Storica rivista dell'Ateneo dei cattolici italiani, "Vita e Pensiero", sin dalla fondazione nel 1914, si è proposta come autorevole luogo di confronto e dibattito per la cultura del Paese. Nella consapevolezza che quella attuale è per tutti una stagione ricca di opportunità e rischi, da affrontare con coraggio intellettuale e gusto per la ricerca del vero, dal 2003 "Vita e Pensiero" è stata ripensata nell'impostazione grafica e nel lavoro redazionale. Oltre a temi quali lo sviluppo tecnologico ed economico, il progresso delle neuroscienze e della genetica, i nuovi paradigmi della politica e delle relazioni internazionali, l'evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa, dedica una particolare attenzione all'attualità, ospitando articoli e interventi di docenti dell'Università Cattolica e di significative voci "esterne", capaci di offrire chiavi di lettura originali sui fenomeni sociali e culturali di oggi e di domani.
La filosofia di Platone costituisce un punto di riferimento primario per tutta la storia del pensiero occidentale, e il secolo appena trascorso non fa eccezione. Numerosi e importanti filosofi del Novecento non solo hanno sentito la necessità di confrontarsi con Platone, ma hanno anche concesso largo spazio al pensiero platonico e alla nozione di ‘platonismo’ all’interno delle loro elaborazioni teoriche. Questo confronto, soprattutto nei contesti più influenzati dalla speculazione di Nietzsche, ha assunto assai spesso la forma della critica, del distacco e, a volte, anche della ripulsa. Lo scopo di questo libro consiste nel mostrare da un lato che questa ripulsa si basa per lo più su un’immagine di Platone e del platonismo forzata in senso dogmatico e quasi formulare, dall’altro che il pensiero di Platone, se correttamente inteso, non ha mai cessato di costituire l’orizzonte ultimo entro il quale possono e devono essere posti i problemi filosofici che ancora interessano l’uomo contemporaneo.
Franco Trabattoni è professore ordinario di Storia della filosofia antica presso l’Università degli Studi di Milano. È autore di numerose monografie sulla storia del pensiero antico, di taglio generale e particolare, nonché di studi specialistici comparsi in riviste e volumi collettivi, dedicati soprattutto a Platone e alla storia del platonismo. Tra i volumi ricordiamo: Scrivere nell’anima: verità, dialettica e persuasione in Platone (Firenze 1994); Platone (Roma 1998); Filosofia antica. Profilo critico-storico (Roma 2002); La verità nascosta. Oralità e scrittura in Platone e nella Grecia classica (Roma 2005). È direttore della rivista internazionale di filosofia antica «Méthexis».
A dispetto di antichi pregiudizi, Pascal è un pensatore che scruta l'uomo e la società con la speranza cristiana di chi crede che i discendenti di Adamo possano realizzare nella città terrena una giustizia meno ingiusta, per mezzo di istituzioni miranti al bene comune, e non all'interesse particolaristico di individui o di gruppi. E che Pascal non sia nemico dell'uomo si comprende dai tre Discorsi sulla condizione dei grandi, ove si delineano il profilo e l'operato del "re di concupiscenza". A differenza del re tiranno, che domina con la forza, il re di concupiscenza mira al benessere degli altri. Il suo è un "umanesimo imperfetto", che rimane al di qua della linea di demarcazione fra paganesimo e cristianesimo, impantanato in un mondo senza speranza e senza Dio. Da qui il necessario passaggio dal re di concupiscenza al re di carità che, riunendo in sé i valori dell'umanesimo e del cristianesimo, diventa il portatore di un pascaliano "umanesimo perfetto".
Intento del volume è contribuire alla comprensione della natura del rapporto che il soggetto umano intrattiene con la parola. La riflessione ruota intorno a due interrogativi fondamentali: innanzitutto qual è, se ve ne è uno, lo specifico dell'esperienza umana della parola? Tale questione si è imposta a partire dalla constatazione che il linguaggio è un fenomeno che non coinvolge solo l'uomo, che non riguarda solo il soggetto umano, ma interessa, ad esempio, anche il mondo animale e ampi settori del mondo tecnologico. Il secondo interrogativo al centro di queste pagine è il seguente: qual è il luogo dell'esperienza della parola? A queste e altre questioni il volume risponde sviluppando una riflessione che, sulla base di alcune importanti distinzioni, come quelle tra "essere loquens" ed "essere eloquens", tra "reagire" e "rispondere", tra "trasferimento di informazioni" e "comunicazione", tra "scrivente" e "scrittore", giunge a identificare un rapporto di essenza tra l'ordine dell'esperienza e quello della parola, e quindi tra l'atto di parola e l'atto morale.
I molteplici e complessi rapporti tra l'anima e il corpo, le caratteristiche della psichè e i nessi tra le sue diverse funzioni e attività, le ricadute di tali diversificati rapporti sul piano ontologico, fisicobiologico ed etico-antropologico: sono solo alcune delle questioni messe a tema nei saggi raccolti in questo volume. Alcuni tra i maggiori studiosi di Aristotele hanno qui dato vita a un dialogo serrato e coinvolgente con i luoghi teoreticamente ed ermeneuticamente più caldi e interessanti del pensiero dello Stagirita: le problematiche intersezioni tra le nozioni di atto (energeia) e potenza (dynamis); le virtù, i loro intrecci e i ruoli da esse assunti all'interno delle dinamiche e delle strategie di edificazione della vita buona e felice; le passioni, le loro ricadute sul versante psichico e somatico. Tali contributi, che coprono la quasi totalità del corpus aristotelico, si rivelano innovativi anche per quanto riguarda l'utilizzo di testi non adeguatamente valorizzati dagli studi precedenti. Il volume consente dunque di riattraversare i crocevia storico-concettuali più significativi di un pensiero al tempo stesso antico e attualissimo, quale quello aristotelico.
La vita è sempre emotivamente "intonata". I sentimenti dell'allegria e della tristezza, dell'euforia e dell'angoscia, della felicità e della malinconia (ma anche le situazioni apparentemente "apatiche", come quelle della noia) pervadono l'esistenza e le conferiscono una colorazione particolare. È solo all'interno di questa atmosfera emozionale che avviene il contatto con gli oggetti, la percezione delle cose e delle persone, l'incontro con il mondo. Le tonalità emotive stanno dunque a fondamento di tutta la vita psichica: sono i modi del sentire che schiudono (o precludono) le molte forme dell'essere nel mondo. Il trattato di Otto F. Bollnow a cura di Daniele Bruzzone, esplora la natura e le implicazioni filosofiche, psicologiche ed etiche di queste tonalità emotive, dialogando con pensatori come Kierkegaard, Scheler, Heidegger, Jaspers, Binswanger, ma anche con scrittori e poeti come Goethe, Hölderlin, Baudelaire, Proust, Huxley. Ne scaturisce un quadro di straordinario interesse non soltanto per i cultori dell'antropologia filosofica, ma anche per quanti lavorano nell'ambito delle relazioni umane e, in generale, per chi è interessato a conoscersi meglio e a comprendere la vita emotiva.
Il volume propone una lettura di un classico del pensiero occidentale nella prospettiva di una pedagogia fondamentale adeguata al nostro tempo. L’interesse pedagogico per i temi dell’Etica Nicomachea nasce dal fatto che essi sono affrontati non «per sapere cos’è la virtù, ma per diventare buoni». Il bene così prospettato, legato alle nostre caratteristiche specifiche e oggetto primo del nostro desiderare, è un bene da fare.
Il ‘bene umano’ è un ‘bene pratico’, che l’essere umano può compiere e fare suo. Molte pagine dell’Etica Nicomachea suggeriscono, in modo efficace e prezioso per un’antropologia pedagogica, che un tratto essenziale dell’uomo consiste nel suo porsi come un principio, come potere causale nuovo nell’ambito naturale. Aristotele scorge così un carattere essenziale di quella che noi oggi chiamiamo ‘persona’: il poter essere origine di inattese novità, il poter ampliare con il nostro desiderare e pensare, ma soprattutto con la fatica e la perseveranza del nostro agire, lo spazio dell’esistente, mettendo queste capacità a servizio del bene e degli altri.
Desiderare-e-fare il bene costituisce pertanto un binomio che non può essere sciolto, se si vuole, rimanendo fedeli ad Aristotele, tracciare una proposta di educazione morale per un tempo come quello presente, segnato da tante debolezze del volere e, di conseguenza, da indebolimenti della vita personale. L’Etica Nicomachea appare oggi preziosa, per l’attenzione rivolta sia alla componente soggettiva dell’azione sia a quella oggettiva del bene, cioè al fine che è desiderato per sé e non per altro. Il desiderio è la categoria che accompagna il percorso attraverso le lezioni aristoteliche sulla vita buona, fino alla contemplazione e all’amicizia, facendo emergere il nesso tra vita autenticamente umana, esperienza morale ed educazione.
Giuseppina D’Addelfio, assegnista di ricerca, è docente di Pedagogia generale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Palermo. È autrice, tra l’altro, dei saggi Aristotele e il paradosso dell’errore volontario (2002), Ragionamento pratico e argomentazione metafisica (2006), Scelta, desiderio e legge in Aristotele (2006), L’educazione nella prospettiva di Martha Nussbaum (2007).
In una cultura come quella attuale, che privilegia il provvisorio e la pluralità, i legami familiari sono al tempo stesso forti e fragili. Da un lato, infatti, si continua ad attribuire valore ai rapporti tra le generazioni e a considerare la famiglia uno dei luoghi primari di sviluppo dell'identità personale; dall'altro lato, le rotture coniugali sono sempre più frequenti, le famiglie si disperdono, si dividono, si ricompongono. E ciò che risulta sempre meno evidente è il radicarsi della famiglia nel corpo: i legami familiari non sono soltanto razionali, contrattuali; sono anche "carnali", attraversati dall'affetto, dal piacere, dalla sofferenza; sono "per la vita e per la morte". Ma è ancora possibile parlare di legami, nel nostro mondo che proclama il primato della felicità del singolo, che fa della libertà individuale la misura di tutte le cose? Xavier Lacroix propone un'etica dei legami. Si spinge ad affermare che la coppia coniugale, anche se resa fragile, resta il perno della famiglia. Contesta l'idea che essa possa essere fondata sul solo legame con il figlio. Propone di riscoprire il senso del matrimonio come la migliore chance per vivere la relazione tra carne e parola, corpo e istituzione, vita e libertà.
La visione del mondo elaborata nella cultura medievale appare caratterizzata da una tensione alla trascendenza e al divino. Per usare le parole di Jacques Le Goff, l’uomo medievale è dotato di una mentalità simbolica, in ragione della quale le cose del mondo fisico non devono essere considerate come autentiche realtà, res, ma semplici signa, che rinviano ad altro e disvelano, senza mai renderla del tutto conoscibile, la verità trascendente, il mistero del divino. Questa mentalità simbolica ha come esperienza fondante la meditazione sulle Scritture: la Bibbia è il luogo, fisico e metafisico al tempo stesso, in cui la verità divina è rivelata. Di qui la necessità di interpretare il testo sacro, di comprendere in quali passi sono celati sensi nascosti e come decifrarli. Giovanni Scoto Eriugena, la cui opera è passata al vaglio in questo volume, rappresenta uno degli esempi più ricchi e speculativamente complessi della ‘mentalità simbolica’ medievale. Egli è il primo autore latino a utilizzare in modo sistematico e non generico il termine symbolum, legandolo sia alla sfera dell’attività semiotica del significare, sia al tema del discorso figurato e della rivelazione misterica. Il tema del symbolum viene ripensato da Eriugena all’interno di un peculiare orizzonte filosofico e investito di uno specifico significato speculativo e teologico. Il simbolo diviene, nel ricco orizzonte teoretico eriugeniano, un dispositivo metafisico che agisce come occasione e strumento per una relazione tra finito e infinito. Nei suoi scritti Eriugena usa anche altre tipologie del dire traslato, in particolare ‘metafora’ e ‘allegoria’. La presenza nei suoi testi delle tre più rilevanti categorie del discorso figurato permette di sviluppare, come avviene in questo volume di Francesco Paparella, un’analisi comparata tra di esse, per comprenderne le peculiarità e i caratteri comuni. In tal modo diventa possibile identificare il nucleo di una teoria del simbolo in grado di fungere da modello generale per interpretare il funzionamento dei dispositivi simbolici presenti anche in autori di epoche diverse.
Francesco Paparella è assegnista di ricerca presso il corso di laurea in Scienze e tecnologie della comunicazione dell’Università IULM di Milano. Studioso del pensiero neoplatonico e delle sue ramificazioni nella tradizione speculativa dell’epoca di mezzo, ha approfondito l’analisi degli aspetti semiotici ed estetici nella filosofia tardoantica e altomedievale. Tra le sue pubblicazioni: La storia in Eriugena come autocoscienza divina (2002); Proclo, Tria opuscula. Libertà, provvidenza, male (2004); Le felicità nel Medioevo (2005, con Maria Bettetini).