Scrivere alla «cara Costituzione» era stato per il cardinal Matteo Zuppi «un'occasione per sottolineare la necessità di ricostruire, nel pieno della pandemia, quel senso civico nazionale che, dopo la catastrofe bellica, aveva permesso di dare vita a un patto costituzionale sul quale è fondata la Repubblica» (dalla postfazione). Zuppi e Valerio Onida, con linguaggi diversi, il primo con una lettera, il secondo in un dialogo con gli studenti, avvertono sulla necessità di andare oltre la Costituzione per superare le anguste barriere nazionali, affidandosi a istituzioni sovranazionali in grado di perseguire un bene che sia davvero comune. Postfazione di Pierluigi Consorti.
Il volume contiene il commento completo al Vangelo di Marco, il primo dei quattro vangeli del Nuovo Testamento. L'autore ha dedicato molti anni ad approfondire il senso del testo evangelico col metodo ermeneutico proprio dei Padri della Chiesa. ll testo conclude la serie dei quattro commentari di Gargano dedicati ai quattro evangelisti.
All’esodo della Parola è applicabile la parabola del seminatore: parte del seme cade sulla strada ed è mangiata dagli uccelli, un’altra cresce stentata fra i sassi e presto si seccherà, solo una porzione è accolta dal buon terreno, che produce, comunque, in modo disomogeneo. Con eleganza e sapienza l’autore ci guida nell’affascinante viaggio della Parola lungo la storia, consapevole che di fronte a noi si estendono interi continenti e, per quanto si studi, se ne percorreranno solo minuscole porzioni. Le terre inesplorate avranno sempre infatti la prevalenza.
Pietro Stefani insegna alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale e all'Università Statale di Milano. E' presidente del Segretariato attività ecumeniche e redattore della rivista "Il Regno".
L'omelia da tempo è in crisi. Di certo i Vangelo ha le potenzialità per entrare in sintonia con le attese umane contemporanee, anche quelle più profonde e nascoste. Ma spesso viene ingabbiato da preoccupazioni culturali, dogmatiche e patriarcali, sommerso da tentazioni clericali e incrostazioni di potere, che non sanno farsi carico della storia comune.Questo libro di don Rosario Giuè cerca di prendere sul serio la situazione, come solo una comunità cristiana aperta, che si mette davvero in cammino, può fare: diventare una Chiesa in uscita, come chiede papa Francesco. E ciò nella consapevolezza che,
pur nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, molti che stanno sulla soglia sentono forte il desiderio di incontrare i volto del Dio inedito che Gesù ci ha svelato, il Dio liberante, il Dio della speranza. Le omelie sono state pensate, scritte e pronunciate nella certezza che il Vangelo anche nella post-modernità possa continuare a sorprendere uomini e donne, giovani e adulti, che non si rassegnano e non chiudono il cuore all'impegno per un mondo più umano.
Frutto dell’antica sapienza spirituale custodita nell’Eremo di Camaldoii, il volume introduce alla lectio divina Sulla Scrittura, mezzo indispensabile per far propria la Parola di Dio traducendola in esperienza di vita. Infatti, occorre "ruminare" la Parola, stare su di essa, sostare con pazienza per avere il tempo di gustarne il sapore, anzi, i diversi sapori che piano piano, a ogni successiva lettura, vengono riconosciuti, ricercati, attesi (dalla Prefazione).
Il pasto è un evento altamente simbolico. Attorno alla mensa, nei pasti in famiglia o tra amici, nei pranzi d'affari o nei banchetti diplomatici, si vivono, si nutrono e si tradiscono i rapporti umani e sociali. L'atto del mangiare presenta inoltre un legame intrinseco con la violenza, poiché consiste in una modalità di appropriarsi del cibo che implica una distruzione. Anche nella Bibbia il cibo occupa fin dalle prime pagine una posizione strategica. La disposizione del Creatore riguardo al menù vegetale dei viventi (cf. Gen 1,29-30) suggerisce che il cibo è il luogo simbolico di una scelta tra violenza e mitezza, che occorre limitare la violenza per rispettare la vita. Quando Dio fa dell'uomo un essere in relazione, gli ordina di non mangiare tutto quello che viene dato (Gen 2,16-17), lasciando una possibilità alla riconoscenza e alla condivisione. Per vivere non basta infatti mangiare: è altrettanto necessario intrattenere rapporti con gli altri, convertire in mitezza le proprie forze brute per aprire un posto all'altro in vista dello scambio e della relazione. In questo studio André Wénin, tra i più acuti interpreti del testo biblico del nostro tempo, anticipa i maggiori temi delle sue ulteriori ricerche, in un percorso di lettura dell'Antico Testamento che annoda in modo fecondo e affascinante Bibbia e antropologia.
André Wénin è professore emerito di Antico Testamento e di Ebraico biblico all'Università cattolica di Louvain-la-Neuve. Per EDB ha pubblicato di recente "Abramo e l'educazione divina"(2017), "Salmi censurati" (2017), "Il miracolo del mare"(2019), "Dieci parole per vivere" (2019), "Abramo" (2019) e "Il libro dei Giudici" (2021)
Proponendosi di fare il punto sulla situazione dell'analfabetismo religioso in Italia, il libro presenta tre letture, sul versante sociologico (Franco Ferrarotti), storico (Francesca Cadeddu) e giuridico (Marco Ventura). La nostra terra impregnata di religione, per storia e cultura, presenta il paradosso di un'ampia diffusione di idee e informazioni confuse, accompagnata dall'accumulo di pregiudizi e fantasie, con conseguenze nefaste sul piano sociale. Alla luce di questo gli autori lanciano un grido d'allarme e l'invito a una presa di coscienza del problema, per porvi al più presto rimedio.
I racconti della Bibbia non sono nati, in primo luogo, per informare sul passato, né per elaborare una teologia sistematica. Il loro obiettivo era anzitutto trasmettere esperienze vitali. "Quei racconti non contengono verità, ma piuttosto indicazioni su strade da percorrere, le strade che hanno condotto il popolo di Israele a scoprire la sua identità, che gli hanno permesso di uscire da vicoli ciechi e superare le grandi crisi della sua storia. I racconti biblici rispondono quindi a domande sull'identità e sull'esistenza. Essi vogliono trasmettere alle generazioni future i tesori più preziosi del passato, quelli da cui dipende l'esistenza di un popolo" (dalla Prefazione). Se è vero che i racconti biblici sono usati ogni giorno per illustrare verità o confermare la validità di insegnamenti, si tratta tuttavia di un'utilizzazione dei racconti, non della loro interpretazione. Quest'ultima prende sul serio tutti gli ingredienti che entrano nella composizione del racconto e il loro legame, e presta attenzione anzitutto ai dettagli. Nel proporre un manuale sulla narrazione nella Bibbia, l'autore intende fornire una "cassetta degli attrezzi" e non analisi bell'e fatte. Il significato di un racconto è infatti inseparabile dall'esperienza della lettura.
In occasione del settantacinquesimo genetliaco dell'arcivescovo metropolita di Firenze il cardinal Giuseppe Betori, le due istituzioni accademiche che lo hanno avuto come loro gran cancelliere, la Facoltà Teologica dell'Italia Centrale di Firenze e l'Istituto Universitario Sophia di Loppiano, si sono fatte promotrici di questa miscellanea in suo onore. La frase che il cardinal Betori stesso ha scelto in vista della redazione di questo volume, e che rappresenta l'orizzonte ideale dei contributi in esso contenuti, è l'incipit della Dei Verbum, la costituzione dogmatica del Concilio Vaticano Il sulla divina rivelazione: «Dei Verbum religiose audiens et fidenter proda-mons». In queste parole egli ha voluto infatti racchiudere e quasi sintetizzare lo spirito e l'impegno dell'intero suo itinerario di servizio alla comunità ecclesiale, che si può senz'altro articolare in tre grandi tappe: gli studi e l'insegnamento della Sacra Scrittura, il lavoro svolto in qualità di segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana e, infine, il suo ministero come arcivescovo di Firenze. Il volume, frutto di un fervoroso e condiviso lavoro di progettazione, stesura e confezione, vuole esprimere il sincero ringraziamento che la Facoltà Teologica dell'Italia Centrale e l'Istituto Universitario Sophia rivolgono al loro comune gran cancelliere per il servizio attento, generoso e puntuale da lui reso in questi anni: nella viva comunione ecclesiale in Cristo, «qui mediator simul et plenitudo totius revelationis exsistit» (DV 2).
Che cosa significa essere umani in un'epoca di complessità e cambiamento? Come si può gestire lo sviluppo tecnologico? E quali sono i limiti da non superare nel momento in cui la tecnica viene utilizzata per interventi non più solamente esterni, ma anche interni all'uomo? Paolo Benanti si propone di fornire una comprensione filosofica e teologica della tecnologia, mettendone in luce le dimensioni etiche e interrogandosi sulla possibilità di liberarsi dalle categorie tradizionali di «umano», «tecnologico» e «naturale», per abbracciare una nuova relazione con il mondo che si potrebbe definire «tecno-umana».