
Assieme alla vergine e martire Agata, morta a Catania 53 anni prima ma oriunda di Palermo, Lucia, donna di eccezionale bellezza ed elevata estrazione sociale, costituisce il binomio agiografico più significativo e più celebre di quelle eroine che, con il loro martirio, subito in difesa della verginità e della fede, gloriarono la Sicilia nei primi secoli del cristianesimo. Secondo la tradizione e la pia devozione popolare, Lucia patì il martirio a Siracusa il 13 dicembre del 304 sotto Diocleziano, lo stesso anno in cui il 12 agosto a Catania era giustiziato il giovanissimo martire volontario Euplo/Euplio. A differenza di Agata, Lucia esemplifica il modello cristiano di chi nega la propria famiglia e dona tutti i propri averi alla Chiesa e ai poveri. Proprio a causa della devoluzione dei beni materiali, il fidanzato rimprovera Lucia di avere dilapidato il patrimonio paterno con uomini depravati e di essere pertanto diventata una meretrice dissoluta. La dilapidazione dei beni materiali è motivo di accusa e di assimilazione alla dissolutezza dei costumi (il "Carnale mercimonium"), preludendo alla condanna al postribolo e poi a quella finale per spada. Dal Medioevo si consolida il patronato della vista attribuito a Lucia e dai secoli XIV-XV si fa largo spazio un'innovazione nell'iconografia, la raffigurazione con in mano un piattino (o una coppa) dove sono riposti i suoi occhi.
Homo creatus est è l’ultimo e più recente dei 5 volumi dei Saggi Teologici di Hans Urs von Balthasar. Come suggerisce il titolo, l’opera presenta l’antropologia del grande teologo, la visione dell’uomo quale è stata fatta propria da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Non a caso il libro è dedicato al cardinale Joseph Ratzinger. La visione dell’uomo, dunque. Ma non c’è da attendersi cedimento alcuno al pensiero contemporaneo, alla nuova scolastica o alle infinite correnti nate dalla dissoluzione della metafisica. Il punto di partenza di von Balthasar è da una parte il desiderium Dei presente nella creatura di cui parla sant’Agostino, dall’altra la considerazione dell’uomo de arriba (sant’Ignazio). Ne possono nascere due antropologie diverse: l’una ascendente, a partire dall’uomo che cerca il proprio compimento in Dio; l’altra discendente, di Dio che va incontro all’uomo portandolo così a salvezza e compimento. Le due opzioni possono trovare un punto d’incontro nell’amore originario di Dio, il quale crea l’uomo come libero partner dell’alleanza. L’uomo, di conseguenza, realizza se stesso, giunge alla sua pienezza nel momento stesso in cui si apre all’incontro con Dio. Una tematica di grande fecondità è quella legata all’eros, alla differenza sessuale, alla dignità della donna. Tre momenti strettamente uniti, come sottolinea, ad esempio, Mozart ne Il flauto magico. Sono vie della manifestazione dell’amore di Dio. Nello stesso tempo sono vie della più piena realizzazione dell’uomo. Creata da Dio, l’umanità è chiamata a innalzarsi a Dio, a vivere in Dio, visto che Dio è venuto e ha posto la sua tenda in mezzo a noi.
I volti del cristianesimo orientale
La storia del cristianesimo non si esaurisce con le chiese europee. Anche se le chiese occidentali sono meglio conosciute, tuttavia un notevole sviluppo lo ebbero quelle orientali, situate in quella parte dell’impero romano: là si tennero grandi dibattiti teologici e i primi concili ecumenici su cristologia e Trinità; là maturò un diritto ecclesiastico favorevole ai cristiani e alle loro chiese, oltre a un vasto fiorire di comunità per i diversi loro riti. Costantinopoli era il centro di quello sviluppo: le molteplici altre vicende dello stesso cristianesimo con le diverse culture dei popoli interessati e le conseguenze di occupazioni militari e politiche durate secoli, sotto un’unica autorità politica, non beneficiavano però di un’unica autorità religiosa. Dal VII secolo in poi aumentava l’importanza delle chiese occidentali, di Roma anzitutto, dove erano giunti Pietro e Paolo, e dove più tardi Carlo Magno cooperava a unificare la liturgia e a controllare la dottrina, aspetti questi meno facili in Oriente, nonostante le iniziative dell’imperatore Giustiniano tese a mantenere l’unità teologica. Chiese separate dal ceppo bizantino continuarono peraltro a svilupparsi, in specie oltre i confini dell’impero romano d’Oriente, protette o meno dagli stati nei quali erano inserite. La loro storia continua a interessare, anche se la conquista ottomana di Costantinopoli nel 1453 doveva segnare una profonda cesura, con chiare ripercussioni pure in Occidente. La nuova edizione di questo classico, corredata da ulteriori riflessioni sull’opera degli imperatori cristiani e sull’estensione dei movimenti ereticali, con una bibliografia aggiornata offre una guida per chi voglia conoscere il patrimonio di esperienza, teologia, spiritualità di quelle chiese.
Esistono, accanto ai linguaggi che constatano, descrivono, ordinano dei fatti, altri linguaggi - come quelli poetici, simbolici, religiosi - che ricorrono soprattutto alla metafora e sono linguaggi di ridescrizione e di metamorfosi della realtà. Una tradizione consolidata, quella retorica, considera tali linguaggi come esclusivamente rivolti alla persuasione appunto mediante gli artifici retorici. Questi linguaggi ad alto valore ornamentale non avrebbero valore informativo, di referenza alla realtà. È possibile superare questa lettura retorica della metafora e giungere a una lettura poetica, cioè considerare la metafora come strategia linguistica capace di dare conto della creazione di un nuovo significato, come linguaggio di rivelazione? A questo interrogativo rispondono gli studi che costituiscono il presente volume: mostrare che i linguaggi metaforici non sono carenti di un vero rapporto con la realtà, anzi sono linguaggi portatori di una sovrabbondanza di senso. Il linguaggio poetico-metaforico, proprio perché non vuole mostrare la realtà come è, cancella il mondo come complesso di oggetti disponibili, manipolabili, e apre nuove dimensioni della realtà. Tentare di mostrare la legittimità di tali linguaggi vuol dire aprire al linguaggio umano, e all'uomo, altre vie che non sono quelle della dominazione: dominazione delle cose, dei segni ridotti alla loro funzione strumentale.
Un capolavoro insuperato sulla storia del popolo Rom
«... Non ho intenzione di discutere di problemi attuali. Mi attengo al mio ruolo di storico. Nell’abbondante produzione di libri e di articoli sugli Zingari ce ne sono relativamente pochi che diano spazio alla storia. Ebbene, tutto quello che si può raccogliere di fatti e di osservazioni sul loro passato aiuta a comprendere nella realtà di oggi un gruppo umano che ha vagato a lungo sulle strade del mondo, ma che, evolvendosi lentamente in mezzo ai sedentari e senza lasciarsi intaccare da loro, rivela una certa stabilità nel tempo... Qui... ho tentato di presentare, dalle origini fino alla metà del XIX secolo, una sintesi di conoscenze sul passato degli Zingari in tutti i paesi in cui si sono diffusi. Quando mi è stato chiesto questo lavoro, ho esitato molto prima di accettare, tanto mi sembrava complesso. Tuttavia… mi sono lasciato tentare dalla proposta dell’editore. Il mondo zingaro esercita uno strano fascino e non lascia più coloro che hanno cominciato a interessarsi a quelle che gli ziganologi inglesi chiamano "cose d’Egitto". Mi sono trovato sempre più in rapporto con associazioni e personalità che si preoccupano di questi problemi sia sul piano scientifico sia sul piano amministrativo e sociale, e ho avuto frequenti contatti con famiglie di gruppi rom, manouches, sinti o gitani, dalla Spagna ai Balcani. Così ho potuto confrontare il presente con il passato».
(dalla Premessa dell’autore)
L'opera che ha inaugurato la decostruzione. Un classico della filosofia contemporanea
«Durante gli anni che seguirono, circa dal 1963 al 1968, cercai di dare forma - in particolare nei tre lavori pubblicati nel 1967 - a ciò che non doveva in alcun modo essere un sistema, ma una specie di dispositivo strategico aperto sul suo proprio abisso, un insieme non chiuso, non chiudibile e non totalmente formalizzabile di regole di lettura, d’interpretazione, di scrittura...». Così confessa Derrida; gli anni a cui egli si riferisce sono quelli dominati dallo strutturalismo e dalle indagini sulla natura del segno, sullo statuto del testo, sul rapporto tra linguaggio e potere. Con i tre volumi ricordati La voce e il fenomeno, Della grammatologia (trad. it. Jaca Book, 1968 e 1969) e La scrittura e la differenza (trad. it. Einaudi, 1971), il filosofo intervenne in questo dibattito cercando di individuare, all’interno di un sistema che finisce sempre per concepirsi come chiuso e autosufficiente, le tracce di quelle contaminazioni che, più che distruggerlo, lo decostruiscono e così facendo anche lo aprono e lo sollecitano verso una scena - in verità la stessa all’interno della quale ogni esperienza umana fin da principio drammaticamente si muove - che non è mai stata e mai potrà essere concepita come una mera struttura. In queste pagine, attraverso un confronto serrato con la fenomenologia di Husserl, le ragioni di una simile sollecitazione sono individuate con un’originalità e un rigore tali da rendere La voce e il fenomeno un classico della filosofia contemporanea.
L'opera principale di un maestro della spiritualità medievale
Come rivela il titolo stesso in due delle sue redazioni, l’opera principale di Giovanni di Fécamp appartiene al genere letterario della Confessio, di cui sono un illustre antecedente le "Confessioni di sant’Agostino", nelle quali non si trattava tanto di rivelare le proprie colpe, quanto invece di «confessare Dio» lodandolo e rendendogli grazie. Giovanni fuori dal contesto autobiografico si propone di confessare i misteri stessi della rivelazione, abbandonandosi a lunghe contemplazioni ammirative, celebrando la trascendenza di Dio, la mediazione di Cristo, rendendo grazie alla bontà e alla «soavità» del Creatore-Salvatore, esprimendo il suo ardente desiderio di visione anche con le «lacrime». La maggiore originalità dell’opera di Giovanni è rappresentata dal celebrare la trasformazione interiore che Cristo opera nell’anima che gli si abbandona. Il Signore non solo perdona, ma guarisce; non solo è un esempio, ma anche un aiuto che conferisce purezza al cuore e pacificazione a tutto l’essere. È nell’umanità di Cristo che Giovanni di Fécamp contempla la bellezza di Dio. Ci sono in questo cristocentrismo accenti che già annunciano san Bernardo. Tali elevazioni, che a partire da Cristo inseriscono nel mistero stesso di Dio, tradiscono nel loro autore e vogliono favorire nel lettore un’autentica esperienza mistica, fondata sulla lettura e la meditazione della Scrittura e sfociante nel silenzio dell’adorazione. L’intensità e la sincerità di questo fervore giustificano il successo delle orazioni ricavate dagli scritti di Giovanni di Fécamp, il quale, sotto diversi nomi, fu probabilmente con san Bernardo uno degli autori più letti prima dell’Imitazione di Cristo. A queste qualità dell’ispirazione si aggiungono quelle dello stile, che senza essere fragoroso rivela tratti poetici per le sue immagini e per l’armonia della sua discreta musicalità.
L'avventura della scienza: i suoi limiti, le sue condizioni
Considerata di volta in volta scoperta o creazione, dono divino o appropriazione prometeica, la scienza ha segnato l’inizio e lo svolgersi della storia umana. Prodotto di aristocrazie intellettuali, ma sempre e coerentemente assorbita dalle diverse culture, alimentata dalla fruizione comune delle sue applicazioni, la scienza ci appare oggi come un mundus perfetto e concluso, le cui leggi tendono a dominare l’intero operare umano. Eppure, oggi come ieri, rimane aperta la domanda su che cosa si regga la sua autorità. Una domanda che implica una serie di inquietanti interrogativi che l’uomo avverte davanti alla scienza moderna, la quale non sembra più tendere a una conoscenza pacificante e rassicurante, ma a un sempre maggiore potere sugli uomini e sulle cose che lo circondano.
Il lettore è condotto a percorrere rapidamente la storia della scienza, con lo sguardo diretto ai problemi inerenti al suo linguaggio logico-matematico e ai suoi metodi di riprova e di convalida, per poi volgerlo verso il futuro, dove si aprono due diverse prospettive, in cui, rispettivamente, la scienza può preordinare, passo dopo passo, la fine dell’era dell’Homo sapiens, o aiutarlo a cercare il suo bene in un’avventura di cui però nessuno può prevedere la fine.
Una radicale messa in questione del sistema economico mondiale
Il capitalismo era così inevitabile come spesso si afferma e si suppone? Il modo di produzione capitalistico e la sua struttura sociale furono migliori o peggiori rispetto ad altri modi sperimentati dalle società umane? Jaffe cerca la risposta sul piano storico e su quello politico. Ripercorre a grandi tappe la storia delle maggiori aree del mondo e ne mostra le variate linee di sviluppo, interrotte tutte dall’impatto violento con il mondo dei soldati, degli amministratori, degli imprenditori, che dall’Europa e poi anche dagli Stati Uniti d’America si impadronirono dei loro commerci e della loro economia, determinandone le trasformazioni politiche e sociali. Questo dominio produsse innumerevoli vittime, distrusse città e opere d’arte, destrutturò economie e reti di commercio, con un bilancio che resta fortemente negativo per la maggior parte del mondo, che lo subì. Dall’inizio e fino ad oggi, prima il colonialismo, poi l’imperialismo alimentano in modo decisivo il capitalismo occidentale. Questo processo disegna la grande divisione tra i paesi che producono il plusvalore del mondo e i paesi che lo incassano. Marx capì l’importanza essenziale del colonialismo per la nascita del capitalismo, ma, contrariamente a Lenin, gli sfuggì il ruolo determinante che esso continuava ad avere, nella forma dell’imperialismo. Malgrado le aspettative del marxismo eurocentrico, nei paesi che vivono del plusvalore internazionale e lo redistribuiscono al loro interno non si è mai formata una classe in grado di realizzare una rivoluzione socialista, tanto meno di guidarne la diffusione mondiale. Le uniche rivoluzioni socialiste cui abbiamo assistito nel secolo scorso sono avvenute in alcuni dei paesi produttori di plusvalore, i cui contadini e operai lottarono per liberarsi dalla dipendenza dal capitalismo. Se il parametro di giudizio è l’umanità che compie il suo destino di libertà e uguaglianza, possiamo ancora dire che il capitalismo fu necessario?
Un libro illustrato per i ragazzi e per le famiglie
Presentiamo qui un’edizione completamente rivista rispetto a quella, di grande successo, apparsa nei primi anni Ottanta. In particolare è del tutto rinnovato e arricchito l’apparato illustrativo che affianca ai disegni un’eccezionale varietà di materiali iconografici che spaziano dalle fotografie alle opere d’arte.
Storia dell’Eucaristia è un libro di catechesi. Far catechesi in senso cristiano significa non semplicemente trasmettere idee alla memoria, ma introdurre alla meravigliosa storia della salvezza per renderne partecipi. Nel nostro caso la catechesi riguarda il sacramento principale: l’Eucaristia. Ne è tratteggiata la storia, a partire dall’Ultima Cena, letta sullo sfondo degli eventi biblici che l’hanno prefigurata. Ma l’Eucaristia appartiene indissolubilmente alla vita della Chiesa, di cui è narrata appunto l’esperienza eucaristica lungo le varie età. Fino a oggi: quando ancora la comunità cristiana celebra nel sacramento il sacrificio della croce. A questo punto la catechesi diviene spiegazione dei riti, delle parole, dei gesti della Messa. Una singolarità distingue questo libro: l’immagine che accompagna e illustra il testo. Destinatari del libro sono i ragazzi: non lasciati a se stessi, ma guidati dagli adulti, testimoni credibili della fede, così che questa a sua volta maturi in quanti si avviano a comprenderla e ad amarla.