
A cinquanta anni dalla scomparsa di Alcide De Gasperi, Andreotti ne racconta la vita. Non si tratta soltanto della biografia di un grande statista, di un uomo che, cittadino dell'Austria fino alla fine della prima guerra mondiale, antifascista, cattolico ma immune dai condizionamenti che il cattolicesimo italiano ebbe sempre nei confronti dello stato vaticano - fu senza dubbio il protagonista della rinascita democratica dell'Italia del dopoguerra. È la storia di una stagione essenziale della vita del nostro paese rivissuta da Andreotti. In queste pagine, accanto alle considerazioni politiche, al resoconto e al concatenarsi degli eventi, Andreotti si sofferma su episodi solo all'apparenza minori, ma che raccontati dalla voce di un protagonista gettano nuova luce sugli anni che vanno dalla liberazione di Roma nel 1944 sino alla morte di De Gasperi nel 1954. Andreotti rievoca il suo primo incontro con De Gasperi avvenuto in biblioteca dove egli si recava per cercar testi per la tesi di laurea in Diritto della navigazione. De Gasperi, che, uscito di prigione, lavorava alla biblioteca vaticana, lo apostrofò: "Non hai niente di meglio da studiare? Lascia perdere la marina pontificia e vieni a lavorare con noi". Iniziava così la frequentazione di Andreotti, allora presidente della Fuci, con il gruppo della Democrazia cristiana.
Non è un buon momento per il commissario Montalbano: con Livia continui litigi, incomprensioni ingigantite dalla distanza, nervosismo. Passato e futuro si ammantano nei suoi pensieri di una vaga nostalgia. E in una di queste serate di malinconia viene chiamato d'urgenza. In una vecchia discarica è stato trovato il cadavere di una ragazza. Nuda, il volto devastato da un proiettile, niente borse o indumenti in giro. Solo un piccolo tatuaggio sulla spalla sinistra - una farfalla - potrebbe favorire l'identificazione della donna. Parte l'indagine con un Montalbano svogliato, stanco di ammazzatine. Ma il caso lo trascina: ci sono altre ragazze con una farfalla tatuata sulla scapola, sono tutte dell'Europa dell'est, hanno trovato lavoro grazie all'associazione cattolica "La buona volontà" che le ha salvate da un destino di prostituzione. Montalbano non è persuaso. C'è qualcosa di poco chiaro all'interno di quell'organizzazione benefica? E mentre l'inchiesta va avanti, il commissario è incalzato da ogni parte: dal vescovo, che non ammette ombre su "La buona volontà", dal questore, che non vuole dispiacere al vescovo, da Livia che vuole partire con lui per ritrovarsi. Tutto si muove sempre più velocemente, alla ricerca della soluzione e il commissario ha fretta, di concludere, di andarsene.
"Oltre alle regole scritte, quelle del codice e delle sentenze che lo interpretano c'è una serie di regole non scritte. Queste ultime vengono rispettate con molta più attenzione e cautela. E fra queste ce n'è una che più o meno dice: un avvocato non difende un cliente buttando a mare un collega. Non si fa, e basta. Normalmente chi viola queste regole, in un modo o nell'altro, la paga. O perlomeno qualcuno cerca di fargliela pagare". L'avvocato Guido Guerrieri deve correre questo rischio. C'è un uomo in carcere che si dichiara innocente, condannato in primo grado per traffico di droga. Le circostanze sono schiaccianti e lui stesso, in un primo momento, aveva confessato. Ma c'è però la possibilità che sia finito in una trappola orchestrata dall'avvocato di primo grado. Un maledetto imbroglio, dunque, che Guerrieri è restio a caricarsi, e non solo perché tutte le apparenze sono contro. Il detenuto non è una faccia nuova: ai tempi del movimento studentesco lo chiamavano Fabio Raybàn, picchiatore fascista ossessione dell'adolescenza di Guido. C'è anche una situazione personale ambigua che coinvolge l'avvocato: la fine forse di un amore, l'inizio pericolosissimo di un altro, e in ciascuno di questi incroci sembra materializzarsi lui, il detenuto che si proclama disperatamente innocente.
L'incontro etnografico si realizza secondo modalità nuove all'interno di uno dei fenomeni più rilevanti del nostro tempo: i movimenti migratori. Complessa, contraddittoria, altamente differenziata se analizzata alla microscala, e invece sorprendentemente omogenea se presa in considerazione come fenomeno complessivo, l'esperienza dei lavoratori e delle lavoratrici migranti offre all'antropologia un terreno fecondo per la ricerca più avvertita e per la riflessione su alcuni dei più rilevanti problemi teorici attuali. Questa è la tesi che Amalia Signorelli propone. La situazione italiana consente all'antropologa di stabilire un confronto ravvicinato tra migrazioni degli italiani e immigrazione straniera in Italia.
Caldo torrido, estenuante, sole implacabile: è questa la vampa del mese più infuocato della torrida estate siciliana, ma è anche l'ardore e la passione che infiammano Montalbano. Siamo in agosto, Mimì Augello ha dovuto anticipare le ferie e Montalbano è costretto a rimanere a Vigàta. Livia vorrebbe raggiungerlo, ma per non restare sola, con Montalbano sempre al lavoro, pensa di portare con sé un'amica (con marito e bambino) e chiede a Salvo di affittare una casa sul mare per loro. La vacanza scorre nella villetta sul mare, silenziosa, verde. Ma un giorno il bambino sparisce. Montalbano accorre e scopre in giardino un cunicolo che rivelerà clamorose sorprese tra cui un baule con il cadavere di una ragazza scomparsa sei anni prima.
Fin dal 1940 centinaia di capolavori dai musei di molte città italiane furono segretamente trasferiti nel Palazzo Ducale di Urbino, e in altre località, reputate sicure, dell'Italia centrale. Ma nel 1943 quei rifugi divennero ancora insicuri ed esposti a una nuova minaccia: la deportazione. Fu allora che lo stesso gruppetto di volenterosi, con pochi mezzi di fortuna, attuò il trasferimento di quel patrimonio nei ripari sicuri dei Musei Vaticani. Uno dei protagonisti fu Emilio Lavagnino, padre della scrittrice che in queste pagine ricostruisce l'avventura movendosi tra documenti e diari sperduti, mescolandovi i propri ricordi personali di figlia adolesecente, e le piccole avventure di una famiglia movimentata, come in un romanzo mémoire.
Il Ballerino è per bene, prende bei voti, non ha mai una ragazza, è goffo e "dice sempre la cosa sbagliata": fa pugilato per riappropriarsi dell'esistenza; con la sua leggerezza da libellula sul quadrato è diventato una leggenda, ma la madre gli vieta di salire sul ring e lui non si è mai misurato. La Capra è povero, è sordo e non riuscire a sentire le voci lo ha escluso dal mondo, combatte con testarda determinazione ed è un campione, ma vuole sapere se veramente è lui il più forte. "Boxe", il primo di questi tre ritratti di giovani alle prese con l'iniziazione alla vita, parla di palestre e odori di corpi, di sacrifici e rese, della prova e della sfida, della rivelazione del senso segreto della vita.
"Quann'era picciliddro, una volta sò patre, per babbiarlo, gli aveva contato che la luna 'n cielu era fatta di carta. E lui, che aviva sempre fiducia in quello che il patre gli diciva, ci aviva criduto. E ora, maturo, sperto, omo di ciriveddro e d'intuito, aviva nuovamente criduto come un picciliddro a dù fìmmine..., che gli avivano contato che la luna era fatta di carta." Torna il sangue nelle inchieste di Montalbano: un delitto spietato in una casa alla periferia di Vigata. Tutto sembra condurre alla pista passionale. Ma il commissario non si lascia ingannare. Come già ne "La pazienza del ragno" incontriamo un commissario Montalbano più del solito pensieroso, quasi intimista.
"Privo di titolo" intreccia la storia dell'unico martire fascista siciliano del biennio rosso con la colossale beffa di Mussolinia, la città nei pressi di Caltagirone che avrebbe dovuto celebrare per sempre la gloria del Duce. In un'intervista, concessa a "La Nazione" il 17 gennaio 2002, Andrea Camilleri dichiarò: "Voglio assolutamente scrivere la storia di un eroe immaginario in un paese immaginario. Mi riferisco alla storia dell'unico martire fascista che poi ho scoperto essere stato ammazzato dai suoi per un errore. L'ambientazione ovviamente sarà quella che sarebbe dovuta divenire Mussolinia, la città che non fu mai costruita e della quale al duce, nel 1928, fu mostrato un fotomontaggio".
"Alexandre Dumas era un gran mangiatore, così come era un grande narratore" scrivevano Leconte de Lisle e Anatole France nella nota introduttiva alla prima edizione del 1873 di questo monumento letterario e storico alla civiltà gastronomica di Francia. - Questa natura possente, che Michelet ha opportunamente definito "una forza della natura", produceva molto e spendeva molto. Mai un uomo viaggiò, realizzò, scrisse più di lui; mai più solida ossatura sostenne mente più feconda. Un uomo simile dovette istintivamente pensare a quel che un eccellente scrittore chiama "il sistema di alimentazione necessario alle creature d'élite".