John W. O'Malley inaugura qui, infatti, una nuova metodologia di studio, analizzando i tre grandi concili moderni non più in modo diacronico, dal più antico al più recente, ma sincronico, mettendoli cioè a confronto per temi e istanze, meccanismi e intenti, problemi e soluzioni. Questo approccio illumina nuovi punti di vista su ognuno dei tre concili, così come sull'evento-concilio in quanto tale, ed evidenzia in modo inedito anche le influenze tra l'uno e l'altro e le risposte originali che ciascuno di essi ha formulato. In tre parti ben definite ma connesse tra loro, viene ogni volta mostrato come Trento, Vaticano I e Vaticano II hanno affrontato temi quali la natura stessa di una riunione conciliare, la forma dell'autorità ecclesiale, i cambiamenti dottrinali. Si analizzano caratteristiche e ruoli dei vari partecipanti al concilio, dai teologi ai laici, agli 'altri' (di volta in volta Lutero, il mondo moderno, le diverse religioni). Ci si chiede quale sia stato l'impatto di ciascun concilio sulla cristianità e sul proprio tempo, per poi domandarsi se ci sarà, e come potrà essere, un nuovo concilio (e la domanda rimane aperta...). Un lavoro di grande intelligenza storica al servizio di una comprensione migliore di quella vitale istituzione che sono i concili ecumenici. E anche una lente per mezzo della quale seguire il cammino della Chiesa tutta, che attraverso i suoi vescovi riuniti ridefinisce se stessa senza tradirsi, in continuità e insieme discontinuità con il passato, nella consapevolezza che la tradizione non è mai inerte, ma sa incarnarsi dinamicamente nel mondo degli uomini.
Si pensa che pregare "da figli" debba essere un'operazione immediata, uno spontaneismo. Il cristiano prega dentro una corrente che lo precede e lo porta. È attraverso il popolo dei preganti, riespresso nella propria singolare voce di credente, che il cristiano s'immerge nel ricco fiume dell'umano. Il Salterio percorre il cammino inverso: dal singolo a una Comunità, da una circostanziata esperienza comunitaria all'umanità intera. I Salmi, dice mirabilmente Isacco siro, sono "la radice, non il frutto". La loro lettura approfondita implica una lievitazione nella vita, per arrivare al frutto: maturazione della mitezza beata del povero, pieno esultante affidamento al Vivente, «invocando il tuo nome raccontiamo le tue meraviglie, ti rendiamo grazie» (Sal 75). Qui tutto è radicale ed è per questo motivo che ci può accadere di sentirci distanti. Da qui l'iniziativa della Comunità monastica di Viboldone di tenere ogni anno (2011-2019) un corso di lectio sul Salterio. Relatori diversi per formazione, competenza e sensibilità, ma tutti accomunati dall'intento di mettere in sinergia il pregante di oggi con il fiume - carsico o dilagante - di generazioni di oranti. In questo quarto volume della serie, sono presentati 12 salmi scelti dal IV e V libro del Salterio.
Arte, cucina, moda, design, spettacolo, fiction, arredamento, grafica, comunicazione, insomma tutto quanto coinvolge la nostra vita viene confezionato con attenzioni estetiche persino ossessive. La seduzione è diventata un comandamento sociale. La bellezza ha riempito il mondo e plasmato i nostri occhi. Ma che sia anche in grado di salvarlo è tutto da vedere. Sembra piuttosto che, negli automatismi che regolano il nostro inconscio culturale, essa svolga una sorta di funzione riparatrice. Dove non sembra più possibile, per conclamata mancanza di esistenza, affidarsi a qualcosa di vero e reale, restano le strategie della simulazione estetica, dove tutto quello che conta - Dio, il senso, l'identità e i legami - diventa oggetto di una costruzione artificiale. La bellezza ha così preso il posto lasciato vuoto dalla verità. Una strabiliante industria dello spettacolo ci intrattiene con quelle mitologie, favole e narrazioni che secoli di paziente decostruzione hanno dichiarato defunte. La cultura artistica si è tramutata in una spiritualità laica e le religioni sopravvivono come offerta estetica. La congiunzione tra mercato e tecnica fornisce con prodigiosa efficienza quegli strumenti magici, soprattutto digitali, che sono indispensabili agli individui di questo tempo per modellare identità dove regnano incertezze. La cosmesi è così diventata la forma del nostro mondo. Ma si tratta solo di apparenza?
Il libro indaga il processo di creazione e la successiva gestione da parte della sede apostolica di uno spazio imperniato sulle coste e le isole del Tirreno centrale durante il periodo della riforma 'gregoriana': un tema che finora la storiografia non ha considerato con la dovuta attenzione. Tale spazio - una rotta marittima, politica e diplomatica che collegava i porti laziali e dell'Italia centro meridionale con le isole del Tirreno - fu una vera e propria creazione geopolitica, che svolse la funzione di protezione del territorio e degli interessi del Patrimonium Sancti Petri dalle ingerenze esterne in un momento in cui era profondo lo scontro con l'autorità imperiale, manifestatosi in tutta la sua gravità attraverso la lotta per le investiture. L'indagine si volge a considerare, da un lato, la sponda insulare tirrenica, con le due isole di Sardegna e Corsica, legate alla sede apostolica da un rapporto complesso sul piano giuridico, istituzionale ed ecclesiastico; dall'altro la sponda continentale settentrionale, con al centro la città di Pisa che, sebbene in stretto raccordo con la sede apostolica, mirava a controllare dal punto di vista ecclesiastico e politico quello che considerava il suo spazio di azione nel Tirreno. Questi temi confluiscono all'interno del dibattito storiografico sull'introduzione e la diffusione della riforma promossa dal papato nelle diverse aree della Cristianità fra XI e XII secolo. In tal modo, lo studio del caso particolare (lo spazio tirrenico) consente di formulare innovative ipotesi interpretative in merito alla politica della sede apostolica.
Una lettura troppo spiritualizzata di Gesù e del Vangelo ci ha resi forse poco sensibili agli aspetti concreti della sua vita e del suo messaggio. Ma singolare è la quantità di situazioni nelle quali Gesù si preoccupa del cibo o invita a mangiare o partecipa a cene e banchetti. Gesù propone e vive il banchetto come l'immagine più alta del Regno di Dio, accetta inviti o si fa invitare ai banchetti e con i suoi insegnamenti ne rivoluziona le ritualità convenzionali. Di capitolo in capitolo gli autori ci conducono tra i banchetti vissuti o raccontati da Gesù nei Vangeli. Non si tratta di una semplice esegesi dei testi, ma di un'ermeneutica partecipe, disponibile a farsi interrogare dal testo e a porgli continue domande, rileggendolo nella nostra attualità. Il titolo Venite a mangiare con me prende spunto dall'ultima pagina del Vangelo di Giovanni che racconta del pasto di Gesù risorto con gli apostoli, all'alba, sulla riva del lago. Fu l'ultimo incontro con i suoi, quasi un sigillo della sua compagnia con gli uomini che nella convivialità trovava il suo simbolo più intenso. Quel momento di condivisione del cibo fu anche l'alba di un nuovo inizio per i discepoli. Così accade nella nostra esperienza, quando accogliamo, ascoltiamo, dialoghiamo nell'incontro: torniamo a essere umani.
Nel suo discorso alle Nazioni Unite del 4 ottobre 1965 San Paolo VI esortava: «Dobbiamo abituarci a pensare [...] in maniera nuova la convivenza dell'umanità, in maniera nuova le vie della storia e i destini del mondo. [...] È l'ora in cui [...] ripensare, cioè, alla nostra comune origine, alla nostra storia, al nostro destino comune». L'università non può sottrarsi al compito di "pensare in maniera nuova" alla politica internazionale: un pensiero che per essere generativo ha bisogno di incontrarsi - e forse anche di scontrarsi - con l'esperienza; di misurarsi non solo con gli esperti, ma anche con i testimoni. Le testimonianze, raccolte nel volume, di Monsignor Tomasi, Mariano Crociata (Vice Presidente della Commissione degli Episcopati dell'Unione Europea), e Fr. Olivier Poquillon (O.P., allora Segretario Generale della COMECE) ci hanno davvero fatto respirare questa possibilità, suscitando una riflessione più profonda e un rafforzato impegno per una buona convivenza fra "noi tutti" che formiamo la famiglia umana. Dall'introduzione al libro di Simona Beretta.
In questi testi, scritti tra il 1964 e il 1993, il grande studioso francese, instancabile 'viaggiatore' di differenti mondi interiori ed esteriori, delinea un itinerario appassionato alla ricerca di un modo nuovo di pensare e di vivere la singolarità dell'opzione cristiana. Il cristiano contemporaneo, egli dice, si ritrova privo di certezze cui poggiarsi, non ha più il facile appiglio di istituzioni e pratiche consolidate: una situazione che condivide con l'«uomo comune» che de Certeau ha messo al centro di tutta la sua opera, l'uomo ogni giorno posto di fronte alla sfida del quotidiano, comune ma mai banale, anzi creativo, unico e speciale nell'intercettare l'esperienza concreta, la vita. E allora, come può quest'uomo, questo cristiano, trovare e percorrere il «sentiero non tracciato» che lo porti a pensare la sua fede e a inserirla positivamente nella società in cui vive? Immaginando i mondi possibili a partire proprio dal reale in trasformazione che si offre ai suoi occhi, prendendosi il rischio dell'incontro con la povertà non solo fisica, ma soprattutto spirituale: povertà di luoghi di identità religiosa, psichica, sociale; povertà come carattere ormai distintivo anche del credente contemporaneo. Perché è a quel punto che la «debolezza del credere» mostra la sua forza, evoca gesti e parole nuove per dar carne alla fede nell'oggi, suscita quel desiderio insaziabile e quella speranza senza pari che ci salva, nello scorcio di Novecento di de Certeau come nel nostro tempo di transizione radicale. Riproposti qui in una nuova edizione italiana, questi testi diventano allora per noi parole profetiche provenienti da un'intelligenza abbagliante, da un pensiero incisivo che non fa sconti alle facili consolazioni e convenzioni del discorso religioso, ma va dritto all'essenziale. Al fuoco, alla passione che devono agitare l'esperienza di fede. Prefazione di Stella Morra.
Nei giorni in cui più imperversava la pandemia da coronavirus, una delle menti più lucide del cattolicesimo contemporaneo ha tenuto una sorta di diario teologico, le cui pagine folgoranti sono state come distillate dalla gravità del momento. Non una retorica scontata - e quindi irritante in un tempo inedito come questo - ma parole e pensieri originali, potenti e persuasivi. Interrogato da un evento estremo, che impone la domanda della morte a dispetto di ogni sua rimozione, Sequeri ci restituisce l'essenziale di Dio, degli umani e della loro indistruttibile relazione. Uno sguardo penetrante che tocca l'anima, come quello di medici e infermieri, che prendendosi cura del corpo dei malati hanno raggiunto il loro spirito e quello di noi tutti. «Uno sguardo umano cambia la vita - e persino la morte». Ci siamo abituati a sguardi distratti, superficiali se non astiosi, nella frenesia delle nostre vite. Ora però abbiamo forse imparato a riconoscere la profondità e la potenza di uno sguardo buono, quello che ospita in sé la nostra fragile condizione umana. È lo stesso sguardo di Dio che vuole bene alla sua creatura e sa commuoversi davanti alle sue ferite. Tutte le pagine di questo prezioso libretto ci parlano della tenacia e della affidabile compassione del Dio di Gesù, misteriosa radice di ogni fiducia e speranza, anche quelle più esili. Ne saremo all'altezza? Impareremo a nutrire ogni giorno sguardi buoni per chi ci sta accanto, per l'altro che incontriamo, per la comunità umana a cui apparteniamo?
Questo volume intende onorare Mario Taccolini nella circostanza del suo settantesimo compleanno. A tale scopo, vengono raccolti alcuni suoi studi pubblicati in diverse sedi e in differenti circostanze, comunque tra i più efficaci e rappresentativi della sua produzione, ampia negli argomenti e intensa nella continuità. Nel contempo, in virtù della suddivisione tematica predisposta, vengono individuate le aree di principale impegno scientifico dell'Autore - dal locale al globale - con riferimento all'età moderna e contemporanea. Per ciascuna area tematica viene inoltre presentato un elenco delle pubblicazioni prodotte da Mario Taccolini nel corso della sua feconda carriera. L'impostazione dell'opera prevede altresì uno spazio per gli interventi di autorevoli colleghi e amici, noti studiosi, specialisti a livello nazionale e internazionale, ciascuno dei quali propone un breve saggio, di ampio respiro e profonda intuizione, dedicato a una specifica area tematica (lo sviluppo economico e sociale di Brescia e del suo territorio; le trasformazioni economiche della Lombardia tra età delle riforme e Unificazione nazionale; l'esperienza dell'Italia come Paese ritardatario nel processo di industrializzazione europeo; l'Europa e la sua difficile configurazione sociale nel secolo breve; le dinamiche dell'economia globale; il protagonismo degli uomini e delle istituzioni del cattolicesimo sociale nazionale; gli approcci alla metodologia della ricerca storica). L'esito finale è un originale percorso (anzi, più percorsi) attraverso la storiografia italiana tra il XVIII e il XXI secolo, periodo nel quale il Moderno si configura secondo modalità inedite e coinvolgendo, con profonde trasformazioni, le donne e gli uomini, le istituzioni e i corpi intermedi, i territori e le identità sociali italiani, europei e mondiali.
Sulla scena della storia, e soprattutto in questo nostro tempo disincantato e disorientato, sono tanti i momenti di buio che fanno parlare di morte di Dio, di silenzio divino, di notte della fede. Auschwitz, Hiroshima, i gulag, il terrorismo, la pandemia, ma anche l'esperienza dei dolori personali, l'angoscia del vivere quando il caos e l'assurdità sembrano avere la prima e l'ultima parola: tutto questo può portare a concludere che Dio sia lontano, nascosto. O che non esista. E, d'altra parte, le certezze delle routines spirituali, la verità rigida dei fondamentalismi, ma anche l'entusiasmo di una fede troppo facile finiscono per sfociare in una chiusura che impedisce di assaporare un vero incontro con Dio e con gli altri che lo cercano magari senza esserne consapevoli. Di fronte a questo stallo oggi più che mai evidente, Tomás Halík torna a invitarci a un cambio di prospettiva. Dio è mistero, e sia l'ateismo sia la fede intransigente mostrano l'impazienza di risolverlo. Troppa impazienza. Perché di fronte a un mistero occorre soffermarsi sulla soglia, serbarlo nel cuore come Maria nel Vangelo, attraversare il deserto e l'oscurità come Israele nell'esodo. Occorre avere «pazienza con Dio», che ci viene incontro nell'attesa, perché Lui per primo è paziente con noi, crede in noi. È qui che Halík ci parla di Zaccheo, il piccolo pubblicano che cerca confusamente Gesù ed è sorpreso dalla fiducia del Signore che lo chiama per nome e si invita alla sua tavola. E ci chiede di riconoscere gli Zacchei di oggi, quei 'cercatori' non credenti o credenti in un modo diverso che come noi sono in viaggio, qualcosa li attira, accanto a loro passa qualcosa di fondamentale. Forse dimostreremo allora la vicinanza di Dio cercando insieme a chi cerca, interrogandoci insieme a chi domanda, facendo di questi Zacchei i nostri prossimi. Uscendo dalle porte chiuse delle nostre certezze per andare insieme dove Dio ci precede e ci aspetta.