Proposta all'inizio degli anni Settanta del XX secolo da Stephen Jay Gould e Niles Eldredge, la teoria dell'equilibrio punteggiato ha segnato una svolta decisiva negli studi sulla teoria di Darwin dell'evoluzione delle specie. Tra gli scienziati era in quegli anni predominante l'immagine del processo evolutivo come una progressione graduale e ininterrotta di caratteri, un meccanismo di lento e inesorabile avanzamento. Eppure la documentazione fossile, allora in rapida crescita, sembrava non confermare questa ipotesi; il dato oggettivo ricavabile dalle analisi "sul campo" disegnava un quadro differente, formato da lunghi periodi di stasi, che potevano durare dai 5 fino ai 10 milioni di anni, intervallati da improvvisi e rapidi eventi di speciazione, ovvero i processi biologici che portano alla formazione di nuove specie animali e vegetali. La nuova e rivoluzionaria sintesi di Gould ed Eldredge fu così in grado di spiegare la mancanza di reperti fossili che documentassero il passaggio tra una specie e l'altra, e di riavvicinare così la pratica della paleontologia alla teoria della filosofia della scienza.
Come ha avuto origine la vita? Perché ci sono due sessi? Sono la stessa persona che ero un minuto fa? Di cosa è fatto il 96% dell'universo? Quelle che trovate in questo libro sono le domande che un ragazzino potrebbe porre al suo insegnante. Sono le domande che potrebbero dar filo da torcere anche agli esperti più navigati. La scienza, sostiene Michael Hanlon, è stata, è tuttora e sarà in futuro un continuo percorso di ricerca. Se oggi siamo in grado di dare una risposta chiara ed esauriente a una miriade di problemi che appena un secolo fa erano considerati pura fantascienza, ne restano ancora infiniti da risolvere. Problemi che nella maggior parte dei casi, come l'indagine sul concetto di tempo, presuppongono un approccio trasversale e multidisciplinare e una capacità di sintesi che talvolta non si sposano con l'estrema specializzazione che caratterizza la ricerca scientifica odierna. Queste "Dieci domande", se da un lato stuzzicano la curiosità del lettore, dall'altro ne stimolano la riflessione con un avvertimento: quando vi sedete soddisfatti sulla sommità di una conoscenza acquisita, è già ora di rimettersi in piedi e ripartire.
Questo studio propone una completa riorganizzazione di tutto il sapere finora prodotto da biologi, evoluzionisti e antropologi in merito al tema emergente dei conflitti operanti all'interno del genoma umano. In evoluzione, sostengono gli autori, la maggior parte dei geni si diffonde per incrementare la possibilità dei loro organismi ospiti (o dei loro parenti più prossimi) di sopravvivere e riprodursi. Alcuni geni, invece, si diffondono nell'organismo che li ospita distorcendo la loro stessa trasmissione alle generazioni successive. In conseguenza di ciò, geni differenti all'interno dello stesso organismo manifestano interessi e comportamenti adattativi diametralmente opposti. In una trattazione che abbraccia tutte le specie (dal lievito di birra agli esseri umani), il testo offre una mappa dettagliata degli elementi genetici egoisti, quei tratti di DNA il cui comportamento è esclusivamente volto a favorire la propria trasmissione, e la cui scoperta si sta rivelando un'area cruciale della ricerca scientifica, in grado di aggiungere un pezzo importante alla comprensione della genetica e dell'evoluzione.
La decifrazione del corredo genetico di numerosi animali, incluso l'uomo, e la loro analisi comparata hanno confermato senza ombra di dubbio le potenti intuizioni che portarono Darwin a elaborare la sua teoria sull'evoluzione della vita da un unico discendente comune. Il DNA, protagonista assoluto di "Al di là di ogni ragionevole dubbio", è da questo punto di vista un vero e proprio libro dove sta scritta la nostra storia, di individui e di specie, e dove sono contenuti gli indizi rivelatori della nostra diversità e di come essa si sia evoluta. Ma il libro del DNA è anche la prova scientifica definitiva in grado di confutare gli argomenti e la retorica di chi ancora si ostina a negare, di fronte all'evidenza dei fatti, la scienza dell'evoluzione. Carroll lo dice con chiarezza; è tutto scritto in questo "libro". Basta aprire alla prima pagina, e cominciare a leggere.
In questo numero contributi di: John McNeill, Freeman Dyson, Jorgen Randers, Partha Dasgupta, Mark Maslin, Gabrielle Walker, Saskia Sassen, Fulvio Conti, Armin Linke, Sergio Risaliti e un'intervista a Carlo Carraro: "Che ne sarà di Kyoto?".
George Lakoff, linguista di Berkeley, da anni studia l'efficacia e il potere evocativo della metafora, applicando le teorie scientifiche del linguaggio allo studio e all'analisi di uno degli aspetti cruciali della comunicazione pubblica e sociale: la politica. Negli ultimi anni, scrive Lakoff, la destra conservatrice americana - ma il paragone con il nostro panorama politico è immediato e urgente - ha saputo trasmettere, facendo ricorso a un linguaggio pericolosamente populista e retorico ma diretto e convincente, i propri valori fondamentali con maggior vigore ed efficacia rispetto a quanto non abbia saputo fare l'ala progressista. Il discorso di George W. Bush in occasione della celebrazione del suo secondo mandato presidenziale, la cui analisi rappresenta il cuore di "La libertà di chi?", è in questo senso indicativo, perché incentrato sull'idea fondante di ogni società democratica e civile. Bush, in meno di mezz'ora, ha pronunciato quasi 50 volte la parola "libertà" e i suoi sinonimi. Dal momento che, continua Lakoff, la ripetizione ha nella mente di chi ascolta un enorme potere inconscio, questo uso continuo e ossessivo ha permesso alla destra di appropriarsi letteralmente di questo concetto, manipolandolo e piegandolo per giustificare le proprie battaglie politiche e religiose. "La libertà di chi?" è un'istantanea lucida della nostra contemporaneità; un insegnamento per l'intera classe dirigente e politica.
Il titolo ha una doppia valenza: da un lato richiama un curioso paradosso per il quale è possibile assegnare all'ombra una velocità superiore a quella della luce; dall'altro acquista un significato più profondo, diventando metafora della sconfitta dell'ideale illuministico che vedeva la scienza come motore del progresso sociale e "luce" in grado di respingere le "ombre" della barbarie e dell'ignoranza. L'autore sostiene che, al contrario, mai come oggi la ricerca scientifica ha fallito nel suo compito di promuovere le proprie scoperte e le proprie innovazioni come strumenti utili e necessari per la società, la quale riceve così l'immagine distorta di una "scienza nemica", oscura e pericolosa. In questo gioco di luci e ombre Lévy-Leblond vede comunque uno spiraglio: "Se l'ombra è la dimora della minaccia, può anche favorire la generazione e la schiusa. Proprio nelle tenebre germogliano i semi e si trasformano le larve. Le forze notturne non sono tutte distruttive".
"Questo libro nasce da un dubbio: il sospetto di un'assenza, [..] o anche solo di un'omissione." Comincia così "Eva nera", con la denuncia velata che nella complessa ricostruzione dell'evoluzione umana sia stata trascurata la protagonista degli eventi che hanno strappato il genere umano all'"animalità, per spingerci sul faticoso e rischioso cammino della civiltà": la Donna, la femmina della specie. Eva, perché è la nostra madre comune; nera, perché è in Africa che si svolge il primo capitolo della Storia dell'Uomo. Ma se fosse in realtà una Storia della Donna, si chiede Pratico? In queste pagine la scienza si sovrappone al mito, e gli studi di genetica e antropologia vengono filtrati attraverso la lente del cronista curioso, che descrive le profonde mutazioni vissute da un gruppo di Homo sapiens, biologiche - la posizione eretta, un anomalo sviluppo dei tessuti cerebrali e degli organi fonetici - e di conseguenza sociali: un approccio diverso alla pulsione sessuale, l'istinto e l'emergenza della comunicazione e di un'embrionale struttura familiare. Motore di questo cambiamento è, secondo Prattico, la donna, creatrice e protettrice di vita; così il divulgatore lascia spazio all'io narrante, che in un luogo non meglio identifica dell'Africa centrale si fa accompagnare da un bambino in una capanna dove c'è lei, Eva nera. E si fa raccontare la sua storia...
L'appuntamento referendario del giugno 2005 sull'uso delle cellule staminali e le posizioni nette di papa Benedetto XVI di questi ultimi mesi sono chiari segnali dell'interesse che rivestono oggi i temi della bioetica. Il dibattito politico, culturale e scientifico ha assunto ormai toni accesi, e vede protagoniste tre posizioni che periodicamente si confrontano, o meglio si scontrano: da un lato la chiesa cattolica, che accusa la cultura laica di relativismo e nichilismo; dall'altro i laici e la comunità scientifica, che rivendicano il necessario rimodellamento della nostra visione del mondo e dell'individuo alla luce della continua evoluzione della scienza e della tecnologia; infine una tradizione radicale, laica anch'essa ma vicina alle posizioni della chiesa, che teme la trasformazione della natura in un grande laboratorio, ad uso esclusivo della specie umana e senza un pieno controllo delle conseguenze. Paolo Vineis analizza le posizioni delle diverse voci in gioco, individuando pregi e difetti di ognuna alla luce delle acquisizioni più recenti delle scienze biologiche.