"Science" l'ha definita la più importante scoperta scientifica del 2012, ma quella del bosone di Higgs è prima di tutto una bellissima storia, iniziata quando, nel 1964, il fisico teorico scozzese Peter Higgs ne ipotizzò l'esistenza, creando un enigma che è stato sciolto solo dopo quasi mezzo secolo. Un'avventura scientifica e umana che ha visto impegnati migliaia di scienziati e attrezzature all'avanguardia. Un'impresa ricca di umanità, come solo le narrazioni collettive possono essere. Il segno, infine, di una svolta epocale della ricerca, perché il bosone di Higgs promette davvero di essere "la particella alla fine dell'universo" (noto), il ponte verso nuove frontiere della scienza.
Il viaggio, iniziato circa sessantamila anni fa da un remoto angolo dell'attuale Etiopia, che ha portato uno sparuto gruppo di Homo Sapiens a colonizzare l'intero pianeta, è la prima, emozionante narrazione della storia dell'uomo: il momento fondativo in cui tutto è cominciato. Quella dei nostri antenati non è stata però un'avanzata solitaria e lineare, bensì una lunga connivenza - in certi casi una competizione - con le altre specie di ominidi che già popolavano i continenti milioni di anni prima della comparsa del genere Homo; l'approdo tutt'altro che scontato di un percorso evolutivo difficile e articolato. Poi, nel giro di poche decine di migliaia di anni, qualcosa è successo: qualcosa di potente, così potente, inaspettato e rivoluzionario da permettere a Homo sapiens di rimanere unica specie umana sopravvissuta, rendendoci così, davvero, "i signori della terra".
"Un futuro perfetto" è il ritratto di una nuova visione del mondo, in totale rottura con le categorie tradizionali del pensiero liberale o conservatore. Steven Johnson propone un modello di sviluppo basato sulle peer network, le reti di pari capaci di trasformare ogni settore economico e politico in una realtà decentralizzata e partecipata, dai governi locali al movimenti di protesta, dal giornalismo ai nuovi modelli di assistenza sanitaria. Johnson esplora questa idea di progresso narrando una serie di vicende affascinanti, tra cui la progettazione del sistema ferroviario francese, la battaglia contro la malnutrizione in Vietnam o i curiosi "eventi dello sciroppo d'acero" e del servizio 311 a New York. In un momento storico delicato, in cui il sistema politico appare irrimediabilmente intasato di vecchie idee, "Un futuro perfetto" dimostra che il progresso non solo è ancora possibile, ma può assumere nuove forme.
L'idea che la creazione artificiale della vita sia una cosa perversa e blasfema - in una parola "innaturale" - è essenzialmente un costrutto culturale. Affrontare le attuali controversie su staminali, clonazione, modificazioni del corredo genetico e biotecnologie in generale senza studiare la storia culturale della "creazione della vita" è impossibile. Solo esaminando i miti e le leggende, da Aristotele a Paracelso, da Mary Shelley ad Aldous Huxley, dal Golem della tradizione ebraica al replicanti di "Blade Runner" e i modi in cui sono mutati nelle varie epoche possiamo capire i timori e i preconcetti che pullulano sotto la superficie di queste discussioni. Una ricerca che ha un punto d'arrivo: le ragioni per creare o meno esseri umani con mezzi "artificiali" si devono concentrare sulle intenzioni e sui risultati, sul loro effetto sulla vita di tutti noi e sulla società.
Siamo soli nell'universo? Il nostro è davvero l'unico pianeta abitato? Queste domande, che sembrano avere a che fare più con la filosofia che con la scienza, proprio da quest'ultima potrebbero a breve ottenere una risposta. Il gruppo di lavoro di Dimitar Sasselov da anni lavora al confine tra astrofisica e biologia per individuare pianeti in grado di ospitare forme di vita. E i primi sorprendenti risultati promettono scintille: il satellite Kepler, in viaggio dal 2009, avrebbe individuato centinaia di cosiddette super-Terre, pianeti con massa molte volte superiore a quella della Terra ma con condizioni geologiche e atmosferiche comparabili a quelle del nostro pianeta, se non addirittura migliori. Siamo a un passo da una nuova e dirompente rivoluzione copernicana, che potrebbe mettere una volta per tutte in soffitta la presunzione dell'uomo di essere unico.
Il fulgido e rassicurante benessere dell'Occidente convive da sempre, ignorandola colpevolmente, con la sua metà oscura, fatta di inquinamento ambientale, spaventosi squilibri sociali ed economici, povertà inaccettabile. Il sistema, però, dice Philippe Kourilsky, così non può reggere: i cedimenti strutturali che si avvertono ovunque denunciano la necessità di un cambiamento radicale. Ma non si tratta di sostituire un sistema economico o politico con un altro, o di generici appelli alla moralizzazione e alla generosità per i più svantaggiati. Il cambiamento deve essere più profondo, e investire l'individuo prima ancora che la società. "mi sembra che sia giunto il tempo di dare all'altruismo il posto che gli spetta" scrive Kourilsky. Un libro forte come un pugno allo stomaco; un richiamo potente alla responsabilità, personale e collettiva, che nel torpore generale della nostra epoca è una rigenerante doccia fredda. Prefazione di Amartya Sen.
La ricerca della felicità è da secoli un mantra per filosofi e letterati. Lo psicologo Shimon Edelman, partendo dall'immagine della mente come macchina complessa e stratificata che accumula sempre nuove esperienze, inverte gli elementi della formula per dimostrare che la felicità non sta tanto nel raggiungimento di un particolare stato esistenziale, quanto nell'incessante processo di crescita di tutti noi. Letteratura e filosofia fanno da ideale contrappunto, nelle pagine di Edelman, al ritratto della nostra mente disegnato in questi anni da scansioni e imaging cerebrali. "La felicità della ricerca" è un connubio tra rigore scientifico e approccio poetico e visionario; l'ultima, definitiva prova che oggi le neuroscienze sono in grado di offrire un importante contributo alla comprensione di noi stessi e della nostra vita.
"Una misteriosa interazione istantanea a distanza". Così Einstein liquidò con una certa diffidenza uno dei fenomeni più bizzarri e sfuggenti della meccanica quantistica: l'entanglement, un "intreccio indissolubile" grazie al quale è possibile trasferire alcune proprietà delle particelle in altre particelle, senza ritardo temporale. È come lanciare un dado e sapere che il suo "gemello", anche se posto a grandissima distanza, è in grado di replicare nel medesimo istante lo stesso identico numero. Ma quello che aveva infastidito Einstein è diventata la magnifica ossessione di Anton Zeilinger, il fisico austriaco che ha definitivamente dimostrato che quella misteriosa interazione è una suggestiva coreografia, un fenomeno reale con applicazioni pratiche molto promettenti.
Utopia come anelito all'inesistente, al modello ideale. Ma utopia anche, e soprattutto, come stimolo al miglioramento, forza propulsiva e superamento di un difficile presente. La sociologa Lella Mazzoli e il giornalista Giorgio Zanchini hanno interrogato alcuni protagonisti del panorama culturale italiano, chiedendo di proporre, ognuno dal proprio osservatorio, una definizione di utopia, per contribuire così a tracciare una mappa ideale del futuro. Le voci di Dorfles, La Porta, Sinibaldi e degli altri autori creano così un fitto dialogo tra arti figurative, filosofia, narrativa, critica sociale, teatro, tecnologia e storia dell'industria. Un affresco del contemporaneo che offre strumenti originali per leggere con intelligenza la nostra società e le sue possibili evoluzioni.
"È possibile inventare una singola macchina che possa essere usata per calcolare qualsiasi sequenza computabile". Con queste parole Alan Turing, il leggendario matematico che riuscì a decrittare il codice enigma dei nazisti, immaginò nel 1936 l'esistenza di quello che per noi oggi è un oggetto quotidiano: il computer. Quasi vent'anni dopo, nel 1953, un gruppo di fisici e ingegneri guidati dal genio di John von Neumann diede forma alla profetica intuizione di Turing e costruì a Princeton il primo calcolatore programmabile, dedicato inizialmente all'industria militare. Con una potenza di calcolo di appena cinque kilobyte (la stessa che oggi serve a malapena a muovere il cursore sui nostri schermi) von Neumann e i suoi mossero i primi passi nel neonato universo digitale. E cambiarono il mondo, per sempre. Questa è la loro storia.