
Il sofisma economicistico e I due significati di «economico», brevi scritti di Karl Polanyi pubblicati qui parzialmente in una versione ripresa dalla rivista francese MAUSS, rappresentano un mirabile esempio di sintesi critica e insieme di profondità di analisi, un’analisi che approda alla convinzione, centrale nel pensiero di Polanyi, del disastro antropologico e sociale causato non solo dal liberismo, ma ancor di più dalla fallacia di un intero sistema di pensiero, la scienza economica, che cerca di giustificarlo e di sorreggerlo.
A supporto delle interessanti pagine di Polanyi, utili sia ai frequentatori abituali del suo pensiero sia ai neofiti, il presente volume ha il pregio di proporre due contributi, rispettivamente di Alain Caillé con Jean-Louis Laville e di Jérôme Maucourant, che, oltre a presentare rapidamente la biografia intellettuale del filosofo ungherese, chiariscono l’estrema attualità della sua critica al capitalismo e alla società dei mercati.
Polanyi emerge così come economista dalle solide basi storiche e antropologiche che, con la sua opera, ha saputo smontare l’edificio apparentemente saldo dell’economia classica per svelarne l’essenza ingannevole: quella di un vasto apparato teorico che attribuisce validità universali a una precisa contingenza storica, il laissez-faire liberista dell’Europa ottocentesca. Eppure con questa insistita proiezione dei meccanismi propri dell’economia borghese su uno sfondo di regolarità assolute, il sofisma economicistico ha saputo incantare il mondo definendo una disciplina vincente nella gerarchia dei saperi occidentali, incidendo concretamente nella realtà storica delle economie europee e poi globali, in breve giocando un ruolo determinante nell’affermazione su scala planetaria del modo di produzione capitalistico. È dunque urgente - e a questo compito la presente pubblicazione intende offrire un contributo agile - riscoprire e attualizzare la figura di Karl Polanyi, atipica ma centrale nel panorama intellettuale del XX secolo.
Sulla scena del tragico conflitto religioso scatenato dalla dottrina catara, fondata su una dualità, respinta da Roma come corrotta, all’inizio del XIV secolo, nell’estremo Sud francese, un piccolo gruppo di uomini e donne coraggiosi testimoniava di villaggio in villaggio in una pericolosa clandestinità la forza della «Eglesia de Deu», come essi la chiamavano.
Convinti della validità della propria fede, quei cristiani dissidenti affronteranno processi, prigioni, roghi stabiliti da autorità civili ed ecclesiastiche decise a eliminare definitivamente il credo eretico da tutta l’Occitania. Qual era la loro dottrina, la loro fede, la loro esperienza?
Il processo agli ultimi catari ripercorre, attraverso i testi degli interrogatori, inediti in italiano, tratti con rigore dai documenti giacenti negli archivi vaticani, la difficile e aspra quotidianità di quegli uomini e quelle donne facendola rivivere non attraverso la stilizzazione del racconto storico o letterario, bensì attraverso le loro stesse parole, quelle che i protagonisti di questa strana e originale stagione della cristianità europea hanno lasciato alla storia in forma di confessioni.
Dal materiale emerge, oltre che la profonda fede rivoluzionaria di quegli uomini e quelle donne, pronti a sacrificare se stessi, l’essenza stessa delle loro vite, a qualsiasi strato sociale appartenessero. Essi, pur abitando in una regione sottoposta a Parigi, conservavano con fierezza l’originalità della cultura occitanica, capace di trasformare il diritto romano in funzione del carattere della propria gente, nonché di rappresentare, come poche altre terre nell’Europa di quei tempi, un esempio di convivenza religiosa e di libertà di pensiero uniche e all’avanguardia.
Come è noto, la nozione di romanico "lombardo" supera largamente i confini amministrativi dell'attuale Lombardia, a marcare uno dei centri propulsori a raggio europeo del rinnovamento architettonico e artistico dopo l'Anno Mille. Al punto che quasi un secolo fa un grande storico dell'arte americano, Arthur Kingsley Porter, tentando con una monumentale catalogazione sinora insuperata di censirne i monumenti conosciuti, inglobava nel concetto l'intera Italia centro-settentrionale. Per non parlare della diffusione di formule architettoniche e soluzioni decorative, come quella degli archetti pensili, che ne proiettano anche a grande distanza i presunti effetti. Essa ne individua comunque il baricentro, che nella triangolazione tra Milano, Como e Pavia segna i raggiungimenti più alti del fenomeno, oltre a registrare la fitta trama di esperienze diffuse nel territorio, con densità e coerenza non comuni. Quale sia la ragione di tale situazione privilegiata è difficile dire. Si è fatto appello, non impropriamente, alla lunga tradizione di maestranze specializzate nella lavorazione della pietra (estratta dalle vicine cave prealpine) che si è voluta far risalire ai "magistri comacini" di età longobarda (ma si discute ancora sulla corretta etimologia del nome), o meglio ai maestri intelvesi e poi campionesi, che percorsero le strade dell'Italia centro-settentrionale tra il XII e il XIV secolo.
La Storia dell'Archeologia della Mesoamerica si fonde con la storia stessa del Messico. Dopo lo scontro coloniale che ha distrutto le antiche civiltà, dagli Aztechi ai Maya, i nuovi arrivati, mescolandosi agli indigeni, hanno lentamente cercato di ricostituire il mondo pre-colombiano.
Il grande antropologo ed archeologo Eduardo Matos Moctezuma da anni lavorava a questo progetto che va dai primi codici fatti rifare dai missionari agli indigeni nel '500, all'archeologia scientifica ed ai musei e siti archeologici dei giorni nostri. Il Messico durante 500 anni ha cercato, tramite l'Archeologia, di ritrovare la sua identità meticcia.
L'opera ha un corredo illustrativo che va da documenti antichi ed inediti sino al presente ed esce nel bicentenario dell'indipendenza e nel centenario della Rivoluzione Messicana.
Contestualmente al rigoroso restauro della chiesa di San Francesco Saverio a Mondovì, il volume, con i contributi di eminenti studiosi, mostra il successo di quest'ultima impresa con stupende tavole a colori e descrive la prima opera di Andrea Pozzo, poi divenuto famoso con le sue opere romane.
Tra le grandi svolte della storia umana, la Rivoluzione Neolitica, è una delle più determinanti; è l’inizio delle prime manipolazioni prodotte dall’uomo sul proprio ambiente naturale, il che è direttamente all’origine della potenza attuale della nostra specie. Analizzare questa metamorfosi, nelle sue condizioni e nelle sue cause, è dunque un’operazione necessaria per chi si interessa del divenire della civiltà. Questo avvenimento si è verificato inizialmente nel Vicino Oriente, prima di raggiungere direttamente altre regioni del mondo o di dare luogo a imitazioni più tardive. Il v. è la sintesi delle ricerche recenti sul Neolitico del Vicino Oriente, qui considerato con i confini designati dall’Unesco, ovvero la penisola anatolica (attuale Turchia) e il Levante, cioè Siria, Libano, Israele, Giordania. Il periodo considerato dal 12.000 al 6.300 a.C. è quello durante il quale, in questa parte del mondo prima che in qualsiasi altro luogo, si verificò il passaggio per tappe dalle comunità preistoriche di cacciatori-raccoglitori a quelle dei primi contadini e dei primi allevatori, con tutti i cambiamenti tecnici e ideologici che accompagnano e talvolta precedono questo processo. L’a. è direttore di ricerca presso il CNRS. Dal 1958 ha dedicato il suo lavoro al comparire dei primi villaggi, all’agricoltura e all’allevamento nel Vicino Oriente.
Nel 2001-2002, Derrida proseguiva le sue ricerche intorno alla sovranità dello Stato-nazione e del suo fondamento onto-teologico-politico. Un’ampia riflessione -testimoniata nel primo volume de La bestia e il sovrano- che da questo momento si sarebbe rivolta verso le grandi questioni della vita animale: quella dell’uomo «animale politico », diceva Aristotele, e quella delle «bestie» - e del trattamento, dell’assoggettamento della «bestia» da parte dell’«uomo». In questo secondo volume tale lavoro giunge alle sue estreme conclusioni modulandosi in una paziente lettura di due testi qualificati come «più eterogenei possibili»: da una parte Robinson Crusoe, l’opera di finzione di Daniel Defoe, e, dall’altra, il seminario tenuto da Martin Heidegger nel 1929- 1930 "Concetti fondamentali della metafisica. Mondo - finitezza - solitudine".
Questo breve saggio di Inos Biffi ha come intento quello di risvegliare o anche creare il gusto per il Paradiso di Dante, nel quale la poesia pura ha raggiunto il suo vertice sublime. La terza cantica della Commedia è ritenuta la più difficile, quasi la più arida, rarefatta com'è di immagini, la più ardua nel linguaggio. E infatti essa trasporta in un altro mondo, ultraterreno, privo della visibilità e della sagoma sensibile dei primi due, tutto plasmato di luce, nella quale si annidano i beati. La prima parte del volume inizia alla comprensione della cantica illustrandone il senso nel percorso letterario e spirituale del poeta e mettendo in luce il suo carattere teologico. Nel Paradiso il mistero cristiano appare nella sua "forma": Dante con la sua poesia abbellisce la teologia, la rappresenta come canto, nella sua lirica e nella sua estetica. Quindi il Paradiso come una cattedrale di luce. La seconda parte offre alcuni assaggi di commento al canto X.
Da tali degustazioni potrebbe sorgere il desiderio di inoltrarsi in questa incomparabile gloria del mistero, che per singolare grazia divina Dante ci ha lasciato.
XIV e inizi del XV secolo
Volume sesto di Figure del pensiero Medievale
In coedizione con Città Nuova
Rilegato con sovracoperta
Testi di: J.Biard, I.Biffi, S.-T. Bonino, F.Buzzi, M.J.F.M.Hoenen, C.Marabelli, E.Reinhardt, F.Stella