Ci serve davvero l'Europa? Non staremo perdendo tempo ed energie dietro a un'idea ormai superata? Quella di oggi è la terra dei diritti immaginata a Ventotene? Mentre l'Unione è sotto attacco da più parti, accusata di essere una matrigna distante dai problemi reali dei cittadini, Emma Bonino e Pier Virgilio Dastoli, protagonisti indiscussi del progetto europeista, scelgono di intraprendere un viaggio nella memoria personale e collettiva che ci riguarda tutti da vicino. Ripercorrono lotte e progressi, sconfitte e conquiste, recuperano le tracce delle esistenze e delle aspirazioni di tante donne e tanti uomini che si sono battuti per costruire e difendere questo ideale. Invitano a prendere coscienza di quanto ancora resta da fare, senza però commettere l'errore di dimenticare, o peggio di gettare via, l'enorme lavoro svolto finora. Il risultato è un dialogo serrato e coinvolgente, stimolato dalle ricostruzioni di Luca Cambi, in cui si dà conto delle innumerevoli tappe di questo processo, si ravviva il dibattito sulle nuove sfide che ci attendono, e si offre il ritratto appassionato e avvincente di Altiero Spinelli, vero padre fondatore capace di intuire e ispirare con lungimiranza, in un continente lacerato dalla guerra, quei principi di fratellanza, pace e libertà a cui ancora oggi dobbiamo tendere. Prefazione di Corrado Augias. Postfazione di Romano Prodi.
Prona al volere dello spietato dominatore o grembo materno di cui l'essere umano non è che uno dei figli: qual è il vero volto della natura? E gli sconvolgimenti che stiamo vivendo rappresentano una seconda cacciata dal Paradiso o possono essere un'occasione per liberarci da ideologie e falsi miti che ci hanno condotti alla situazione attuale? Tra scienza e filosofia, Philipp Blom risale alle origini delle grandi narrazioni e creazioni artistiche che hanno modellato la nostra visione del mondo, mostrando come «ogni volta che distinguiamo tra cultura e natura, economia ed ecologia, ogni volta che la virtù sembra coincidere magicamente con il proprio tornaconto e i privilegi appaiono giustificabili è all'opera un pensiero di matrice teologica». Dalla convinzione che esistano gerarchie naturali sono scaturite infatti forme sempre nuove di sottomissione: dell'uomo sulla donna, di una nazione sulle altre, della cultura occidentale su immaginari e tradizioni differenti. Se gli illuministi hanno elevato il dominio a vocazione suprema del genere umano, tanto il capitalismo quanto il comunismo hanno dichiarato guerra alla natura, confondendo la sopraffazione con la ragion di Stato. Ripercorrendo gli snodi fondamentali che hanno segnato il nostro rapporto con il pianeta, Philipp Blom rimette in questione riti e rappresentazioni simboliche, dalle pitture rupestri ai dipinti di William Turner, dalle temerarie interpretazioni del volo di Icaro alle rivoluzionarie intuizioni di Alexander von Humboldt. In questa indagine universale sulle tracce di un'idea, l'invito ad andare oltre il catastrofismo e a usare l'immaginazione per «rendere il mondo nuovamente abitabile, anche in senso filosofico».
«Sii te stesso» è il mantra della contemporaneità, il comandamento che domina incontrastato nella nostra epoca. L'etica dell'autenticità è dilagata nei consumi, nella politica, nella sessualità, nel rapporto con la famiglia, il lavoro e la religione, persino nel turismo, nel cibo, nella moda e nella cosmesi. Essere se stessi non è più un dovere morale, ma un diritto, un valore di culto, la maggiore aspirazione nella «modernità democratica». L'autenticità sembra essere il rimedio a tutti i nostri mali, ma può davvero plasmare il destino dell'umanità? Nel descrivere l'evoluzione di questa ideologia dall'Illuminismo ai giorni nostri, il filosofo e sociologo francese Gilles Lipovetsky indaga gli effetti antropologici scaturiti dall'imperativo di essere se stessi e ripercorre le tappe della sua secolare odissea - la fase eroica, dalla seconda metà del xviii secolo agli anni cinquanta, libertaria, negli anni sessanta e settanta, fino a quella iperbolica attuale, in cui l'autenticità è generalizzata e normalizzata, simbolo e strumento di una rivoluzione che l'ha vista trasformarsi in un feticcio. Spogliata dell'aura filosofica e intellettuale di cui pensatori come Rousseau, Kierkegaard, Nietzsche e Sartre l'avevano ammantata, addirittura rinnegata dalla cancel culture e dall'ondata woke, nella vita quotidiana, avida di identità e realizzazione personale, non incontra più ostacoli. Ma per conservare la sua legittimità deve forse smettere di presentarsi come un modello esclusivo, da applicare a priori, perché «ciò che è autentico non è necessariamente buono, e l'inautentico non è necessariamente da scartare».
«Ma in che mondo viviamo? Abbiamo perso il senso del presente e non riusciamo più ad avere una visione generale della realtà. È come se fossimo sotto una cappa. Ne avverti il peso, anche se non ha fattezze e non ha confini, è ineffabile e avvolgente. La Cappa occulta la bellezza, la grandezza, il simbolo, il mito, il sacro, il mondo reale». Proseguendo nella sua indagine sulle radici del nostro vivere, Marcello Veneziani si interroga sulla scomparsa della realtà, della tradizione, della natura. Ci invita a prendere coscienza di un'adesione automatica al canone dominante, tra divieti, obblighi e cancellazioni veicolati da media e poteri. «Tutto perde contorno, consistenza, memoria e visione», scrive l'autore. «I sessi sconfinano e mutano, le differenze scolorano e si uniformano, la natura è abolita, la realtà è revocata; la nuova inquisizione censura e corregge, il regime di sorveglianza globale traccia e controlla la vita tramite l'emergenza e la priorità assoluta della salute, domina il vivere a ogni costo. Ma anche il passato sparisce, tramonta ogni civiltà; svaniscono i luoghi, compresi quelli di lavoro, in una società delocalizzata, senza territorio. La schiavitù prosegue a domicilio, con l'home working. Perdendo il mondo ripieghi su te stesso, in un selfie permanente; la Cappa favorisce il narcisismo solitario e patologico di massa». Un excursus ragionato tra le follie odierne e i tabù vigenti, un serrato esercizio di critica per vivere il presente e non subirlo. Con il proposito finale di tentare un nuovo assalto al cielo per liberarlo dalla Cappa.
Fino agli anni ottanta del secolo scorso, il ruolo del presidente della Repubblica era perlopiù simbolico. Quando il modello della democrazia rappresentativa entra in crisi, con la fine della Prima Repubblica e il tramonto dei partiti che ne hanno animato la scena, per rispondere al vuoto istituzionale, l'azione della più alta carica dello Stato cambia decisamente passo. Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella si sono sentiti costretti ad allargare le prerogative loro assegnate dalla Carta costituzionale, imponendosi di restare il più possibile arbitri neutrali, ma ritrovandosi spesso a vestire i panni di «soggetti governanti» e usando, magari con iniziale riluttanza, poteri di direzione politica molto intensi. Spesso soli e sotto assedio diventano di fatto dei «capi senza Stato». Tutti e cinque hanno provato - ciascuno secondo il proprio stile, formazione, identità culturale e temperamento - almeno a ridurre il danno che cresceva in un parallelo conflitto, alimentato dagli intrighi, dalle ipocrisie e dalle resistenze di un vecchio mondo che arretrava e dai fermenti populisti di nuovi soggetti politici che si facevano largo, anticipando una svolta profonda nella società. Da una patologia all'altra, è nata così una Seconda Repubblica sfociata poi in un ibrido che - nell'ipotesi di una futuribile vasta riforma costituzionale - potrà forse domani diventare una Terza Repubblica.
La fine del nostro pianeta è davvero imminente? Sul serio moriranno «miliardi di persone» a causa del cambiamento climatico? Prosperità economica e difesa dell'ambiente sono giocoforza incompatibili? E se invece agitarsi tanto attorno a questi temi fosse in parte la manifestazione di un bisogno di trovare un ruolo e una causa semplice a cui aggrapparsi per dare un senso a un mondo dominato dal caos? Da anni tra i maggiori sostenitori di un approccio pragmatico ai problemi ambientali, Michael Shellenberger sconfessa falsità e danni di una delle più diffuse ideologie dei nostri tempi. La principale conseguenza della disinformazione diffusa è di aver reso difficile - se non impossibile - un dibattito serio e articolato: aver ammantato di fatalismo ogni discussione su uno sfruttamento più intelligente delle risorse naturali fa sì che qualsiasi proposta che non implichi «decrescite felici» e «sviluppi sostenibili» venga rigettata a priori. Come uscire da questa impasse? Shellenberger tenta di rimettere ordine tra le varie posizioni e, con argomenti e soluzioni pragmatiche in grado di smentire ideologie e visioni romantiche dell'ambiente, prospetta una visione totalmente alternativa a quella imperante. Analizzando gli stereotipi più diffusi (dalla pericolosità delle centrali nucleari agli incendi in Amazzonia, dall'inquinamento degli allevamenti intensivi fino alla presunta rivoluzione dell'energia solare), l'autore analizza errori e orrori della nuova religione ecologista, tanto più pericolosa perché capace di offrire facili promesse di redenzione, e mette in guardia il lettore da chi, di fronte a sfide epocali, offre soluzioni semplicistiche a problemi complessi.
Basta un niente: una canzone di cinquant'anni fa, un film ambientato a metà dell'Ottocento, una battuta di oggi - eccola che arriva, l'indignazione di giornata, passatempo mondiale, monopolizzatrice delle conversazioni e degli umori. Ogni mattina l'essere umano contemporaneo si sveglia e sa che, al mercato degli scandali passeggeri, troverà un offeso fresco di giornata, una nuova angolazione filosofica del diritto alla suscettibilità, un Robespierre della settimana. La morte del contesto, il prepotente feticismo della fragilità, per cui «poverino» è diventato l'unico approccio concesso, e l'epistemologia identitaria, per cui l'appartenenza prevale su qualunque curriculum di studioso, sono solo alcuni tra i fenomeni più evidenti e dirompenti degli ultimi anni, con effetti pericolosi e grotteschi che in altri secoli erano occasionale damnatio memoriae e ora sono quotidiana cancel culture. Guia Soncini si interroga sulle origini di quest'eterno presente in cui tutto ciò che non ci rispecchia alla perfezione sembra una violazione della nostra identità. Ricorda le opere che avevano previsto la dittatura del perbenismo, dal solito Orwell al romanzo di Philip Roth La macchia umana, «la matrice di tutti i disastri d'incomprensione e suscettibilità»; contesta il ruolo dei social come amplificatori di dissenso e indignazione; individua alcune preoccupanti implicazioni politiche: se a sinistra si perde la capacità di non considerare la fine del mondo ogni parola sbagliata, che ne sarà della libertà d'espressione? Rimarrà solo alla destra lo spazio per dire di tutto, e non passare le giornate a sentirsi feriti da ogni maleducazione? È ora di ricostruire come siamo arrivati fin qui. Al diritto di offenderci, al dovere di indignarci.
All'inizio del 2020 pare che solo 570 mila italiani lavorassero in smart working. Ai primi di marzo, con l'isolamento imposto dal Covid-19, sono improvvisamente diventati 8 milioni. Che cosa è successo nel frattempo, e che cosa avverrà in futuro? Quali sono i motivi che finora hanno impedito il diffondersi di una modalità di lavoro più produttiva, ecologica, meno costosa e stressante? E come cambierà, sul lungo periodo, la nostra routine quotidiana finora scandita dall'alternanza tra ufficio e tempo libero? Per rispondere a queste domande urgenti e radicali Domenico De Masi, il maggiore studioso e teorico italiano dello smart working, ha messo a frutto quarant'anni di esperienze e ricerche nel settore e, durante i mesi del lockdown, ha coordinato un'indagine a tutto campo, giungendo alla conclusione che quello in atto sia solo l'inizio di un processo che vedrà rivoluzionato non solo il tempo e il luogo del lavoro, ma il suo significato, il suo contenuto e il suo ruolo. Con il contributo di imprenditori, manager, accademici e ricercatori, ripercorrendo il cammino che ha portato dalla bottega rinascimentale alla rivoluzione digitale, De Masi restituisce un'immagine aggiornata della realtà quotidiana di milioni di lavoratori, e offre gli strumenti per capire quanto dovrà fare l'Italia per adeguarsi ai tempi che evolvono. Con i contributi di Pietro Abate, Marco Bentivogli, Federico Butera, Francesco Caio, Luca De Biase, Giordano Fatali, Donata Francescato, Umberto Romagnoli, Elisabetta Romano, Chiara Saraceno, Luisa Todini.
«Mi considero un esploratore alla ricerca delle sorgenti del sogno». Così Vittorino Andreoli si avventura in un'impresa affascinante quanto stimolante: un viaggio alla scoperta delle origini di un'esperienza da sempre al centro delle riflessioni umane. Se fin dall'antichità la dimensione onirica ha sedotto e allo stesso tempo spaventato, come porta d'ingresso a una dimensione spirituale e misteriosa, con l'affermazione della psicoanalisi il sogno è diventato il mezzo fondamentale per accedere all'inconscio, rivelare le nostre pulsioni e scoprire i traumi subiti e celati. Evidenziando ciò che lega il sogno alla memoria, al meccanismo difensivo dell'oblio e ai desideri, alla coscienza e al vissuto personale, l'autore ne fornisce un'interpretazione originale sulle tracce delle intuizioni di Freud ma indicandone gli errori o quanto delle sue teorie può ritenersi superato. Soprattutto, spiega lo psichiatra, non bisogna considerare quella tra mondo reale e mondo onirico una relazione a senso unico. L'esplorazione di Andreoli arriva infine a porsi una domanda fondamentale per il futuro dell'uomo: con il prevalere di un mondo virtuale globalizzato e di massa, corriamo il rischio che questo sommerga, o peggio cancelli, la funzione immaginativa del cervello?
«Il coraggio della politica è il coraggio delle scelte, di rivendicare un futuro che non è scontato, ma dipende da noi. È giunto il momento dei contenuti, non dei pregiudizi. È urgente discutere di idee e progetti». Abituato a sparigliare le carte con mosse come quella che ha scongiurato i «pieni poteri» a Matteo Salvini e portato alla formazione di un nuovo governo, Matteo Renzi ha sempre rivendicato una netta distinzione politica, opponendosi al sovranismo e al populismo che hanno ormai mostrato tutti i loro limiti. L'Italia di oggi, davanti a un bivio, necessita di analisi e iniziative da mettere in campo in un contesto europeo e mondiale tutto da ridefinire. Consapevole che la politica non può limitarsi al corto respiro della tattica, ma deve costruire una sequenza di azioni coordinate, Renzi presenta una strategia di medio e lungo periodo sul piano economico, istituzionale e sociale per riscrivere insieme le regole della convivenza democratica e fondare una nuova idea di comunità. In un autentico manifesto programmatico, mette a fuoco i cantieri da cui è urgente ripartire: un'Europa dei popoli, non dei burocrati; lavoro e innovazione, una riforma della giustizia e dello Stato, per semplificare i meccanismi farraginosi che ostacolano un'azione agile e tempestiva; un'istruzione e una sanità completamente ripensate nel loro impianto, valori condivisi e non negoziabili, un'inedita declinazione del genio italico. Un atto di fiducia, uno slancio vitale rivolto a tutti, e in particolare ai giovani: «Ho avuto l'onore di servire il mio paese ai più alti livelli. Adesso voglio aiutare questi ragazzi a cambiare il mondo».
Che cosa si nasconde dietro la vicenda di un oscuro liutaio del Settecento emigrato in cerca di fortuna dalla Baviera alle terre dell'odierno Nord Italia? Quali imprevedibili sviluppi può generare per uno storico il tentativo di risolvere l'enigma di un violino? Come si intreccia uno sguardo su una realtà tanto lontana con le osservazioni sul nostro presente di cittadini europei? Punto di partenza di Philipp Blom è la cittadina di Füssen, in Algovia, ai piedi delle Alpi. Apparentemente è un anonimo borgo, ma qui si sono formati per secoli centinaia di liutai attivi da Parigi a Praga, da Londra a Napoli, che hanno segnato la fabbricazione e il commercio dei violini. Mescolando conoscenza e intuito, grandi eventi e microstoria, seguendo i flussi degli uomini e le rotte delle merci, la ricerca di Blom si snoda lungo varie direttrici: una più ampia e prettamente storica, dalla Guerra dei Trent'anni ai giorni nostri, e una connessa all'evoluzione del gusto musicale, tra Mozart, Beethoven, Vivaldi e le raffinate tecniche delle migliori botteghe artigiane; una più personale, ispirata dal viaggio in Italia di Goethe e in grado di restituire il fermento che all'epoca animava il Vecchio Continente, da Vienna e Venezia. Nel descrivere la parabola di un centro fiorente nell'Europa di più di tre secoli fa, Blom suggerisce che anche fama e prestigio possono nascere dalla necessità, come per i liutai di Füssen diventati tali per far fronte all'infertilità dei terreni nelle aree alpine. Allo stesso modo, la spinta a spostarsi può essere determinata da un cambiamento climatico, da una catastrofe ambientale o da una curiosità vitale, elementi che in ogni tempo influenzano l'esistenza degli individui.
Come si può continuare a vivere quando con l'età, i fallimenti e le delusioni si è persa la speranza in tutto ciò che in passato dava un senso alle proprie giornate: idee politiche, relazioni umane, l'esattezza rassicurante della scienza, Dio? È venuta meno la speranza che le cose possano durare ed è venuta meno anche la speranza che le cose possano cambiare. Ma dopo la speranze finiranno anche le disperazioni. Con sguardo lucido e disincantato, Marcello Veneziani propone al lettore un manuale di consolazione per reagire al declino e far nascere la fiducia dalla disperazione. Si interroga sul mondo, sul tempo, sulla politica, sull'età che avanza, rivolge una lettera a un ragazzo del duemila e una postilla a un bambino neonato. E suggerisce un quadrifarmaco per affrontare un tempo che non ci piace, curare il pessimismo, ripararsi dal potere e finire in bellezza. Un libretto d'istruzioni per smontare e rimontare la vita, accettarla ma non subirla. Cosa mettere in salvo, prima che faccia notte, sapendo che il mondo non inizia e non finisce con noi.
Lo psichiatra che più di tutti ha esplorato e descritto le contraddizioni del mondo moderno affronta una nuova sfida: un «viaggio immaginario nella testa di Freud». Vittorino Andreoli ci riporta nella Vienna di fine Ottocento, per poi attraversare il Novecento e arrivare ai giorni nostri, alla ricerca delle radici di concetti e riflessioni che hanno profondamente influenzato il nostro modo di guardare alla storia dell'uomo e del suo comportamento. Con il tono della divulgazione scientifica, le vicende del padre della psicoanalisi vengono ripercorse in sette tappe: dai fondamenti della teoria - psiche, sessualità, inconscio, rimozione, complesso di Edipo, libere associazioni -, ai pilastri della tecnica psicoanalitica, dai sogni ai casi specifici, dal transfert alle critiche, iniziali e più recenti, fino al rapporto con la psichiatria e al tentativo di individuare quel che resta della sua eredità e cosa invece si può serenamente abbandonare. Nella consapevolezza che, per quanto il risultato dell'indagine porti a dubbi fondati, si tratta di una figura cardine della cultura moderna: «Non so quante guarigioni si possano attribuire alla psicoanalisi freudiana, non so se Dora sia stata felice dopo l'analisi, ma certo, al di là dei risultati terapeutici, Freud ha offerto un'idea capace di sconvolgere il modo di pensare di un'epoca».
Grazie non poco alla sua scuola - in particolare grazie alle sue maestre che per prime affrontarono l'ignoranza nazionale - l'Italia del Novecento, partita da condizioni miserabili, arrivò a essere tra le principali economie del mondo. Ma oggi quella stessa scuola è lo specchio del declino del Paese. Abbandonata dalla politica con la scusa dell'«autonomia», essa appare sempre più dominata dal conformismo intellettuale, da un'inconcludente smania di novità e da un burocratismo soffocante che ne stanno decretando la definitiva irrilevanza sociale. Ernesto Galli della Loggia cerca di comprenderne le ragioni sullo sfondo della nostra storia indagando le origini e l'impatto, deludente quando non distruttivo, che hanno avuto le riforme succedutesi negli ultimi decenni e smontando le interpretazioni più convenzionali su cosa fecero o dissero veramente personaggi chiave come Giovanni Gentile e don Lorenzo Milani. Chi l'ha detto che cambiare sia sempre meglio di conservare? E che la prima cosa sia necessariamente di sinistra e la seconda di destra? Il libro mette sotto accusa i miti culturali responsabili della crisi attuale: l'immagine a tutti i costi negativa dell'autorità, l'obbligo assegnato alla scuola di adeguarsi a ciò che piace e vuole la società (dal digitale al disprezzo per il passato), la preferenza del «saper fare» sul sapere in quanto tale, la didattica «attiva» e di gruppo. Altrettanti ideologismi che sono serviti a oscurare il ruolo dell'insegnante, la misteriosa capacità che dovrebbe essere la sua di trasmettere la conoscenza e con essa di assicurare un futuro al nostro passato.
In tutto il continente, come in una sorta di caccia alle streghe, le forze politiche emergenti si stanno coalizzando per mettere fine al progetto di un'Europa «unita nella diversità». In Italia, in particolare, siamo passati da Roma ladrona allo spauracchio della perfida Bruxelles, mentre chi inveiva contro la Casta ora siede nei banchi del governo, mettendo ogni giorno a repentaglio tenuta economica e reputazione internazionale del paese. Ma a chi giova davvero inimicarsi l'Unione europea? E qual è il suo peso reale nella vita di tutti i giorni? Per raccontare un fenomeno tra i più subdoli e destabilizzanti degli ultimi anni, con tono irriverente David Parenzo accompagna il lettore in un viaggio nelle istituzioni europee, con le loro virtù e contraddizioni, e smaschera le bufale dei «falsari» che lanciano accuse infondate contro i presunti lobbisti che si nasconderebbero nell'Europarlamento e gli sprechi dei burocrati di Strasburgo. Attraverso interviste esclusive, dati e analisi delle questioni più scottanti, Parenzo mostra gli ingranaggi che reggono la macchina comunitaria e muove un atto d'accusa contro i complottisti di tutta Europa, da Marine Le Pen a Viktor Orbán, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni. Per fare chiarezza e, soprattutto, per capire che direzione prenderanno l'Italia e il mondo nei prossimi anni.
A Leonardo il cappello è stato messo in testa o tolto a seconda che si volesse raffigurare l'immagine del pittore (con cappello) o del genio universale (senza). Oggi prevale questa seconda interpretazione, e quello che è stato a lungo considerato il suo "autoritratto" altro non è che il disegno di un vecchio saggio. Certamente opera di Leonardo, ma realizzato quando non aveva ancora quarant'anni, mentre pensava ai lavori dell'"Ultima cena" e al sigillo dell'"Uomo vitruviano". Da questo spunto e motivo iconografico, dall'ossessione di trovare un cappello rivelatore, parte la ricerca suggestiva, colta e appassionante di uno storico dell'arte tra i più brillanti. Che interesse può avere il cappello di Leonardo? Si corre il rischio di vederne ovunque, e non dove sono realmente. Ma il cappello che generalmente si mette e si toglie ai personaggi non gioca forse con lo stesso principio di ricezione e di obliterazione, delineazione e cancellazione che consiste nel montaggio e smontaggio dei singoli elementi che compongono l'immagine? Diventando così motivo di svelamento e rivelazione nella sovrapposizione delle sue singole parti: antica e modernissima strategia di tutte le arti, impossibilitate a prescindere da lacerti e memorie di ciò che è solo apparentemente scomparso.
Per la prima volta collegati in una compiuta visione del mondo, Marcello Veneziani propone in "Nostalgia degli dei" i temi affrontati nell'arco di quarant'anni di studio e ricerca. Nel corso dei secoli, le divinità si sono fatte idee, principi fondamentali per la vita e per la morte, amore per ciò che è superiore, permanente e degno di venerazione. Oggi una società schiacciata su un presente assoluto, in cui nessuna differenza è accettata, sembra aver spazzato via anche gli ultimi limiti necessari alla loro sopravvivenza: il confine che protegge, il pudore che preserva, la fede che è amore per la Luce. Come in una galleria di gigantesche figure di marmo, l'autore osserva e racconta le dieci divinità che hanno fondato il pensiero e l'esistenza dell'uomo. E nel tracciarne i profili ne svela il senso recondito, la loro necessità fuor di metafora per ricominciare a «pensare anziché limitarci a funzionare» nella vita di tutti i giorni. Attingendo a una costellazione di pensatori che da Platone e Plotino passa per Vico e Nietzsche, fino ad arrivare a Florenskij ed Evola, nel suo lungo percorso di scrittore Veneziani conserva quella nostalgia del sacro che consente agli uomini di uscire dal loro mondo e dal loro tempo, di riconoscere i propri limiti e trascenderli, di trovare orizzonti, tutori e aperture oltre la caducità della nostra esistenza.
In un mondo in cui ogni giorno si alzano nuovi muri e lo scontro politico si fa sempre più acceso, un nemico comune unisce destra e sinistra, populisti e democratici, reazionari e progressisti. Che siano le aziende a delocalizzare, l'«immigrazione selvaggia», la precarietà del lavoro o il diffondersi del virus Ebola, il libero mercato, il capitalismo o, nella sua definizione più abusata, il «neoliberismo» è il capro espiatorio perfetto per tempi confusi, l'elefante nella stanza che tutti, quando ce n'è bisogno, additano. A livello sia mediatico sia politico, il pregiudizio verso questo presunto ordine mondiale dipinge una realtà governata in segreto da una Spectre di economisti responsabile della distruzione di ogni garanzia sociale e di aver arricchito una ristretta cerchia di speculatori senza scrupoli, a scapito del novantanove percento del mondo. La soluzione per ovviare a queste tragedie sarebbe sempre la stessa: più leggi, più controlli, e quindi più Stato. Per sfatare la presunzione di chi pretende di saperne di più di milioni di persone che ogni giorno comprano e vendono beni e servizi, Alberto Mingardi ridimensiona il mito del mercato pervasivo e tirannico, e ripercorrendone la sua vera storia mostra come in realtà, nell'ultimo decennio, di politiche neoliberiste ce ne siano state meno di quanto si crede. Il che è paradossalmente un problema: è a quel poco di neoliberismo, infatti, che dobbiamo crescita e prosperità.
Il finale della Carmen riscritto. Una petizione per rimuovere dal Metropolitan di New York un quadro di Balthus contestato per presunta pedofilia. Ovidio bandito dalle università americane perché offensivo e violento. Sembra non esserci modo di sfuggire alle censure imposte dal politicamente corretto, che si sforza di riscrivere la storia e la lingua, rimuovendo ogni potenziale fonte di discriminazione e producendo rocamboleschi eufemismi. Eugenio Capozzi ricostruisce le origini ed evidenzia le attuali contraddizioni di questa retorica collegandola a una vera e propria ideologia, che affonda le radici nella crisi della civiltà europea di inizio Novecento, cresce con la ribellione dei baby boomers negli anni Sessanta e, con la fine della guerra fredda, la morte dei totalitarismi e la globalizzazione, si impone come egemone in un Occidente sempre più relativista e scettico. Una visione del mondo che ha dato vita nel tempo a dogmi e feticci: il multiculturalismo, la rivoluzione sessuale, l'ambientalismo radicale, la concezione dell'identità come pura scelta soggettiva. Se oggi gli eccessi e gli aspetti grotteschi del politicamente corretto sono ormai evidenti, proporne un'analisi storica è ancor più necessario. Proprio quando un fenomeno culturale e politico appare avviato verso la parte discendente della sua parabola, infatti, può diventare oggetto di studio: svincolandosi dalla logica della contrapposizione polemica, è possibile capire come agisce concretamente sulle nostre scelte.
Nella vita di ciascuno di noi puntualmente arriva, in forma di vera e propria crisi o di semplice verifica, quello che riconosciamo come un giro di boa. Può succedere a qualsiasi età e per le più svariate ragioni, come quando guardandoci allo specchio notiamo per la prima volta qualcosa che ci sconvolge o l'immagine riflessa non corrisponde più all'essere pieno di energia che sentiamo dentro. Come uscirne senza ricorrere alla fuga dalla carriera, alle avventure mistiche, all'edonismo e a tutto il catalogo di soluzioni che immancabilmente si rivelano illusorie? Alternando racconto autobiografico e viaggio tra le questioni del nostro tempo, Antonio Polito ci guida alla scoperta di una di quelle fasi in cui avvertiamo un improvviso bisogno di sobrietà, di «fare pulizia» e alleggerirci dai pesi inutili, applicando del sano senso pratico al nostro bagaglio di vissuti e di valori. Una metamorfosi che ha mille facce: riguarda l'essere figli e genitori, la dimensione amorosa, il rapporto con la tecnologia, l'idea della morte, la politica e la responsabilità, la riscoperta del corpo e del piacere. Mentre rivela che cosa per lui ha superato le maglie della selezione e ciò che invece è risultato d'intralcio alla sua crescita come uomo, padre, cittadino, Polito formula una proposta estesa a tutti: avviare un percorso di «perdita» per riconquistare se stessi può essere la chiave per costruire un nuovo senso di appartenenza e rifondare così non solo le nostre vite, ma il nostro modo di essere comunità. Un invito a ridiventare padroni del proprio tempo, a mollare gli ormeggi e riprendere in mano la propria vita.
Come si è passati dal mese di ferie estivo del secolo scorso al continuo spostarsi di città in città senza mai smettere di lavorare grazie a voli low cost, Airbnb e treni ad alta velocità? Che impatto avrà il turismo sull'economia italiana nei prossimi anni e come dobbiamo prepararci ad accogliere in futuro un numero di persone sempre crescente? Disastri naturali, amori, guerre, smania di conquista o di fuga hanno spinto da sempre milioni di persone ad abbandonare anche per breve tempo la loro quotidianità per spostarsi in altri luoghi. Ma come ci ricorda Domenico De Masi in questo ampio studio sul desiderio umano di viaggiare, se «la società industriale, quella che per due secoli ci ha accompagnato con ciminiere, catene di montaggio, centri direzionali [...] separava nettamente i luoghi, i tempi e i modi per soddisfare il nostro istinto stanziale da quelli per soddisfare il nostro istinto nomade» il nostro presente iperconnesso e in costante evoluzione ha rimescolato le carte in tavola, facendoci diventare «nomadi anche quando restiamo seduti nella nostra stanza». Avvalendosi del contributo di numerosi analisti ed esperti di varie discipline, De Masi propone un quadro realistico delle sfide economiche e formative che l'Italia dovrà affrontare per rimanere una delle più importanti mete turistiche al mondo, di come il continuo scambio con altre culture rovescerà la nostra percezione degli altri e, soprattutto, del nostro modo di usare il tempo libero, di oziare e, quindi, di stare al mondo.
Arricchiti da una nuova introduzione, i tre volumi autobiografici di Massimo Fini - «Di[zion]ario erotico», «Ragazzo. Storia di una vecchiaia», «Una vita» - raccolti per la prima volta in un unico libro, ripercorrono eventi e sentimenti con un andamento narrativo, giocato sulla memoria. Amori, passioni, amicizie, tradimenti, illusioni e disillusioni, ricordi, esperienze personali: raffigurati senza indulgenze, sfilano davanti ai nostri occhi i personaggi, noti o meno noti, che Fini ha incontrato nel corso della sua esistenza, in un racconto venato da una nostalgia quasi feroce per il Tempo Perduto, al di là delle ipocrisie e della retorica sulla «terza età».
Addentrandosi nelle trame dei decenni appena trascorsi per rintracciare le cause profonde di una modernizzazione incompiuta, Valerio Castronovo analizza le metamorfosi dell'«identità italiana» attraverso la cultura, i protagonisti, la mentalità, la visione della politica e delle istituzioni, sottolineando i cambi di passo e le costanti nella storia nazionale, tra cui spicca il sussistere (e l'aggravarsi) di un profondo divario tra Nord e Sud. Il racconto parte dalla seconda metà degli anni ottanta, dal formidabile guizzo con cui l'economia ricominciò a galoppare sorpassando addirittura il Regno Unito. Una ripresa effimera, a cui seguirono le inchieste su Tangentopoli, destinate ad affondare il sistema partitico, e la discesa in campo di Berlusconi, che si fece «garante» del passaggio da una «repubblica dei partiti» a una «repubblica dei cittadini». Sullo sfondo, la scomparsa delle principali dinastie imprenditoriali, il sorgere di piccole-medie aziende e dei distretti industriali, le scelte di politica economica che hanno frenato il Sud, fino alle sfide di oggi poste dalla rivoluzione del digitale e dalla produzione 4.0.
La «via italiana al socialismo» inaugurata da Togliatti è stato uno degli esperimenti politicamente più ambiziosi del dopoguerra europeo. In questo ampio studio Giuseppe Vacca, il maggiore studioso della storia politica comunista italiana, ne ripercorre la parabola teorica e di azione, tenendo sempre a mente il rapporto conflittuale ma vitale con l'unica altra forza popolare dell'Italia repubblicana, la Dc, e il resto del mondo cattolico. Dalla responsabilità democratica, costituzionale e antifascista della ricostruzione postbellica e la necessità da parte di Togliatti di fondare una tradizione di pensiero sull'opera di Gramsci, al complesso rapporto con il mito di Stalin e il lascito politico di De Gasperi, attraverso la stagione dei governi di centro-sinistra fino all'eurocomunismo di Berlinguer e al tentativo, tragicamente interrotto dalla morte di Moro, di un compromesso storico tra i due grandi partiti di massa italiani, quello di Vacca è il ritratto più completo di un periodo fondamentale della storia d'Italia.
Può un filosofo vissuto venticinque secoli or sono fornire un antidoto all'individualismo sfrenato e all'infelicità oggi dilaganti? Pietro Del Soldà ne è convinto: Socrate, pensatore sempre inattuale, proprio per questo è in grado di provocarci in ogni tempo. L'autore rilegge la visione socratica quale via per abbattere le innumerevoli barriere che poniamo tra noi e gli altri: sul piano individuale, dove l'abitudine a indossare maschere rischia di annullare «gli strati profondi del nostro essere», producendo un'esplosione di solitudine; a livello politico, dove il singolo individuo è ormai separato dalla società, dalle istituzioni e da ogni autorità esterna, vissuta come oppressiva; sul piano comunitario, dove tanti «Noi» si contrappongono a quanti, di volta in volta, individuano come i «diversi». Immaginando il dialogo tra Socrate e una galleria di personaggi emblematici (il ragazzo convinto che quello che fa nella vita non abbia nulla a che vedere con ciò che è nel profondo, il cittadino sfiduciato, lo scienziato ricco di un sapere astratto, il razionalista cinico ecc.), il volume lancia una sfida avvincente alla ricerca non della ricetta unica per tutti, ma di una via per ciascuno alla felicità.
Con la preoccupante affermazione dei movimenti antiestablishment nelle principali realtà occidentali, tutte le iniziali diagnosi ottimistiche sulla tenuta delle democrazie liberali appaiono meno fondate. Per spiegare cosa sta succedendo, Giovanni Orsina rilegge le vicende dell'ultimo secolo individuando tre momenti fondamentali. I primi due - la trasformazione del rapporto tra Massa e Potere a partire dagli anni trenta e la cesura rappresentata dal Sessantotto, quando entrò in crisi l'idea che la Storia procedesse secondo una logica - sono comuni a tutto l'Occidente. I caratteri peculiari che rendono più grave la situazione del nostro paese vanno individuati, invece, nella svolta di Tangentopoli, con il trionfo dell'antipolitica. Da allora molte cose sono cambiate: basti pensare che, mentre dopo il 1992 la Lega Nord era il principale alfiere dell'antipolitica, oggi è il più vecchio partito in Parlamento. Siamo di fronte a un ulteriore passaggio: l'avanzata dei movimenti antiestablishment si salda alla crisi dei sistemi democratici. Se l'ultimo ventennio non ha visto sorgere proposte risolutive, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro?
Un reportage di Riccardo Iacona che accende i riflettori sull'intricato groviglio della giustizia italiana. I dietro le quinte del lavoro delle procure, i protagonisti delle vicende dalle quali sono nate indagini e processi, i retroscena di alcune delle inchieste più clamorose su banche, corruzione, malaffare, che da Mani Pulite a oggi hanno occupato le prime pagine dei giornali. L'incontro con l'ex procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo introduce un viaggio nella realtà delle aule di giustizia attraverso le testimonianze di alcuni dei più celebri magistrati italiani e il racconto in presa diretta di incontri e avvenimenti che hanno deciso le sorti di importanti processi. Iacona indaga sulle interferenze della politica nelle decisioni della magistratura e sullo strapotere delle correnti nell'attribuzione degli incarichi che mette a repentaglio l'autonomia dei giudici e inquina la nostra società.
Il destino ha davvero un’influenza sulle nostre vite, sull’essere, o è soltanto la reminiscenza di miti che appartengono agli albori della civiltà?
E l’incontro con il limite, con la malattia, fisica o mentale, è parte di questo percorso già scritto o può essere scongiurato? Dopo aver trascorso la vita occupandosi della mente e dei suoi disturbi con gli strumenti della medicina, Vittorino Andreoli ha sentito il bisogno di andare oltre, di formulare un metodo diverso che si prenda cura dell’uomo «tutto intero» e, a compimento della sua avventura umana e professionale, ci consegna una visione della vita il cui fondamento è la costante promozione del bene per sé e per l’altro. Il suo messaggio è rivoluzionario: qualsiasi esistenza, indipendentemente dall’età e dalla condizione in cui ci si trova, può essere migliorata, in un percorso incentrato su una nuova disciplina da lui stesso fondata, il bendessere. Approfondendone le radici e le applicazioni, l’autore mostra come, seppur con variazioni linguistiche e diverse sfumature di significato, questa ricerca del benessere sia presente fin dalle origini nella storia e nella cultura dell’uomo, e ci accompagna in un affascinante viaggio attraverso i segreti dell’esistenza umana declinato secondo le tre dimensioni fondamentali del corpo, della mente e del nostro rapporto con il mondo circostante, che comprende la natura e le relazioni con gli altri. Oggi che – sostiene Andreoli – risulta sempre più difficile distinguere tra la follia dell’uomo e quella della società, dominata dalle apparenze e dal denaro, spendere la vita «il meglio possibile» è un’aspirazione realizzabile per tutti. Un progetto, in questo senso, «veramente umano».
La storia dei magi, i misteriosi pagani che l’evangelista Matteo convoca «dall’Oriente» al cospetto del Figlio di David, viene da lontano. Al pari di tutti gli autentici misteri, il suo significato è inesauribile e ogni nuova acquisizione chiude un problema e ne apre altri mille. Franco Cardini narra la genesi e la diffusione delle varie versioni che hanno fatto dei «tre santi re», di volta in volta, il simbolo delle razze primigenie scaturite dai tre figli di Noè; dei tre continenti del mondo antico: Asia, Africa ed Europa; dei tre momenti dell’esistenza: giovinezza, maturità e vecchiaia; delle tre scansioni temporali: passato, presente e futuro. Alla luce delle ultime scoperte, si rafforza il ruolo dei magi come figura «ponte» tra Oriente e Occidente, cerniera tra vari culti e religioni. Non a caso oggi acquistano nuovo rilievo: sul piano religioso e devozionale sono stati proposti da papa Benedetto XVI come copatroni d’Europa; su quello antropologico e storico-filologico molti studiosi da una parte ne hanno indicato la presenza nel mondo indoiranico fra il I secolo a.C. e il I d.C., dall’altra ne hanno ribadito il nesso con gli astrologi-sacerdoti originari della Media e con gli insegnamenti di Zarathustra.
Cosa accomuna Dante e Oriana Fallaci, Walter Benjamin e Yukio Mishima, Julius Evola e Umberto Eco? Ripensando alle voci che più lo hanno influenzato, Marcello Veneziani ha costruito un affascinante itinerario attraverso idee, opere e autori. Gran parte di questi può essere ricondotta a una particolare famiglia definita da Cristina Campo degli «Imperdonabili»: irregolari del pensiero che non si accontentarono del loro tempo, ma lo contraddissero, spesso creando nuove visuali o attingendo a tradizioni più antiche.
Percorrendo ambiti diversi – dalla filosofia alla letteratura, fino al grande giornalismo –, si raccontano tratti salienti, aspetti intriganti, sguardi e vite di ciascuno di questi maestri. Dai giganti, come Machiavelli e Schopenhauer, alle intelligenze pericolose di Michelstaedter e Heidegger; dagli spiriti inquieti di Wilde e Chatwin a Pirandello e Arendt, sismografi di un’epoca; dalle penne di Kraus e Guareschi, che hanno lasciato il segno, alle presenze oniriche e alle assenze profetiche di Goncarov e Zambrano: un ideario coerente, ma non organico, in cui si riflette la sensibilità di un conservatore curioso, a tratti reazionario, che ama la tradizione e pratica la ribellione, in rivolta contro le dominazioni della contemporaneità.
Un atlante di figure, scritture e pensieri.
Il secolo greve è l'era di Donald Trump, dei nazionalismi europei e dei partiti anti-qualcosa, il secolo social e «populista» che mette in questione l'assodato e afferma l'indicibile. Se una politica grossolana mostra i segni anticipatori di un Occidente meno equo, meno libero e meno giusto, concentrarsi su di essa, come ormai d'abitudine, restituisce soltanto l'immagine di un sistema impazzito e incomprensibile. Rifiutando ogni semplificazione, Mattia Ferraresi individua dagli Stati Uniti all'Europa i segni più profondi del cambiamento, sulle tracce del tarlo che sta erodendo istituzioni e liturgie delle democrazie liberali e con esse le nostre sicurezze. Si scopre così che «non sono le invasioni» dei nuovi barbari a minacciare la cittadella liberale, sono le fondamenta stesse a dare segni di cedimento»: gli scricchiolii si propagano dalle nostre esistenze fino alle poltrone più ambite della Casa Bianca, in un crescendo di bassezze e spaesamento, una vera e propria perdita di senso, che è la cifra del nostro tempo.
Nel mondo di oggi, che mette in discussione ogni forma di autorità, la sfida educativa dei genitori diventa sempre più complicata. Se il conflitto tra generazioni non è certamente una novità, quello che sta accadendo è però qualcosa di diverso, di molto più serio: una vera e propria interruzione del tradizionale passaggio di valori dai padri ai figli. I genitori sono soli, insidiati da mille modelli alternativi che li contraddicono, parlano un'altra lingua, dettano altre priorità. Diventato padre in due momenti diversi e distanti della sua vita, Antonio Polito entra nel vivo di una battaglia culturale volta a smascherare i nemici dei genitori: le idee e le figure che tendono a sabotarne l'autorità o che semplicemente hanno smesso di aiutarli. Dai social alla scuola, dalla politica alla Chiesa, dai cattivi maestri fino alla famiglia stessa, che ha commesso gravi errori, importando stili di vita che ne minano il ruolo. Davanti all'urgenza di rifondare l'autorità dei genitori, la soluzione sta forse nel tornare al più classico dei compiti: trasmettere cultura, comportamenti, esperienze e valori, primo tra tutti l'amore e il rispetto per la vita. «A padri e madri bisognerebbe dire: non credete più a chi vi colpevolizza, riprendetevi 1 vostri figli, ribellatevi a chi sta alienando la vostra potestà, credete di nuovo possibile la vostra missione».
La storia degli Stati Uniti non è solo la brillante vicenda di una democrazia aperta, di una società ricca e all'avanguardia del mondo contemporaneo. Accanto all'America come luogo della libertà che amiamo, c'è un lato oscuro, dove le paure e le ossessioni hanno dato corpo negli ultimi due secoli a movimenti politici e sociali capaci di segnare un risvolto dell'identità nazionale. La storia degli Stati Uniti, allora, è anche quella dei nativisti - ossessionati dalla «supremazia bianca» -, dei populisti - cantori dell'America profonda custode delle virtù tradizionali in declino -, degli isolazionisti - che tra le guerre mondiali si rinchiusero nel nazionalismo dell'«America First» contro la guerra a Hitler -, e degli autoritari - che fiorirono in tutte le stagioni fino al Red Scare degli anni venti e al maccartismo degli anni cinquanta. Massimo Teodori descrive come nel tempo gli americani tradizionalisti con le loro ossessioni abbiano trasformato il patriottismo in nazionalismo e l'amore per la propria comunità in razzismo. Il libro conclude che, quali che siano i tentativi autoritari, l'America resta una società aperta che rispetta la democrazia e i diritti civili perché il suo sistema politico e costituzionale possiede gli antidoti per reagire ad ogni abuso di potere presidenziale.
Undici anni fa «Time» incoronò persona dell'anno «You»: «You control the Information Age. Welcome to your world» si leggeva in copertina. Ma è davvero cosi? Siamo noi a controllare l'informazione grazie alla rete? A ben vedere, il «rumore di fondo» ha preso il sopravvento, disorienta i cittadini e ne influenza le decisioni. Vaccinare i propri figli, iniziare una terapia medica, fidarsi della scienza o lasciare che si insinui il dubbio, mettendo in discussione certezze ormai acquisite? E come agire da elettori consapevoli? E possibile operare una scelta ponderata sottoposti come siamo al fuoco di fila di notizie inesatte, falsi allarmismi, parole di odio? Francesco Nicodemo prova a smascherare in questo libro le distorsioni che agiscono sulla nostra percezione della realtà. In ballo vi è la vittoria tra due visioni contrapposte: un mondo ripiegato su se stesso e sulle proprie paure, che propone ricette anacronistiche a problemi sempre nuovi, e uno aperto, ottimista, orientato al progresso. Sullo sfondo, una profonda convinzione: la risposta più decisa deve arrivare dalla politica. In che modo? «Coinvolgendo, dialogando, usando in maniera costruttiva le potenzialità offerte dal digitale, facendo sentire ciascuno protagonista di un progetto comune».
«Una nazione al tramonto è un paese che non riesce più a crescere, che si smaglia e si disunisce, e che consuma una frattura con il proprio passato, non riuscendo neppure più a immaginare un futuro. Smarrito il filo della sua vicenda novecentesca, l'Italia odierna è in una condizione siffatta». Ernesto Galli della Loggia ha raccontato negli ultimi vent'anni la crisi del nostro paese in tutte le sue forme: la politica scossa dalla fine delle appartenenze e dal trionfo dell'antipolitica, la società incapace di conciliare multiculturalità e salvaguardia della tradizione nazionale, i valori cristiani indeboliti sotto il peso di innumerevoli tensioni. Passando in rassegna senza sconti tutti i sintomi di un malessere quotidiano - assenza di visione della politica, ristagno dell'economia, una giustizia piena di ambiguità e dai tempi esasperanti, un sistema d'istruzione che non riesce più a fungere da ascensore sociale, il divario Nord-Sud che si aggrava -, queste pagine restituiscono oggi un impietoso ritratto politico e sociale dell'Italia che non sa essere protagonista del proprio tempo. Una metamorfosi tale da indurre l'autore a una considerazione solo apparentemente paradossale: «Sono nato italiano ma mi viene da chiedermi, a volte, se morirò tale. Nella mia generazione, quella che ha visto la luce durante o a ridosso della guerra, sospetto proprio di non essere il solo che più o meno consapevolmente si pone una domanda come questa».
«Stop all'austerity» è lo slogan da anni sulla bocca di tutti: politici - al governo e all'opposizione -, giornalisti, economisti. L'intento è sempre lo stesso: far passare il messaggio che le misure d'austerità siano fallaci, e addirittura dannose, per conquistare facili consensi. Risolvere la crisi sarebbe a portata di mano, basterebbe tornare a spendere risorse pubbliche, riappropriarsi della sovranità. Ma è davvero così? E, soprattutto, il rigore è stato realmente applicato in questi anni in paesi come l'Italia o la Francia? Veronica De Romanis sgombra il campo dai pregiudizi smontando tutti gli argomenti contro l'austerità, riassumibili nei sei aggettivi che spesso l'accompagnano: eccessiva, recessiva, imposta, ingiusta, inutile e responsabile dell'ascesa di forze populiste. Con esempi concreti e dati alla mano, l'autrice ne mostra i due volti. L'austerità «buona», nelle parole di Mario Draghi, «prevede meno tasse e una spesa concentrata su investimenti e infrastrutture», fa crescere e infatti non ha impedito ai leader che l'hanno praticata di vincere, come in Lettonia e nel Regno Unito, o di ottenere la maggioranza dei voti, in Portogallo e in Spagna. Quella «cattiva», al contrario, privilegia l'aumento delle tasse a scapito di tagli della spesa improduttiva e può alimentare il populismo. Una lettura utile per capire se l'Europa è stata davvero «rovinata dall'austerità», come ebbe a dire Alexis Tsipras, o se questa non rappresenti invece un'occasione per una politica che voglia combinare al meglio responsabilità verso le nuove generazioni e solidarietà verso i soggetti più deboli. Un passaggio necessario, soprattutto per un'economia quale quella italiana, dove il debito dello Stato è percepito come un numero privo di significato, ma è invece una pesante ipoteca sul futuro dei giovani.
Come sarà l'America di domani? Quanto conterà sullo scenario internazionale? Sarà ancora un laboratorio sperimentale, anticipatrice di mode e culture da esportare? Negli Stati Uniti Riccardo Ruggeri ha lavorato e vissuto a lungo, costruendo una carriera che lo ha condotto ai vertici di importanti aziende. Oggi, da analista politico indipendente, sceglie di raccontarli seguendo alcuni «sensori» che sono diventati nel tempo la bussola con cui osservarne i cambiamenti: il mondo del business, la politica e gli aspetti culturali legati al territorio e alla società. Nascono così queste «cartoline», scorci raccolti nel corso degli anni, che compongono un ritratto variegato della realtà americana: dagli effetti di ciò che l'autore definisce Ceo capitalism, alla descrizione dell'America profonda e ai cupi scenari di American Gothic, da quello che considera il «luogo mito del paese mito», New York, fino alla crisi delle élite. Il libro è un invito a percorrere le strade d'America e a svelarne i segreti perché, scrive l'autore, «cercare di capire l'America significa tentare di comprendere anche cosa ne sarà dell'Europa e dell'Italia».
La bellezza non è soltanto un concetto astratto. Appartiene a ciascuno di noi e si esprime ogni giorno nel modo in cui adorniamo il nostro corpo ma anche nei comportamenti che mettiamo in atto nella vita di relazione, nei gesti, nelle parole. Vittorino Andreoli ci accompagna in un percorso di definizione della bellezza che va oltre i criteri dominanti, arrivando a comprendere persino il brutto. Una fantastica galleria di pensieri in dialogo con una selezione di opere, attraverso cui il grande psichiatra narra l'esperienza del bello in tutte le sue manifestazioni: il creato, la ragione, il sacro, i sentimenti, i pensieri e gli atteggiamenti come la discrezione, l'eleganza, il mistero. Dallo sguardo al sorriso, dalle mani al «territorio dell'eros», questo viaggio alla scoperta della bellezza che è in noi svela le mille sfumature di una realtà in continuo divenire, dai primi «moti creativi» delle pitture rupestri allo sguardo enigmatico della Gioconda, fino alla vibrante sensualità delle Madonne che allattano. Se oggi domina una bellezza «di superficie», effimera, incapace di appagare i bisogni profondi dell'uomo, la proposta per superare questa impasse è di legare il bello al bendessere, la nuova disciplina di cui Andreoli è ideatore e fautore, che si propone di migliorare l'esistenza dell'uomo, l'«essere-bene».
L'esistenza è destinata a rimanere un enigma incomprensibile? Siamo condannati al vuoto della solitudine? Se c'è un Dio, perché tace? Sono le domande radicali che si pone l'uomo contemporaneo. La società postmoderna in Europa si è allontanata dal cristianesimo che non è più, sociologicamente, la religione civile dominante, «ma non è detto - scrive il cardinale Scola - che sia venuto il tempo del "Postcristianesimo". Ancora oggi ci sono donne e uomini che continuano ad attendere l'Altro che venga loro incontro, liberandoli da se stessi e restituendoli a se stessi, continuando a salvarli con la sua esistenza. A questa tenace attesa si deve la forma interrogativa del titolo, perché è proprio con quell'attesa che il cristianesimo vuole entrare in dialogo, per poter offrire una speranza per l'oggi e per il domani». Da qui un percorso di ricerca che attraverso le pagine di questo libro affronta molte questioni cruciali del nostro tempo: il rapporto con Dio, la paradossale libertà che ci paralizza, il valore che oggi assume la testimonianza dei cristiani.
Professionista straordinario, da corrispondente per il «Corriere della Sera» Luigi Barzini ha raccontato i principali eventi del suo tempo: il volo dei fratelli Wright, il raid Pechino-Parigi del 1907, la rivolta dei Boxer in Cina, il fronte libico, la guerra civile in Messico. Antieroe per cultura, egli rappresenta anche, nei suoi pregi e difetti, la media borghesia italiana che al crollo dello Stato liberale si consegna al fascismo e fiancheggia la dittatura. La sua storia attraversa l'esperienza di Salò e l'immediato dopoguerra, restituendoci uno spaccato dell'Italia, prima liberale e poi fascista. In queste pagine a metà tra il saggio e il romanzo, Simona Colarizi ricostruisce gli ultimi tre giorni di vita di Barzini prima della tragica fine, tutt'oggi avvolta dal mistero. Non semplicemente le vicende del cronista, ma anche dell'uomo nei suoi affetti privati: l'amore per la moglie e i figli, il senso di colpa per la fine del terzogenito, morto a Mauthausen. Al grande innovatore del giornalismo italiano fa da contraltare un uomo paradossalmente fragile, insicuro, tanto da incarnare secondo l'autrice «il prototipo del conformista moraviano». Il controverso rapporto con le élite, la fascinazione per il potere, la cocente delusione nei confronti della politica sono tratti che possono dirci molto sulla nostra identità di oggi. «La storia si ripete - scrive Colarizi - anche se non è mai identica a se stessa; in ogni tempo rotture più o meno traumatiche nei sistemi politici nascono dal malessere di una parte della popolazione che si sente esclusa dalla cittadinanza o percepisce quanto siano inadeguate le classi dirigenti a rappresentare le rivendicazioni e a soddisfare le aspettative dei cittadini».
Sergio Staino e Chicco Testa. Una «strana coppia» che, a ben vedere, ha molti punti in comune. «Innanzitutto entrambi - scrive Testa - facciamo parte di quelli che "Sono stato iscritto al Pei"». Ad accomunarli ce poi il tono irriverente e il non essere mai riusciti a emanciparsi dalla «passionacela» per la politica. In un gustoso confronto a colpi di matita e parole, mettono qui alla berlina tutti i limiti della diffusa cultura dei No, per mostrare come non aiutino affatto a crescere. A furia di «No Ogm», «No Triv», «No Riforme» e via negando, siamo infatti un paese bloccato nella palude dell'immobilismo e rischiamo di consegnarci agli attaccabrighe, ai demagoghi, ai dispensatori di post-verità. Per esorcizzare tutto questo, gli autori ci regalano un falò delle oscenità di cui ogni giorno siamo tutti vittime, spesso inconsapevoli. «Il libro nasce - scrive Sergio Staino - dal desiderio di confrontarmi con una personalità che sento al tempo stesso molto vicina e molto lontana da me. Abbiamo modi diversi di interpretare la realtà, anche formalmente - lui con l'elzeviro, io con la matita -, ma siamo uniti dall'ironia e dall'amore per il dubbio. Leggetelo quindi con divertimento, sapendo che a volte ho ragione io, altre volte lui e, probabilmente, qualche volta nessuno dei due».
Il 1917 è stato un anno cruciale tanto per la Russia, dove la rivoluzione ha posto fine a un impero secolare e ha dato vita a un ordine nuovo, quanto per l’Europa e per il mondo, su cui gli eventi russi hanno avuto decisive ripercussioni. Tutto il XX secolo è stato dominato dalla presenza del sistema statale nato dalla rivoluzione, l’Unione Sovietica, la cui scomparsa nel 1991 ha chiuso un ciclo storico. La Russia attuale, erede di quel passato, ha intrapreso un nuovo sviluppo in un mutato contesto internazionale.
A cent’anni di distanza dalla Rivoluzione d’Ottobre si avverte il bisogno di ripensare una così radicale esperienza, inquadrandola in una riflessione globale sul significato di quelle trasformazioni e sui loro esiti. In questo libro Vittorio Strada, fra i massimi esperti del mondo russo, sulla base di una documentazione spesso sconosciuta, presenta una nuova visione dell’intero processo storico sovietico sullo sfondo del plurisecolare passato zarista e nella prospettiva della Russia post-sovietica. Emergono elementi in grado di gettare luce sui fenomeni attuali e sulle loro manifestazioni più inquietanti, come il risveglio di un nazionalismo in realtà mai sopito, la ripresa del «culto» di Ivan il Terribile e di Stalin, l’insistenza sui «valori tradizionali» che si traduce in intolleranza verso le minoranze. In appendice il saggio Una città fatale offre un’immagine del tutto inattesa di Costantinopoli.
Il mito è il racconto sorgivo sulla nascita della vita, del pensiero e del mondo, che si esprime nella parola e nel silenzio, nell'arte e nella preghiera, nel gioco, nel canto e nella poesia elementare della vita. Non è verità né illusione, abita su un altro piano: è ordine nella bellezza. Sul mito si fondano la storia, la politica, perfino il cinema e la pubblicità; mitico è l'amore e così l'infanzia. Quando però i miti sono negati, crescono al loro posto idoli e surrogati, come quelli che ci circondano oggi. In questo libro Marcello Veneziani si propone di recuperare la dimensione autentica del mito per porlo al centro dell'esistenza e rispondere così a un desiderio profondo e diffuso di «vita superiore». Dopo la disfatta di religione e filosofia, per compensare lo strapotere della scienza e contendere la sovranità alla tecnica e alla finanza, non resta che affidarsi al «mitopensiero». Senza miti, infatti, la vita non è affatto più libera, più autonoma, più razionale; solo più povera, più insensata, più labile. All'uomo di oggi - scrive Veneziani - «il mito non offre profitti ma fondamenti, non assicura vantaggi ma significati. Dona bellezza, irraggia gli eventi e illumina i volti».
Perché ancora oggi in Italia stenta ad affermarsi una cultura politica riformista? Per quale motivo persistono, tanto a destra quanto a sinistra, consistenti tracce di populismo e di estremismo? Perché abbiamo avuto il più grande Partito comunista dell'Occidente e non è riuscita a mettere radici una solida socialdemocrazia di tipo europeo? E su quale terreno affonda le radici il terrorismo, da noi così virulento? Il tentativo di rispondere a queste domande, più che mai attuali, non può prescindere da un'analisi della storia del nostro Paese che ponga al centro il mito della rivoluzione. Un mito non soltanto italiano, ma che in Italia si è dimostrato particolarmente vitale e incisivo. Un'idea potente e trasversale, fonte allo stesso tempo di grandi speranze e di luttuose tragedie: la patologia di un secolo, il Novecento, segnato da guerre e totalitarismi. In questo libro Paolo Buchignani traccia un percorso che, dal Risorgimento agli anni di piombo, mostra la fortuna e la longevità della rivoluzione: «tradita», «incompiuta», via via corredata da varie denominazioni, così seducente e popolare da essere stata per tanto tempo, più o meno consapevolmente e strumentalmente, abbracciata anche da coloro che rivoluzionari non erano. Emerge con forza come, al di là della volontà di uomini, partiti, élite intellettuali, spesso mossi da sincere intenzioni di rinnovamento e di giustizia sociale, il richiamo alla rivoluzione abbia avuto esiti deleteri e abbia costituito un ostacolo rispetto all'affermazione di una cultura politica autenticamente democratica e riformista. Una cultura di cui, specialmente in questa fase storica, si avverte la necessità, per affrontare con efficacia le drammatiche sfide del nostro tempo.
«La cultura è come la marmellata: meno ne hai, più la spalmi». Marina Valensise parte da questo slogan, apparso sui muri della Sorbona nel maggio ’68, per illustrare uno dei paradossi italiani: il paese con il patrimonio più ricco del mondo è incapace di valorizzarlo, mentre altri prosperano su fortune molto meno cospicue. Fin dal titolo, il suo libro ha il sapore di una provocazione, ma è frutto di un’esperienza concreta. Tra il 2012 e il 2016, infatti, l’autrice ha diretto l’Istituto italiano di cultura a Parigi ed è riuscita a rinnovarne la sede, a moltiplicare il numero dei suoi frequentatori e a raddoppiare le entrate proprie rispetto alla dotazione statale. Il segreto? La virtuosa contaminazione e la potente sinergia tra pubblico e privato a favore del patrimonio, che Marina Valensise ripercorre in queste pagine proponendole come modello di valorizzazione partecipata. La differenza di impostazione non è banale e sta in un concetto apparentemente semplice: la capacità di evolversi, abbandonando un ruolo passivo per una funzione più innovativa, che vada oltre quella di semplice cinghia di trasmissione del sapere dato, per produrre cultura in nome di un’idea più dinamica dell’interesse generale. La lievità del racconto, ricco di aneddoti gustosi e frutto di mille incontri con personalità che nei più vari settori – dal design alla cucina, dall’architettura alla musica – danno lustro all’Italia nel mondo, si unisce al monito a tornare protagonisti in nome della cultura sul piano internazionale, offrendo un decalogo di semplici regole per applicare questo modello alla realtà quotidiana delle istituzioni e delle imprese.
È diffusa la convinzione che all'origine dei problemi economici di questi anni ci sia una generale mancanza di principi etici, che dovrebbero invece orientare le dinamiche e gli scopi del mercato. Per porre fine al disordine sarebbe quindi sufficiente ripristinare la funzione originaria che, secondo tale visione, esso dovrebbe svolgere: il perseguimento del bene comune. Così esposto, il ragionamento sembra fondato e persino scontato. La realtà è ben diversa. Come dimostra Paolo Del Debbio in questo libro, basta porsi alcune semplici domande per far emergere le molte contraddizioni che si nascondono dietro un'apparente e seducente ovvietà. I disastri finanziari, l'assenza di un accordo sulla gestione dell'emergenza ambientale e di interventi efficaci nella lotta alla povertà sono frutto dei meccanismi perversi del mercato o forse dell'inadeguatezza dei pubblici poteri? A un'attenta osservazione il richiamo all'etica si rivela infatti un alibi per coprire le responsabilità di chi non compie il proprio dovere. Docente di Etica ed economia all'Università Iulm di Milano, Del Debbio costruisce un percorso che, partendo dalle origini della questione etica in economia, conduce all'analisi di alcuni tra i più recenti modelli e argomenti proposti per affrontarla (Stiglitz, Bergoglio, Latouche, Piketty, Deaton). In particolare, l'autore si interroga sulla possibilità di stabilire un'etica dei diritti.
Questo libro è una storia dell'Italia repubblicana in cui si ricostruiscono sincronicamente gli aspetti istituzionali, politici ed economici del processo che ha portato all'attuale situazione del paese. Al volgere di un ciclo storico, Piero Craveri ripercorre, partendo dalla Costituente, il cammino di rapida ascesa economica dell'Italia per cogliere i fattori del suo mancato consolidamento e del suo lento e inesorabile declino. Le responsabilità di una classe dirigente rimasta troppo arretrata per guidare un paese industriale, il sovrapporsi dei partiti all'attività dell'esecutivo e del Parlamento, un malinteso primato della politica sull'economia di mercato, sono solo alcune delle cause che emergono dall'analisi delle vicende repubblicane. Dalla sconfitta di De Gasperi alla difficile congiuntura del 1963-64, dalla crisi degli anni settanta alle occasioni mancate del decennio successivo, con Craxi, al superamento della seconda Repubblica, Craveri fa notare come, ben lungi dall'essere solo una questione economica, la posta in gioco di questa mancata "evoluzione" è la stabilità della democrazia. I principi che furono messi a fondamento dello Stato unitario sembrano venir meno e, al di là delle celebrazioni ufficiali, la Repubblica non ha saputo rinnovarli. Anche l'idea di Europa, che nel secondo dopoguerra ne è stata idealmente una prosecuzione, sembra dileguarsi. In questo scenario, dove sono le stesse istituzioni democratiche a essere messe in discussione in Occidente.
"Sofisticata sobrietà", "sobrietà aggressiva", "dittatura sobria": gli ossimori si sprecano. Ma cos'è la "sobrietà sobria"? Manlio Brusatin si interroga su quella che, pur considerata "la virtù del giorno dopo", è stata nel tempo riconosciuta come necessaria. Questo libro ne racconta le vicende fino ai giorni nostri e al ritorno dell'uomo sobrio, "l'artigiano di sé" che sa creare indifferentemente con le mani o con la "scatola magica del Maker 3D". Le origini di questa "utile virtù" sono qui individuate nella "Vita sobria" di Alvise Cornaro (1558), in cui si spiega come prolungare l'esistenza con una dieta che diventa anche condotta morale: uno "stile" poi bollato da Nietzsche come il contrario del superuomo. Dal cibo all'abito, dalla dimora ai colori, il saggio si sviluppa in un eccentrico dialogo fra parole e immagini, in cui si incontrano personaggi di ogni genere: da Diogene, che vive in un orcio, a san Girolamo, che si ritira in una grotta e inventa la preghiera della sobrietà, da Robinson Crusoe a Napoleone, da Canova a Van Gogh, la cui sedia di paglia nella camera di Arles interpreta lo spazio sobrio del "riposo dell'immaginazione". Un raffinato percorso alla ricerca del senso naturale di una virtù.
A partire dal 1985 con "La Ragione aveva Torto?", un sarcastico quanto documentato pamphlet contro l'Illuminismo, Fini ha preso a demolire tutti i capisaldi della nostra società: la democrazia, l'economia, la tecnologia, la pretesa totalitaria dell'Occidente di ergersi a "cultura superiore". Fini mette a nudo le pesantissime ricadute che questo modello ha sulla nostra vita: nevrosi, depressione, alcolismo di massa, uso e abuso di psicofarmaci, droga. Questo volume raccoglie sei testi pubblicati dal 1985 a oggi. Straordinario anticipatore Massimo Fini è stato sottovalutato per decenni, ma oggi quelle che venivano considerate delle provocazioni sono diventate delle inquietanti realtà. Prefazione di Salvatore Veca
Per tanti politici il Mezzogiorno è soltanto un serbatoio elettorale, per parecchi nordisti un mercato da sfruttare, per alcuni imprenditori, sindacalisti e burocrati un bancomat a uso personale, per tutti i mafiosi un territorio da depredare, per certi antimafiosi un lavoro occasionale, per molti meridionali un luogo sul quale recriminare (e basta). Questi untori hanno avvelenato il Sud, riducendolo in coma profondo. Non paghi, speculano sulla sua agonia per costruire carriere, fortune e potere a danno di deboli, ingenui e onesti. Carlo Puca ha percorso da cronista tremila chilometri nel Mezzogiorno d'Italia. La sua indagine inizia con una ricognizione sui luoghi del delitto - da Lampedusa all'Aquila, passando per Papasidero, Viggiano, Barletta, Castel Volturno - per poi individuarne i mandanti, tracciare l'identikit degli esecutori e inchiodare i complici alle loro responsabilità. Un viaggio "di fatica e di scoperte" che - confessa Puca - "ha mutato la mia indole pacifica e fatalista". Un libro scritto "con sentimento divenuto nel tempo risentimento", fino a quando le mille storie raccolte gli hanno palesato l'unica soluzione possibile: ammazzare "una certa idea di Meridione" per trascinare nella tomba anche i vari "dittatorelli" che deprimono la sua libertà. Cosicché il Sud possa finalmente sperare di rinascere nuovo e diverso.