Indagare le forme della dimensione religiosa nel Novecento è un’impresa che non si riduce al solo interrogativo: che cos’è religione? A questo perlopiù si risponde rinviando a due modelli: religione come esperienza (Rudolf Otto) o religione come rivelazione (Karl Barth). Dovremmo però chiederci – ed è quanto si tenta in questo volume – sotto quali altre domande si ritrova il problema religioso, in senso lato come rapporto fra l’uomo e ciò che lo trascende. Questo rapporto si frammenta al di fuori della teologia, e persino nei modi in cui la filosofia più atea pensa l’uomo nel mondo si delinea un rinnovato senso del religioso. Vi sono state forme apocalittiche di pensiero come fuga dal presente – da Nietzsche in poi – che sono nomi diversi della stessa escatologia ebraico-cristiana, pur rovesciata e non religiosamente connotata. Comprendere la religione allora – accogliendo e sviluppando l’eredità del maestro Italo Mancini – significa qui non solo prendere sul serio l’appello dell’alterità, ma riflettere sulla storia e sulle sue negazioni. Così il libro si pone due obiettivi: da una parte ripercorrere i principali temi della teologia e filosofia della religione del Novecento, dall’altra decriptare la sfida della religione nei nostri tempi. Di qui la “trascendenza fra i tempi”: come a dire che nel tempo in cui sfumano i contorni della verità e il senso dell’agire, si avverte il richiamo all’evento della salvezza. Una salvezza che, con o senza Dio, chiede un impegno nel vivere la storia, il mondo, la Chiesa, la politica: è il principio responsabilità, che ha avuto grandi interpreti nella filosofia con Jonas e Ricoeur e nella teologia con Bonhoeffer, e che è un invito a mettere in gioco sin da ora il nostro futuro. Dove la stessa politica, simbolo della laicità del mondo, pare aprirsi al linguaggio della mistica, mutuandone le parole chiave, come annunciato da Maritain, Weil, Metz: la speranza di cambiare il mondo si affida a una prassi i cui momenti sono la resistenza ad esso e lo svuotamento di sé, capace di scorgere nell’altro, come in una risurrezione, il dischiudersi del nuovo.
COMMENTO: Come le teologie e le filosofie del '900 da Barth a Gadamer, da Berger a Mancini, hanno interpretato il fenomeno della religione nell'età della secolarizzazione.
PIERGIORGIO GRASSI già professore ordinario di Filosofia della religione nella Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Urbino, dal 1993 è direttore dell’Istituto di Scienze Religiose “Italo Mancini”. Fra le sue pubblicazioni: Teologia e filosofia. Un itinerario nel Novecento (QuattroVenti, 1992); Figure della religione nella modernità (QuattroVenti, 2001). Dirige la rivista «Hermeneutica» (Morcelliana) e la rivista «Dialoghi».
Si inanellano in questi saggi inediti di Xavier Tilliette – fra i maggiori interpreti dell’Idealismo tedesco – i cenni per una metafisica della morte come sconfinamento dell’io che sporge sull’oltre: «la questione dell’aldilà non è legata unicamente né in via primaria al destino dell’anima dopo la morte. Essa riguarda i limiti del mondo e tutto quanto è inaccessibile alla nostra presa, ciò che la conoscenza coglie solo in immagine. È l’oceano che si abbatte sulle nostre rive, per esplorare il quale non abbiamo né barche né vele». Quasi che il rallentare del tempo e lo scolorire della memoria sempre più lo avvicinassero alla lucidità dei sapienti, nel chiaroscuro del raccoglimento, con gli occhi del poeta e la profondità del filosofo, Tilliette sa sostare sulla soglia: tra la memoria e il mistero, l’io e la morte, la tristezza del finito e la meditazione sull’immortalità. Pagine di intensa spiritualità, in dialogo con i classici: da Bergson a Schelling – l’autore di una vita – a Hölderlin, Novalis, Jean Paul; dalla poesia di Rilke alla filosofia di Gabriel Marcel, guida quasi dantesca che qui conduce nell’aldilà come esercizio del limite del pensiero umano.
COMMENTO: Il grande teologo francese si interroga sulle "cose ultime": morte, immortalità e resurrezione. Concetti che intersecano direttamente le domande della filosofia, e quindi fanno emergere qui il suo più originale pensiero filosofico.
XAVIER TILLIETTE già professore all’Institut catholique di Parigi e all’Università Gregoriana di Roma, fra le sue numerose opere ha pubblicato per Morcelliana: Il Cristo della filosofia. Prolegomeni a una cristologia filosofica (1996); La Settimana Santa dei filosofi (20032); Omaggi. Filosofi italiani del nostro tempo (1997); L’intuizione intellettuale da Kant a Hegel (2001); La Chiesa nella filosofia (2003); Che cos’è cristologia filosofica? (2004); Eucaristia e filosofia (2008).
Se dovessimo esprimere in un concetto l’interesse focale dell’intera indagine di Levinas, questo potrebbe dirsi il senso dell’“umano”. Un’idea dell’“umano”, scandagliata da ebreo e da filosofo senza però confondere mai le due anime, come “incondizionato”: non l’assoluto filosofico – quell’astrazione somma che riconduce a sé tutte le cose – ma ciò che sfugge a ogni sorta di “condizione”. L’umano si dà nella coscienza, è ciò che ci fa esseri incarnati che vogliono, pensano, amano, vivono; ma è eccedente perché il suo senso viene dall’altro. L’analisi levinasiana attraversa la fenomenologia di Husserl e Heidegger, come operazione di rischiaramento e comprensione, ma il suo sguardo va al di là dell’ontologia e si fa etica in quanto filosofia prima.
In questa prospettiva, il volume inanella uno ad uno i suoi nodi fenomenologici decisivi, ricostruendo la fenomenologia del sonno, della passività, dell’attività, del corpo, dello spazio, del volto, della coscienza morale, della parola, del tempo. Un arcipelago di significati dell’umano “senza condizioni” che, superando il modello cronologico, funge da introduzione alla filosofia di Levinas e alle sue opere maggiori. Pagine che cercano di restituire la sensibilità esistenziale con cui Levinas esplora i luoghi filosofici dell’umano – servendosi di un linguaggio capace di mutare lo stesso vocabolario della filosofia del ’900 – e al contempo vanno al cuore delle sue categorie.
COMMENTO: Un ritratto di Levinas a tutto tondo che presenta il suo pensiero come filosofia fenomenologica: tornare alle cose stesse significa comprendere l'altro come rivelazione. Di qui la famosa elaborazione dell' "etica come filosofia prima", dove in primo piano è l'esser uomo.
MARIO VERGANI è ricercatore di Filosofia teoretica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Tra le sue pubblicazioni: Fatticità e genesi in Edmund Husserl (La Nuova Italia, Firenze 1998), Jacques Derrida (Bruno Mondadori, Milano 2000), Dell’aporia (il Poligrafo, Padova 2002) e Dal soggetto al nome proprio. Fenomenologia della condizione umana tra etica e politica (Bruno Mondadori, Milano 2007). Ha curato e tradotto opere di Husserl e Nancy ed è autore di numerosi saggi per riviste italiane e internazionali.