Nato in una familia russa di radici tedesche e ordinato sacerdote nel 1946, Alexander Schmemann (1921-1983) fu studente dell'Istituto di teologia ortodossa Saint-Serge e visse nell'ambito dell'emigrazione russa a Parigi fino alla sua partenza per gli Stati Uniti nel 1951. Qui divenne una personalità di spicco della Chiesa ortodossa d'America. Per lunghi anni decano del Seminario di San Vladimir a New York, è stato uno dei teologi più rinomati a livello mondiale: i suoi studi più apprezzati vertono soprattutto sulla liturgia, l'ecclesiologia e la storia della Chiesa.
Sincero ammiratore del movimento liturgico che, nell'ambito della Chiesa cattolica, si concretizzò nella riforma liturgica promossa dal concilio Vaticano II, Schmemann ne è stato anche un critico appassionato che non si è stancato di segnalare il rischio che quel processo di rinnovamento potesse tradire la natura stessa della liturgia, culmine e fonte della vita della Chiesa.
Come sottolinea il card. Raymond Leo Burke nella sua prefazione, la ricerca di Arian Shkurti ci consegna un articolato itinerario per entrare in contatto con la teologia liturgica di Schmemann, che ha saputo confrontarsi coraggiosamente con la sfida della modernità del secolarismo fino a costituire un'eredità ancora da valorizzare per il nostro tempo.
Contrariamente a quel che di solito pensiamo, siete voi, i Santi, che venite verso di noi e non già noi verso di voi. Arrivano superando i nostri "vizi del cielo", la presupponenza, la nostra disattenzione, la nostra inutile vanità, e lo fanno di nascosto, a volte persino alle nostre coscienze.
Carmelo Mezzasalma, dai Santi che compaiono in queste pagine e che attraverso di lui ci parlano poeticamente, pur nelle affilate ricostruzioni storiche, bibliche e filosofiche, si è è lasciato avvicinare al punto da dover iniziare con loro un dialogo scoperto, consegnandosi alla luce e al mistero che di volta in volta riceveva. Santi, loro stessi, imprevedibili.
Quale migliore canale, per un simile dialogo, di una lettera, dove l'anima, come pensava Samuel Johnson, giace nuda?
Concordia: "questo nome sia emblematico, sia profetico". Così san Giovanni Paolo II introduceva, al termine della solenne celebrazione eucaristica nella Valle dei Templi di Agrigento del 9 maggio 1993, il suo famosissimo grido contro la mafia: "Che sia concordia in questa vostra terra! Concordia senza morti, senza assassinati, senza paure, senza minacce, senza vittime! ". Ed è proprio intorno a questa forte parola che si sviluppano le riflessioni di mons. Giuseppe Liberto, maestro emerito della Cappella Musicale Pontificia Sistina, alcune delle quali nate proprio in occasione di vari incontri nella città siciliana. Un percorso in cinque tappe che prende il via dalla contemplazione della concordia divina così come rifulge nel mistero trinitario e poi prosegue rileggendo l'esperienza credente proprio alla luce della concordanza dei cuori così necessaria e così, non di rado, ancora di là da venire. Concordia indispensabile nella liturgia, nel canto, nel servizio della carità, comunione dei cuori decisiva anche per una comunità cristiana che intenda ascoltare e accogliere la Parola che Dio le rivolge e che chiama tutti, appunto, a un’esistenza fondata sull'amore. In un tempo segnato in cui più che mai si sperimenta la necessità di una rinnovata sapientia cordis, capace di leggere il presente e intravedere possibili percorsi per il futuro, le riflessioni raccolte in questo volume si presentano come un autentico esercizio di evangelizzazione della cultura attraverso la cultura, alla scoperta della verità e della bellezza custodite da sempre nello scrigno dell'arte.
Dio è la nostra innocenza indifesa che chiede di essere soccorsa. È questa la provocatoria premessa a partire dalla quale si sviluppano le riflessioni e i dialoghi di Roberto Gagno in questo suo nuovo, coraggioso, esercizio di coscienza che prosegue il racconto avviato con Itinerario (2006). Il quale è soprattutto un viaggio verso casa, nel quale il lavoro di introspezione si intreccia con quello di osservazione della realtà che ci circonda, e ci fa dono di aforismi folgoranti e indimenticabili: saper amare è la cosa più difficile, ma è la sola su cui poter contare. Un percorso che ha un duplice obiettivo, grazie al quale il narratore “salva”, a un tempo, la storia e l'eterno: giungere con l'aiuto di Dio alla liberazione dal male che ci assedia, ma anche e soprattutto attingere con entusiasmo e fecondità alla gioia dell’amore di Dio che ci avvolge.
La passione di don Lorenzo Milani per la parola e l’urgenza da lui percepita di doverla restituire ai poveri è nota e ampiamente studiata. E, tuttavia, non altrettanto investigato e messo a fuoco, almeno fino a oggi, è il vero e proprio laboratorio di scrittura che egli realizzò nella scuola popolare di Calenzano e, soprattutto, a Barbina. Una scrittura che doveva essere limpida, essenziale, diretta, frutto di una ricerca che ha contribuito non poco anche alla modernizzazione della lingua italiana.