Domande all'apparenza semplici quali «come va?» o «da dove vieni?» o «come ti chiami?», se colte nel loro senso più profondo, ci conducono al centro della nostra anima, là dove - ci spiega il filosofo catalano Josep Maria Esquirol nel saggio Umano più umano - siamo toccati da quattro realtà fondamentali con cui abbiamo a che fare per tutta la nostra esistenza: la vita, la morte, il tu e il mondo. L'incontro con questi «infiniti essenziali» segna una «ferita», un'apertura inesauribile che sottrae a ogni pretesa di autosufficienza e che ci costituisce nella nostra umanità. Imparare a vivere è imparare ad accompagnare queste ferite, non a suturarle. Esse infatti sempre ci sorpassano con il loro eccesso e chiedono la pazienza di continue risposte. Risposte da cercare non nell'oltre postulato dalle odierne tendenze transumanistiche, ma restando dentro questa condizione, intessuta di vulnerabilità e debolezza.
Il pontificato di Leone IX è considerato dalla recente storiografia quale autentico momento di inizio della cosiddetta papstgeschichtliche Wende dell'XI secolo. Con il pontificato leoniano prese infatti avvio una riforma ecclesiale di amplissima portata, la quale, se da un lato fu influenzata in modo decisivo dalle concezioni ecclesiologiche e dall'attività di riformatori transalpini, dall'altro condusse a un'organizzazione gerarchica dell'Ecclesia Universalis sempre più marcatamente romanocentrica. Il volume Un vescovo imperiale sulla cattedra di Pietro, a cura di Francesco Massetti, traccia un bilancio della grande fioritura di studi che il pontificato di Leone IX ha conosciuto negli ultimi due decenni, a partire dal secondo millenario della sua nascita nel 2002, e al tempo stesso offre nuove prospettive interpretative sulla base dei più recenti progetti di ricerca.
Abbiamo bisogno di luce. Siamo in cerca di qualcosa che catturi il nostro sguardo e indirizzi il nostro cammino di vita costellato di ombre e qualche volta immerso nella notte più nera. Abbiamo bisogno di tornare a vedere le cose come sono, liberandoci dalle preoccupazioni della mente, dalla pioggia grigia della tristezza, per ritrovare la semplicità luminosa del nostro io profondo.
La questione dell'autorità, tema classico delle filosofie dell'educazione, del diritto e della politica, non pare aver trovato altrettanta attenzione da parte della filosofia morale. Tale difetto di interesse potrebbe avere a che fare con un certo sospetto che la nozione tradizionalmente suscita, sospetto riconducibile a una presunta alternativa tra l'autorità e la libertà. Dal punto di vista sostanziale, tuttavia, la libertà ha una sua genealogia: si sviluppa e matura nel tempo, grazie anche a mediazioni esteriori, simbolicamente istituite, le quali assumono per il soggetto e per la collettività la figura dell'autorità. Autorità è ciò che genera libertà e umanità: questa è la conclusione a cui giunge un secolo di studi sul tema, ma è anche l'intuizione fondamentale di una peculiare filosofia italiana dell'autorità che, iniziata da Vico nel XVIII secolo, conosce significative riprese nel XX secolo e apre prospettive future in vista di un'antropologia e di un'etica dell'autorità.
In "Metamorfosi dell'antico in Dante" Alessandro Ghisalberti traccia una originale chiave di lettura del cammino intellettuale che Dante ha percorso, nella continua trasfigurazione dei miti e delle storie narrate dai testi della classicità in figure che si dischiudono alla loro piena significazione nella successiva era cristiana, collegabile con la ben nota evoluzione di Beatrice: dalla Beatrice storica alla donna gentile, espressione dell'amor cortese; dalla donna gentile alla Sofìa, la sapienza dei filosofi; dalla filosofia alla sapienza mistica, la Teologia. L'espandersi poetico delle diverse figure storiche racchiude un reale intreccio con l'evoluzione della biografia personale di Dante, che dialoga in modo permanente con la storia passata e presente (Roma, Firenze, Europa), e si è caricato della forte tensione profetico-escatologica che contrassegna la cosmologia della Commedia, la quale al cosmo di Aristotele e di Tolomeo aggiunge gli spazi propri della iniziazione cristiana, l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso.
Aspettando la sua beatificazione, torna in libreria il racconto della straordinaria vita di Armida Barelli, la donna che 100 anni fa fondò l'Università Cattolica, unica tra tanti uomini e che si impose con le sue scelte e la sua tempra nel mondo cattolico femminile, cambiandone la storia.
Il Covid rappresenta una frattura generazionale: i giovani che la stanno attraversando ne escono cambiati. Così lo slogan che dà titolo al libro «Niente sarà più come prima» ha un certo valore: il modo di vivere le relazioni, di guardare al futuro, di porsi di fronte al mondo non sarà come prima. Quali effetti è destinata a produrre la pandemia sull'atteggiamento dei giovani nei confronti della vita, del futuro, della società? Che cosa stanno imparando? Quali ricadute ha ed avrà tutto questo nel rapporto con la fede e con la Chiesa? Paola Bignardi e Stefano Didoné hanno coinvolto alcuni giovani in dieci focus group: una straordinaria esperienza di ascolto, da cui è emerso lo spaccato di una generazione pensosa, che sta attraversando l'attuale momento con responsabilità, senza rinunciare ai propri progetti sulla vita.
La contestazione, fino al rifiuto, dell'autorità quale freno alla libera espressione del sé è una delle eredità del secondo Novecento, soprattutto delle lotte del '68, con la messa sotto accusa dei pilastri su cui l'autorità poggiava - la tradizione, il padre, l'insegnante, la Chiesa - in nome dell'affermazione dello spirito individualistico. Eppure, come l'araba fenice, l'autorità risorge in continuazione dalle sue ceneri, ricostituendosi in forme inedite, più fuggevoli e indeterminate, ma non per questo meno efficaci. Assistiamo al moltiplicarsi di spinte per un ritorno all'ordine di un padre autoritario, tirannico e fondamentalista, oppure, in modi più sottili ma insidiosi, al presentarsi di un dominio tecnocratico che di fatto punta al superamento della condizione umana come la conosciamo. A chi dunque dobbiamo guardare? Non si tratta di tornare indietro, come qualcuno immagina. Si tratta, piuttosto, di andare avanti, riflettendo in forme nuove su un termine che rimane essenziale e insieme difficile. Perché, scrivono Mauro Magatti e Monica Martinelli nel saggio "La porta dell'autorità", un mondo senza autorità non è possibile, se non a costo di perdere la libertà. Quella libertà in cui proprio il limite diventa risorsa per l'azione, dando una prospettiva al nostro punto di vista sul mondo. Occorre insomma ricostruire il legame tra le generazioni, riconoscendo all'autorità la capacità di essere lo snodo tra chi viene prima e chi viene dopo (e non solo in senso temporale). In tal modo l'autorità può essere vista come una porta che, mentre inquadra - definendo così una direzione -, al tempo stesso apre a un futuro che ancora non c'è ma che pure non procede dal nulla.
Oggi la parabola del liberalismo sembra essere giunta alla fine: l'internazionalismo liberale sta conoscendo una crisi senza precedenti, minacciato dall'esterno da sfidanti illiberali e dall'interno dai movimenti nazional-populisti. Un altro ordine del mondo lo sostituirà? Secondo John Ikenberry il liberalismo rimane il progetto più praticabile per proteggere i valori democratici ma ha bisogno di essere riformato, con uno sguardo alle conquiste e agli errori della sua lunga storia e con gli occhi aperti sui laceranti problemi dell'oggi, soprattutto in termini di disuguaglianze. In questo libro il politologo americano scrive: "Anche se l'ordine liberale ha consumato le proprie fondamenta e compromesso i propri scopi sociali, la sua logica profonda di cooperazione aperta e fondata su regole rimane intatta. Anzi, la crisi l'ha illuminata". È allora il momento di far conto sulla sua grande resilienza per reinventare non solo "un mondo sicuro per la democrazia", ma la sopravvivenza dello stesso pianeta.
Nel panorama della filosofia francese del Novecento, Vladimir Jankélévitch (1903-1985) emerge come figura di rilievo ma anche di complessa collocazione storiografica e ardua interpretazione teoretica. In "Fino al sacrificio", Giulia Maniezzi si propone di ricostruire e discutere criticamente uno degli aspetti del pensiero di Jankélévitch rimasti finora nella penombra: la condizione morale dell'uomo e il suo fondamento metafisico. La celebre affermazione jankélévitchiana secondo cui «la morale ne se distingue-t-elle plus de la métaphysique» è come il baricentro dei tre momenti argomentativi articolati nei tre capitoli del volume. Iniziando con un'indagine dettagliata circa lo statuto e il compito della filosofia prima, il testo si dirige successivamente alla presentazione critica della teoria jankélévitchiana della creazione e della temporalità, giungendo, infine, a scandagliare la questione della condizione morale nella sua portata metafisica.