Il Cardinale Matteo Maria Zuppi, dedica buona parte di questo pamphlet contestualizzando la nuova enciclica di Papa Francesco “FRATELLI TUTTI” nel panorama ecclesiale attuale. Ci sono espressioni come: “la chiesa ospedale da campo” o come: “chiesa in uscita” che indicano un modo nuovo e originale di pensare la Chiesa nella sua relazione con il mondo. C’è una preoccupazione celata nel breve ed agile scritto di mons. Zuppi, per aiutare i fedeli ad entrare nella prospettiva ecclesiale del Pastore della Chiesa universale, per assimilarla e farla nostra. Solamente in questo modo potremo aprire il cuore all’ascolto di questa nuova enciclica di Francesco il cui stile “non si perde in costruzioni filosofiche, ma scrive in maniera molto evangelica, molto concreta e legata all’uomo, molto descrittiva e molto lineare”. In fin dei conti, L’enciclica Fratelli tutti ci vuole aiutare a capire che non ci si salva da soli e, di conseguenza, “bisogna assolutamente trovare la via della fraternità, altrimenti non c’è futuro”.
Matteo Maria Zuppi: Matteo Maria Zuppi è nato a Roma l’11 ottobre 1955, ordinato presbitero il 9 maggio 1981, vescovo il 14 aprile 2012 ed entrato a Bologna il 27 ottobre 2015. È stato creato da Francesco cardinale nel Concistoro del 5 ottobre 2019. Presidente della Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna e membro del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Tra le sue opere più recenti ricordiamo: Odierai il prossimo tuo come te stesso. Perché abbiamo dimenticato la fraternità. Riflessioni sulle paure del tempo presente, Milano: Piemme 2019; Non siamo soli. Crede e pregare in tempi difficili, Bologna, EMI 2020; con Andrea Segré, Le parole del nostro tempo, Bologna, EDB 2020.
Il testo racchiude l'esperienza viva condotta giorno dopo giorno da una decina di anni, da un frate minore cappuccino e da una operatrice didattica storica dell'arte con bambini e giovani appartenenti a parrocchie, centri di aggregazione di varia estrazione ideologica, ma soprattutto con gli alunni e gli insegnanti delle scuole primarie della città e della provincia di Reggio Emilia. L'arte, la narrazione, la creatività e la realizzazione di piccoli manufatti, sono i linguaggi che ci hanno permesso (e speriamo che lo permettano anche al lettore) di crescere insieme agli utenti sul rispetto del punto di vista altrui, sulla molteplicità dei valori e dei doni è per se e per gli altri e sulla dimensione della fede vista come incontro e relazione, come una modalità che ci permette di passare dall'io al tu e dal tu al Tu. Nella prima parte del testo vengono raccontati quattro laboratori didattici (scelti tra i quindici che gli autori propongono ad insegnanti ed operatori pastorali) e soprattutto la modalità con vengono costruiti. Nella seconda parte viene narrato un focus sulla figura di Don Lorenzo Milani (figura molto studiata, vissuta ed amata tramite i rapporti con i primi allievi del priore da parte di fr. Antonello) e la concretizzazione del suo messaggio di fede attraverso percorsi didattici particolari legati alla sua concezione di scuola e di radicalismo evangelico; percorsi che han dato vita a rappresentazioni teatrali condivise, costruzione di presepi ecc..
Che cosa è veramente essenziale nella vita della Chiesa di Gesù Cristo e, in particolare, della Chiesa cattolica nelle regioni europee italofone? Le varie vicende e conseguenze legate alla pandemia Covid-19 hanno reso urgente tentare di rispondere a questo interrogativo, che molti già si erano posti, in molte forme, in particolare a partire da molte sollecitazioni provenienti dal ministero di Jorge Mario Bergoglio. Quanto abbiamo vissuto e viviamo in questi mesi chiama in causa, a diverso titolo, la responsabilità dei credenti, dai pastori a tutti coloro che frequentano parrocchie, gruppi e movimenti e sta incidendo seriamente nelle scelte formative e nei comportamenti religiosi. Come cercare di cogliere al meglio le sollecitazioni che sono venute e vengono da questa inedita condizione andando alle radici della vita ecclesiale? Tramite una serie di riflessioni su quelle che appaiono vere priorità in vista di un'azione pastorale che faccia entrare sempre più e sempre meglio nella logica del Vangelo del Dio di Gesù Cristo.
Il volume fornisce - attraverso un lavoro di esegesi scientifico e approfondito, e tuttavia ben comprensibile per ogni tipo di lettore - un quadro di come sia affrontato il problema e delle problematiche del racconto biblico. Per l'Antico Testamento l'analisi ha affrontato la storia di Giuseppe (Gen 37-50), il quale deve vivere tante situazioni anche molto dolorose. Alla fine Giuseppe loda Dio (che mai interviene direttamente nel racconto), perché grazie a tutto ciò che gli è accaduto egli può salvare la sua famiglia. Il libro di Giuditta inscena lo scontro tra due divinità: il Dio di Israele e il re Nabucodonosor, la cui adorazione è incompatibile con Dio. Alla fine, Israele ottiene la vittoria per mano di una donna, Giuditta, la quale - sola - si mostra saggia e timorata di Dio. Per il Nuovo Testamento si è visto che, all'inizio, viene proclamata la fede nella risurrezione del Cristo. I racconti nascono in seguito, per mostrare meglio il grande dono di fatto da Dio, con la evidenza che ogni evangelista sottolinea aspetti diversi, a seconda della propria visione teologica.
Il libro, grazie alla bella traduzione "alla lettera" dal testo ebraico di Gianpaolo Anderlini ed al puntuale commento di Luigi Rigazzi, presenta, la prima parte del Deuteronomio, dal versetto iniziale fino a Dt 11, 25. La scelta operata dagli autori è stata di affrontare la traduzione e il commento del testo secondo la ripartizione seguita dalla tradizione ebraica. In questo volume sono analizzate le prime tre "sezioni" di Deuteronomio/Devarìm: Parashàt Devarìm (Dt 1,1 - 3,22); Parashàt Wa'etchannàn (Dt 3,23 - 7,11); Parashat 'Eqev (Dt 7,12 - 11,25). Il commento affronta i diversi aspetti esegetici e teologici che il testo propone e sottende e ne invita ad approfondire la lettura e lo studio, perché, come afferma Francesco Rossi De Gasperis: "E' questo uno dei libri più belli della Bibbia, perché ci offre una meditazione sugli inizi della storia e della fede di Israele, più profonda e matura di quella contenuta nei primi racconti di essi".
«La storia della mia corrispondenza con Karol Wojtyla è quasi incredibile, io avevo quindici anni, ero una ragazzina e mai prima di allora avrei pensato di intrattenere un dialogo epistolare con un papa. Ma a volte nella vita capitano cose davvero strane, a me ne sono accadute molte e la mia "amicizia" con un grande pontefice è una di queste. Quello che mi spinse a scrivere la prima lettera all'allora Santo Padre Giovanni Paolo II, fu il desiderio di comunicargli la mia guarigione spirituale avvenuta a Lourdes pochi mesi prima. Davanti alla grotta di Massabielle avevo capito che la mia condizione di disabile che mi costringeva a stare sulla sedia a rotelle non era una maledizione come avevo sempre pensato, o un segno dell'abbandono di Dio, ma al contrario era un'opportunità per fare al meglio la Sua volontà. Capii in modo chiaro che i progetti del Signore quasi sempre non sono quelli degli uomini e hanno il potere si stravolgere le vite e portarle a diventare migliori, anche quando sembra inconcepibile. Avevo molta voglia di annunciare a tutti che il Signore aveva operato in me meraviglie, avevo capito che la mia sofferenza poteva servire, se offerta, a tante persone, ai peccatori ma anche ai credenti, a chi soffriva come me e più di me, e soprattutto alla Santa Madre Chiesa. Papa Giovanni Paolo II era già molto malato e provato dalla malattia che lo stava letteralmente consumando, però andava avanti comunque. Mi chiedevo perché doveva interessarsi a una ragazza come tante altre quando lui era un uomo tanto importante che aveva il peso della chiesa universale sulle spalle...» (Dall'introduzione dell'autrice)
I “giardini di Adone” erano vasi in cui si facevano crescere piante a rapida fioritura per la festa del giovane amato da Afrodite. Adone era stato ucciso da un cinghiale istigato da Marte (ma forse il cinghiale era Marte…), l’amante “storico” della dea. Dal pianto della dea era nato il fiore dell’anemone. Socrate adopera i giardini di Adone come metafora della scrittura filosofica. Poiché la filo-sofia è, per definizione, una ricerca “aperta”, una ricerca incessante e inquieta, senza fine, nessun testo scritto può essere un punto fermo, un punto d’arrivo. La scrittura filosofica quindi non è che un gioco e chi si fermasse nella contemplazione dei propri risultati non sarebbe un filosofo ma, al più, un “professore” o un erudito. Però attenzione: perché, se la scrittura filosofica è un gioco, questo gioco, se praticato, deve essere preso seriamente: ogni improvvisazione, superficialità e sciatteria è improponibile; se si scrive, bisogna scrivere bene. Il tema affrontato da Platone nel Fedro è ancora d’attualità: anzi è più che mai d’attualità. Jean-Francois Lyotard ha scritto (ne La condizione post-moderna) che la nostra non è più l’epoca delle “grandi narrazioni” ma delle “piccole narrazioni” (che sono, per definizione, più attente alla scrittura). Jacques Derrida – sulla scia di Nietzsche e di Heidegger – ha concentrato l’attenzione sulla genesi dell’opera e sulla scrittura. Infine Richard Rorty ha distinto i “filosofi rivoluzionari” (quelli che hanno davvero qualcosa da dire) in sistematici ed edificanti. Questi ultimi si esprimono con una scrittura più frammentaria – spesso un commento o una “contro-scrittura”. Insomma, l’interesse per l’argomento “scrittura dei filosofi” (una volta trascurato dagli storici come ininfluente e irrilevante) sta diventando decisamente centrale nella riflessione post-moderna.
In questo libro si affronta il tema della scrittura filosofica: e se Malatrasi e Petrucci si immergono in profondità nel testi platonici, cogliendone l’andamento narrativo e rivelandone aspetti inediti, Ramploud esplora la differenza fra l’alfabeto cinese e quello greco (il primo “iconico” e “immanente”, il secondo “simbolico” e “trascendente”) e Moietta sottolinea l’importanza che ha avuto la lingua greca nella nascita e nello sviluppo della filosofia: “La Filosofia conosce… nella scrittura alfabetica la propria condizione trascendentale”. Rimane da ricordare il contributo di Casalboni che – partendo dal Fedro – ci conduce alla scoperta di un libro, I Neoplatonici, scritto nell’Ottocento e rimasto inedito per cento anni.
Nei giardini di Adone nasce da un lavoro di squadra. Cinque autori – gli stessi de Abecedario Filosofico (2019) – prendono spunto dal Fedro per osservarlo da diverse prospettive. Ne scaturisce l’attualità del Fedro (e di Platone) ma anche l’attualità dei vari interventi. “Ripensare” è pensare, cioè affrontare un tema perenne. Deve il filosofo scrivere oppure no?
GLI AUTORI
Alberto Casalboni ha insegnato Lettere. Laurea in Teologia, Laurea in Lettere Classiche, Laurea triennale in Culture e Diritti umani e Laurea Magistrale in Relazioni internazionali. Pubblicazioni: articoli su argomenti vari, in particolare sulla Divina Commedia.
Gian Luca Malatrasi, insegnante di Filosofia e storia. Laureatosi con una tesi su Heidegger, ha progressivamente spostato i suoi studi su questioni politiche ed economiche, con esplicite influenze di matrice foucaultiana e marxista. Autore di articoli e recensioni in ambito filosofico, ha al suo attivo anche pubblicazioni sul romanico.
Enzo Moietta ha insegnato Filosofia e Scienze della Comunicazione. I suoi interessi sono orientati verso il dibattito filosofico del Novecento, con particolare rilievo ai temi del linguaggio e della scrittura. Tra le sue pubblicazioni: Bilder von Jurge Tannen, Galerie Medici, Solothurn (CH), Giochi con carte truccate. La tautologia in Gregory Bateson (con A. Greppi), Antonio Pellicani Editore, Roma 1994; Un sonno senza sogno in Metamorfosi delle differenze, Aracne, Roma 2015.
Antonio Petrucci ha insegnato Filosofia, svolgendo anche un’intensa attività di giornalista, saggista, narratore. Ha collaborato a vari volumi collettivi fra i quali l’Abecedario filosofico (2019). Ha scritto un romanzo, Lottando con l’Angelo (2020), ispirato alla vita di Dostoevskij.
Alessandro Ramploud dopo la laurea in filosofia consegue un dottorato di Ricerca in Scienze Umanistiche. È attualmente docente ricercatore al dipartimento di matematica dell’Università di Pisa. La sua attività di ricerca è caratterizzata dall’interesse per la trasposizione culturale sulla quale ha pubblicato diversi contributi.
Ignazio di Antiochia crebbe in ambiente pagano; fu convertito in età adulta da san Giovanni evangelista. Secondo la tradizione, nel 69 fu nominato secondo successore di Pietro, dopo sant’Evodio, alla sede episcopale di Antiochia. Condannato ad bestias durante il regno dell’imperatore Traiano (98-117), fu imprigionato e condotto da Antiochia a Roma sotto la scorta di una pattuglia di soldati per esservi divorato dalle fiere. Nel corso del viaggio da Antiochia a Roma scrisse sette lettere alle chiese che incontrava sul suo cammino o vicino ad esso che sono il contenuto di questo volume.
Queste letterei sono rimaste e sono una testimonianza unica della vita della chiesa dell’inizio del II secolo. Le prime quattro lettere furono scritte da Smirne a tre comunità dell’Asia Minore, Efeso, Magnesia e Tralli, ringraziandole per le numerose dimostrazioni d’affetto testimoniate nei suoi travagli; con la quarta lettera supplicava i Romani di non impedire il suo martirio, inteso come desiderio di ripercorrere la vita e la passione di Gesù: «Com’è glorioso essere un sole al tramonto, lontano dal mondo, verso Dio. Possa io elevarmi alla tua presenza»..
Le sue lettere esprimono calde parole d’amore a Cristo e alla Chiesa. Appare per la prima volta l’espressione “Chiesa cattolica”, che è ritenuta un neologismo creato da lui. Le Lettere di Ignazio sono una finestra aperta per conoscere le condizioni e la vita della chiesa del suo tempo. In particolare appare per la prima volta nelle sue lettere la concezione tripartita del ministero cristiano: vescovo, presbiteri, diaconi. Ignazio auspicava una nuova organizzazione della chiesa cristiana in cui un solo vescovo presiedesse “al posto di Dio”. Questo vescovo avrebbe esercitato l’autorità su molti sacerdoti.. Tali idee influenzarono e stimolarono l’elaborazione teologica successiva.
Altro tema significativo è la confessione della vera umanità di Cristo contro i docetisti, i quali sostenevano che l’incarnazione del Figlio di Dio fosse stata solo apparente.
Raggiunta Roma dopo il faticoso viaggio, Ignazio subì il martirio nell’Urbe nel decimo anno del regno di Traiano (107) , secondo la notizia riferita da Eusebio. Fu esposto alle fiere durante i festeggiamenti in onore dell’imperatore Traiano, vincitore in Dacia.
La storia viene considerata non come lo svolgimento di leggi immanenti, ma come un perpetua creazione di Dio e in alcuni momenti quest'opera si manifesta con maggiore intensità, con un'eccedenza, un sovrappiù di gloria. Sono i miracoli. In questo senso sono fondamentali due fatti dell'Antico e del Nuovo Testamento: l'esodo e la venuta di Gesù. Al primo è connessa la fondazione del popolo di Dio e al secondo la nascita della comunità ecclesiale.