Costante è stata l'attenzione di Ricoeur al tema della pena, nel suo versante teologico (chi commette peccato? Chi giudica e condanna?), filosofico (l'intrecciarsi di male subito e commesso) e politico-giuridico (come sanzionare il colpevole senza comminare inutili sofferenze?).
Nei saggi qui per la prima volta tradotti, che coprono l'arco dell'intera riflessione ricoeuriana, vediamo all'opera il respiro ermeneutico del filosofo: partire dalle evidenze per mostrare i rendiconti significati del "diritto di punire", un diritto che , se non riflessivamente sorvegliato, rischia di rovesciarsi nell'opposto; non riparazione di un danno, ma perpetrazione, anche involontaria, del male fisico e morale
Esistono, accanto ai linguaggi che constatano, descrivono, ordinano dei fatti, altri linguaggi - come quelli poetici, simbolici, religiosi - che ricorrono soprattutto alla metafora e sono linguaggi di ridescrizione e di metamorfosi della realtà. Una tradizione consolidata, quella retorica, considera tali linguaggi come esclusivamente rivolti alla persuasione appunto mediante gli artifici retorici. Questi linguaggi ad alto valore ornamentale non avrebbero valore informativo, di referenza alla realtà. È possibile superare questa lettura retorica della metafora e giungere a una lettura poetica, cioè considerare la metafora come strategia linguistica capace di dare conto della creazione di un nuovo significato, come linguaggio di rivelazione? A questo interrogativo rispondono gli studi che costituiscono il presente volume: mostrare che i linguaggi metaforici non sono carenti di un vero rapporto con la realtà, anzi sono linguaggi portatori di una sovrabbondanza di senso. Il linguaggio poetico-metaforico, proprio perché non vuole mostrare la realtà come è, cancella il mondo come complesso di oggetti disponibili, manipolabili, e apre nuove dimensioni della realtà. Tentare di mostrare la legittimità di tali linguaggi vuol dire aprire al linguaggio umano, e all'uomo, altre vie che non sono quelle della dominazione: dominazione delle cose, dei segni ridotti alla loro funzione strumentale.
La traduzione e i poblemi che essa pone, tanto sul piano linguistico quanto su quello più ampio e specifico della filosofia del pensiero parlante, sono al centro della riflessione ermeneutica degli ultimi scritti di Paul Ricoeur.
Il volume contiene la traduzione di tre brevi e suggestivi saggi: Sfida e fortuna della traduzione, del 1997; Il paradigma della traduzione, del 1998; e Un ‘passaggio’: tradurre l’intraducibile, del 2004. Un insieme coerente, coinvolgente, efficace attraverso il quale il Filosofo tenta di risolvere il perenne dilemma etico e teoretico posto da qualsiasi esercizio di inter-comunicazione culturale tra diverse lingue parlate e scritte. Fedeltà e tradimento, il problema etico; costruzione della comparabilità in assenza di una lingua comune e originaria, il problema teoretico.
A corredo il volume contiene due saggi di Mirela Oliva; uno d’introduzione al tema e l’altro di inquadramento di esso nel contesto degli sviluppi eremenutici contemporanei.
In questa bellissima meditazione, un filosofo dibatte con se stesso quanto alla speranza di sopravvivere, trovandosi nell’impossibilità intellettuale e spirituale di acconsentire a qualsiasi visione ingenua di un altro mondo che dovrebbe essere un doppio, o la copia, di questo mondo. È necessario elaborare il lutto di qualsiasi immagine, di qualsiasi rappresentazione.Nel 1996 Ricoeur pone la questione: «Che cosa posso dire della mia morte?». Come «elaborare il lutto di un voler-esistere dopo la morte»? Questa lunga riflessione sul morire, sul moribondo e il suo rapporto con la morte, e ugualmente sul dopo-la-vita (la resurrezione), passa attraverso due mediazioni: testi di sopravvissuti ai campi di sterminio (Semprún, Levi) e un confronto con un libro del grande esegeta Xavier Léon-Dufour sulla resurrezione.La seconda parte del libro è composta di testi scritti nel 2004 e nel 2005, che il filosofo stesso ha chiamato «Frammenti» (sul «tempo dell’opera» e il «tempo della vita», sul caso di essere nato cristiano, sull’imputazione di essere un filosofo cristiano, sulla controversia, su Derrida, sul Padre nostro...). Testi brevi, redatti talvolta con mano tremante, mentre è già molto affaticato. L’ultimo, della Pasqua 2005, è stato scritto un mese prima della sua morte. Paul Ricoeur, grande filosofo del XX secolo, è deceduto il 20 maggio 2005.
Prefazione di Olivier AbelPostfazione di Catherine Goldenstein
Introduzione all’edizione italiana di Daniella Iannotta
DESCRIZIONE: Tra pluralità irriducibile delle lingue e possibilità di una reciproca comprensione: è questo lo spazio in cui si pone il problema filosofico, teologico ed etico della traduzione.
Nell'atto del tradurre, per Ricoeur, non solo si evidenziano le ragioni dell'ermeneutica e del dialogo interreligioso - in quanto ascolto e interpretazione della lingua di un altro testo, di un'altra fede - ma anche il senso stesso della relazione etica. I paradossi etici non sono tutt'uno con i paradossi della traduzione? Come accostarsi all'altro, lo straniero, senza ridurlo a sé? Nella mia identità non riconosco i segni di altre identità, trasmesse dalle differenti lingue? Una sfida che si compendia nella categoria di ospitalità linguistica: «ospitalità linguistica... ove al piacere di abitare la lingua dell'altro corrisponde il piacere di ricevere presso di sé, nella propria dimora d'accoglienza, la parola dello straniero».
I saggi qui raccolti, e scritti tra il 1975 e il 2000, possono definirsi un compendio della riflessione morale di Ricoeur: dalla distinzione tra etica, come desiderio di una vita compiuta, e morale, in quanto universalità della norma che media tra volontà diverse, alla determinazione dei concetti di stima di sé, sollecitudine, giustizia, libertà, intenzione etica, legge, valore, istituzione, "legge di natura". Una costellazione di categorie con la quale Ricoeur traccia, quasi didatticamente, i lineamenti di una filosofia morale. Una filosofia che coniugando prospettiva teologica e prospettiva deontologica - Aristotele e Kant, ma memore anche della lezione di Max Weber - riconosce l'ineliminabilità del conflitto dei doveri, di un lato tragico inerente all'azione morale. Conflitto al quale far fronte, di volta in volta, con la saggezza pratica. Senza dimenticare la paradossalità dell'etica evangelica, con i suoi comandamenti - "ama il prossimo tuo", "porgo l'altra guancia" - che "orientano disorientando": scompigliando l'esistenza, "rigenerano la libertà".
Il Giusto 1 aveva messo in rapporto l'idea di giustizia in quanto regola morale con la giustizia in quanto istituzione. Se gli studi raccolti ne Il Giusto 2 proseguono tale orientamento - e ne danno testimonianza i testi che vertono sui rapporti fra la morale e l'etica, la giustizia e la vendetta - l'aggettivo «giusto» è ormai ricondotto alla sua scaturigine concettuale, al to dikaion greco dei Dialoghi socratici di Platone. Questo ritorno all'uso estensivo del «giusto», laddove l'aggettivo neutro viene eretto a sostantivo, autorizza ad aprire il campo concettuale indagato. Tale è la particolarità de Il Giusto 2. Si ritaglia, allora, un nuovo spazio di senso, che consente di impegnarsi in un'ampia riflessione filosofica sul giusto. Da cui le meditazioni originali sulla traduzione, l'universale e lo storico, l'autonomia, l'autorità e la vulnerabilità. Parallelamente, siffatta estensione del concetto conduce ad esaminare le etiche regionali e le forme di giudizio che ad esse corrispondono, a cominciare dal giudizio medico. Ne Il Giusto 2, si potrà anche leggere la testimonianza pronunciata da Paul Ricoeur nel quadro del processo del sangue contaminato.
L'opera di Paul Ricoeur si divide in tre parti: dedicate rispettivamente a una fenomenologia della memoria, a un'epistemologia della storia e a un'ermeneutica della condizione storica. Lontano da una visione totalizzante delle vicende umane riunite in una filosofia della storia, Ricoeur conduce un'ermeneutica della vita umana che, svolgendosi nel tempo, è storica e come tale intessuta di memoria e oblio.
DESCRIZIONE: Apparso nel 1959, questo saggio segna la svolta in Ricoeur dalla fenomenologia all’ermeneutica e rappresenta la cellula originaria di Finitudine e colpa, l'opera che consacrerà Ricoeur tra i maestri della filosofia contemporanea. Una svolta che avveniva attraverso il confronto con la fenomenologia della religione di Mircea Eliade, la psicoanalisi di Freud e Jung, gli studi sull'immaginazione poetica di Gaston Bachelard e la teologia della demitolo-gizzazione di Bultmann. Il risultato è un'ermeneutica che, da un lato, giustifica il simbolo - sia esso religioso o culturale - in quanto "fonte non filosofica" della filosofia, dall'altro mostra come i simboli - i nomi dal senso molteplice attraverso i quali gli uomini hanno tentato di decifrare gli enigmi della vita - siano a pieno diritto cosa stessa del pensiero.
Un'ermeneutica oggi più che mai attuale, in un tempo dove il ritorno del sacro e dei suoi simboli assume il volto violento degli idoli: «non avremo mai finito di distruggere gli idoli, al fine di lasciare parlare i simboli».
COMMENTO: La seconda edizione del celebre testo-manifesto di Ricoeur sull'ermeneutica: il simbolo come testo che interroga la religione, la filosofia, la letteratura.
I sei colloqui qui presentati tra Paul Ricoeur e Gabriel Marcel datano al 1968, qualche anno prima della morte di Marcel. L'oggetto di queste riflessioni è duplice. In primo luogo viene fatta luce sugli snodi fondamentali della filosofia di Marcel: la riflessione sul corpo e l'esistenza, la questione dell'interpersonalità, il problema della tecnica, la sua collocazione nel quadro filosofico del primo Novecento. In secondo luogo, la filosofia di Paul Ricoeur e il suo rapporto vivo con il pensiero del maestro e con il fenomeno europeo della filosofia esistenzialista.