«L'agente di pubblica sicurezza Antonio Annarumma muore con la testa fracassata da una sbarra di ferro». Gli anni di piombo si aprono nel 1969 con un morto durante una manifestazione a Milano, e proseguono con le stragi nere di piazza Fontana, di Brescia e dell'Italicus, con lo stillicidio degli agguati delle Brigate rosse e degli altri gruppi terroristici di estrema sinistra fino alla morte di Aldo Moro e degli agenti della sua scorta. Ma quello tra il 1969 e il 1979 fu anche il decennio delle grandi riforme con l'istituzione delle Regioni, lo Statuto dei lavoratori, l'introduzione del divorzio, il nuovo diritto di famiglia, la regolamentazione dell'aborto, la maggiore età ai diciottenni. E furono anche anni di gravi crisi economiche, soprattutto legate al petrolio e alle oscillazioni valutarie. Dopo il precedente volume sugli anni Ottanta, questa nuova serie dei diari inediti di Giulio Andreotti, curati dai figli Serena e Stefano, documenta in presa diretta un'epoca ancora viva nella memoria di milioni di italiani; e la prosa disincantata e partecipe dell'uomo che per quasi metà di quel decennio è stato presidente del Consiglio ci restituisce con accuratezza, vivacità e ironia lo spirito del tempo. Un racconto rivelatore e ricco di retroscena di un capitolo cruciale e controverso della storia italiana. Introduzione di Bruno Vespa.
«I bambini affamati erano tanti. Cominciava il tempo umido e freddo e non c'era carbone. I casi pietosi erano molti, moltissimi. Bambini che dormivano in casse di segatura per avere meno freddo, senza lenzuola e senza coperte. Bambini rimasti soli o con parenti anziani che non avevano la forza e i mezzi per curarsi di loro.» Così scrisse Teresa Noce, dirigente dell'Udi, Unione donne italiane, che fu l'anima del grande sforzo collettivo avviato all'indomani della Seconda guerra mondiale per salvare i piccoli del Sud condannati dalla povertà. Li accolsero famiglie del Centro-Nord, spesso a loro volta povere ma disposte a ospitarli per qualche mese e dividere quel che c'era. Un'incredibile espressione di solidarietà che richiese un intenso lavoro logistico, con il coinvolgimento di medici e insegnanti. E che non fu priva di ostacoli, tra cui la diffidenza della Chiesa timorosa dell'indottrinamento filosovietico, con qualche parroco che avvertiva: «Se andate in Romagna i bimbi li ammazzano, se li mangiano al forno». Giovanni Rinaldi raccoglie queste storie da oltre vent'anni: partendo dalla sua terra, il Tavoliere delle Puglie, ha viaggiato in ogni regione d'Italia parlando con tanti ex bambini dei «treni della felicità». Franco che non aveva mai dormito in un letto pulito. Severino che non era mai andato in vacanza al mare. Dante che non sapeva cosa fosse una brioche. Rosanna che non voleva più togliere l'abito verde ricevuto in regalo, il primo con cui si sentiva bella. Con le loro voci e un'accurata ricostruzione storica disegna un mosaico di testimonianze di prima mano, divertenti e commoventi: il ritratto di un'Italia popolare eppure profondamente nobile.
«È questo il modo in cui finisce il mondo. Non con uno schianto ma con un lamento». Quello che Antonio Scurati compie in queste pagine è un grande viaggio d'autore nella crisi italiana che la pandemia ha trasformato in dramma. Un percorso attraverso i commenti scritti in questi ultimi anni che svela il rischio del populismo e di un ritorno al fascismo, la condanna dei pochi nuovi figli e l'assenza di un deciso investimento nell'istruzione e nel futuro dei giovani. Un futuro che ricade sulle spalle di una generazione di adulti, quella cui appartiene l'autore, che sembra quasi vittima di se stessa: incapace di reagire e di difendere i padri, pronta a vivere solo nel presente, schiacciata dalla paura e con un vicino che viene da un altro mondo ancora troppo lontano. C'è, però, una luce di fiducia e speranza che illumina il racconto di questo nostro presente, l'indicazione di un cammino per risorgere che parte dal mito: la fuga di Enea in cui c'è la nostra salvezza. Il padre caricato sulle spalle e il figlio per mano: gli esseri umani sono coloro che soccorrono i loro simili più fragili, i malati, gli indifesi. Per preparare un futuro alla prossima generazione. Un atto di accusa al Paese di oggi, sospeso tra decadenza e occasione di redenzione. Un pamphlet intenso, a tratti anche intimo, che non fa sconti a nessuno ma anche un accorato appello all'impegno e alla mobilitazione etica che traccia la strada per la politica, per le istituzioni e per ognuno di noi.
Tutto parte dall'Emilia e dalle lezioni politiche della madre, dalle partite di calcio al Campo Volo nella Reggio Emilia rossa degli anni Cinquanta. Romano Prodi si racconta per la prima volta in queste pagine scritte con Marco Ascione, giornalista del «Corriere della Sera»: la vita intensa di un protagonista della nostra storia che ha sempre «interpretato a soggetto» da riformista, sì, ma a modo suo. Vicino alla Democrazia cristiana, ma non dentro. Fondatore dell'Ulivo, senza farne un partito. Cattolico osservante, ma «adulto». Atlantista, ma ostinato coltivatore del multilateralismo, impegnato a trarre il meglio anche dal rapporto con i dittatori. I conti da pagare non sono mancati, anche a causa, talvolta, di una certa ostinazione. Eppure ogni passo è stato benzina. Pochi politici in Italia possono vantare la sua carriera: professore universitario a Bologna, negli Stati Uniti e in Cina, due volte a capo dell'Iri e due volte premier, capo della Commissione europea e quasi presidente della Repubblica, affossato da una congiura del suo partito. «Strana vita, ma fortunatissima» dice. Perché può vantare di averci davvero provato a lasciare un segno. Sia fondendo sotto lo stesso tetto le tradizioni riformiste della Dc e del Pci, sia portando l'Italia nell'euro o pilotando da Bruxelles lo storico allargamento dell'Europa. Il suo racconto, lungo il solco degli aneddoti e delle riflessioni politiche, rimanda l'eco delle riunioni con Beniamino Andreatta e Arturo Parisi nella casa di via Gerusalemme a Bologna, delle lezioni americane, della strana chimica con Putin (ma anche con Gheddafi), degli scambi di battute con Chirac, delle missioni in Africa, dei grandi entusiasmi in piazza Santi Apostoli, dei duelli con Cuccia, delle delusioni dirompenti in Parlamento, del complesso rapporto con D'Alema e con Bertinotti, della profonda distanza con Berlusconi, «anche se la vecchiaia porta saggezza».
Gemma, la donna di cui Dante non scrisse mai. Che tempra deve aver avuto, questa fiorentina che nessuno ricorda? Sposa, per amore, un uomo sconsigliabile: non ricco, privo di potere politico e per di più poeta. Non si lascia sgomentare quando lui si trova sul fronte sbagliato, in una Firenze in cui la lotta aspra tra fazioni distrugge vite e patrimoni. Ne affronta il lungo esilio diventando una «vedova bianca» a trent'anni: dapprima deve gestire le difficoltà economiche, quattro figli che crescono, l'ostilità politica che monta intorno alla famiglia del «nemico» Alighieri; poi si vede confiscare tutti i beni e deve fuggire, incinta, dalla città per rifugiarsi con i ragazzi in una malsana palude. E a ogni svolta del destino le si para davanti suo cugino Corso Donati, il barone bello come un san Michele, violento e seduttore ma anche protettivo e leale, che lei respinge ma da cui in realtà è attratta. E la rivale, l'angelicata Beatrice? Non è un suo problema. Perché è lei, sempre accanto a Dante, forte nella sventura e artefice delle sue fortune, la vera musa della sua vita. Una moglie lo sa benissimo. È solo la storia che lo ha dimenticato. In un Trecento feroce e splendido di castelli, duelli e fazioni, di fede e scomuniche, Gemma è carne, sangue, intelligenza e passione. Ed è solo un errore del destino se Dante è diventato immortale e lei invisibile. Con questo romanzo Marina Marazza le restituisce una storia personale ricca di vicissitudini e la riporta alla vita nella dimensione che è sua: quella delle grandi eroine e delle grandi donne.
Quanto abbiamo bisogno degli altri e quanto ne temiamo il coinvolgimento in un'epoca dominata dall'apparenza e dalla velocità? Dove passa il confine tra amore e paura? Thomas Leoncini esplora i cambiamenti delle relazioni nella nostra effimera società liquida riprendendo il filo interrotto di un lavoro iniziato scrivendo con Zygmunt Bauman il bestseller internazionale "Nati liquidi". Arriva così a tracciare una sorta di breve filosofia della vita quotidiana in chiave autobiografica, dove tra confessione e riflessione, storie, metafore e letteratura, affronta le trasformazioni di un mondo dominato dal web, dalla mutazione tecnologica del corpo, dall'aggressività riversata sui social, dai nuovi costumi sessuali. Attraverso la storia delle idee della psicologia e della sociologia, si fa strada un messaggio chiaro e potente per le nuove generazioni e per tutti coloro che cercano di navigare nello stretto pericoloso tra amore e invidia, isolamento e comunità. "Forte come la vita, liquido come l'amore" è allo stesso tempo un manifesto e un appello sull'urgenza di prenderci cura degli altri. Ma anche per capire meglio noi stessi e comprendere l'importanza della guarigione in un tempo guidato dal profitto e dalla tecnologia. Introduzione del Dalai Lama.
«Perché tornare?» È la domanda che Enrico Letta si è sentito fare tante volte dai giovani italiani che studiano in Europa e che si è fatto anche lui, prima di riprendere la strada di casa per tornare alla politica attiva. La risposta è che ciascuno di noi ha il dovere di impegnarsi e ribellarsi, per riscrivere il futuro dell'Italia. Lo spiega in queste pagine appassionate e lucide, intense e ricche di storie, che intrecciano un percorso personale e le prospettive di un Paese da risollevare. Attraverso le ragioni civili e quelle del cuore, l'anima e il cacciavite, che vanno usati insieme per vincere le paure del XXI secolo e combattere ingiustizie, nazionalismi, populismo. L'anima - con l'appello all'«essere liberi», liberi fino in fondo - richiama all'ispirazione degli ideali, ai valori non negoziabili che vanno anteposti, sempre, agli interessi del momento e al timore di perdere consenso. Il cacciavite riporta alla concretezza e alla competenza necessarie per guarire una democrazia malata e attrezzarsi a una storica azione di ricostruzione dell'Italia, fondata sulla dignità del lavoro, sulla lotta alle vecchie e nuove disuguaglianze, sulla promozione di un'idea di progresso e benessere all'altezza delle sfide di questo tormentato passaggio d'epoca. Con la pandemia abbiamo sofferto tutti, ci stiamo rialzando, siamo cambiati. Deve cambiare anche la politica. Occorre passare dal partito del potere a quello dell'intelligenza collettiva, per aprirsi finalmente alla società accogliendo i tanti che credono nelle ragioni dell'impegno, ma che per anni hanno trovato le porte chiuse. Una comunità che scommette sull'istruzione, sui giovani, sulle donne. Che rilancia una norma di civiltà come lo ius soli. Che combatte con forza per l'ambiente e la sostenibilità. Che riafferma l'importanza di essere e sentirsi europei e, dunque, parte di un progetto più grande e ambizioso.
Adottare una nonna: la propria. È la singolare scelta di Benedetta, sceneggiatrice napoletana dalla quotidianità serena e dai quieti rimpianti, quando l'adorata nonna Elisa, novantasettenne, rischia di finire in casa di riposo. Anche se non si tratta solo di ospitare un'anziana in un bilocale già ingombro, ma di cambiare ritmi e abitudini, a partire dal problema più spinoso: suo marito Paolo è juventino mentre Elisa tifa da una vita - e che vita - per il Napoli. Soluzione? Visto che un altro televisore non saprebbero dove metterlo, alla nonna viene assegnato l'iPad, da lei subito ribattezzato Daipan. Grazie al quale, però, approda sui social: ed è subito influencer. Generosa, vanitosa, oltraggiosa, gaudente: regina della casa e regina della Rete, Elisa diventa inarrestabile e trascina anche la nipote fuori dalla sua comfort zone, con risultati imprevedibili. Benedetta, infatti, scopre che la felicità si può anche inventare: servono fantasia e coraggio, per esempio quelli necessari per improvvisarsi maestra di cucina, dapprima online e poi in televisione. Una nuova avventura che le porta in dono l'incontro con un uomo inatteso e la pone di fronte alla domanda: una volta che cominci a cambiare, poi, dove ti fermi? Questa è una storia d'amore, tra una nonna e una nipote che rifiutano di farsi separare: dalle convenienze, dalle difficoltà della convivenza, perfino dalla morte. È una storia di formazione, quella di una donna che comprenderà come essere contenta non significhi accontentarsi. È una storia di cucina in cui l'ingrediente segreto esiste: è la generosità, la volontà di godere e di donare, in ogni attimo di ogni giorno. Senza dimenticare, aggiungerebbe Elisa, due dita di whisky.
Finanzieri spregiudicati. Cardinali, monsignori, funzionari della Santa Sede. Centinaia di milioni di offerte dei fedeli svanite tra investimenti temerari e commissioni pagate a intermediari affamati. È la prima inchiesta giornalistica sui fondi riservati del papa: dal giallo dei duecento milioni di dollari per comprare un palazzo a Londra alle rivelazioni del banchiere segreto del Vaticano. Un tesoro nascosto, fuori da ogni controllo contabile e amministrato da un gruppo ristretto di alti prelati e fiduciari, raccolti dietro un'insegna burocratica: Ufficio Affari Generali della Segreteria di Stato. Quanti soldi erano custoditi nei conti segreti (soprattutto in Svizzera)? Come sono stati gestiti? Dove sono stati investiti? In che mani sono adesso? Chi se n'è approfittato? E papa Francesco sarà riuscito a imporre pulizia e trasparenza ai vertici del Vaticano? Gli autori risalgono la corrente, grazie all'accesso a fonti inedite e testimonianze di insider, documenti interni della Segreteria di Stato, carte dell'inchiesta penale vaticana, sulle tracce di vicende sorprendenti come gli affari con Lapo Elkann o il finanziamento del film su Elton John, i fondi a Malta, il salvataggio di una università in Giordania, un piccolo broker che tiene in scacco la Santa Sede, lo scontro frontale tra Ior e Segreteria, arrivando a costruire una trama che sembra quella di una fiction.
«Quell'automobile traforata di colpi, quei giornali sparsi sul sedile posteriore, quel corpo coperto da un lenzuolo, quel rivolo di sangue che attraversa l'asfalto di via Fani. Immagini, impresse nella nostra memoria, che scandiscono un passaggio d'epoca.» Quando e perché è finita la Prima Repubblica? Per rispondere a questa domanda Walter Veltroni ricostruisce un intero, travagliato, capitolo della nostra storia a partire dal rapimento e dall'uccisione di Aldo Moro, che mette fine al disegno politico più ambizioso del secondo dopoguerra, un'alleanza tra la Dc di Zaccagnini e il Pci di Berlinguer, e apre una crisi che forse non si è mai chiusa. Attraverso gli anni del terrorismo e della strategia della tensione, degli attentati e dei Servizi segreti, delle sfide elettorali e delle mancate riforme; da Andreotti a Craxi, da Leone a Cossiga, dal rischio di un colpo di Stato alla scoperta dell'organizzazione segreta Gladio, dalla P2 a Tangentopoli e oltre. L'autore riavvolge il filo della memoria nazionale attraverso eventi e ricordi vissuti da se stesso e dai protagonisti dell'epoca: intreccia così le testimonianze di Virginio Rognoni, Claudio Martelli, Emma Bonino, Beppe Pisanu, Claudio Signorile, Rino Formica, Aldo Tortorella, Achille Occhetto, Mario Segni, ma ritrova anche una rivelatrice intervista al brigatista Prospero Gallinari, carceriere dello statista democristiano assassinato. Un'inchiesta nel nostro passato che illustra fatti, personaggi, versioni inedite e interpretazioni politiche riportando alla luce l'eredità di un disegno infranto che ancora grava sull'Italia di oggi.