Un filosofo brasiliano, che vive in mezzo al verde della Virginia (USA) e uno studioso russo che con i suoi libri e la sua attività ha ispirato la politica di una delle più grandi potenze mondiali, nel 2011 ebbero un dibattito sul ruolo degli USA nel cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale e su chi fossero gli agenti storici effettivi sulla scena mondiale del tempo. Il dibattito, di cui il presente volume è la traduzione italiana, a dieci anni di distanza riveste un interesse ancora maggiore. Molte analisi che furono fatte al tempo, dopo gli avvenimenti nel frattempo intercorsi, acquistano oggi una intelligibilità del tutto particolare. Ma è anche un istruttivo esempio concreto della distinzione platonico-aristotelica che ha fatto nascere la scienza politica: quella tra l'agente politico interessato al risultato concreto di cambiamento delle cose e quella dell'analista, che cerca di capire cosa stia accadendo e di descriverlo nella sua realtà. È un libro importante, per tutti coloro che desiderano comprendere ciò che sta avvenendo attorno a noi, al di là dell'ipnotico gioco delle ombre cinesi, mostrato per distrarre lo spettatore da ciò che non dovrebbe vedere.
Massimo Pampaloni è professore ordinario di teologia patristica orientale presso la Facoltà di Scienze Ecclesiastiche Orientali del Pontificio Istituto Orientale di Roma. Segue e traduce Olavo de Carvalho dal 1997 ed è stato tra i primi a far conoscere il suo pensiero in Italia.
Il disprezzo sembra avvolgere le relazioni della nostra società dove si esperiscono forme di rifiuto, emarginazione e sintomi gravi di razzismo che conducono a chiusura e inumanità. È possibile far crescere un atteggiamento differente rispetto a questo? Qui si desidera prospettare una sorta di viaggio nel disprezzo per orientarsi verso gli altri e incontrarli senza alcun senso di rifiuto, per scardinare forme di chiusura che lasciano spazio solo alla paura e avviliscono ciò che ogni persona da sempre cerca: la bellezza immensa dell'amore radicata nel rispetto personale e dei diritti umani.
Con la sua esigenza di un ritorno alle "cose stesse", la fenomenologia husserliana si è sempre proposta di esibirne la costituzione, ovvero la fondazione. In questo modo ha preso coscienza di sé come nuova "filosofia prima" recante il principio di legittimazione assoluta della conoscenza fenomenologica. Cosa legittima quest'ultima tanto rispetto ai dati attestati da un procedimento puramente descrittivo quanto alla loro origine negli atti della soggettività trascendentale? Questo libro intende ripensare tale questione alla sua radice: è con l'obiettivo di realizzare il progetto di legittimazione assoluta della costituzione del senso dei fenomeni che Husserl procede - oltrepassando i limiti di una fenomenologia descrittiva - a delle costruzioni fenomenologiche che non sono costruzioni speculative, ma "sistemi di coordinate" che il fenomenologo deve introdurre per rendere conto di questo o quel contenuto fenomenologico. I fondamenti di una fenomenologia costruttiva avranno dunque come scopo di chiarire lo statuto di ciò che si presenta al fenomenologo nelle sue analisi concrete - il che implica un approccio in cui sovente, per la natura stessa della "cosa", "ci mancheranno i nomi".
Il lavoro nasce da una frase di Agostino di Ippona utilizzata da Jacques Derrida per indicare “qualcosa” della propria pratica filosofica. Quella citazione attira l’attenzione per lo strano rapporto che essa crea tra la verità e il fare. In Agostino quel fare era legato al gesto particolare di scrivere le proprie confessioni davanti a Dio ma non per Dio, bensì per sé e per i fratelli: lo scrivere come un modo per fare verità o per scoprire la verità di sé, per professare la propria verità.
Come la scrittura agostiniana così anche il fare la verità della pratica della decostruzione tende a creare una comunione: con i testi che si leggono e con gli interlocutori che leggono ma anche con i contesti sociali ai quali quei testi si rivolgono. Derrida riconosce la presenza di un “di più” di umanità, di un’eccedenza di socialità che richiede una pratica capace perlomeno di problematizzare tutti quegli approcci che pregiudicano l’a-venire dell’impossibile.
L'identità di ciascuno è attraversata dalle relazioni: alcune istituite dalle nostre scelte e azioni, altre che ci precedono, altre che semplicemente intessono la nostra storia senza che ce lo proponiamo. Il nostro essere esseri in relazione fa sì che anche l'atto libero, che esprime chi siamo, appartenga immediatamente alla pluralità umana, se ne nutra e al tempo stesso vi sia esposta. In queste dinamiche acquista una particolare importanza la questione del perdono che, nel contesto contemporaneo, è stata rimessa teoreticamente in gioco anche a partire dai grandi avvenimenti storici del ventesimo secolo. Il perdono è attraversato da una serie di paradossi: la sua necessità per liberare l'altro e la gratuità della sua realizzazione, la libertà ma anche l'irreversibilità dell'azione umana, l'inescusabilità del misfatto come condizione di possibilità del perdono stesso. Il testo indaga questa figura dell'ethos scandagliando i rapporti tra la colpa e la debolezza, tra il pentimento incapace di assolvere e il perdono in assenza di pentimento, ma anche il ruolo della sensibilità, del risentimento e della malafede, della distinzione tra malfattori e vittime insieme alla comune fragilità dell'umano. Il perdono richiede poi di indagare la struttura temporale dell'esistenza, intrecciando memoria, oblio e apertura al futuro, mantenendo traccia della storia e insieme percorrendo il sentiero di una reciproca liberazione. Proprio in quest'ottica occorre affrontare anche il nesso che intercorre tra perdono e punizione e tra perdono e giustizia, interrogandosi sulla sensatezza etica di un eventuale e paradossale dovere di perdonare. L'itinerario che qui si proponepassa attraverso il confronto con alcuni dei più acuti pensatori della contemporaneità quali Jankélévitch, Derrida, Arendt, Ricoeur, Guardini, ma anche con testimoni della storia che hanno riflettuto, con prospettive a volte diametralmente diverse, sul proprio vissuto e su alcuni degli accadimenti tragici del Novecento.
"E avendo osservato che in "Penso, dunque sono" non vi è nulla che mi assicuri che sto dicendo la verità, se non che vedo molto chiaramente che per pensare bisogna esistere, ritenni che potevo assumere come regola generale il fatto che le cose che concepiamo molto chiaramente e molto distintamente sono tutte vere, ma che s'incontra qualche difficoltà soltanto nel decidere quali siano quelle che concepiamo distintamente".
Il Mediterraneo sottolinea il valore della pluralità: nessuna forma di vita è più vicina delle altre alla perfezione. Nessuna tradizione può imporsi alle altre. Il primo comandamento mediterraneo è: tradurre le tradizioni, far sì che gli uomini diventino amici non nonostante le differenze, ma anche grazie ad esse. Franco Cassano
Ormai è convinzione diffusamente condivisa che Giuseppe Capograssi sia stato uno dei più gradi filosofi italiani del Novecento. La sua filosofia cerca di cogliere la profonda connessione tra pensiero e prassi, con lo scopo di indagare la concretezza dell'esistenza umana. Dare voce alla vita, alle opere e al pensiero di Giuseppe Capograssi, in questo particolare frangente storico, sociale, culturale e politico, significa prendere coscienza del pensare di un autore che, pur non sostando nelle piazze e sulle barricate, anzi dimorando molto spesso nella solitudine esistenziale e accademica, può diventare chiave indispensabile per comprendere il significato del filosofare nel tempo presente e per il futuro dell'umanità.
Dal fenomeno al fondamento indica un percorso ermeneutico utilizzando alcuni tratti della via pulcritudinis e della sapientia cordis come sentiero di accesso al verum e al bonum. L’itinerario traccia un accostamento alla bellezza intelligibile a partire dall’esperienza sensibile, come tentativo di rinvenire il rapporto uomo-mistero. Un luogo emblematico in cui l’eredità della stretta relazione pulchrumpistis-verum è rimasta intatta e genuina dalle sue origini, è rappresentato dalla tradizione benedettina cassinese, ricca di monaci-scienziati che hanno scrutato la realtà nella sua essenza preservando nella storia e nel tempo l’armonioso rapporto tra la fede e la ragione.
Fabio Miele si è laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale nel novembre 2001. Ha conseguito il Magistero in Scienze Religiose presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense. Nel 2017 ha conseguito il Dottorato in Filosofia presso La Pontificia Università Lateranense. Ha pubblicato La realtà della Chiesa. Il risveglio e la visibilità nel pensiero di Romano Guardini (Gruppo Edicom 2001).
In un terreno sempre più preoccupato per la globale problematicità del­la temperie culturale e umana, per le sorti del­l’uomo e del­l’umano, in questi primi decenni del secolo XXI si fa evidente che non si tratta soltanto di riflettere e pensare su e per l’educazione, ma che occorre più largamente pensare e ripensare l’educazione nella sua globalità.
Non è solo ricerca di nuovi e migliori metodi rispetto al passato o alle situazioni culturali internazionali, nazionali o locali.
In questione vengono ad esser messi i fondamenti ultimi dell’educazione e della formazione.
All’approccio teorico-pedagogico è richiesto di approfondire il senso e il quadro di riferimento del­l’a­zione umana, da quel­la individuale a quel­la col­lettiva, da quel­la privata a quel­la pubblica, da quel­la politico-economica a quel­la morale e intel­lettuale, nella misura in cui vengono a riverberarsi sull’azione educativa e formativa.
Più direttamente, a fronte della specializzazione metodologica e disciplinare, che sembra dominare la ricerca pedagogico-educativa attuale, si fa sempre più rilevante la figura “professionale” che potremmo dire del “pedagogista teorico”. Esso è chiamato a far proprie le ragioni del “generale” e del “tutto” del­l’educare, del­l’apprendere, del formare; nel­la frammenta­zione del­le iniziative e degli interventi didattico-progettuali, avrà da prendersi cura del­le istanze della totalità e del­l’integralità del riferimento formativo; nella progettazione e nella attuazione di percorsi formativi, avrà da abilitare ad essere “riflessivi nell’azione”; nella preoccupazione per ­lo sviluppo e ­la formazione personale, avrà da fare attenti ai destini presenti del­l’umanità e del suo futuro; a fronte di un pensiero unico o omologato, avrà da costituirsi come promotore di dialogo e di collaborazione interdisciplinare e come “riserva critica” rispetto a modelli di sviluppo troppo economicistici e poco umanistici, che dominano e “scartano” chi non è ad essi funzionale.
Il volume prova a incamminarsi in questa via filosofica all’educazione e alla formazione, con e per studenti, con cultori di ricerche di “filosofia pratica”, e in generale con pensatori che si sentono stimolati a corrispondere in profondità a quella che è stata indicata come “emergenza educativa”.
Carlo NANNI, è professore Ordinario emerito di filosofia dell’educazione e pedagogia della scuola presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana, di cui è stato Rettore dal 2009 al luglio del 2015. Dal 2015 è consulente Ecclesiastico Centrale dell’AIDU, l’Associazione Italiana dei Docenti Universitari di ispirazione cattolica.
Presso l’editrice LAS ha pubblicato a suo tempo: Educazione e scienze dell’educazione (1986); L’educazione tra crisi e ricerca di senso (19963); Educazione e pedagogia in una cultura che cambia (19982); e più di recente: Introduzione alla filosofia dell’educazione (2007); Emmanuel Mounier. Il pensiero pedagogico (2008); Educarsi per educare (2012); Immagini. Per pensare e vivere meglio (2015); Parole e immagini. Un sussidio per la filosofia dell’educazione (2016).
Ha curato, insieme ai Proff. José Manuel Prellezo (Coor­dinatore) ed il Prof. Guglielmo Malizia, il Dizionario di Scienze dell’Educazione, Roma, LAS, 20082.
«L’ermeneutica ha scelto come piste preferenziali, sin dalle sue stesse origini, la ricerca della verita?, la sua interpretazione e comprensione nel corso della storia umana, la sua possibile comunicabilita?, la sua portata umanizzante prismata in un universo che non si e? solamente declinato e risolto in un ambito prettamente teoretico, ma e? restato anche indissolubilmente legato a quella sfera di certo ardua della ricerca sapienziale, che e? l’operazione morale tipica della speculazione della filosofia pratica. Il lavoro imponente che dunque l’ermeneutica ha governato nel corso del tempo, e? stato quello di tentare di coniugare l’orizzonte teoretico-speculativo con quello schiettamente incarnato dell’ortoprassi, senza perdere mai di vista il fondamento che rende la scienza ermeneutica della tradizione gia? antica coincidentemente scienza filosofica, vale a dire amore e conoscenza della verita?. Questo filo che vede avvitati insieme la dimensione teoretica con quella pratica, e che ha sin dalla sua genesi caratterizzato la storia dell’ermeneutica veritativa, e? rinvenibile stabilmente nella pluridecennale ricerca aggiornata di Gaspare Mura, la cui opera rappresenta uno dei casi piu? significativamente approdati di sintesi del fondamento della scienza ermeneutica veritativamente impostata, nella declinazione drammatica, per usare un termine caro a Platone, della speculazione stessa, con le analisi delle implicazioni pratiche tipiche dell’azione e della scelta umana.» Dalla Introduzione di Cristiana Freni.
Biografia
Gaspare Mura è Professore Ordinario Emerito di filosofia della Pontificia Università Urbaniana, dove ha ricoperto le cattedre di Storia della filosofia antica, Filosofia della religione, Ermeneutica filosofica, ed è stato Direttore dell’Istituto Superiore per lo Studio dell’Ateismo, dell’Urbaniana University Press e della rivista di Filosofia e Teologia “Euntes Docete”. È stato docente di Ermeneutica filosofica presso le Pontificie Università Lateranense e della S. Croce e dal 1993 al 2013 Consultore del Pontificio Consiglio della Cultura. Ha al suo attivo oltre 100 pubblicazioni dedicate alla filosofia ermeneutica, alla filosofia della religione ed allo studio del fenomeno religioso. I 4 volumi degli Scripta Hermeneutica, ordinati per tematiche: ermeneutica veritativa, filosofia pratica, religione e teologia, interpretazioni storiche, si articoleranno in modo da comporre un quadro organico del pensiero dell’Autore, suggerendo le ricche potenzialità dell’«ermeneutica veritativa».
Cristiana Freni è docente stabilizzata nella cattedra di Filosofia del Linguaggio della Facoltà di Filosofia, e nella cattedra di Estetica presso l’Università Pontificia Salesiana (UPS). Visiting Professor per le cattedre di Antropologia Sistematica e Antropologia Empirica presso l’Accademia Alfonsiana, Istituto Superiore di Teologia morale, della Pontificia Università Lateranense. Visiting Professor di Antropologia filosofica presso la Scuola Internazionale di Medicina Omeopatica Hanemanniana. Membro direttivo di diverse riviste scientifiche, fa parte di molte associazioni culturali con cui collabora per la programmazione e la realizzazione di iniziative a sfondo nazionale ed internazionale. Ha al suo attivo svariati studi.
Pochi anni separano Edith Stein, allieva e poi “collega” di Edmund Husserl, da Suor Teresa Benedetta della Croce. In apparenza un salto da un estremo all’altro. Da una parte la filosofa atea legata alla Fenomenologia, dall’altra la religiosa che Giovanni Paolo II volle rendere santa e “copatrona” d’Europa. Ma nell’evoluzione di Edith Stein i cambi di casacca, dalla grisaglia universitaria nella Gottinga dei primi del Novecento alla tonaca del convento delle Carmelitane, non sono simboli di tradimento intellettuale. La sua vita è invece un affascinante viaggio in una delle menti più brillanti della storia della filosofia, la cui esistenza fu interrotta tragicamente quando – per le origini ebraiche mai abbracciate dal punto di vista di fede ma mai neanche rinnegate – fu arrestata dai nazisti, che lei avversava. Per Edith si spalancarono i cancelli di Auschwitz. In questa opera si cammina lungo il vero filo rosso che ha unito tutti i momenti salienti della vita di Edith Stein: l’empatia, che per lei è stata all’inizio un moto spontaneo di pietas umana nei confronti del prossimo – ha servito anche da infermiera volontaria – e poi uno strumento di indagine sulla realtà. Del concetto stesso di empatia è stata la prima e più importante teorizzatrice. Cos’è la conoscenza per Edith, e cosa l’educazione? Attraverso i suoi occhi – al contempo fervidamente compassionevoli e freddamente razionali – conosceremo la risposta. Per accorgersi che, da filosofa a suora, da atea a santa, Edith ha voluto percorrere sempre e solo un sentiero: quello della Verità.
Antonio Quaglietta è un counselor, coach e formatore italiano. È nato a Potenza il 27 gennaio del 1973, dove tuttora vive con la moglie Francesca e i due figli Martina e Stefano. Laureato in Scienze politiche indirizzo sociologico, Scienze e tecniche psicologiche e Psicologia. Dal 2000 si occupa di Formazione nell’ambito dell’evoluzione personale e dell’empowerment con taglio umanistico esperienziale. Ha lavorato con singoli, gruppi, organizzazioni, aziende e istituzioni, sintetizzando una propria metodologia, il Counseling Strategico Relazionale, nata dalla proficua ibridazione dei diversi modelli da lui applicati e insegnati negli anni. Nel 2013 ha fondato l’Accademia Italiana di Counseling Strategico Relazionale di cui tuttora è il direttore.