Attraverso la saga familiare dei Medici, Tim Parks ripercorre la storia modernissima e affascinante del Quattrocento italiano.
«È un libro sugli albori dell'Umanesimo e della mentalità moderna, sulla nascita di una serie di valori non necessariamente religiosi: una cosa che fino al Medioevo pareva impensabile»
I banchieri della famiglia Medici vissero nel solco di un'era di grandi innovazioni e di sommosse popolari, in una penisola frammentata e contesa dallo Stato pontificio e dal Sacro romano impero. La loro fortuna comincia nel 1397, quando Giovanni di Bicci, insieme ad alcuni soci, fonda una piccola banca a Firenze. Un'impresa remunerativa ma carica di rischi, compresa la condanna della Chiesa per usura. Per cinquant'anni un'accorta gestione e una sofisticata organizzazione societaria, sostenute da un'abile strategia politica e propagandistica, consentono ai Medici di espandersi in tutta Europa, in un'irresistibile ascesa al potere che li porterà a trasformarsi da facoltosi banchieri in politici influenti, e infine in signori incontrastati di una Firenze sempre meno repubblicana. La saga familiare di cinque generazioni di Medici e della loro banca - la sua ascesa e il suo lungo declino - consente a Tim Parks di ripercorrere con l'occhio del romanziere la storia modernissima e affascinante del Quattrocento italiano, dal nascente sistema finanziario continentale ai fasti dell'arte toscana del primo Rinascimento. Ma è anche una storia che spiega come questa famiglia abbia influenzato il nostro modo di percepire il rapporto tra la cultura alta e il denaro, nonché il nostro radicato atteggiamento di sospetto nei confronti della finanza internazionale e dei suoi legami con la religione e la politica.
Ancora oggi l’evento Auschwitz si presenta come un fatto storico tutt’altro che chiarito, permane infatti una zona d’ombra che sfugge costantemente alla presa.
Così, nonostante le molte parole dette e scritte, attorno a esso permane un silenzio che pare allontanare la sua comprensione. È un silenzio carico di molti significati, perché è popolato in realtà da molteplici silenzi che hanno diversa natura. Sono silenzi che riguardano la presunta indicibilità di quell’evento, ma sono anche silenzi di reticenza o di mancata elaborazione, nascondono complicità inconfessabili o la semplice necessità dell’oblio, ma a volte sono anche generati da un eccesso di retorica. Su tutti, spicca il silenzio dei sopravvissuti, che nella maggioranza
dei casi non hanno raccontato nulla o quasi. Ma ancora di più il silenzio di quei testimoni che a un certo punto del loro racconto devono interrompersi perché le parole non bastano più. Lì forse affiora in modo più concreto e vivido la realtà di quella tragedia, e lì forse andrebbe concentrata di più l’attenzione. Il silenzio, però, è anche la cifra che regola il pudore della parola, perché parlando di e su Auschwitz si rischia spesso di eccedere in un senso o in un altro, in
un mutismo sacralizzante o in una cerimoniosa bulimia verbale, mentre sarebbe essenziale trovare gli spazi e i tempi opportuni affinché le parole non perdano di senso e non banalizzino.
Un'efficace storia complessiva dell'Olocausto, dalle prime forme di discriminazione alla Soluzione finale, che combina in modo originale le testimonianze di sopravvissuti, assassini e colpevoli con le ricerche storiografiche piú recenti. Un'opera di riferimento e un best seller internazionale.
«Chiunque desideri una spiegazione convincente e di grande leggibilità su come e perché abbia potuto verificarsi l'Olocausto non deve far altro che leggere questo splendido libro».
Ian Kershaw
«Di gran lunga il libro piú chiaro mai scritto sull'Olocausto, e anche quello che meglio ne spiega sia le origini e la grottesca mentalità, sia il suo frenetico sviluppo».
Antony Beevor
Quali furono le ragioni per cui i nazisti decisero di sterminare un intero popolo? Perché fecero prigionieri milioni di uomini, donne e bambini e li mandarono nelle camere a gas, li fucilarono, li lasciarono morire di fame, li percossero fino ad ammazzarli? Dove si colloca il genocidio tra gli altri orrori di cui furono responsabili i nazisti? Questo libro è una nuova storia dell'Olocausto per tre ragioni. Innanzitutto, Rees ha scritto un racconto coinvolgente che si avvale di una gran quantità di testimonianze inedite, raccolte nell'arco di venticinque anni di ricerche. In secondo luogo, tali interviste vengono inserite nel contesto di un'analisi del processo decisionale dello Stato nazista, mettendo cosí in evidenza l'escalation di eventi che, accumulandosi, hanno generato l'orrore. Infine, l'autore ha avvicinato molti fra coloro che perpetrarono i crimini e sostiene che, sebbene l'odio per gli ebrei restò sempre al centro del pensiero nazista, ciò che è accaduto non può essere completamente compreso senza considerare accanto allo sterminio degli ebrei i piani messi in atto per uccidere milioni di non ebrei, inclusi omosessuali, zingari e disabili. Un'analisi convincente sul piú abominevole crimine della storia, che si avvale di una narrazione cronologica di grande leggibilità, ed è ugualmente attento ai documenti del tempo, alle testimonianze oculari e agli studi piú recenti.
La Summa contra hereticos (XIII secolo) è uno dei testi più noti e citati tra quelli della produzione antiereticale e, nello specifico, anticatara del basso medioevo. La complessa tradizione manoscritta, finora poco nota, attesta una diffusione europea per quest’opera, la cui circolazione è stata determinata dall’utilizzo del testo in ambienti conventuali. La storiografia precedente ne ha messo in luce l’approccio originale per la conoscenza del catarismo particolarmente in riferimento ai contestuali giudizi relativi alla moralità ereticale senza approfondirne, tuttavia, gli aspetti di produzione e fruizione specifici di un trattato operativo di matrice scolastica.
Viene proposta ora un’edizione critica commentata, a lungo attesa dalla comunità scientifica internazionale, con le caratteristiche di un’opera pensata e organizzata quale strumento funzionale tanto all’approfondimento dello sviluppo dottrinale del catarismo nel XIII secolo quanto alla collazione tra fonti di medesimo ambito. Gli specifici e paralleli risultati di ricerca a cui i curatori sono pervenuti consentono di guardare alla Summa non come semplice contenitore di informazioni – peraltro erroneamente considerate, da una certa pretesa decostruzionista, delle mere invenzioni prodotte dai polemisti – ma come un’opera organica e tipica di un’esigenza ecclesiologica comune a un’intera generazione di autori controversisti.
Dopo settant’anni il nome di Aldo Gastaldi (Genova 17 settembre 1921 – Desenzano del Garda 21 maggio 1945) continua a risuonare nella memoria di chi ha preso parte alla lotta di liberazione.
Sottotenente del 15° Reggimento Genio, a pochi giorni dall’armistizio sale in montagna e nel giro di pochi mesi, con il nome di “Bisagno”, diventa il comandante più amato della Resistenza in Liguria.
Gastaldi interpreta il ruolo non come potere, ma come servizio: è il primo a esporsi ai pericoli e l’ultimo a mangiare, riserva a se stesso i turni di guardia più pesanti. Si conquista così l’amore e la stima degli uomini e delle popolazioni contadine, senza il cui sostegno la lotta partigiana sarebbe stata impossibile.
Cattolico, apartitico, con un carisma straordinario, si oppone con decisione a ogni tentativo di politicizzazione della Resistenza. È ricordato come “primo partigiano d’Italia”. La sua statura umana e cristiana ha segnato la vita di molti compagni.
I saggi raccolti in questo volume hanno un’ispirazione comune: cercano di ricostruire le mentalità sociali e religiose dell’Ottocento. Gli scritti raccolti nella prima parte ruotano attorno al tema centrale della questione romana, che ha assunto nel XIX secolo un’importanza centrale e permette di mettere in luce il modo di credere, gli atteggiamenti mentali, la psicologia religiosa, la sensibilità di prelati e fedeli negli anni del pontificato di Pio IX. La costante proposta della meditazione della morte, ad ammonimento dei peccatori e dei nemici della Chiesa, l’annuncio o la costatazione dei castighi riservati da Dio agli usurpatori del potere temporale, già in questo mondo e soprattutto nell’aldilà, la lettura provvidenzialistica di avvenimenti politici e di eventi naturali alla ricerca del prossimo trionfo del papa perseguitato sono motivi che si presentano costantemente nei discorsi e negli scritti di Pio IX, sulla «Civiltà Cattolica», nella predicazione, negli almanacchi popolari. Nella seconda parte si delineano i modelli femminili dell’Ottocento, con una incursione nel Seicento, analizzati con lo sguardo e il giudizio di Alessandro Manzoni. Si sottolineano stereotipi e modelli antichi, che si ripropongono in chiave religiosa e civile e che senza alcuna incrinatura sottolineano la necessaria sottomissione della donna. L’atteg­gia­mento evidenzia un’altra reazione di fronte a un aspetto centrale della società moderna, considerato demoniaco. C’è un forte parallelismo infatti tra il richiamo all’obbedienza e alla sottomissione rivolto alla donna e l’atteggiamento, assai simile, richiesto ai fedeli dalla gerarchia ecclesiastica. Quando alla fine dell’Ottocento e nel primo Novecento si può riscontrare un’evoluzione, questa riguarda sia la Chiesa che la società e, quindi, anche il modello femminile.
Sono trascorsi quarant'anni dall'uccisione di Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse, ma la sua immagine nelle polaroid scattate durante la prigionia all'interno del «carcere del popolo» resta impressa nella memoria individuale e collettiva.
Quelle due fotografie, più una terza, quella del suo corpo acciambellato nel baule della R4, non erano mai state lette in profondità. L'attenzione si era sempre concentrata sulle vicende oscure del sequestro e della prigionia, sulle lettere e sull'esecuzione del leader democristiano. In questa nuova edizione del libro, che è anche un racconto, Marco Belpoliti analizza l'uso delle immagini compiuto dalle Brigate Rosse durante gli anni di piombo, rilegge le foto di Moro attraverso l'opera di autori come Andy Warhol, Marshall McLuhan, Pier Paolo Pasolini, John Berger, e interpreta quegli scatti come il segno di un cambiamento in corso negli anni Settanta nell'utilizzo del corpo da parte degli uomini politici. Moro appare come l'ultimo esempio del passato, mentre il corpo stava divenendo lo strumento principale della comunicazione politica. Fotografandolo come un re deposto, i brigatisti hanno umanizzato Aldo Moro, così che la sua immagine continua a interrogarci ancora oggi sul potere, sul terrorismo e sull'idea di un'utopia politica realizzata con il sangue.
Gennaio 1848. Per protestare contro l’amministrazione austriaca, i milanesi presero un’iniziativa a dir poco sorprendente: decisero di non fumare più. L’obiettivo era chiaro: colpire le entrate erariali provenienti dalla tassa sul tabacco. Nel mese di febbraio, il dissenso raggiunse il palco della Scala: la popolarissima ballerina austriaca Fanny Elssler venne subissata di fischi appena entrata in scena e abbandonò il teatro.
Furono queste le prime avvisaglie dei movimenti che si trasformarono di lì a poche settimane nelle Cinque giornate di Milano. Fra il 18 e il 22 marzo per la prima volta il popolo, la borghesia e la nobiltà combatterono insieme, e furono il massimo esempio di rivoluzione nel segno dell’egalitarismo: non ci furono capi preordinati, ogni strada, ogni quartiere decideva al proprio interno qual era la risoluzione migliore da prendere per scrollarsi di dosso quella che veniva considerata da tutti un’occupazione nemica.
Tra amori extraconiugali, intrighi e voltafaccia, divampa l’epopea delle lotte, delle barricate, dei professori che guidavano l’assalto dei propri studenti, delle alabarde della Scala trasformate in armi, mentre l’odiatissimo feldmaresciallo Radetzky era asserragliato nel Castello Sforzesco. Fino alla ritirata austriaca, che diede spinta alle speranze di tutta la penisola.
In un racconto emozionante e ricco di aneddoti inediti, seguiamo le gesta di uomini e donne che dando vita alla rivolta meneghina segnarono l’inizio del Risorgimento italiano.
«Pochi minuti prima, gli uomini nella stanza erano nove. Tra loro, neanche un tedesco: è una faccenda tutta tra italiani. Perché in quella stanza, a colpi di sibilate nervose, di silenzi e di svelamenti veri o presunti, si è appena consumata una trattativa. O qualcosa del genere. Si sono fronteggiate due diverse idee di Italia: una, quella fascista, che sta irrimediabilmente franando; l’altra che pare avere la vittoria in pugno. Perché, tra ordini di conferma e voci di disdetta, tutti sanno che è l’ora della resa dei conti. Siamo a Milano, alla fine della giornata che segna l’alba di una nuova Italia: sono le 19 e qualche minuto del 25 aprile 1945.»
Questa è la storia di tre vite che si intrecciano indissolubilmente. Una storia di clandestinità, di estenuanti bracci di ferro e di colpi di mano. Di tre uomini che, combattendo contro i nazifascisti, il 25 aprile 1945 provano a rifare un paese da capo. Raffaele Cadorna, Ferruccio Parri e Luigi Longo sono nati a pochi chilometri e a pochi anni l’uno dall’altro, con retroterra differenti, biografie politiche e culturali diversissime, eppure con un destino comune. Pochi ricordano i loro nomi di battaglia: il generale Valenti, comandante del Corpo volontari della libertà, e i suoi due vice, Maurizio e Italo, alias comandante Gallo. Un militare, un azionista e un comunista che il 26 agosto del 1944 si incontrano per la prima volta, in clandestinità, e si stringono la mano. Senza sapere cosa succederà nei mesi successivi, senza sapere dove saranno e se ci saranno, alla fine di tutto, otto mesi dopo. E chiedendosi chi di loro sarà ai posti di comando, al momento dell’insurrezione. Sono ore che segnano una delle rotture più profonde della storia italiana, quelle in cui i vertici della lotta di liberazione si incontrano con i gerarchi di Salò in Arcivescovado, a Milano. Tutto intorno alla trattativa divampa l’insurrezione, mentre alla radio si sente una voce calma e determinata che intima ai fascisti: «Arrendersi o perire».
Daniel Mendelsohn da bambino restava seduto per ore ad ascoltare i racconti del nonno. Erano storie di un tempo lontano e quasi magico, di un piccolo villaggio della Polonia, Bolechow, in cui la vita scorreva felice. C'era però un punto in cui la voce del nonno si rompeva, oltre il quale non riusciva ad andare, come volesse nascondere un segreto troppo doloroso. Che ne era stato durante l'Olocausto del fratello Shmiel, della moglie e delle loro quattro bellissime figlie? Molti anni dopo Daniel scopre una serie di lettere disperate che il prozio Shmiel aveva indirizzato al nonno. Quelle lettere custodiscono frammenti del passato di una generazione perseguitata e cancellata per sempre, che in queste pagine ritorna a vivere davanti ai nostri occhi.
Dopo l’autobiografia intellettuale e politica di Credere, tradire, vivere, Galli della Loggia propone qui il nucleo forte della sua riflessione storiografica.
«… la nostra storia, che fino a non molto tempo fa avevamo il diritto di considerare tutto sommato felice, sembra per mille segni essere giunta invece a un presente (che ormai dura da anni) carico di incognite e di presagi che, sempre di più, felici non appaiono per nulla… Ci serve un’altra storia per tornare ad abitare il futuro»
un contributo a ripensare l’intero corso della nostra storia che l’approdo odierno, così intriso di senso di fallimento e di sconfitta, obbliga a ripercorrere. Ne emerge il viluppo di contraddizioni che l’Italia unita si porta dietro dall’inizio, cioè da quella «vera e propria cellula germinale» che fu il Risorgimento. Ad esso risalgono infatti non solo tratti strutturali del Paese come il divario Nord-Sud, ma anche caratteri del suo sistema politico come l’assenza di un partito conservatore, l’avversione per il costituzionalismo liberale, una «ideologia italiana» fatta di enfasi sul ruolo degli intellettuali, di populismo e di moralismo, che nutre di fatto tutte le pur diverse culture politiche del nostro Novecento.
Frutto di un decennio di ricerche, il libro ricostruisce per la prima volta integralmente l’itinerario biografico e intellettuale del filosofo e storico delle idee Isaiah Berlin (1909-1997) e svela, grazie anche a fonti inedite, l’importanza che vi ebbero gli eventi e i confronti con alcune tra le maggiori personalità del Novecento: da Weizmann a Ben-Gurion, da Churchill a Thatcher, da T.S. Eliot a Wittgenstein. Emergono così l’attenzione verso la dimensione dell’appartenenza e l’impegno sionista, la critica ai nazionalismi aggressivi e l’interesse per il pluralismo culturale, che rendono ancora attuale la proposta filosofica berliniana. La rilettura finale delle riflessioni di Berlin sul liberalismo e sul pluralismo fa dell’opera una rigorosa, ma accessibile, introduzione al suo pensiero.