
Il sistema monetario non è qualcosa di prettamente tecnico e separato dal resto delle istituzioni sociali. La soluzione che viene data al problema della moneta è parte integrante dell'habitat istituzionale dentro cui viviamo. E da essa dipendono i gradi di libertà di cui possono beneficiare le nostre azioni. Friedrich A. von Hayek, Premio Nobel per l'Economia e maggiore rappresentante della cultura liberale del Novecento, ha fatto della questione monetaria il tema della sua prima riflessione teorica. Si è poi dedicato ad analizzare i presupposti gnoseologici e normativi su cui si basa la società libera. E ha formulato una severa critica alla "democrazia illimitata", quel tipo di sistema sociale in cui «non è più la volontà o l'opinione della maggioranza a determinare cosa debba fare il governo, ma è il governo che è costretto a soddisfare ogni tipo di interesse, allo scopo di mettere assieme una maggioranza». Tale situazione è in parte sostanziale favorita dal monopolio governativo dell'emissione della moneta. Come dire che, per ripristinare una "democrazia limitata", per circoscrivere cioè il potere del ceto politico, è necessario abbattere quel monopolio, responsabile di inefficienza, disoccupazione, fenomeni degenerativi della vita sociale. Ossia: bisogna affrancarsi da qualsiasi forma di sovranismo monetario. Il che è possibile solo a condizione che la moneta venga offerta da istituzioni che operino in regime di concorrenza. Hayek presenta in questo suo saggio una proposta ben articolata, su cui tutti i difensori della libertà individuale di scelta devono riflettere. Come alcuni commentatori hanno messo in evidenza, è possibile che tale proposta debba essere integrata ed emendata. Lo stesso Hayek lo riconosce. Ma resta il problema che il monopolio dell'emissione della moneta non è compatibile con le priorità funzionali di una società aperta. E una soluzione dev'essere trovata.
«Quando le violenze (delle mafie) divennero omicidi e stragi [...] ci si avvide che l'identità criminale [...] usurpava volto e funzioni di una contro società [...]; il contrasto condotto fino all'omicidio, come nel caso del parroco don Pino Puglisi, rivelava un giudizio antagonistico contro la fede cristiana» (dalla prefazione). L'Autore che è anche postulatore della causa di canonizzazione di don Puglisi, connette diverse discipline (diritto civile, penale e canonico, teologia sistematica, morale), con l'invito a leggere la Chiesa come popolo peregrinante, che vive nel mondo per annunciare il Vangelo e lottare contro il mysterium iniquitatis. Inoltre, ricostruisce l'inconciliabilità tra mafia e Vangelo, soffermandosi sulla scomunica e sul suo significato pedagogico e medicinale. Le strategie sociali e pastorali di contrasto alla zizzania mafiosa vanno radicate nel martirio di Puglisi e nelle parole di papa Francesco: «Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!».
Le complesse dinamiche tra i "palazzi" della politica e l'intervento delle "piazze" che condussero alle "radiose giornate" del maggio 1915 e all'ingresso dell'Italia nella Grande Guerra non costituiscono un fenomeno isolato della storia nazionale. Il volume ripercorre alcuni specifici e cruciali tornanti nella storia italiana in cui si è manifestata con particolare forza un'articolata interazione tra istituzioni nazionali e mobilitazioni dell'azione collettiva nella decisione politica: dal dibattito sull'esercito garibaldino dell'aprile 1861 all'attitudine della guardia nazionale nei confronti del Parlamento del maggio 1873; dallo stato d'assedio di Milano del 1898 allo svolgimento della "settimana rossa" del giugno 1914, fino alla marcia su Roma dell'ottobre 1922; dall'attentato a Togliatti del 1948 alle manifestazioni di Genova del 1960; dall'autunno caldo del 1969 alla contestazione universitaria del febbraio 1977; dalla marcia dei Quarantamila dell'ottobre 1980 al lancio delle monetine a Craxi del 1993. Ne esce un affresco interessante per ripensare tradizioni critiche e punti di forza dalla vita socio-politica e istituzionale dell'Italia unita.
In un periodo di grande dissoluzione fuori e dentro la Chiesa, un'epoca di preti e religiosi che vivevano negli agi e nei lussi incuranti del Vangelo, Francesco di Paola sceglie il ritorno alle origini, votandosi all'isolamento come gli antichi padri del deserto per vivere il solo a solo con Dio. Un ritiro non fine a se stesso, tuttavia. Ben presto, infatti, la grotta di Francesco viene "assediata" da frotte di persone desiderose di aiuto, di conforto, di confronto. Francesco accetta l'arrivo della gente e a tutti dona il suo amore, compiendo anche prodigi, sempre nel nome della carità. Ben presto altri eremiti si uniscono a lui. E da Paola la sua comunità si espande, prima in Calabria, poi in Sicilia, infine in altri posti in Italia e poi oltre i confini, chiamato come consigliere dal re di Francia. Il suo segreto fu solo e soltanto uno: credere nella possibilità di realizzare ciò che il suo cuore gli diceva fosse buono e giusto. Credere in se stesso, nelle proprie possibilità e nella potenza disarmante dell'amore. Nulla è impossibile per chi crede nell'amore. Questo il messaggio che la vita di Francesco di Paola comunica a tutti ancora oggi. Non ci sono limiti, barriere, per chi sceglie l'amore. Prefazione di p. Francesco Marinelli.
Nell'ultimo decennio Angelino Alfano ha servito il Paese «con disciplina e onore, come la Costituzione richiedeva e come la coscienza imponeva». Oggi ha deciso di incamminarsi verso nuovi orizzonti, riprendendosi per intero un pezzo importante di vita, fuori dal Palazzo. In queste pagine, Alfano riannoda i fili della sua autobiografia politica e l'intreccio tra storia e memoria gli consente di effettuare il bilancio di un passato recente vissuto con forte intensità. Speranze e delusioni, errori e intuizioni, dispiaceri e incomprensioni, grandi battaglie ideali che orientano scelte difficili e una campagna mediatica aggressiva che non fa vacillare le certezze ma, al contrario, le irrobustisce: tutto si tiene nel mosaico della narrazione con al centro il profondo amore per la politica che assorbe l'esistenza, unito al desiderio sincero di cambiare in meglio l'Italia. Con idee chiare e programmi concreti sarà possibile attraversare questo delicato crocevia della Storia, riappropriandosi di futuro e certezze. Per il nostro Paese, per i nostri figli, per il sogno europeo. Per ridare dignità e valore alla politica. È il messaggio affidato a questo libro, quando una stagione si è appena conclusa: occorre investire sul buonsenso. Che non è vintage.
Il nazionalismo non è morto. Sopravvive alla globalizzazione perché nelle democrazie avanzate spesso abbandona i tratti più marcatamente aggressivi o rivendicativi per comparire sotto le vesti "banali" della bandiera esposta negli uffici pubblici, nei riferimenti culturali diffusi dai mass media, nella simbologia più o meno esplicita delle ritualità sportive. In questo volume, che ormai è divenuto una pietra miliare della riflessione sul nazionalismo, tradotto in diverse lingue, Michael Billig ci porta a osservare come il nazionalismo si riproduca in tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana come un fenomeno normalizzato e rassicurante. Occorre rendersene conto per comprendere il mondo in cui viviamo senza ricadere nelle semplificazioni giornalistiche.
Per i sacerdoti e per i governanti vivere in grazia di Dio non dovrebbe essere solo un dovere, ma anche un obbligo imposto dalla loro coscienza e dalla loro intelligenza. Tutto ciò è utopia? Certamente, basta guardare al passato e al presente. Ma perché arrendersi anche per il futuro? Iniziamo a “seminare” con convinzione nei seminari e nelle scuole di formazione politica (e non solo!) la Parola, anche quella che si trova nell’Opera di Maria Valtorta, il tesoro più grande che il Signore poteva donarci a complemento del Vangelo, che dopo 20 secoli non è stato ancora capito, anche da molti sacerdoti e da quasi tutti i governanti.
Dopo ben oltre un secolo, e con tutti i nuovi elementi che sono emersi, si può sicuramente affermare che la dottrina sociale della Chiesa non è nata solo per motivi di ordine sociale ed economico. Questi furono sicuramente importanti, ma, accanto a questi, non vanno trascurati quelli di natura teologica, politica e pedagogica. In un secolo, come l'Ottocento, segnato da quelle che, poi, verranno chiamate ideologie o "religioni terrene e secolarizzate", Leone XIII intendeva ribadire che il cristianesimo è l'unica possibilità di un'autentica salvezza mentre tutte le altre opportunità sono solo contraffazioni. Dopo l'evento epocale della "presa di Roma", che fu vissuto nel mondo intero con profonde riflessioni e interrogativi, anche e soprattutto da parte di intellettuali non cattolici, mons. Gioacchino Pecci, con il nome di Leone, succede a Pio IX al soglio pontificio, dopo essere stato nel 1843 nunzio apostolico a Bruxelles, città per tanti versi in fermento e dove erano confluiti intellettuali e rivoluzionari di varie estrazioni, dai liberali ai socialisti. Da qui prende le mosse l'insegnamento sociale cristiano del nuovo Pontefice. Questo insegnamento consente di affrontare con serenità ed efficacia le problematiche terrene senza generare frustrazioni e degenerazioni già insite nelle ideologie. Il loro fallimento - sembra già preannunciarci Leone XIII - avrebbe comportato le aberrazioni che tutti vediamo: da una parte un individualismo sfrenato ed egoistico tipico di un liberalismo che approda al libertarismo, dall'altra una rassegnazione priva di speranza che approda al nichilismo. È da tutto ciò che la Dottrina sociale della Chiesa intende metterci in guardia.
La lectio magistralis tenuta da Benedetto XVI all'Università di Ratisbona, dinanzi ad alcuni esponenti del mondo della scienza, continua a rappresentare una frontiera che stimola credenti e non credenti a non disperdere la speranza in un domani dove la ragione e la fede alimentano la fiducia in un mondo migliore. A dare forza a questa visione è stato lo stesso papa emerito, quando nel 2011 ha voluto il "Cortile dei gentili", la struttura che, all'interno del Pontificio Consiglio della Cultura, ha il compito di favorire il dialogo tra credenti e non credenti. Il valore di questa iniziativa, che ha la natura giuridica di una Fondazione e che si avvale di una qualificata consulta scientifica, si esprime nella capacità di affrontare i grandi temi del nostro tempo senza perdere mai di vista la "fonte" ispiratrice di un dialogo maturo, profondo e necessario. La riflessione interculturale sul "Discorso di Ratisbona" si situa in questa prospettiva. Premessa di Gianfranco Ravasi e introduzione di Antonino Raspanti.
Perché un piccolo Paese assediato nelle sedi internazionali e sui campi di battaglia è tra i più felici del mondo? Il segreto di Israele risiede in un modello culturale opposto a quello oggi in voga in un Occidente dominato dal relativismo, dal pacifismo e dal politicamente corretto. A 70 anni dalla nascita, Israele è una delle più antiche democrazie al mondo che ha eccelso in tutti i campi dello scibile umano e uno dei più straordinari successi della società aperta. Mentre raccoglieva i Premi Nobel, compiva scoperte scientifiche, riempiva le sale da concerto e stampava il più alto numero di libri pro capite, Israele si difendeva con le unghie e con i denti. È la grande storia della "villa nella giungla". L'Occidente è quello che è grazie alle sue radici bibliche e illuministiche. Se l'elemento ebraico di quelle radici è rovesciato e Israele è perso, allora anche l'Occidente è perso. Per questo come va per lo Stato ebraico, andrà per tutti noi. Israele è la frontiera felice della civiltà occidentale.