Per molti aspetti della vita personale e sociale nell'Italia di oggi si può parlare di un confine sottile, ossia rarefatto, se non addirittura inesistente, fra legalità e illegalità. Il confine costituisce non solo una metafora del discrimine fra due universi morali e normativi (il lecito e l'illecito), ma anche un tratto specifico della modernità, uno spazio fisico-temporale, che esalta il desiderio e la libertà dell'uomo contemporaneo di stabilire autonomamente orizzonti e direzioni di senso. Tutto questo riguarda, in modo specifico, l'odierna realtà giovanile. Stili, 'riti', comportamenti dei giovani, non di rado, si collocano in bilico, su una linea di confine 'mobile' e di significati disomogenei. Da una parte si collocano quelli ispirati a logiche di costruttività, responsabilità, apertura sul futuro, dall'altra stanno quelli legati a evasione, 'sperimentalismo', disillusione. Certi 'scollinamenti' di confine talvolta prefigurano passaggi senza ritorno, viaggi di sola andata, privi della possibilità di riprendere il cammino da capo. Di ciò si è discusso nel convegno "Il confine sottile. Culture giovanili, legalità, educazione", promosso il 26-27 novembre 2009 dal Centro Studi per l'Educazione alla Legalità (Università Cattolica, sede di Brescia). Il volume ne propone gli atti, articolandoli in tre Sezioni: approfondimenti psico-sociologici e pedagogici; fenomenologia del confine; 'buone pratiche'.
Finalmente come Dio! Come Dio? Finalmente?
Essere come Dio è tentazione antica come la consapevolezza di essere uomo: sentimento variamente articolato che l'uomo non possa aspirare a nulla di meno e che a nessun altro spetti giudicare ciò che è bene o male. È dunque paradossale l'entusiasmo irresponsabile per la 'morte di Dio': Nietzsche aveva ben detto che non c'era di che entusiasmarsi a buon mercato. In ogni caso, se Dio è morto, essere come Dio diviene problematico; anche essere al suo posto, perché lì la morte ormai incombe. Il nostro non sembra esser più il tempo dell'ebbrezza su nessuno dei due fronti, piuttosto il tempo del disinganno, magari risentito, dell'uomo che ha provato ad essere come Dio e che stenta ad essere dignitosamente uomo. Tempo di fragilità dolorosa dell'uomo che, tuttavia non rinuncia all'arroganza con cui, dopo aver detto "penso quindi sono", dice "sono quindi voglio e posso" mosso da aspirazioni di sempre più piccolo cabotaggio. Ci chiediamo se, per qualificare la propria identità, l'uomo non possa far altro che muovere i suoi passi ripetendosi ossessivamente: penso quindi sono, mi sento quindi… Sono… Finalmente… Come Dio. Forse dovrebbe riconoscersi nello sguardo di un compagno di strada, ritrovarsi nella confidenza della sua voce. Forse un Dio amante dell'uomo, che per essere con l'uomo non si sottrae nemmeno alla morte, sarebbe un buon compagno di strada per un diverso incedere alla scoperta della sua dignità.
Questa importante ed esaustiva introduzione alle tre opere virgiliane da parte del grande latinista e filologo classico Michael von Albrecht ha il pregio non comune di porsi come un resoconto completo e scientificamente fondato, prezioso frutto d'alta scuola filologica, e di rivelarsi, nello stesso tempo, un'avvincente lettura anche per un pubblico più vasto. La struttura del volume è caratterizzata da uno schema molto rigoroso di presentazione della materia. Bucoliche, Georgiche ed Eneide vengono sottoposte tutt'e tre alla medesima griglia di analisi (prospetto dell'opera, genere letterario e predecessori, tecnica letteraria, lingua e stile, riflessione letteraria, orizzonte concettuale, tradizione e ricezione), permettendo così agevoli confronti e la scoperta di affinità, caratteristiche peculiari e differenze. Utili supporti sono inoltre l'accurata bibliografia finale, che fa il punto sulla ricerca contemporanea riguardo a quel caposaldo della cultura europea che è l'opera di Virgilio, e il ricco repertorio, ossia una "scelta dei nomi e delle cose notevoli" che fornisce un efficace strumento di esplorazione e di approfondimento, fonte inesauribile di stimoli all'interpretazione.
Come nessun altro libro, ci dice George Steiner, uno degli ultimi grandi spiriti europei, le Scritture ebraico-cristiane hanno plasmato la nostra concezione del mondo, di Dio, dell’uomo, della creazione. Capace di un singolare effetto generativo anche a livello linguistico generale, la Bibbia è il ‘grande codice’ che sta al cuore della cultura occidentale. In questa sua ‘introduzione’, Steiner ci invita a riflettere sul senso della Scrittura, ma anche sul senso della sua lettura, su cosa ci dice e come ci cambia l’incontro con il ‘libro dei libri’. Come scrive Gianfranco Ravasi nella sua Prefazione, la Bibbia è «una realtà vivente trasmessa nei secoli dalla selce al silicio e simile al “mormorio di una fonte lontana” echeggiante in un oceano di altre pagine. Un testo che è talmente oltre se stesso da essere causa degli effetti più disparati, dalla mistica alla guerra, generati dalla sua straordinaria energia performativa».
George Steiner, nato in Francia nel 1929 da genitori viennesi ed esiliato negli Stati Uniti durante l’occupazione nazista, è uno dei più grandi critici letterari, non assimilabile a scuole definite, attento alle connessioni tra testo, storia delle idee e coinvolgimento, anche etico, del critico e del lettore. Tra i suoi molti scritti, tradotti in italiano, ricordiamo soprattutto: Tolstoj o Dostoevskij, La morte della tragedia, Nel castello di Barbablù, Dopo Babele, Vere presenze, Nessuna passione spenta, Linguaggio e silenzio, l’autobiografia Errata e le opere di narrativa Anno Domini, Il processo di San Cristobal, Il correttore.
Questo libro nasce dall'esigenza di offrire agli studenti nozioni e argomentazioni relative a due nodi del diritto ecclesiastico: il matrimonio e gli enti. Si rivolge inoltre al pubblico più vasto di chi vuole conoscere radici giuridiche e polemiche culturali di temi spesso all'attenzione di un'opinione pubblica e di una cultura non specialistica, che talvolta ne discutono senza avere a riferimento le categorie del diritto. Basti pensare alla sempre più ridotta efficacia della giurisdizione ecclesiastica matrimoniale o alle polemiche pronte a infiammarsi sul trattamento tributario degli enti ecclesiastici. Sotto il profilo metodologico, il volume ricerca i nessi tra diritto ecclesiastico e diritto delle confessioni, anzitutto diritto della Chiesa cattolica. È metodo caro all'Università Cattolica del Sacro Cuore, utilizzato non solo perché i rapporti inter ordinamentali, dei quali la scienza del diritto ecclesiastico si occupa, richiedono conoscenza degli specifici valori e categorie di entrambi gli ordinamenti, ma anche perché essi si rivelano ottima palestra per il rafforzamento del senso e perfino per la percezione del 'mistero' del diritto nel buon governo della società.
Motori di ricerca, smartphone, applicazioni, social network: le recenti tecnologie digitali sono entrate prepotentemente nella nostra vita quotidiana. Ma non solo come strumenti esterni, da usare per semplificare la comunicazione e il rapporto con il mondo: esse piuttosto disegnano uno spazio antropologico nuovo che sta cambiando il nostro modo di pensare, di conoscere la realtà e di intrattenere le relazioni umane. A questo punto, la domanda che Antonio Spadaro si pone e ci pone è: la rivoluzione digitale tocca in qualche modo la fede? Non si deve forse cominciare a riflettere su come il cristianesimo deve pensarsi e dirsi in questo nuovo paesaggio umano? Forse, egli risponde, è giunto il momento di considerare la possibilità di una ‘cyberteologia’, intesa come intelligenza della fede (intellectus fidei) al tempo della rete. Non si tratta però, semplicemente, di cercare nella rete nuovi strumenti per l’evangelizzazione o di intraprendere una riflessione sociologica sulla religiosità in internet. Si tratta piuttosto – e qui sta la pionieristica novità di Spadaro – di trovare i punti di contatto e di feconda interazione tra la rete e il pensiero cristiano. La logica della rete, con le sue potenti metafore, offre spunti inediti alla nostra capacità di parlare di comunione, di dono, di trascendenza. E, dal canto suo, il pensiero teologico può aiutare l’uomo in rete a trovare nuovi sentieri nel suo cammino verso Dio. È un territorio ancora inesplorato, nel quale Spadaro entra con indiscusso background teologico e grande competenza tecnica, ma soprattutto con spirito di fiducia nella capacità del cristianesimo e della Chiesa di essere presenti là dove l’uomo sviluppa la sua capacità di conoscenza e relazione. La rete è un contesto in cui la fede è chiamata a esprimersi non per una mera ‘volontà di presenza’, ma per una connaturalità del cristianesimo con la vita degli uomini. La sfida, dunque, non è come ‘usare’ bene la rete, ma come ‘vivere’ bene al tempo della rete.
Antonio Spadaro, gesuita, è direttore della rivista «La Civiltà Cattolica» e docente presso la Pontificia Università Gregoriana, dove ha conseguito il dottorato in Teologia. È Consultore del Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Autore di molti volumi sulla cultura contemporanea, ha già dedicato a internet i saggi: Connessioni. Nuove forme della cultura al tempo di Internet (2006) e Web 2.0. Reti di relazione (2010). Con Vita e Pensiero ha pubblicato Svolta di respiro. Spiritualità della vita contemporanea (2010). Molto attivo in rete, nel 1998 ha fondato uno dei primi siti italiani di scritture creative, Bombacarta.it. Dal gennaio 2011 è autore del blog Cyberteologia.it (premio WeCa 2012).
Qual è l’identità della famiglia nella società contemporanea? Quali relazioni la costituiscono? Quali sfide si trova ad affrontare sia nei legami interni sia in rapporto al contesto sociale? Questo agile volume, a cura del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica, affronta tali interrogativi in una prospettiva interdisciplinare: gli apporti di tipo demografico, economico, antropologico-filosofico, sociologico e psicologico illuminano il contesto in cui si collocano attualmente le famiglie e quello che caratterizzerà il loro futuro prossimo. Sono in particolare messi a tema argomenti come: le sfide che la crisi economica ha posto alle famiglie entro uno scenario di demografia sostenibile, i compiti educativi e la trasmissione intergenerazionale, la rigenerazione dei legami attraverso il perdono, il delicato bilanciamento tra tempo del lavoro e tempo familiare. Ne emerge con chiarezza la specificità della famiglia come vera e propria risorsa strategica dei nostri tempi, in grado di rendere più ricca la vita della comunità.
Il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia (CASRF) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che opera dal 1976, si occupa di ricerca scientifica sulla famiglia e di formazione di alto livello rivolta a professionisti che lavorano con e per le famiglie. In esso si confrontano competenze pluridisciplinari attinenti principalmente gli ambiti psicologico e sociologico, con aperture alla teologia, alla demografia, all’economia, alla giurisprudenza e alla storia.
La metafisica sembra non trovare casa nelle coscienze e nelle società moderne, che la vedono come un’eterea e inattuale sovrastruttura sovrapposta alla sola vera realtà, quella di cui le scienze ci forniscono una conoscenza sempre più esatta. L’unica base reale, si dice, è la natura, sulla quale è possibile edificare un’unica struttura: la società umana, cioè l’associazione degli uomini secondo regole che permettano lo sviluppo di tutti. Il resto è solo sovrastruttura di pensiero.
Questa convinzione diffusa, che si vanta di aver fatto pulizia di tanto sterile ragionare, viene qui affrontata e smentita dal filosofo francese Rémi Brague, il quale dimostra che al contrario, oggi più che mai, l’uomo è, per dirla con Schopenhauer, un «animale metafisico». Argo - menta infatti Brague che tanto la conoscenza della natura quanto l’organizzazione degli uomini in una società vitale e vivibile presuppongono l’esistenza stessa della collettività umana. E questa esistenza non è affatto scontata, soprattutto oggi che gli uomini sono sempre più in grado, per le conquiste scientifiche e tecnologiche, di scegliere di essere o di non essere, e anche di dare o non dare la vita.
Perché si deve volere l’essere? Perché scegliere la vita, il benessere sociale, il progresso? Queste sono, senza dubbio, domande cruciali per l’uomo moderno, e la risposta ad esse è squisitamente metafisica. Amare la vita, battersi per un’esistenza equa vuol dire, alla radice, pensare che l’essere è bene: l’equazione metafisica fondamentale. Da essa, ci ricorda Brague, dipende tutto quello che più ci sta a cuore: la costruzione di una società giusta, la conservazione di un ambiente vivibile, la volontà di dare la vita. In una parola, la convinzione che il futuro dell’umanità vale la pena.
La metafisica, dunque, non è affatto un’inutile costruzione ormai in disarmo, ma la radice stessa delle nostre scelte concrete; non una sovrastruttura superflua, ma l’infrastruttura indispensabile alla continuazione della vita degli uomini.
Queste le illuminanti parole con cui Brague chiude il suo scritto: «In un dialogo di Platone un personaggio dice che l’uomo è come un albero capovolto le cui radici stanno in alto. Forse come lontana eco di quest’immagine di Platone, più di due millenni dopo di lui, Antoine de Rivarol ha scritto: “Ogni Stato è un vascello misterioso le cui ancore sono in cielo”. Poco importa il contesto, in questo caso una difesa degli antichi regimi e del principio religioso della loro legittimazione. Oltrepas - siamo il limite dell’ambito politico. E arrischiamo: per ogni uomo, le ancore sono nel cielo. È in alto che bisogna cercare quello che ci salva dal naufragio».
Rémi Brague, membro dell’Institut de France, insegna Filosofia alla Sorbona di Parigi e all’Università Ludwig-Maximilians di Monaco. Autore di numerosi saggi, in Italia è noto soprattutto per il volume Il futuro dell’Occidente. Nel modello romano la salvezza dell’Europa (1998). Tra le altre sue opere tradotte: La saggezza del mondo. Storia dell’esperienza umana dell’universo (2005); Il Dio dei cristiani: l’unico Dio? (2009)
Oggetto di un acceso dibattito fin dall'antichità, il significato ed il ruolo della "phantasia" secondo Aristotele continuano ad appassionare e a dividere anche i commentatori contemporanei, come attesta il gran numero di contributi dedicati al problema. Dopo un'analisi preliminare dello status quaestionis e una rassegna delle principali posizioni interpretative emerse, questo testo si propone di rispondere alle domande relative all'esistenza o meno di una teoria unificata, alle complesse ricadute sia nella psicologia, sia in altri settori del sistema aristotelico e della successiva ricerca peripatetica, e, soprattutto, alla possibilità di attribuire un valore essenzialmente epistemologico alla "phantasia" attraverso il ricorso allo schema della metafora per analogia. Questo permetterebbe d'intendere l'accezione di base della "phantasia", vale a dire quella collegata al "presentarsi" alla percezione, come non equivoca, bensì fondante gli altri differenti utilizzi, coinvolti nell'ambito della rappresentazione mentale e del pensiero; così, l'uso improprio o cosiddetto "metaforico" sarebbe il risultato di un trasferimento di significato da quello proprio o "non metaforico". Una nozione della "phantasia" che "si dice in molti sensi" diventa dunque il punto di partenza della ricomposizione all'interno di una cornice teorica coerente ed organica, sulla base di un significato fondamentale comune. Prefazione di Marcello Zanatta
Il relativismo è fenomeno complesso che affascina gli studiosi per la sua straordinaria diffusione nella società postmoderna. Il punto di partenza di ogni relativismo è la negazione di qualunque verità, cosicché il dubbio insuperabile si insinua a ogni livello del processo della conoscenza, compresi il concetto di diritto, di norma giuridica e la loro interpretazione. Gli autori di questo volume, lo storico del diritto Luca Galantini e il filosofo del diritto Mario Palmaro, sostengono che il sistema giuridico positivo vive una crisi senza precedenti. Ne scaturiscono problemi decisamente concreti, come il rapporto fra Stato e religioni, la relazione fra diritto e morale, il concetto di 'laicità dello Stato'. Le dottrine di stampo positivista hanno pensato di sciogliere questi nodi teorizzando l'assoluta impermeabilità del diritto - ridotto a diritto positivo - rispetto a ogni infiltrazione di carattere morale e religioso. Ma lo schema fondato sulla laicità negativa, cioè sulla possibilità di rinchiudere religione e morale nella sola sfera privata, è stato contraddetto dalla storia: le istanze e le identità religiose più diverse - anche le più radicali in termini di valori morali e di scelte giuridiche - da quella islamica a quella cristiana, rivendicano sempre più spesso un ruolo e un compito pubblico, interpellando gli stati e le organizzazioni internazionali su quali siano le soluzioni più ragionevoli da adottare