Francesca è una giovane donna dalla vita apparentemente serena: ha un marito, Cosimo, con cui sta dagli anni dell’università, un lavoro di traduttrice che ama, una madre non troppo presente ma a suo modo affettuosa, amici e amiche che le vogliono bene.
Un giorno nella sua esistenza entra Diego, suo coetaneo e brillante ricercatore universitario, con il quale Francesca intreccia una storia fatta di incontri sessuali e poche parole. Pian piano tutto cambia. La vita, seppure in modo confuso, imperfetto e pericoloso, muta traiettoria. Diego è un vento che cambia l’aria che Francesca respira.
Poi, mentre il rapporto con il marito vacilla e Francesca, lontano da Roma e dalla sua vita di prima, passa i giorni in una dimensione sospesa, come fuori dal tempo e dalla realtà che aspetta le sue decisioni, arriva la malattia che la consegna all’ospedale e al dolore.Improvvisamente il suo corpo diventa un altro, la sua storia non ha più un futuro se non quello scandito dalle sedute di chemioterapia.
Eppure è proprio allora che succede qualcosa: Francesca adesso ha un piano e sa che resisterà se riuscirà a metterlo in pratica… In questo poetico e commovente romanzo, sentimenti come l’amore, il tradimento, la vendetta, la malattia e la paura si intrecciano sapientemente con la leggerezza, l’ironia, il coraggio, la speranza nel domani, sentimenti che appartengono agli spiriti liberi, come quello della sua protagonista, come quello della sua autrice.
Nella Russia della metà del Quattrocento, il piccolo Arsenio, rimasto orfano, vive con il nonno e un lupo in un'izba in prossimità di un bosco e di un cimitero. Lì apprende dal vecchio i segreti delle erbe e di altri preparati medicinali, una conoscenza che ne farà in futuro un medico leggendario. Una volta adulto, però, viene segnato drammaticamente dalla morte per parto della donna amata, Ustina, alla quale non riesce a portare nessun aiuto. Disperato e in cerca di redenzione, il protagonista parte per un viaggio fatto di privazioni e sofferenze, durante il quale subisce numerose metamorfosi, cambia nome e si mette al servizio del popolo flagellato dalla grande peste, lasciando dietro di sé numerosi episodi di guarigioni miracolose. Ormai vecchio, riverito dalla gente e dalla Chiesa, ritorna nel suo villaggio con l'appellativo di Lauro, il "giusto", per affrontare quella che si rivelerà la sfida più difficile della sua esistenza.
Molti ricorderanno la celebre dedica de "Il Piccolo Principe" a Leon Werth, "il miglior amico che abbia al mondo". Dopo la misteriosa morte di Saint-Exupéry, Leon Werth raccolse i suoi ricordi e documenti legati al periodo tra il 1940 e il 1944: lettere, fotografie, disegni, appunti sparsi degli ultimi quattro anni di vita dello scrittore. La sua passione per il volo, i percorsi letterari, l'eredità spirituale cui "Tonio" stava dando nuove forme in "Cittadella", ultima opera rimasta incompiuta. Nacque così questo volume, un viaggio a ritroso, un'immersione nel tessuto intimo della vita e dell'opera di Saint-Exupéry, con cui Werth richiama all'esistenza lo scrittore francese attraverso i ricordi più vivi della loro amicizia, tra frammenti alla deriva che ricostruiscono la storia di un vincolo di straordinaria intensità emotiva e intellettuale.
Si scrive male, si scrive troppo, si scrivono cose inutili. La smania di parlare e di scrivere è una patologia conclamata della nostra era ossessionata dal bisogno di esternazione a ogni costo. In tempi in cui fioriscono da ogni parte manuali su come scrivere meglio e superare il noto "blocco dello scrittore", questa breve trattazione dell'abate Dinouart, apparsa per la prima volta nel 1771 e da allora continuamente ristampata, propone un vero e proprio ribaltamento prospettico del problema comunicativo. L'arte di tacere non è un semplice invito al silenzio, un manifesto del mutismo, ma un'analisi delle infinite possibilità della continenza verbale e scritta. "Il silenzio è necessario in molte occasioni" dice l'abate "ma bisogna sempre essere sinceri: è possibile tenere per sé certi pensieri, ma non fingerli. Esistono delle maniere di tacere senza chiudere il proprio cuore, di essere discreto senza essere cupo e taciturno, di nascondere alcune verità senza coprirle con menzogne".
Riflessione illuminante e insieme memoir, "La civiltà del malumore" - opera postuma del grande inviato Edgardo Bartoli - mette insieme i decenni dal dopoguerra a oggi della storia italiana e di Roma con le vicende di un piccolo gruppo di nomini liberi che non si riconoscevano nel dibattito ideologico degli anni Cinquanta e Sessanta e il cui ideale centro era "Il Mondo" di Pannunzio. Attraverso la lente della capitale e di un drappello di intellettuali, cultori dell'intelligenza del malumore, Bartoli ci conduce in una passeggiata narrativa nei caratteri eterni dell'essere italiani, con i suoi vizi (molti) e le sue virtù (spesso quasi sconosciute), in una meditazione a cavallo tra passato e futuro, anche se a Roma, come nota l'autore con un sorriso, "non c'è posto per altro futuro che quello segnato dal calendario appeso in cucina".
Sono passati loti anni da quando Ida, ambiziosa e bellissima, ha sceso per la prima volta i trenta gradini del music-hall che avrebbe consacrato il suo successo. Ora, i suoi impresari vogliono provare il nuovo numero senza veli di una ballerina americana agli esordi. Quel corpo giovane riporta Ita ai tempi dei suoi difficili passi suasa scena, quando era solo una ragazza povera in terra straniera. La lunga gavetta, poi il successo, la fama, la ricchezza, e un segreto tenuto nascosto perfino a se stessa, un episodio terribile che torna con tutta la sua forza al momento di entrare in scena, nell'atto di fragilità estrema.
Scritto nel 1943 subito dopo la destituzione di Mussolini ma pubblicato solo nel 1999, "II 25 luglio" è il racconto in cui Luce d'Eramo, appena diciottenne, si è misurata per la prima volta con la Storia e con le sue urgenze etiche e pratiche: l'euforia e lo sgomento che divisero gli italiani, San Lorenzo e il Verano sotto le bombe alleate. Pur immersa attivamente nel presente di fatti gravi, nell'incredulità e negli improvvisi dubbi di una giovane universitaria di fede fascista, la narrazione sceglie lucidamente il passato remoto "per obiettivare la storia appena vissuta proiettandola indietro nel tempo". Avvenimenti e riflessioni di questo racconto "nudamente autobiografico" già schiudono tutto il coraggio che pochi mesi più tardi avrebbe portato Luce d'Eramo ad affrontare in solitudine la durezza dei campi di lavoro tedeschi e del lager di Dachau e la caduta della dittatura nazista, per incamminarsi verso la sua personale ricerca della verità.
Tre racconti inediti sulla nostalgia, l'egoismo e l'illusione di vivere. Il racconto "Un amore in pericolo" fu pubblicato il 22 febbraio del 1936 su "le Figaro littéraire". Irène Némirovsky mise in scena il rammarico delle cose perdute, i momenti felici che sempre, e per sempre, svaniscono. Per Sylvie, in punto di morte, il senso della perdita si tinge d'una interrogazione morale: dove vola il pensiero nell'ora fatale, incerto tra il pentimento e il rimpianto? All'ansietà dolorosa di un lungo amore o alla breve convulsione di un momento di piacere? Il suo dilemma servirà all'autrice tre anni più tardi per l'ossatura del romanzo "Due". Un delicato studio filosofico sulle età della vita è invece lo spartito del secondo racconto, "Un giorno d'estate", in cui Irène Némirovsky abbatte uno scandaglio sull'adagio solipsistico che accompagna e scocca le ore delle vite umane ("Ciascuno vede solo se stesso"), ma devia poi su un piano chimico, biologico, ineluttabile: l'indifferenza universale della natura, l'incessante mormorio dell'esistenza, "Io, io, io". Quello stesso egoismo che sembra ispirare la madre del giovane assassino e il procuratore incaricato di condurne il processo, protagonisti dell'ultimo racconto, L'inizio e la fine, apparso sul settimanale "Gringoire" il 20 dicembre del 1935. Quell'egoismo che nella prima, per paura della morte, scatena una difesa insensata, e al secondo, col mero tramite di una fredda requisitoria, fornisce l'illusione di vivere.
G. B. Shaw la ribattezzò "l'ottava meraviglia del mondo", fu grazie a lei che Rita Hayworth conobbe il principe Ali Khan e fu sempre lei a presentare Aristotele Onassis a Maria Callas. Pianista in una taverna, autrice di canzoni, proprietaria di due locali notturni a Parigi, consigliera di stilisti, attrice, giornalista di gossip, Elsa Maxwell è stata per due generazioni la confidente e l'amica dei più celebri nomi della società, della politica, del cinema e dello spettacolo del XX secolo. Insuperabile deus ex machina dello scandalo, in questo libro la Maxwell racconta con stile pungente e ironico una vita straordinaria, quella di una donna che creò dal nulla e con grande anticipo sui tempi la figura dell'organizzatrice di eventi mondani; una donna che conosceva principi, arrampicatori sociali, stelle, attori, imbroglioni e personalità di vario genere non soltanto come apparivano in pubblico ma, soprattutto, come apparivano in privato: vizi, debolezze e segreti vengono qui svelati senza rimorso ma anche con la cinica saggezza di chi sa come va il mondo. Un viaggio a ritroso nel tempo e nella storia del costume di un'epoca di figure leggendarie come Greta Garbo, Rita Hayworth, Sigmund Freud, Gary Cooper, Christian Dior, i duchi di Windsor, Charlie Chaplin, Albert Einstein, Marlene Dietrich, Winston Churchill...
La famiglia Demestre si riunisce ogni domenica a casa della vecchia madre Anna. Anche stavolta intorno alla tavola apparecchiata siedono Alain, Augustin, Albert con le loro moglie i figli, e Manette, ancora senza marito. Tutti sono impegnati a celare le preoccupazioni e i sentimenti che li animano, ma è impossibile non percepire l'atmosfera di freddezza, disprezzo, ipocrisia e invidia provocata dalla decisione di Alain di sacrificare il suo matrimonio per seguire l'amante in Malesia. I fratelli sono contrari e le loro reazioni mostrano quanto tra loro non ci sia una vera unione, né comprensione, né amore: nessuno vuole aiutarlo, nessuno vuole farsi carico delle conseguenze di una simile decisione e l'essere fratelli sembra essere più un peso che un valore. Sarà la prospettiva della morte a dare un senso al legame di sangue e a unire, volenti o nolenti, questi "stranieri" tra loro.