
Questi due volumi raccolgono le omelie e gli interventi del vescovo Franco Giulio Brambilla, tenuti durante il ministero episcopale a Novara. Quasi tutti i testi sono trascritti dall'orale e ne conservano il tono che restituisce l'immediata freschezza della parola predicata. Il filo rosso che ha guidato la predicazione e gli interventi teologico-pastorali è stata l'attenzione alla dimensione narrativa della Sacra Scrittura. La storia di Dio con il suo popolo si snoda in un racconto che custodisce il rapporto di Israele con il Dio dei Padri. Anche i Vangeli narrano la vicenda di coloro che hanno incontrato Gesù come la presenza decisiva della loro vita e lo hanno seguito. Per questo la narrazione evangelica è insieme racconto kerygmatico e catechesi ecclesiale. Il primo annuncia la presenza del Regno nella pienezza del tempo, il secondo ne fa risuonare l'appello nella vita dei discepoli. Il racconto ha infatti una funzione strategica nella formazione del Vangelo e della Sacra Scrittura in generale. Il Vangelo è un congegno scritto per cercare "dov'è" e "chi è" Gesù. Il "dov'è" fa riferimento alla sua storia singolare, il "chi è" confessa la sua identità personale. Il primo rinvia alla storia, il secondo alla fede. Il racconto è il ponte che fa varcare l'"orribile fossato" (G.E. Lessing) tra storia e fede, perché àncora l'universalità della fede alla singolarità della storia. Per questo la predicazione omiletica e le diverse forme del ministero della Parola (lectio, meditazione, didascalia, intervento teologico, riflessione pastorale) raccontano l'affascinante cammino da percorrere per incontrare Gesù e per diventare suoi discepoli.
«Perché vi siete allontanati dalla Chiesa?». Da questa domanda, posta a cento giovani tra i 18 e i 29 anni, ha preso le mosse l'indagine, condotta dall'Osservatorio Giovani dell'Istituto Toniolo, di cui in questo volume vengono presentati i risultati. A questi giovani è stato chiesto di raccontare la propria personale storia religiosa e la propria idea di spiritualità, il pensiero sulla Chiesa, la posizione rispetto alla fede. Ad altri giovani che, invece, sono attualmente impegnati nel contesto ecclesiale, è stato chiesto: «Perché voi siete rimasti?». Le risposte degli uni e degli altri lasciano intravedere un mondo giovanile sorprendente: l'abbandono della pratica religiosa e della comunità cristiana non significa necessariamente distacco dalla fede, così come l'essere rimasti non esprime adesione a tutto ciò che la Chiesa pensa e propone. Negli uni e negli altri vi è una ricerca quasi sempre inquieta e sofferta: di una fede personale che esprime anche l'aspirazione a una vita bella e buona; di una spiritualità che abbia le proprie radici nella profondità della coscienza.
Nel corso della sua vita, Michel de Certeau (1925-1986) ha dedicato grande attenzione all'analisi e all'interpretazione dei molteplici processi di trasformazione politica, sociale, culturale, economica e religiosa che segnano l'inizio e il divenire dell'epoca moderna. In ogni sua opera, infatti, la 'questione della modernità' viene affrontata con incredibile costanza e profondità, avvalendosi di differenti prospettive disciplinari (storiografia, sociologia, psicoanalisi, antropologia, linguistica). D'altra parte, ciò che senza dubbio caratterizza il peculiare sguardo di Michel de Certeau è l'inesauribile attenzione verso tutte quelle forme di alterità che, emergendo proprio nel cuore della modernità, ne mettono continuamente in crisi e, di conseguenza, in movimento la struttura. È, dunque, attraverso questo rapporto costitutivo tra i saperi e i poteri moderni e il 'plurale' della storia e del quotidiano che vanno emergendo alcune delle più importanti questioni che l'uomo contemporaneo è chiamato ad affrontare con coraggio e lucidità: dal funzionamento delle istituzioni alle possibilità dell'agire politico, dalle sfide dell'etica alle trasformazioni della fede cristiana.
Il volume nasce da un'iniziativa realizzata nel corso dell'anno scolastico 2022-2023 con le quarte classi delle scuole secondarie di secondo grado di Latina: l'intento era quello di mettersi in ascolto degli studenti dando loro la possibilità di formulare tutte le domande che desideravano porre e presentare al vescovo, da cui avrebbero avuto una risposta. Ai ragazzi dunque si devono per intero la proposta e l'elaborazione dei quesiti che compongono questo libro, interrogativi che toccano diversi aspetti dell'esperienza e del sentire dei giovani di oggi, ma anche dell'esperienza cristiana. Le risposte dell'Autore configurano un tentativo di entrare in dialogo presentando un'immagine del cristianesimo fedele a se stesso e rispondente alle attese delle nuove generazioni. «Il lettore troverà in questo dialogo a cuore aperto un piccolo e denso vademecum, utile e prezioso, sul valore della testimonianza, per dare legittimità alle nostre parole, sui rapporti non sempre facili ma necessari tra fede e ragione, sulle innegabili responsabilità della Chiesa in materia di pedofilia, sulla "voce interiore" che dovremmo ascoltare, specialmente quando non s'identifica con ciò che pensiamo (questa è una sollecitazione potenzialmente esplosiva per qualsiasi sedicenne), sulla cattiva condotta che contiene in se stessa la punizione, sul ruolo delle donne nella Chiesa, sull'auspicata accoglienza nei confronti delle persone omosessuali, sull'impossibilità di controllare ogni cosa, sulla dimensione esperienziale indispensabile per maturare una vera sensibilità religiosa» (dalla Prefazione di Eraldo Affinati).
La contemporaneità ha riscoperto il valore della cura, come pratica fondamentale per la costruzione di un mondo umano. Questo volume è il primo in Italia ad affrontare il tema con uno studio analitico della letteratura internazionale che, nel secolo scorso, ha portato all'attenzione e formalizzato la riflessione sull'etica della cura. Il testo ricostruisce lo sviluppo del dibattito sulla cura, mettendo in evidenza punti di forza e punti critici. In seguito, partendo dalla constatazione che le argomentazioni teoriche prodotte spesso mancano di riferimenti concreti all'esperienza, la parte centrale presenta una diversa interpretazione dell'etica della cura, definita "etica melaretica", che viene costruita tenendo insieme la ricerca sull'esperienza (ricerca empirica) e l'analisi dei testi della filosofia antica (ricerca teoretica), dove già il concetto di cura era essenziale e dove si trova formulata un'idea esperienziale, situata, dell'etica. Questa sintesi permette di riprendere criticamente temi come la relazione con l'etica delle virtù, l'opposizione con l'etica sistematica o etica delle regole, il ruolo delle emozioni e il valore dell'etica della cura per la politica.
I giovani d'oggi crescono con la consapevolezza di un mondo in continua distruzione: estinzione o rischio d'estinzione per la maggior parte delle specie, catastrofi naturali, riscaldamento climatico, inquinamento, pandemie, etc. La tristezza, la paura e l'angoscia sono entrate nei nostri corpi, perfino nei bambini. Come agire e pensare in mezzo a questo caos? Come vivere questa epoca tragica ed "eroica" al tempo stesso? Provano a rispondere Miguel Benasayag, filosofo e psicoanalista argentino, «un "veterano" che ha vissuto e sperimentato tanto», e Teodoro Cohen, giovane laureato della Sorbona, membro del Collectif Malgré Tout: «Questa lettera indirizzata ai giovani vuole essere un gesto di amicizia, una mano tesa verso chi vivrà, più di tutti, le conseguenze di un mondo oscuro». Rifiutando le tendenze apocalittiche e quelle depressive che dichiarano lapidariamente che "è tutto finito", gli autori cercano di capire «con umiltà e sforzo, per dove continua la vita». Sviluppare alternative, creare nuovi modi di vivere e di relazionarsi agli altri e al contesto: un libro per tendere la mano a chi, "sentendo" in modo profondo il mondo e l'epoca, "preferisce di no".
Ci sono i beni privati e i beni pubblici, che sono da sempre al centro degli interessi degli economisti; e poi, però, ci sono i beni comuni. Questi beni, l'acqua che beviamo, la qualità dell'aria che respiriamo, le foreste, i pesci del mare, molti diritti di cui godiamo o dovremmo godere, il senso civico di chi paga le tasse, il clima di fiducia nel quale lavoriamo e viviamo, sono beni che stanno a metà tra beni privati e beni pubblici. Da questa loro natura "ibrida" scaturisce anche la loro fragilità. La più profonda trasformazione che la nostra società sta vivendo in questi decenni può essere descritta proprio come il passaggio dall'era dei beni privati a quella dei beni comuni. Nella dopo-modernità, la presenza dei commons è e sarà sempre più la regola e non l'eccezione, e la qualità del nostro sviluppo risulterà sempre meno legata alla quantità di beni privati consumati e sempre più alla quantità e alla qualità di "beni comuni" che riusciremo a preservare e valorizzare. In queste pagine l'economista Vittorio Pelligra mostra come sia possibile "curare le radici", mitigare le tragedie dei beni comuni a cui assistiamo continuamente, alleviare le patologie della fiducia, che prendono la forma di opportunismo, diffidenza e tradimento. Questa cura nasce dalle scelte e dall'impegno dei singoli ma per essere veramente efficace deve, necessariamente, trasformarsi in norme, leggi e istituzioni.
Cosa vuol dire curare un territorio? La cultura può essere uno strumento di cura? Cura e cultura come possono essere strumenti di rigenerazione di territori fragili? Il testo racconta, a partire dalla case history di un nuovo luogo nella periferia nord di Milano, Magnete, i modi in cui si può progettare e rigenerare la città. Valorizzare la dimensione culturale è la leva per la cura di tessuti sociali complessi, attraversati dalla iperdiversità - generazionale, di genere, provenienza geografica, background migratori, condizioni lavorative, abitative, di salute. Il volume descrive le tappe del percorso, gli attori in gioco, gli scenari in movimento, le difficoltà della progettazione in tempi interrotti dalla pandemia, le insidie dell'accesso da outsider in un quartiere, ma anche le potenzialità e gli elementi che hanno contribuito alla riuscita di un intervento. Magnete rappresenta un esempio di come si possa rispondere alla sfida di creare spazi pubblici a base culturale, abilitando comunità e territori al cambiamento, imparando prospettive e pratiche del fare insieme.
Le profezie sono rimaste lungamente ai margini degli studi storici. Testi spesso oscuri, estranei al lessico scolastico e universitario, presuppongono tradizioni dottrinali e letterarie complicate, intessute di lettere, numeri e simboli dai significati ambigui e mutevoli. Per cercare di comprendere storicamente visioni e rivelazioni, oracoli e sibille, occorre lasciarsi coinvolgere in giochi di pazienza le cui soluzioni sono difficili e restano spesso controverse. Nella prima parte il volume presenta sette saggi che mirano a chiarire trasformazioni e utilizzi, fra Medioevo centrale e Prima Età Moderna, delle principali retoriche profetiche, riguardanti Anticristo, papa angelico e sovrano messianico dei tempi ultimi. Diversamente da quanto si è spesso creduto, le profezie non circolano solo entro cerchie marginali di fanatici, ma innervano conflitti polemici tra papi e imperatori, nutrono ambizioni di cardinali in ascesa, magnetizzano intellettuali come Arnaldo di Villanova e Dante. Elementi fondamentali di legittimazione dinastica e di propaganda politico-ecclesiastica, esse contribuiscono a modellare il linguaggio pubblico, tramutando le nostalgie in speranze, i desideri in promesse, i racconti mitici in attualità storica. La seconda parte comprende cinque saggi riguardanti studiosi europei del Novecento che, confrontandosi a fondo con le questioni poste dal modernismo, hanno rinnovato gli studi biblici e le ricerche di storia intellettuale dell'Occidente medievale: i domenicani francesi da Marie-Joseph Lagrange a Marie-Dominique Chenu, Beryl Smalley, Herbert Grundmann, Arsenio Frugoni, Tullio Gregory.