
Sappiamo bene che la cicala rimpiangerà di aver passato l'estate a far baldoria, che la tartaruga avrà la sua rivincita sulla lepre, e che il leone si salverà grazie al topo riconoscente. Ma le favole di Esopo è bello raccontarle ancora e ancora e ancora. Età di lettura: da 6 anni.
In casa olivieri c'è un ospite eccezionale: Mo, un bambino del pianeta Deneb. Bambino o bambina? La piccola differenza tra terrestri e denebiani, infatti, è che non si scopre il loro sesso prima dei vent'anni! Ma questa piccola differenza crea grandi difficoltà: pare che, sulla terra, essere maschi o femmine determini ogni aspetto della vita, anche di quella dei piccoli... In questo romanzo, capace a un tempo di far ridere e far pensare, Bianca Pitzorno mostra quante contraddizioni e quanti pregiudizi si annidano nell'educazione delle bambine e dei bambini, e quante volte sia difficile scegliere ciò che si vuole diventare quando tutti ti dicono chi sei. Età di lettura: da 10 anni.
Sotto il titolo "Il seminario" è raccolto l'insegnamento orale che Lacan tenne a Parigi senza interruzione dal 1953 fino a poco prima della sua morte. A Roma, nell'estate del 1953, alcuni mesi prima quindi dell'inizio del suo seminario, si era tenuto un congresso in cui Lacan aveva pronunciato il cosiddetto "Discorso di Roma", che segna l'inizio del suo insegnamento e che troverà forma definitiva nel testo "Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi". Per i primi dieci anni Lacan si dedicherà al commento della teoria e della pratica clinica di Freud, facendo anche riferimento ai lavori degli psicoanalisti formati da Freud. Dal 1964 in poi, invece, ossia dalla rottura definitiva con l'Associazione freudiana, Lacan si dedicherà alla messa a punto della dottrina psicoanalitica che stava elaborando, precisando gli aspetti strutturali e logici della scoperta freudiana. Questo "Seminario" è il primo della serie dedicata all'opera di Freud. Come indica il titolo stesso, "Gli scritti tecnici di Freud", Lacan prende spunto da alcuni articoli, che all'epoca furono riuniti in Francia in una pubblicazione e che mettono l'accento sull'applicazione clinica della teoria freudiana. Per questo i temi trattati riguardano sostanzialmente la conduzione della cura, e quindi interessano chiunque si domandi da che posizione uno psicoanalista possa ascoltare e possa interloquire con chi gli si rivolge.
Judith Earle conduce una vita ritirata nella sua casa di campagna, in una condizione di agiatezza che le permette di non pensare ad altro che a sé. Nessun dovere e nessuna preoccupazione interrompono i suoi vagabondaggi nel giardino, i suoi sogni a occhi aperti. A risvegliarla saltuariamente non c'è che l'arrivo, nella villa accanto, dei cugini Fyfe: quattro maschi e una femmina con cui, sin dall'infanzia, Judith intesse un rapporto discontinuo, a tratti ambiguo, sempre intenso. Di ciascuno Judith sogna, per ciascuno Judith soffre. Gli studi a Cambridge e l'amicizia appassionata di Jennifer, la ragazza più popolare del college, la distoglieranno per un po' dai Fyfe; ma nulla le renderà più semplice e lineare - anzi - il duro lavoro di diventare adulta. Introduzione di Jonathan Coe. Postfazione di Anna Nadotti.
Marzia Sabella studiava per diventare notaio, senza però "immaginare che avrebbero sventrato autostrade e quartieri, senza prevedere - racconta - che il suo treno sarebbe stato colpito dallo stesso esplosivo per deragliare su un altro binario". Non era un tempo qualunque. Era il 1993, quando, dopo le stragi, lo Stato reagiva alla mafia. Ed era impossibile sottrarsi alla chiamata: magistrato, dunque. Alla procura di Palermo. Cosi, i primi processi: gli 'scecchi morti', le indagini di routine, quindi la pedofilia. Poi Cosa nostra: dall'arresto di Bernardo Provenzano alle indagini per la ricerca di Matteo Messina Denaro, l'ultimo capo latitante. E, nel frattempo, il cambiamento del sentire comune verso la magistratura e la trasformazione del suo stesso ufficio, fino a non riconoscerlo più come il proprio posto. Con una narrazione vibrante, ma priva di enfasi e che sa cedere all'ironia, "Nostro Onore" ci conduce nella realtà della mafia siciliana e, al contempo, nel quotidiano di chi lotta contro di essa dal "palazzaccio" di piazza Vittorio Emanuele Orlando. Ma, soprattutto, ci restituisce un ritratto antieroico dei magistrati, anche quando vivono eventi straordinari e imparano a ripararsi dalla seduzione degli "abbagli da telecamera sempre accesa". Perché, l'onore, quello vero, è dato dalla "sacralità del Codice e di chi, di quel Codice, difende le ragioni".
Forse nessuno ha saputo descrivere il fascino de "L'Isola del Tesoro" con la stessa chiarezza del suo autore. Nel famoso preambolo in versi al romanzo, Stevenson esprime il semplice desiderio che ai giovani dell'epoca in cui scrive possa ancora piacere una storia narrata alla vecchia maniera. Una storia di mare, di navi e bucanieri. Anche a noi oggi viene da ripetere l'augurio, ma con una certezza in più. Questo romanzo per la gioventù, impareggiabilmente sceneggiato e scritto, piacerà ancora a tutti quelli che la gioventù la possiedono o la serbano nel cuore. Il ragazzo Jim, Long John Silver, il dottor Livesey e gli altri personaggi sono emblemi così perfetti di un'infanzia infinita nella sua magia ma già protesa verso il mondo dei grandi - un mondo maschile che si fa universale nella sintesi fiabesca - da avere rinnovato gli archetipi della storia di formazione, di avventura e scoperta, cucendo loro addosso una veste ambientale e stilistica forse definitiva. Perché quello che più ci colpisce - quello che più colpisce ognuno, a ogni età - in questo libro, è l'energia delle rappresentazioni e la persistenza delle immagini, che siano di persone o di paesaggi. Ogni pagina si trasferisce senza indugio nella memoria e rimane per sempre. La fantasia e il dilemma della scelta. Il gioco e il dramma del mare, della guerra e della morte: "L'Isola del Tesoro" contiene tutto questo insieme a quasi tutti i sentimenti, alle virtù più nobili e ai peggiori peccati: la lealtà, il coraggio, la paura...
George Caldwell è un insegnante che non sopporta più la scuola e i suoi studenti, suo figlio Peter non ha amici, ama Vermeer e soffre di psoriasi. Entrambi sognano di andarsene via dalla cittadina della Pennsylvania in cui vivono. Il sacrificio di uno salverà l'altro, come Chirone con Prometeo? Con "II centauro" Updike dimostrò che con la scrittura sapeva fare tutto. Un'onnipotenza virtuosistica che riesce ancora oggi a incantare il lettore. Basta prendere l'incipit del romanzo o la lunga scena della lezione di astronomia per capire come il minimo dettaglio realistico riesca a caricarsi di significati che lo trascendono, ogni infelicità individuale si proietti nel pulsare di una ferita cosmica. Con i suoi piani narrativi cangianti e l'alternanza (o la mescolanza) tra personaggi realistici e mitologici, è il romanzo più ardito di Updike, forse il più affascinante. Prefazione di Luca Briasco.
Il passato è presente parla a ognuno di noi attraverso il dialogo che la scrittrice immagina con il compagno di tutta una vita, l'ispanista Cesare Acutis, che troppo presto l'ha lasciata sola. Fu un grande amore, burrascoso e complice. Ma il discorso intellettuale e sentimentale non si è mai interrotto e le consente di disegnare a tratti ora più leggeri ora più incisi momenti e tappe di una vita anche attraverso piccole vicende, "emozioni trascurate, sensazioni appena sfiorate", che adesso emergono suscitando riflessioni. Le tante persone e cose amate: i genitori, gli amici, le opere degli artisti e i capolavori della natura. Ma anche la passione per la scrittura e per la parola che può illuminare il vuoto delle assenze, "ombra del sole, refrigerio e conforto" anche nel momento della prova più difficile: una malattia che imprigiona nei movimenti, che priva della libertà. Perché "di tutti i nostri atti, consapevoli o meno, nessuno va perduto". Ed è nell'insperata influenza di un nostro gesto sulle vite degli altri che continuiamo - laicamente - a sopravvivere.
Tre leggendari pionieri ottocenteschi rivivono fra le pagine dell'originale e struggente mescolanza di fatti e finzione che è "Livelli di vita": Fred Burnaby, colonnello della cavalleria della Guardia Reale inglese e viaggiatore per terre esotiche e inesplorate, la "divina" Sarah Bernhardt, la più grande attrice di tutti i tempi a detta di alcuni, e Félix Tournachon, il caricaturista, vignettista, aeronauta e celebre fotografo ritrattista noto come Nadar. Ad accomunarli, un'incomprimibile passione per il volo, l'impulso sacrilego a issarsi a bordo di una cesta di vimini appesa a un pallone e, affidandosi a un precario equilibrio di pesi e correnti, sganciarsi dal regno che ci è deputato per conquistare lo spazio degli dèi. Una buona metafora per ogni storia d'amore. Quella immaginata fra Burnaby e Sarah Bernhardt, ad esempio - l'aria, l'assenza di vincoli, l'eccentricità, lei; la concretezza, l'avventura, la disciplina, lui. O quella, cinquantennale, fra Nadar e l'afasica moglie Ernestine. Oppure la storia d'amore, durata trent'anni e poi proseguita, fra Julián Barnes e la moglie Pat Kavanagh. Storie in cui "metti insieme due cose che insieme non sono mai state e il mondo cambia", esempi di una "devozione uxoria" che travalica ogni barriera. Volare è esaltante e semidivino, volare è pericoloso. Un calcolo sbagliato, un vento contrario, un disegno avverso, o la casuale assenza di esso, e si può precipitare.
La distanza tra la Nigeria e gli Stati Uniti è enorme, e non solo in termini di chilometri. Partire alla volta di un mondo nuovo abbandonando la propria vita è difficile, anche se quel mondo ha i tratti di un paradiso, ma per Ifemelu è necessario. Il suo paese è asfittico, l'università in sciopero. E poi, in fondo, sa che ad accoglierla troverà zia Uju e che Obinze, il suo ragazzo dai tempi del liceo, presto la raggiungerà. Arrivata in America, Ifemelu deve imparare un'altra volta a parlare e comportarsi. Diverso è l'accento, ma anche il significato delle parole. Ciò che era normale viene guardato con sospetto. Ciò che era un lusso viene dato per scontato. La nuova realtà, inclemente e fatta di conti da pagare, impone scelte estreme. A complicare tutto c'è la questione della pelle. Ifemelu non aveva mai saputo di essere nera: lo scopre negli Stati Uniti, dove la società sembra stratificata in base al colore. Esasperata, Ifemelu decide di dare voce al proprio scontento dalle pagine di un blog. I suoi post si conquistano velocemente un folto pubblico di lettori, che cresce fino ad aprire a Ifemelu imprevisti e fortunati sbocchi sul piano professionale e privato. Ma tra le pieghe del successo e di una relazione con tutte le carte in regola si fa strada un'insoddisfazione strisciante. Ifemelu si sente estranea alla sua stessa vita e, lì dov'è, non riesce ad affondare le radici, pur sapendo che in Nigeria il nuovo modo di guardare il mondo le guadagnerebbero l'epiteto di "Americanah".