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Molti credenti oggi fanno fatica a trovare Dio nelle loro vite. Fanno fatica ad ascoltare la sua voce, nonostante vadano in chiesa e leggano anche il Vangelo. Si sentono abbandonati e non riescono a rispondere alle mille domande che assillano il loro cuore e interpellano la coscienza. Domande sul significato del vivere e del morire, sulla figura di Gesù, sul rapporto con gli altri, sulla solidarietà e l’invidia, la bontà e la cattiveria, la felicità e la sofferenza. Eppure, scrive Lucio Coco, è proprio interrogando la propria fede che il credente riesce a salvaguardare la domanda di Dio che abita tutti, se non nella forma assoluta dell’evidenza almeno in quella più sfumata del dubbio.
"Se vuoi conoscere la Chiesa, non ignorare la Tradizione. Se ignori la Tradizione, non parlar mai della Chiesa." Alla domanda quale Tradizione?, questo libro risponde: non la Tradizione che raccatta strada facendo, specie dall'Illuminismo ad oggi, ogni novità, anche la più eversiva della sua identità, per potersi dire à la page e Tradizione vivente, ma la Tradizione che vive in quanto veicolata da Cristo e dagli Apostoli alla Chiesa perché essa l'accolga, custodisca, interpreti e trasmetta nei secoli fedelmente e integralmente, quale viene attinta alla sua duplice fonte orale e scritta, testimoniata dai Padri della Chiesa, insegnata dai grandi Concili, in special modo dal Tridentino e dal VaticanoI, e determinata dalla scienza teologica in armonia con gli sviluppi della Parola viva, eodem sensu eademque sententia.
Il 20 maggio 1923, in treno e sotto scorta, l’ultimo sultano-califfo dell’Impero ottomano arriva a Sanremo e si installa, per quella che crede la parentesi di un breve esilio, nella villa già abitata da Alfred Nobel. Maometto VI coltiva la speranza di tornare in patria da vincitore e attende il crollo di Mustafa Kemal, il generale che lo ha detronizzato e ha fondato una nuova Turchia. Per tre anni l’esule lavora alla realizzazione del suo obiettivo: difende il proprio ruolo di capo della dinastia contro il cugino a Nizza, riceve emissari di una società segreta islamica, incontra il re d’Italia al Casinò, si congratula con Mussolini per lo scampato pericolo di un attentato, dà fondo al denaro che si era portato da Costantinopoli e tenta approcci con il Vaticano per un’inedita alleanza tra islamici e cattolici contro l’ateismo che avanza da Est. La sua corte è popolata da spie, mogli infedeli, eunuchi ubriaconi, feroci circassi con il demone della roulette, parenti spericolati e un medico depresso che un giorno viene trovato con un proiettile nella testa. Suicidio o omicidio? A chi toccherà la prossima volta? Cosa sta succedendo all’ombra del grande parco contiguo a quello dove vive il piccolo Italo Calvino? La magistratura italiana inizia caute indagini e i carabinieri intensificano la sorveglianza della villa.
Riccardo Mandelli ricostruisce in questo libro una storia avvincente e mai raccontata prima, in cui si intrecciano le trame britanniche per assicurarsi il petrolio iracheno e abolire l’istituzione panislamica del califfato, le velleità coloniali del fascismo, la strenua lotta di Atatürk per creare uno stato laico. Attraverso la storia di Maometto VI Vahdeddin e l’agonia del grande impero che da secoli incombeva sull’Europa appaiono in una luce sorprendente le contraddizioni che ancora oggi lacerano il Medio Oriente voluto dalle potenze occidentali dopo la prima guerra mondiale.
Riccardo Mandelli ha studiato medicina veterinaria e filosofia. Ha vissuto alcuni anni in Germania, dove ha lavorato per l’emigrazione e ha iniziato a conoscere i turchi e la Turchia da quella prospettiva. Attualmente insegna materie storico-filosofiche in un liceo di Imperia. Ha pubblicato finora soprattutto narrativa per i giovani.
Maurice Béjart, uno dei protagonisti della scena del ’900, scrive a un giovane danzatore: che cos’è la danza? quali sono i suoi strumenti? che cosa distingue un semplice esecutore da un interprete?
La sbarra, lo specchio, il palcoscenico, il pavimento definiscono il contesto di un’arte specifica, ma il discorso supera questo ambito circoscritto e investe la dimensione dell’essere.
Gli esercizi alla sbarra, che sono la base del lavoro quotidiano, rappresentano molto più che la ripetizione infinita di passi e movimenti: sono una presa di coscienza. La sala danza diventa allora un luogo di meditazione e preghiera, dove si ritrova il contatto con l’Assoluto.
Il rapporto con lo specchio, prima, e quello con il pubblico di fronte al palcoscenico, poi, rimandano alla consapevolezza di sé, alla perfetta capacità di giudizio dell’occhio interiore, alla differenza che un osservatore percepisce fra chi ha interiorizzato i movimenti e le coreografie al punto da farli propri e in qualche modo ricrearli e chi ha imparato bene ogni cosa ma appare freddo e anonimo nell’esecuzione.
Al di là della sala danza e del palcoscenico si delinea un altro percorso, che riguarda l’Uomo. La danza come la vita, o forse, meglio, la vita come la danza, diventa una ricerca inesausta e infinita, dove le domande trovano poche risposte definitive e anzi sollecitano nuove indagini e riflessioni. Trovare cercando e cercare trovando. Una volta iniziato, questo percorso non può fermarsi: ogni traguardo diviene infatti un punto di partenza: «In fondo, forse è proprio questo essere vivi».
L'AUTORE
Maurice Béjart (1927-2007), importante danzatore e coreografo francese, ha fondato nel 1960 il Ballet du XXe Siècle, da cui si è separato dopo più di trent’anni per costituire il Béjart Ballet Lausanne. Nel 1999 è stato insignito del premio Kyoto.
In questo saggio Paul Valadier affronta la questione del rapporto tra la sfera spirituale e quella politica. Tradizionalmente, l'adozione di un approccio soprattutto spirituale è stata intesa come una forma di distacco dalla realtà e dalla vita sociale. La politica, d'altra parte, si è spesso fossilizzata in una pratica di mera "gestione" della cosa pubblica, lontana da qualunque ideale o valore trascendente. Ne è conseguito uno svilimento di tutti e due gli ambiti e una reciproca diffidenza, quando non un vero e proprio conflitto. In queste pagine profonde e cristalline, Valadier propone un nuovo tipo di relazione tra spiritualità e politica: la prima, per realizzarsi compiutamente, dovrà incarnarsi anche nella vita pubblica e comunitaria, mentre la seconda dal semplice livello amministrativo dovrà portarsi a quello dell'autentico "governo degli uomini", in un serrato confronto con i valori che promuovono il bene comune, oggi quanto mai necessari per curare la nostra democrazia malata.
"Che cosa non va nel mondo?" si domanda Chesterton, aprendo questo libro scritto nel 1910, ma attuale. I problemi sono tanti: si va dalla solitudine dell'uomo e dalla sua alienazione indotta sia dal capitalismo sia dal socialismo (il primo la giustifica considerandola il prezzo da pagare per assicurare la produzione; il secondo pretende di ridefinire ciò che è umano nel tentativo di dare vita all'homo novus) al rifiuto delle leggi divine, sostituite da arroganti e a volte patetiche leggi sociologiche; dal femminismo, criticato perché reclama il diritto di applicare alla donna categorie maschili ottenendo come risultato non la sua emancipazione ma il suo snaturamento, ai sistemi educativi che, escludendo i genitori, tendono sempre più a irreggimentare i bambini trasformandoli in proprietà dello Stato. Ma secondo l'autore, ciò che realmente non va nel mondo è che si tende a cambiare l'uomo per adattarlo alla società piuttosto che adattare la società alle esigenze dell'uomo (errore in cui perseverano sia i conservatori sia i progressisti). Le uniche vie di uscita sono il ritorno alla famiglia tradizionale, il solo ambito in cui sia possibile un'esistenza libera e felice, e l'adozione di un sistema economico (il distributismo, di cui Chesterton fu un grande sostenitore) in cui la proprietà dei mezzi di produzione possa essere ripartita nel modo più ampio possibile fra la popolazione.
«Shining assomiglia in modo esemplare al labirinto che il protagonista Jack Torrance osserva agli inizi della sua follia, di cui si crede dominatore, ma da cui gli sarà impossibile uscire. Nel momento in cui tutto sembra finire e crediamo di esserne fuori, basta un’immagine a ricacciarci al suo centro, in quel groviglio di contraddizioni irrisolte che è l’Uomo, lo specchio opaco in cui ogni risposta, lungi dall’essere risolutiva, è parziale e sfuggente, elusa con la stessa cura con cui vengono edificate le domande.»
Giorgio Cremonini
L'AUTORE
Giorgio Cremonini (Bologna 1936), già docente di Geologia presso la facoltà di Scienze dell’Università di Bologna, collabora con numerose riviste, tra le quali «Cinema Nuovo», «Cinema e Cinema»,«Cineforum». Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Buster Keaton (1995), Stanley Kubrick. Arancia Meccanica (Lindau 1996), Playtime. Viaggio non organizzato nel cinema comico (Lindau 2000), Viaggio attraverso l’impossibile. Il fantastico nel cinema (2003), Dracula (2007).
Spesso la Dottrina sociale della Chiesa viene interpretata come un’aggiunta morale a questioni politiche ed economiche che obbedirebbero a logiche proprie, sostanzialmente autonome. L’economia avrebbe insomma le sue leggi e il contributo cattolico consisterebbe nel mitigare gli effetti negativi sulle persone di questa o quella teoria, sia essa il liberalismo o una delle varie forme di statalismo.
Un’impostazione di questo genere vanifica il significato del fatto cristiano nel momento stesso in cui pretende di affermarlo. La Dottrina sociale della Chiesa è invece un punto di vista assolutamente nuovo e originale che ci permette di giudicare l’intera realtà che circonda l’uomo e di affrontare i problemi mediante criteri di giudizio che si sono via via precisati e affinati nel corso dei secoli.
Lo scopo di questo libro è mostrare con i fatti quanto la proposta della Chiesa sia non solo ragionevole, ma anche conveniente per gli uomini. La Chiesa ha ragione perché i suoi criteri sono più umani, prendono in considerazione tutte le dimensioni della persona e quando sono adottati creano realtà sociali maggiormente tolleranti e libere. Al contrario, dove questi criteri sono negati o ignorati, inevitabilmente l’uomo perde la propria dignità e la propria libertà. Per questo Benedetto XVI, nel suo ultimo discorso prima dell’elezione a Papa, ha rilanciato la proposta che già Pascal faceva ai non credenti: «Vivere come se Dio ci fosse […]. Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno».
L'AUTORE
Luigi Negri è vescovo di San Marino-Montefeltro. Filosofo, teologo, saggista, allievo di don Luigi Giussani, fino all’ordinazione episcopale (2005) è stato Docente di Introduzione alla Teologia e di Storia della Filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, membro del Consiglio Internazionale di Comunione e Liberazione e del Comitato scientifico-tecnico per la scuola cattolica della Conferenza Episcopale Italiana. Mons. Negri è autore di circa trenta volumi e quaranta saggi, fra cui Per un umanesimo del terzo millennio (Ares, 2007), Pio IX. Attualità e profezia (Ares, 2004), Ripensare la modernità (Cantagalli, 2003), Controstoria. Una rilettura di mille anni di vita della Chiesa (San Paolo, 2000), False accuse alla Chiesa (Piemme, 1997).
Riccardo Cascioli, giornalista, è caporedattore de «La Bussola quotidiana» e dirige l’agenzia online Svipop. È senior fellow del Catholic Family and Human Rights Institute. È autore di numerosi libri, fra i quali I padroni del pianeta (con Antonio Gaspari), edito da Piemme nel 2009.
Gli ebrei sono vissuti nell’Europa centrale e orientale per almeno mille anni. In questo lasso di tempo hanno creato una civiltà – con una lingua, una letteratura, leggi e istituzioni proprie – che ha offerto un grande contributo alla storia dell’Occidente. Oggi, però, questa presenza millenaria è ricordata dai più solo per i tragici eventi della seconda guerra mondiale, in quello che fu di fatto l’ultimo scorcio di vita del popolo yiddish. Da qui nasce lo speciale valore dell’imponente lavoro di ricostruzione e divulgazione compiuto in queste pagine da Paul Kriwaczek.
Seguendo il suo minuzioso ed emozionante racconto riscopriamo l’esistenza di una nazione yiddish un tempo prospera e fortunata, anche se periodicamente vittima di attacchi, vessazioni, soprusi – una nazione che per molti secoli fu vivaio di zecchieri, diplomatici, medici e ingegneri, oltre che insegnanti di musica, poeti e filosofi, presenti e attivi presso le corti reali e i governi d’Europa.
Il fitto e fruttuoso intreccio fra la cultura ebraica e la storia europea è analizzato in profondità, ma soprattutto vengono esaminate le vicende interne del mondo yiddish: l’organizzazione delle comunità nell’Europa centro-orientale, le grandi e piccole figure dell’ebraismo nel Medioevo e nel Rinascimento, il difficile ma proficuo rapporto con la modernità, lo spettro dell’assimilazione legata a una progressiva laicizzazione della società, e infine la diaspora in Inghilterra e negli Stati Uniti all’inizio del XX secolo.
A un tempo vivace affresco storico e appassionata elegia per un mondo perduto, il libro di Paul Kriwaczek segna una tappa importante sulla via di un completo recupero delle radici del nostro continente.
L'AUTORE
Paul Kriwaczek, nato nel 1937 in Austria e subito emigrato con la famiglia in Inghilterra, è scrittore, regista e produttore televisivo di successo (ha anche collaborato a lungo con la BBC). Tra i suoi libri più recenti ricordiamo In Search of Zarathustra (2002). Il presente Yiddish Civilisation è stato candidato al Jewish Quarterly Wingate Literary Award del 2006. Il sito Web dell’autore è disponibile all’indirizzo www.kriv.demon.co.uk.
Nel 1937 un colpo alla nuca in uno scantinato concluse drammaticamente la vita di Pavel Florenskij, matematico, fisico, geologo, filosofo, teologo, da molti definito il Leonardo da Vinci russo. Il suo corpo fu gettato in una fossa comune e di lui nessuno seppe più niente. I famigliari credettero a lungo che, dopo essere stato ingoiato dal sistema dei campi di lavoro sovietici, fosse morto nel 1943.
Alla fine degli anni ’50 fu riabilitato: le accuse contro di lui si erano rivelate prive di fondamento, l’intero procedimento a suo carico era stato la conseguenza di una evidente montatura. Del resto, Florenskij non era in senso stretto un dissidente e, anche quando era entrato nella stravolgente realtà del gulag, aveva cercato di fare quanto le sue eccezionali capacità speculative e una totale dedizione al lavoro gli consentivano per approfondire le conoscenze in un vasto numero di discipline (proprio durante il periodo della prigionia gli vennero riconosciuti 12 brevetti legati a 47 applicazioni delle sue innovazioni tecnologiche).
Parecchi altri anni sono però dovuti passare perché la sua parabola di uomo, scienziato e sacerdote cominciasse a ottenere tutta l’attenzione che merita, e infatti Avril Pyman ci offre in queste pagine la sua prima biografia completa, sullo sfondo delle tormentate vicende storiche, politiche, religiose e culturali del mondo russo a lui contemporaneo.
Ciò che ne emerge non è solo l’immagine di una intelligenza straordinariamente dotata per le scienze e per il pensiero filosofico e capace di passare dalla matematica e dalla fisica alla logica, all’estetica e agli abissali esercizi della metafisica, ma anche il profilo di un uomo libero, restio a ogni compromesso, unicamente interessato alla ricerca della Verità, figlio, marito e padre molto affettuoso.
Il lavoro di interpretazione e approfondimento del pensiero di Florenskij è forse appena agli inizi. Anche grazie alla ricostruzione attenta e circostanziata delle pubblicazioni e delle collaborazioni che possono essergli attribuite, l’opera di Avril Pyman ha però posto le basi per un recupero pieno della sua eredità.
L'AUTORE
Avril Pyman è Reader Emerita in letteratura russa all’University of Durham e membro della British Academy. È autrice della più importante biografia di Aleksandr Blok (Oxford University Press) e di History of Russian Symbolism (Cambridge University College). Ha curato molte traduzioni dal russo.