Una leggenda popolare sul giusto messo alla prova e poi reintegrato nella felicità primigenia anima la vicenda di Giobbe e sta probabilmente all'origine del libro di Tobia. Elemento comune ai due scritti biblici è la sofferenza del giusto, dolore in Tobi, tribolazione in Giobbe: le vicissitudini di Tobi fanno da pendant ai tormenti subiti da Giobbe, le prime risolvendosi nella solidarietà con i connazionali, i secondi nel contrasto con Jahvé. Aprendosi a una prospettiva sociale il dolore di Tobi perde le tinte del dramma facendosi sopportabile; nel confronto con Dio Giobbe giunge a darsi ragione della sconfessione della sapienza tradizionale.
Questa raccolta di saggi guidata da Philip Esler fa per così dire il punto della ricerca sugli scritti dell'Antico Testamento esaminati nella prospettiva delle scienze sociali, dall'antropologia e l'antropologia sociale all'etnologia, dagli studi sul rito e gli stati estatici all'organizzazione sociale e politica delle società antiche, dalla linguistica alla narratologia. Intento dell'opera è mostrare come il ricorso alla strumentazione fornita dalle scienze sociali sia preferibile all'approssimazione di pregiudizi e assunti che conseguono da concezioni acritiche del funzionamento delle culture, in particolare quelle antiche, e che sono di serio ostacolo alla comprensione dell'Israele antico nei diversi contesti culturali del tempo. In quest'ottica la metodologia delle scienze sociali dà prova della propria utilità euristica a integrazione proficua dell'applicazione dei metodi comunemente in uso nella critica biblica, dalla filologia e la critica storica allo studio delle tradizioni e delle forme letterarie dei testi dell'Antico Testamento.
Lo studio di Helen Bond ricostruisce il Ponzio Pilato storico e approfondisce il modo in cui questi ha funto da figura letteraria nelle opere di sei autori, tutti attivi nel primo secolo dopo Cristo: Filone di Alessandria, Flavio Giuseppe e i quattro evangelisti canonici. A un primo capitolo in cui si delinea la situazione della provincia imperiale della Giudea romana in cui ebbe a operare Pilato, seguono sei capitoli dedicati a ognuno degli autori sopra indicati, e in particolare al modo in cui un lettore del primo secolo poteva intendere le azioni di Pilato a seconda della prospettiva che questi autori avevano adottato riguardo alla potenza imperiale romana.
Tra le 112 voci raccolte nell'VIII volume del Grande Lessico dell'Antico Testamento molte sono di grande utilità per la comprensione della lingua, della storia e della religione dell'Israele antico. Alcune voci si distinguono per l'importanza che il termine trattato ha negli scritti della Bibbia ebraica, ad esempio re'sît (principio), rab e derivati (crescere), ruah (vento/vanità e anche alito/spirito/vita), rea' (prossimo), sar (principe), ecc. fino a sabbat (sabato) e saddaj / 'el saddaj, uno dei nomi divini. Di ogni parola presa in esame si approfondiscono gli impieghi secondo piani successivi, indicati nei sommari a inizio di ciascuna voce, così da illustrare e scandagliare i diversi significati che la singola parola viene ad acquisire sia in rapporto all'ambiente semitico sia nelle diverse parti del testo biblico. A facilitare la consultazione dell'opera, anche in questo volume parole e frasi in ebraico e in ogni altra lingua semitica sono riportate in traslitterazione e seguite dalla traduzione corrispondente.
In questo studio Philip F. Esler colloca la lettera ai Romani sullo sfondo per molti versi unico di Roma e delle sue comunità del movimento di Cristo attorno alla metà del primo secolo, muovendo da una prospettiva sociale e culturale per molti versi inedita e innovativa. Nell'ottica di Esler la lettera ai Romani mostra d'essere un tentativo tanto elaborato quanto pregnante di riproporre l'identità del movimento di Cristo in una forma in cui domina il riconoscimento della differenza etnica. È una lettera in cui la verità teologica dell'unicità di Dio fa da fondamento all'identità comune patrocinata da Paolo. In un mondo come quello d'oggi che non cessa d'essere lacerato da conflitti etnici, la lettera che Paolo scrive ai credenti in Cristo delle comunità romane mostra come sia possibile preservare la propria e l'altrui identità etnica in un'identità comune che non annulla bensì esalta le peculiarità che distinguono gruppi etnici altrimenti diversi.
L'epistola a Filemone prende spunto da un caso concreto: la fuga dello schiavo Onesimo dal padrone cristiano, Filemone. Le poche righe della lettera di Paolo non sempre consentono di individuare chiaramente i vari aspetti della situazione, ma sulla base di altre fonti antiche è possibile ricostruire quantomeno approssimativamente gli aspetti storici e sociali oltre che ecclesiali della vicenda. Il commento di Klaus Wengst approfondisce i rapporti fra i tre attori della lettera - Paolo, Filemone e Onesimo - sullo sfondo sia della diversa condizione sociale sìa dell'appartenenza allo stesso movimento dì Cristo, nel tentativo di mostrare come la teologia possa rapportarsi alla realtà sociale. In breve Paolo e lo schiavo: il credente in Gesù Cristo e la schiavitù nel mondo antico; teologia e realtà sociale.
L'opera di Bruce J. Malina si fa apprezzare per la chiarezza dell'esposizione con cui vengono illustrate le caratteristiche antropologiche della cultura mediterranea antica in cui videro la luce gli scritti del Nuovo Testamento. I valori cardinali della cultura mediterranea nell'antichità, la psicologia sociale e l'orizzonte conoscitivo delle figure che intervengono nel Nuovo Testamento, la conformazione sociale in piccoli gruppi, le regole matrimoniali e le norme di purità che strutturavano la vita quotidiana della Palestina del primo secolo sono considerati per la loro incidenza sui personaggi neotestamentari e per la spiegazione che possono fornire della vicenda di Gesù e della storia dei gruppi dei suoi seguaci. Questo libro mira a contribuire alla comprensione degli scritti neotestamentari. Se questi devono farsi udire nei nostri diversi contesti culturali, se si deve rafforzare la fede con senso di responsabilità, allora la teologia dovrà svolgere la sua opera di articolazione dei simboli culturali del gruppo originario del movimento di Gesù e dei suoi epigoni nel Mediterraneo antico nel linguaggio più chiaro e secondo i modelli più adatti che è possibile rinvenire nelle culture nelle quali questo gruppo deve essere espresso, compreso e vissuto.