce atto di accusa e veemente autodifesa. I "fatti" esposti sono una esaltata passione amorosa, prima, e un inferno matrimoniale, poi, indagati e ricostruiti con ossessiva precisione, e con furibonda impudicizia. Questo libro, in cui il rapporto fra i sessi viene narrato e anatomizzato come una lotta a morte per la sopraffazione - e la cui prima edizione a stampa, per quanto edulcorata e smussata dal traduttore tedesco, subì un processo per oscenità -, non ha perso un grammo del suo carattere estremo, urtante, angosciosamente veritiero.
Che ci racconti del "truco", grazie al quale i giocatori, dimesso l'io abituale, diventano "criollos" che "vogliono spaventare la vita a grida"; o di coltelli che cercano i sentieri della morte e del Chileno, signore dell'insolenza, che si dissangua a terra; o dell'origine del tango, la cui patria sono gli angoli delle case rosate dei sobborghi, la protervia domenicale del guappo e il chiasso delle popolane sui portoni; o di una notte serena capace di rivelare miracolosamente il "senso reticente o assente dell'inconcepibile parola eternità"; o della felicità, che "non è meno sfuggente nei libri che nella vita"; o del metodo insospettabile e segreto con il quale Cervantes suscita nel lettore "una reazione di compassione e perfino di collera di fronte alle infinite iniquità che affliggono l'eroe"; o, infine, delle differenze fra lo spagnolo degli spagnoli e quello della conversazione argentina, il Borges di questo libro giovanile, ripudiato e ora finalmente ritrovato, è già, inconfondibilmente, il grande Borges. E solo apparente è l'"aria enciclopedica e guerrigliera", giacché tre direzioni cardinali lo governano: "La prima è un sospetto, il linguaggio; la seconda è un mistero e una speranza, l'eternità; la terza è questo godimento, Buenos Aires".
Nel corso del lavoro per la sua monumentale biografia di Kafka, Reiner Stach ha isolato novantanove "reperti" che corrispondono ad altrettanti momenti ed episodi, testimoniati dallo scrittore stesso o da suoi amici e contemporanei. Tale mosaico ci mostra un Kafka poco conosciuto: frequentatore di casinò e bordelli, o di un collezionista di foto osé, o in ufficio in preda al "fou rire" di fronte al sussiegoso superiore, o fra gli appassionati di nuoto e d'aeroplani, o seduto in giostra in mezzo a ragazzine vocianti, ma anche abile falsificatore della firma altrui - si tratti di Thomas Mann o di una sedicenne vagheggiata a Weimar... Fra le sorprese che ci riserva il libro vi è la prima Lettera al padre, rivolta ancora ai "Cari genitori", e la piantina dell'appartamento in cui Gregor Samsa si risveglia trasformato in un insetto. Se esilarante è la pubblica lettura della Colonia penale in una galleria di Monaco, dove gli astanti cadono in deliquio o fuggono, incapaci di reggere quell'"odore di sangue", mentre Kafka prosegue imperterrito, commovente è la storia delle lettere che lo scrittore attribuisce a una bambola persa in un parco di Berlino, per consolare una bambina in lacrime. Lettere perdute per sempre. Conservato è invece l'appello a Kafka di un infelice messo alle strette dalla cugina che non comprende il senso della Metamorfosi.
"Citati segue con impressionante precisione la progressiva caduta nel buio delle due farfalle, come prima la loro ascesa nella luce sfolgorante. Penetra a fondo nell'animo dei Fitzgerald, nell''incrinatura' che in lui si fa sempre più profonda, nella molteplicità e nella metamorfosi dello scrittore: nelle crisi di lei, nella complessità e tenacia del loro rapporto. Il ritratto che disegna della malattia mentale di Zelda, rapido e ritardato, pieno di particolari ma sovrastato dall'incombente Dümmerung, è un'opera al nero di prima grandezza che fa venire i brividi." (Piero Boltani)
"Ho fatto un sogno" dice Yeong-hye, e da quel sogno di sangue e di boschi scuri nasce il suo rifiuto radicale di mangiare, cucinare e servire carne, che la famiglia accoglie dapprima con costernazione e poi con fastidio e rabbia crescenti. È il primo stadio di un distacco in tre atti, un percorso di trascendenza distruttiva che infetta anche coloro che sono vicini alla protagonista, e dalle convenzioni si allarga al desiderio, per abbracciare infine l'ideale di un'estatica dissoluzione nell'indifferenza vegetale. La scrittura cristallina di Han Kang esplora la conturbante bellezza delle forme di rinuncia più estreme, accompagnando il lettore fra i crepacci che si aprono nell'ordinario quando si inceppa il principio di realtà - proprio come avviene nei sogni più pericolosi.