La protagonista di questa storia è una donna di cui non scopriremo mai il nome. Sappiamo però che ha appena chiuso un capitolo della sua vita per cominciarne uno nuovo: dopo che la figlia è andata via di casa, ha deciso di lasciare il marito, un accumulatore compulsivo sempre preparato al peggio, ma anche un confidente, con il quale continua a intrattenere una regolare corrispondenza. Priva di rapporti significativi al di fuori del nucleo familiare ormai sfaldato, la donna si trasferisce al mare, in una casa tutta sua; poco lontano si trova il paesino dove inizia a lavorare nel pub del fratello, un sessantenne fanfarone e sfaccendato. Mentre l'ex marito e la figlia giramondo continuano a occupare i suoi pensieri, con cautela la donna cerca di ambientarsi in un paesaggio umanamente e climaticamente duro: stringe amicizia con una sua coetanea originaria del posto, tenta una goffa relazione amorosa, rimesta tra i ricordi della sua vita passata e, immersa in una solitudine scelta ma non priva di inquietudini, si domanda che ne sarà di quella futura. Capolavoro della grande scrittrice tedesca Judith Hermann, A casa è il racconto di una rinascita che parte da un luogo remoto, una tabula rasa che consente alla protagonista di mettersi a fuoco e sperimentare la libertà da donna matura non relegata al ruolo di madre e moglie; un romanzo armonioso, in cui una prosa superba tiene insieme tutte le fila e trascina con sé il lettore riuscendo a cogliere la sostanza impalpabile di un'atmosfera, uno stato d'animo, un incontro.
Inghilterra, 1601. La regina Elisabetta I sta per morire, senza figli. Il suo regno non ha eredi, e i potenziali successori cominciano a tramare segretamente. Il primo candidato è re Giacomo VI di Scozia, ma c'è un problema: le spie della regina temono che Giacomo non sia ciò che sembra. Ha tutte le ragioni per affermare di essere protestante, ma se condivide segretamente il cattolicesimo della sua famiglia, allora quarant'anni di guerra di religione saranno stati inutili. Qual è la vera fede di Giacomo VI? Tocca a Geoffrey Belloc ideare un test per scoprirlo. Belloc arruola Mahmoud Ezzedine, un medico musulmano rimasto in Inghilterra dopo l'ultima visita diplomatica dell'Impero ottomano, come suo agente sotto copertura. È l'uomo perfetto per il lavoro: è un outsider, bloccato su quest'isola fredda, umida e primitiva da anni. Farà quasi di tutto per tornare a casa da sua moglie e suo figlio.
Un cane abbandonato viene raccolto e accudito da un uomo. Quell'uomo è Giovanni Falcone, magistrato impegnato a contrastare la mafia nella Palermo insanguinata degli anni Ottanta. Uccio, più volte scampato alla morte, ha maturato un senso di giustizia che lo spinge a impegnarsi contro la malavita. Persegue perciò un obiettivo bizzarro: imparare a ululare come i lupi per far scappare gli innocenti prima degli attentati che ormai accadono con frequenza e che lui ha imparato a riconoscere. Ma una notte, mentre si esercita ad affinare il suo latrato, scende dal palazzo accanto Giovanni Falcone, che, a differenza di tutti gli altri, lo accarezza, e che, malgrado non possa portarlo in casa, lo accoglie amorevolmente nell'atrio del tribunale di Palermo, dove opera con il suo pool antimafia. Da quel momento, mentre si susseguono i tristi delitti di mafia - sempre raccontati attraverso lo sguardo innocente del cane - tra i due si instaura un'intensa amicizia, che verrà stroncata solo dal brutale omicidio del magistrato. Vecchio e ormai privo di forze, il cane prende dimora nell'atrio del tribunale di Palermo per vegliare la statua dal giudice presa di mira dai teppisti, mettendo in atto così la lezione più importante appresa da Falcone: il coraggio.
Il Kansas del 1856 è un campo di battaglia tra abolizionisti e schiavisti. La vita del giovane schiavo Henry Shackleford viene stravolta dall'arrivo in città del leggendario paladino abolizionista John Brown: quando una discussione tra il padrone di Henry e Brown si tramuta in uno scontro a fuoco, Henry è costretto a scappare insieme a Brown che, fin dal primo momento, lo scambia per una ragazza e lo considera il suo portafortuna. Henry, soprannominato "Cipollina", si troverà così a viaggiare attraverso gli Stati Uniti insanguinati dalla guerra per la "liberazione della gente di colore" nei panni di una donzella. Dapprima profondamente a disagio per questo scambio di genere, finirà per apprezzarne i vantaggi: non dover faticare, poter passare inosservato e non dover rischiare la vita in guerra. Dopotutto, come dice lo stesso Henry, la menzogna è l'unica strategia di sopravvivenza degli schiavi neri nei rapporti con i bianchi. Insieme a John Brown seguirà le reali tappe della sua vita, compreso lo storico raid di Harpers Ferry nel 1859, uno dei grandi catalizzatori della guerra civile.
Spinto dal desiderio di scoprire il segreto della musica di Beethoven, un giovane si mette sulle tracce del celebre compositore durante un'estate trascorsa a Heiligenstadt, un sobborgo di Vienna dove Beethoven si reca abitualmente in villeggiatura. Il sogno di Wilhelm è quello di diventare un grande musicista, ma non è il solo a coltivare questo desiderio di successo in una città in cui abbonda l'ambizione, vista la presenza di numerosi intellettuali, artisti e scrittori. Con lui ci sono anche Andreas, un giovane boemo - violinista e pianista - discendente da una famiglia nobile, e una ragazza a dir poco enigmatica, Queenia. Alcuni incontri metteranno in contatto i tre, legati dalla stessa ossessione, con il Maestro, dopo un goffo tentativo di introdursi nella sua abitazione in cerca di un misterioso manoscritto. Sullo sfondo di questa vicenda, che sconvolgerà la mente di uno dei protagonisti, gli avvenimenti burrascosi e le figure decisive della Vienna di inizio Ottocento con i suoi sfarzosi salotti, i magnifici teatri e i lussureggianti giardini. In questo romanzo il fermento della Vienna di Beethoven è ricostruito nel racconto di aneddoti su eventi e intellettuali dell'epoca - da Novalis a Hoffmann, da Goethe a Grillparzer - in una celebrazione della cultura del tempo.
Il patriarcato trova la sua più fedele espressione nella figura di Duncan Edgeworth: padre tirannico, anaffettivo e lunatico, è il capofamiglia per antonomasia. Attorno a lui si muovono, atterriti o solleticati dal desiderio di sfida, i membri della sua famiglia: la moglie Ellen, naturalmente dimessa e timorosa, le due figlie ventenni Nance e Sybil, tanto egocentrica e sarcastica l'una quanto affettuosa e remissiva l'altra, e infine il nipote Grant, giovane donnaiolo dotato di grande spirito, costantemente in competizione con lo zio, di cui è il perfetto contraltare. Nella sala da pranzo degli Edgeworth va in scena quotidianamente una battaglia su più fronti: sotto il velo di una conversazione educata, si intuiscono tensioni sotterranee e si consumano battibecchi, giochi di potere, veri e propri duelli a suon di battute glaciali: «non stiamo semplicemente facendo colazione». Fino a quando la famiglia viene colpita da un lutto improvviso, che mescola le carte in tavola innescando una reazione a catena; strato dopo strato, ognuno dei personaggi svelerà la sua vera natura, in un crescendo di trasgressioni che comincia con l'adulterio e culmina con l'efferatezza.
Tutto comincia con un testamento. Al momento di spartire l'eredità fra i quattro figli, una coppia di anziani decide di lasciare le due case al mare alle due figlie minori, mentre Bård e Bergljot, il fratello e la sorella maggiori, vengono tagliati fuori. Se Bård vive questo gesto come un'ultima ingiustizia, Bergljot aveva già messo una croce sull'idea di una possibile eredità, avendo troncato i rapporti con la famiglia ventitré anni prima. Cosa spinge una donna a una scelta così crudele? Bård e Bergljot non hanno avuto la stessa infanzia delle loro sorelle. Bård e Bergljot condividono il più doloroso dei segreti. Il confronto attorno alla divisione dell'eredità sarà l'occasione per rompere il silenzio, per raccontare la storia che i familiari per anni hanno rifiutato di sentire. Per dividere con loro l'eredità - o il fardello - che hanno ricevuto dalla famiglia. Per dire l'indicibile.
Ci sono incontri casuali in grado di segnare un'intera esistenza. E ci sono storie che restano segrete per una vita intera ma poi, una volta raccontate, fanno il giro del mondo. Quando ad Ankara, negli anni Trenta, un giovane conosce sul posto di lavoro Raif Effendi, viso onesto e sguardo assente, è subito colpito dalla sua mediocrità. Man mano che i due entrano in confidenza, questa prima impressione non fa altro che ricevere conferme: schernito ed evitato da tutti sul lavoro, Raif viene maltrattato persino dai suoi familiari. Quale può essere la ragione di vita di una persona simile? Quale, se c'è, il segreto dietro una vita apparentemente inutile? Il taccuino di Effendi, consegnato in punto di morte al collega, contiene le risposte, raccontando una storia tutta nuova: dieci anni prima, un giovane e timido Raif Effendi lascia la provincia turca per imparare un mestiere a Berlino. Visitando un museo, rimane folgorato dal dipinto di una donna che indossa un cappotto di pelliccia, e ne è così affascinato che per diversi giorni torna a contemplare il quadro. Finché una notte incrocia una donna per strada: la stessa donna del dipinto. Maria. Un incontro che gli sconvolgerà la vita.
Londra, anni Sessanta. Sono trascorsi vent'anni da quando Julius è venuto a mancare, ma il suo ultimo gesto eroico ha lasciato un segno indelebile nelle vite di chi gli era vicino. Emma, la figlia minore, ventisette anni, lavora nella casa editrice di famiglia e non mostra alcun interesse verso il matrimonio. Al contrario, Cressida, la maggiore, è troppo occupata a struggersi a causa dei suoi amanti, spesso uomini sposati, per concentrarsi sulla carriera di pianista. Nel frattempo Esme, la vedova di Julius, ancora attraente alla soglia dei sessant'anni, rifugge la solitudine perdendosi nella routine domestica della sua bellissima casa color rosa pesca. E poi c'è Felix, ex amante di Esme e suo unico vero amore, che l'ha lasciata quando il marito è scomparso e torna in scena dopo vent'anni di assenza. E infine Dan, un estraneo. Le tre donne e i due uomini, legati da un filo che solca presente e passato, si ritrovano a trascorrere un fine settimana tutti insieme in campagna: caratteri e personalità, segreti e lati nascosti, emergeranno attimo dopo attimo in queste giornate intense, disastrose e rivelatrici, sulle quali incombe, prepotente, l'ombra di Julius.
Il libro racconta la vita privata e politica dell'imperatore romano del quarto secolo, nipote di Costantino, che durante gli anni del suo regno tentò, invano, di soffocare la diffusione del cristianesimo e di restaurare il culto degli dei, passando alla storia, per questo, come l'"Apostata". Il romanzo di Vidal comincia diciassette anni dopo la morte di Giuliano e prende le mosse dalla corrispondenza tra due amici filosofi che non esitano a farcire con osservazioni malevole, pettegolezzi e maliziose digressioni il diario dell'imperatore, destinato a diventare la sua autobiografia. Nelle pagine di Giuliano troviamo la rappresentazione di un conflitto politico e religioso in cui già si profila il declino dell'Impero Romano; ma nei tratti del controverso imperatore troviamo, soprattutto, il sentimento di un'epoca.
William Stoner ha una vita che sembra essere assai piatta e desolata. Non si allontana mai per più di centocinquanta chilometri da Booneville, il piccolo paese rurale in cui è nato, mantiene lo stesso lavoro per tutta la vita, per quasi quarantanni è infelicemente sposato alla stessa donna, ha sporadici contatti con l'amata figlia e per i suoi genitori è un estraneo, per sua ammissione ha soltanto due amici, uno dei quali morto in gioventù. Non sembra materia troppo promettente per un romanzo e tuttavia, in qualche modo, quasi miracoloso, John Williams fa della vita di William Stoner una storia appassionante, profonda e straziante. Come riesce l'autore in questo miracolo letterario? A oggi ho letto Stoner tre volte e non sono del tutto certo di averne colto il segreto, ma alcuni aspetti del libro mi sono apparsi chiari. E la verità è che si possono scrivere dei pessimi romanzi su delle vite emozionanti e che la vita più silenziosa, se esaminata con affetto, compassione e grande cura, può fruttare una straordinaria messe letteraria. È il caso che abbiamo davanti. (Dalla postfazione di Peter Cameron)
Roma, Città del Vaticano: alla fine di un lungo pontificato, papa Francesco è morto. Dopo i funerali, trasmessi in diretta in ogni parte del globo, gli occhi del mondo sono ora puntati su San Pietro, dove i cardinali sono chiusi in conclave. La folla si accalca contro le transenne, i furgoni dei network televisivi ingombrano via della Conciliazione, opinionisti ed esperti spiegano regole e procedure, finché davanti alle telecamere non succede qualcosa che non era mai successo prima: dopo l'ennesimo scrutinio, il comignolo della Cappella Sistina rimane quieto. È solo un problema tecnico o c'è qualcosa di più? La risposta arriva la mattina dopo: con l'attesa fumata bianca, il mondo scopre che davvero è accaduto un fatto senza precedenti. Il nuovo papa si chiama Nikolaj Sofanov ed è il primo papa russo della storia, ma soprattutto ed è questo che fa saltare sulla sedia i vaticanisti - in conclave non c'era. Al momento dell'elezione, addirittura, non era neanche cardinale. Perché proprio lui, allora? Perché andare a prenderlo così lontano? C'entra il fatto che sia un amico d'infanzia di Vladimir Putin? Quello che nessuno sa è che Sofanov custodisce un segreto che gli è stato svelato a Fatima. Quello che vuole è la riunificazione con la Chiesa ortodossa, atto coraggioso ma anche gravido di implicazioni politiche. È così che, nelle stanze più scure del Vaticano, inizia una partita a scacchi tra il nuovo papa e i suoi avversari...
Yorkshire, inizio Ottocento. Shirley, giovane donna ricca e caparbia, si trasferisce nel villaggio in cui ha ereditato un vasto terreno, una casa e la comproprietà di una fabbrica. Presto fa amicizia con Caroline, orfana e nullatenente, praticamente il suo opposto. Caroline è innamorata di Robert Moore, imprenditore sommerso dai debiti, spietato con i dipendenti e determinato a ristabilire l'onore e la ricchezza della sua famiglia, minati da anni di cattiva gestione. Pur invaghito a sua volta della dolce Caroline, Robert è conscio di non poterla prendere in moglie: la ragazza è povera, e lui non può permettersi di sposarsi solo per amore. Così, mentre da una parte Caroline cerca di reprimere i suoi sentimenti per Robert - convinta che non sarà mai ricambiata -, dall'altra Shirley e il suo terreno allettano tutti gli scapoli della zona. Ma l'ereditiera prova attrazione per un insospettabile... "Shirley" si inserisce nel grande filone del romanzo sociale inglese di inizio Ottocento: i suoi personaggi vivono gli avvenimenti storici dell'epoca - le guerre napoleoniche e le lotte luddiste -, facendo i conti con le contraddizioni del progresso industriale e offrendo spunti di riflessione sul lavoro, sul matrimonio e sulla condizione della donna.
Il Café Julien (nella realtà il famoso Lafayette Hotel di Manhattan) è il centro di gravità di un gruppo disparato e vivace di clienti fissi, il luogo dove vanno per dimenticare gli amori falliti e trovarne di nuovi, per scroccare denaro, per rovinare la reputazione altrui, per ritirare messaggi, per vedere e farsi vedere. Rick Prescott è in cerca del suo amore perduto. Jerry Dulaine, arrampicatrice sociale, ed Elsie Hookley, matrona della buona società bostoniana, si uniscono in un'alleanza scellerata per infiltrarsi fra i ricchi newyorchesi. Dalzell Sloane e Ben Forrester sono una coppia di sconosciuti pittori che architettano un piano per far soldi sfruttando il nome del loro amico Marius, un artista i cui dipinti sono saliti alle stelle subito dopo la sua morte. Con il suo umorismo tagliente e spietato, mescolando a queste trame le lotte, gli intrighi e i desideri di una manciata di personaggi secondari, Dawn Powell prende di mira il mondo degli artisti e si fa beffe della vita bohémien di Manhattan. E la storia della New York degli anni Quaranta, di quel Greenwich Village che l'autrice ha conosciuto, amato e catturato meglio di qualsiasi altro scrittore americano, diventa un ritratto corale e ironico della società moderna, con tutte le sue contraddizioni, ipocrisie e assurdità. Introduzione di Natalia Aspesi.
Dodici personaggi per dodici storie: una più appassionante dell'altra, una più cruda dell'altra. Così si apre questo romanzo d'esordio in cui, come in un girotondo, Susy (intrepida ragazza di una certa età) è la moglie di Carlo (un playboy disarmato), che è padre di Leonardo (un uomo che sembra triste, e infatti lo è), che è in cura da Paola (un abile psicologa, purtroppo innamorata di lui), madre di Camilla (la ragazzina alla quale non manca niente) e di Gianmaria (la promessa del calcio) nonché moglie di Edoardo (un ingegnere che funziona) che, a sua volta, ha un'amante, Rebecca (la donna sola), ex fidanzata di Andrea (un uomo pentito), convivente di Irina (una gran bella ragazza), ex amica di Peppe (un uomo ricco che suda tanto), sposato da anni con Gloria (la brava moglie). Un libro vero e amaro che, con occhio lucido e senza pregiudizi, descrive vite apparentemente slegate ma in realtà vicine. Dalle vicende dei protagonisti, il cui ritratto è sempre completato e a volte addirittura ribaltato da quello successivo, a sottolineare l'incomunicabilità e la solitudine del tempo presente, emerge una visione cupa e quasi cinica della vita, anche se a venir fuori, alla fine, è l'idea che "nonostante tutto" ci possa ancora essere speranza e addirittura amore.
È l'estate del 1937 e la famiglia Cazalet si appresta a riunirsi nella dimora di campagna per trascorrervi le vacanze. È un mondo dalle atmosfere d'altri tempi, quello dei Cazalet, dove tutto avviene secondo rituali precisi e codici che il tempo ha reso immutabili, dove i domestici servono il tè a letto al mattino, e a cena si va in abito da sera. Ma sotto la rigida morale vittoriana, incarnata appieno dai due capostipiti affettuosamente soprannominati il Generale e la Duchessa, si avverte che qualcosa sta cominciando a cambiare. Ed ecco svelata, come attraverso un microscopio, la verità sulle dinamiche di coppia fra i figli e le relative consorti. L'affascinante Edward si concede svariate amanti mentre la moglie Villy si lacera nel sospetto e nella noia; Hugh, che porta ancora i segni della grande guerra, forma con la moglie Sybil una coppia perfetta, salvo il fatto che non abbiano idea l'uno dei desideri dell'altra; Rupert, pittore mancato e vedovo, si è risposato con Zoe, un'attrice bellissima e frivola che fatica a calarsi nei panni della madre di famiglia; infine Rachel, devota alla cura dei genitori, che non si è mai sposata per un motivo ben preciso. E poi ci sono i nipoti, descritti mirabilmente nei loro giochi, nelle loro gelosie e nei loro sogni, in modo sottile e mai condiscendente, dalle ingenuità infantili alle inquietudini adolescenziali. Ma c'è anche il mondo fuori...
Non esiste, nella lingua italiana, un termine che possa rendere la parola ouatann, restituircene il carico di significato. Perché ouatann, per le popolazioni che abitano la terra tra il Mediterraneo e il Sahara, non è solo la patria, ma è un'intera tradizione condivisa, è una lingua, un sistema di valori, di abitudini e di gesti, un certo modo di intendere la vita. Tunisia, 2008. Malavita e politica hanno suggellato il loro patto, il malaffare regna incontrastato. Un villaggio vicino a Biserta si spegne lentamente, in silenzio, mentre i giovani si imbarcano per l'Italia. La felicità danza, inafferrabile, al confine tra cielo e mare. In una villa isolata sulla spiaggia si incrociano i percorsi di cinque sconosciuti: Rached, giocatore incallito e funzionario frustrato; Naceur, ingegnere ex galeotto che da un giorno all'altro ha visto la propria vita crollare; Michkat, inquieta avvocatessa affezionata al passato; Faiza, giovane sfuggente e focosa; Mansour, uomo violento dedito a una serie di traffici illeciti. Tutti uniti dallo stesso desiderio: quello di un futuro che si fa attendere, in un paese in cui la miseria di alcuni, il lusso sfrontato di altri e la paralisi dei valori comunitari hanno privato le persone di una dimensione essenziale: il senso di appartenenza alla propria patria. Ma per chi ci vive, in questa patria, anzi in questa ouatann, l'unico destino possibile è partire? Che ne sarà allora della memoria collettiva di un popolo?
In "Nebbia" si respira un'aria di "tetra buffoneria": forse proprio perché al centro del libro sta l'Amore. Ed è noto a tutti come i dolori procurati da questa passione siano al contempo i più tremendi e i più fatui; i più violenti e i più ridicoli. Ma l'Amore, allo stesso tempo, svolge qui anche un'altra importantissima funzione: la sua natura intrinsecamente equivoca e fantasmatica è infatti la migliore controprova della "nebbia" in cui è immersa l'esistenza di ogni uomo, l'Amore, insomma, è la quintessenza di quel sogno incompiuto e ininterrotto in cui navighiamo dipanando la matassa del nostro destino diretti verso un nulla che mai raggiungeremo, perché non è mai stato; un sogno dove sognati e sognatori mutano continuamente posizione e ruolo, tanto da rendere inafferrabili i contorni del sogno stesso. E dunque ontologicamente incerta la personalità di chi ha sognato: sia esso il protagonista del romanzo, o addirittura il narratore che l'ha creato.
14 luglio 1789. Una folla inferocita espugna la Bastiglia, fortezza simbolo dell'assolutismo monarchico. I muri vengono abbattuti, le guardie trucidate, e lungo la strada per il municipio - dove lo stanno portando in corteo per essere giudicato - il governatore della prigione finisce linciato. La sua testa, staccata dal corpo con un coltello da macellaio, viene infilzata su una picca e, più tardi, presa a calci sotto la Lanterna di place de Grève. Nessuno ancora può saperlo, ma sarà solo la prima delle tante teste che cadranno negli anni a venire, quando nelle piazze e nelle vie di Parigi i piedi affonderanno nel sangue e alla Lanterna finiranno appesi corpi a decine. Dietro la presa della Bastiglia ci sono un pugno di uomini straordinari: Camille Desmoulins, giovane scrittore ammirato dagli uomini per i suoi velenosi pamphlet e dalle donne per la sua vita spregiudicata; Georges-Jacques Danton, audace leader dei cordiglieri, temuto tanto per la sua brillante oratoria quanto per il viso sfregiato; Maximilien Robespierre, procuratore sempre dalla parte degli ultimi. Non sono gli unici, in quegli anni, ad aver immaginato - nella foschia della stanchezza e dell'alcol delle notti passate nei caffè - un mondo più libero e giusto, ma soltanto loro hanno il carisma e la forza di imporre alla storia la propria volontà.
All'inizio del ventunesimo secolo l'Europa è dominata da governi di stampo massonico e comunista. Il secolarismo ha trionfato definitivamente e le religioni sono decadute: la sparuta minoranza cattolica superstite ha come uniche roccaforti l'Irlanda e Roma, che ha ottenuto l'indipendenza dall'Italia ed è retta dal papa. Il dissenso è inesistente, l'eutanasia è pratica diffusa, l'edilizia si sviluppa sottoterra e la lingua internazionale è l'esperanto. Londra è una città silenziosa in cui ogni rumore è attutito dallo strato di gomma che sembra rivestire ogni superficie calpestabile, e a Trafalgar Square troneggia la statua di un massone. Su questo sfondo s'intrecciano le vite dei due antitetici protagonisti: da una parte Percy Franklin, ambizioso prete cattolico che aspira a una rifondazione della Chiesa; dall'altra Oliver Brand, deputato comunista e convinto anticattolico, figlio della società moderna. Entrambi assistono con trepidazione alla grande partita sullo scacchiere mondiale che si gioca tra Occidente e Oriente. Quando l'eterno attrito fra i due blocchi sembra sul punto di degenerare in una guerra di proporzioni inedite, entra in scena Julian Felsenburgh, misterioso poliglotta dal carisma eccezionale che s'impone come mediatore, stabilendo un nuovo ordine mondiale e diventando il Dio delle masse: è l'ascesa dell'Anticristo. Ma la pace universale conquistata non salva il declino dei cattolici.
"Gelido catasto dei giorni deserti e dell'assurdità delle cose", come lo ha definito Claudio Magris, "Per i sentieri dove cresce l'erba" è il diario dell'internamento in ospedali psichiatrici e sanatori a cui lo scrittore viene condannato per il suo collaborazionismo con i nazisti. Ultima opera di Hamsun, premio Nobel per la Letteratura (1920), fu scritta nel 1948, quando lo scrittore era ormai in età avanzata. Come giudicare uno Stato che si accanisce contro uno scrittore di novant'anni, lo relega per mesi in un ospedale psichiatrico per indagare sulle sue capacità mentali, provocandogli ulteriori malesseri psicofisici che lo ridurranno in fin di vita? E come giudicare Knut Hamsun che aderisce con entusiasmo al pangermanesimo nazista, appoggia l'occupazione tedesca e dopo il suicidio di Hitler nel bunker di Berlino lo definisce "figura di riformatore del più alto rango"?
1950, Londra. Antonia e Conrad Fleming stanno aspettando gli ospiti per la cena di fidanzamento del figlio Julian. Ogni cosa è pronta nella bella villa sulla collina di Hampstead, da cui si gode una magnifica vista sulla città; la casa sta per accogliere, impeccabile, l'élite londinese che celebrerà l'occasione. Eppure la voce e lo sguardo di Antonia sono velati dal disincanto e dalla sensazione, quasi una certezza, che le cose, in fondo, sarebbero potute andare in modo diverso. Così si schiude il racconto del matrimonio ventennale dei Fleming, una vicenda che solca l'esistenza di marito e moglie dal presente fino al loro primo incontro, in un percorso a ritroso che ci porta a conoscere i due in giovane età, quando Antonia era la splendida adolescente che si faceva chiamare Toni. "Il lungo sguardo" non è una semplice storia d'amore, né il sogno romantico di una donna matura che si sente d'un tratto sola, ma è, più onestamente, la storia di una coppia. Dura e vera come solo una vita intera sa essere. E soprattutto è la storia di una donna, bellissima e inquieta, coraggiosa e perduta, e della sua forza nel mettere a nudo ogni controversia privata senza pudori.
"Le cose sono andate esattamente così, ma anche in modo completamente diverso". Questo è un romanzo che parla di Berlino, di amore, di paternità, di intrecci di vite raccontate. E la storia di un uomo sulla trentina che ha una domanda che gli ronza in testa fin da ragazzino: cosa succede quando diventa possibile prolungare la propria vita? Una domanda che prima o poi si pongono tutti, ma che in questo caso risponde a una possibilità reale. Quella che si concretizza con una telefonata dall'ospedale, quando giunge la notizia che la soluzione a una malattia genetica è arrivata. Da qui prende avvio un racconto dalle atmosfere lunari, un diario irriverente, una brillante riflessione esistenzialista, infine un romanzo profondamente contemporaneo. "Il corpo della vita" è infatti il frutto di un autore che osa sfidare il pensiero comune, la voce di un uomo che affronta un'esperienza estrema con la forza della ragione e con la ragione sdrammatizza, si prende gioco di sé e infine ci racconta come si presenta la vita in questo primo scorcio del XXI secolo nella nostra vecchia Europa. A corroborare il racconto sono squarci di vita vissuta, come una vacanza in Messico con Gloria, una settimana sul Lago di Garda con Julia, morta d'overdose. Schegge di passato inframezzate da quadretti di quotidianità ospedaliera, gallerie di compagni di stanza, ragguagli sul decorso della propria malattia, visite di studenti di medicina interessati al caso di epatite autoimmune del protagonista.
Parigi, 1784. Pochi anni prima della Rivoluzione. Camille è un giovane avvocato smaliziato e dalle idee stravaganti, un enfant terrible attorno al quale si affollano pettegolezzi di ogni genere; Georges-Jacques, anche lui avvocato, è un colosso dal viso sfregiato accanto al quale gli altri uomini appaiono piccoli, deboli, sottomessi; Maximilien è un giovane procuratore sempre dalla parte degli oppressi. Gli amici li chiamano per nome, ma nei tribunali sono conosciuti come Desmoulins, Danton e Robespierre. Nati in provincia da famiglie che li avrebbero voluti sistemati con un matrimonio combinato e una vita convenzionale, ma decisi a non accontentarsi, i tre sono riusciti a completare gli studi e arrivare a Parigi, dove proprio in quegli anni "tutte le persone giuste si stanno radunando", dice Camille. Centro del mondo per eccellenza, infatti, la Parigi del 1784 è sì il luogo dove si decidono le sorti dell'intera Francia, ma anche una città in cui i poveri muoiono di fame e i cadaveri giacciono ammucchiati agli angoli di strada. Una città tesa fra l'austerità dell'ancien regime e l'idea di un mondo nuovo e più giusto come quello che i giovani discutono nei caffè e nei circoli. E in questo clima, mentre il malcontento inizia a fermentare in tumulti e improvvisi scoppi di violenza, saranno proprio Robespierre, Danton e Desmoulins a incarnare le speranze di un'intera generazione e a legare il loro destino di eroi tragici alla Rivoluzione.
"Questa stanza è come la mia anima: sporca e disordinata". L'anima di Arthur Maxley è opaca, stretta nell'incertezza della giovane età e in una biografia familiare amara, dove la protezione dei genitori si è polverizzata quando era ancora un ragazzino. Arthur spende la giornata estiva che fa da cornice a questo romanzo breve a San Francisco: qui ci sono le feste di Max Evartz, dove si beve troppo, e l'amico Stafford Lord, sempre in ritardo e terribilmente lamentoso, un giovane viziato da sogni irrealizzabili. Ma non sono le frequentazioni quanto i pensieri ad affollare la mente di Arthur, frammenti di ricordi di un'infanzia che ha al centro una voragine, una madre perduta senza sapere quale sia stata la causa e un padre, uomo d'affari sempre in giro per i continenti, il quale proprio in questo giorno è in città e propone al figlio un incontro. Ed è allora che le parole non si trovano e quelle che vengono pronunciate sono troppo poche e deboli, in un dialogo che non concede nulla al rapporto tra un genitore e un figlio. È a partire da Luisant's, un club immerso nelle strade della metropoli, che consuma la notte e la delusione, un cocktail dopo l'altro con una donna che diventa compagna di solitudini e seduzioni.
"Scrive Maugham, ossia uno dei più straordinari indagatori dei possibili narrativi, in un suo racconto, che alle donne "non interessa il senso dell'umorismo". Ma è proprio vero? Forse ai tempi dell'impero britannico. Oggi le donne sanno fare tutto quello che fanno gli uomini, secondo qualcuno anche meglio, e sono diventate sensibili a quella misteriosa e benemerita tonalità. Alice, editor della casa editrice Fazi, nonché moglie del titolare, sceglie, in questo suo libro in terza persona (romanzo? diario dissimulato? trattamento per un possibile film?), un punto di vista obliquo, che si proietta sul mondo da un'angolazione che ha il potere di incrociare, coordinare e concertare fra loro persino i contrari più irriducibili. Ingranata la marcia dello humour, la realtà non è abolita, ma si rende sopportabile, talora comincia addirittura a lievitare. Il racconto ha inizio con la descrizione di un viaggio alle Maldive, aprendosi poi a fisarmonica lungo l'arco di circa mezzo secolo, con largo spazio all'oggi. Quanto ai soggiorni all'estero, ne seguiranno molti altri, tutti godibilissimi per il lettore, fra cui quello in Giappone (nessuno lo conosceva così, cioè come realmente è). Protagonista il marito, l'editore Elido Fazi, impegnato nella quest che lo porta dai contrafforti del natio, rude e generoso Piceno all'Inghilterra dell'Economist, e quindi, ormai imprenditore di successo, alla Roma, sempre felliniana, e ora anche sorrentiniana, dei nostri anni..." (Giuseppe Leonelli)
"Se avessi un migliaio di dollari vi comprerei, a voi due". Così canticchiava Mrs Komareck ad Alex e a suo fratello Howard quando erano piccoli e lei badava a loro. È il primo ricordo che Alex ha in riformatorio, dove si trova per aver rubato quattordici macchine, l'ultima una Buick del 1959. Un ricordo tenero in una vita da adolescente inquieta e ingrata. Come è difficile vivere negli anni Cinquanta a Detroit, la città delle industrie di automobili e di chi ci lavora, dove le strade esalano gli odori e i fumi della meccanica e l'inverno del Michigan ricopre di bianco ogni cosa. Avere sedici anni e vivere con un padre che alza troppo il gomito, sentire una spina che punge il cuore senza sapere dove comincia la strada per la ricerca di una qualche specie di felicità. Questo è Alex: una famiglia che non è un nido caldo, ma piuttosto quel che rimane di un oggetto esploso, il desiderio bruciante per Irene Sheaffer, la malinconica ricerca di un proprio posto nel mondo, di uno specchio in cui un giorno si potrà guardare e riconoscere. Theodore Weesner esordì con "Ladro di macchine" agli inizi degli anni Settanta, ripercorrendo nella vicenda di Alex quelle che erano state la sua infanzia e adolescenza, e fu un inatteso successo da 500.000 copie. Con la rara capacità di cogliere le ansie di un'età e di disegnare i contorni sociali e ambientali della città industriale di Detroit, "Ladro di macchine" è il racconto commovente eppure schietto di un ragazzo e del suo mondo...
"Idillio con cagnolino" è un fermo immagine sulla perfezione di un triangolo amoroso tra una figlia, una madre e una nonna. Ovvero mette in scena la storia che passa, come una linea retta tra una nonna arcaica e post-bellica, una madre cresciuta nel periodo del boom economico e una figlia digitale. Il risultato non è scontato: nelle luminose affermazioni della bambina, quasi dei piccoli apologhi, si intravede molto del nostro passato, come un filo che si riannoda con la saggezza dei vecchi. Sullo sfondo un dialogo serrato tra città e campagna, tra capitalismo e difesa dell'essenziale, tra grandi temi e piccole osservazioni domestiche. Ecco che "Idillio con cagnolino" mette la sordina per parlare delle grandi ingiustizie sociali e storiche, lo fa ascoltando il punto di vista di una bambina che parla con i suoi giocattoli, con i lupi e le streghe. E noi vediamo i grandi lupi della Storia, i cattivi di sempre. L'Idillio si chiude con il Pianto per la distruzione di Beslan, un allucinato resoconto di come il nuovo millennio sia potuto iniziare con una strage di bambini. L'Idillio rivela la sua natura di incanto provvisorio, di attimo di quiete strappato all'imprevisto, all'incidente, al terrore. E proprio per questo fatalmente vitale.
I ragazzi Burgess, come vengono chiamati Jim, Bob e Susan, sono nati a Shirley Falls, nel Maine, e sono cresciuti in una piccola casa gialla in cima a una collina, in un angolo di continente appartato. Da adulti si sono allontanati, ognuno a scacciare il ricordo di un antico dramma familiare mai spento. Lassù è rimasta solo Susan, mentre gli altri due vivono a Brooklyn, New York. Nei Burgess si possono scorgere tre anime distinte e tanto diverse che è quasi impensabile immaginarli nella stessa foto di famiglia. Eppure, quando inizia questa storia, Susan chiama e chiede aiuto proprio a Bob e Jim: suo figlio, loro nipote, è nei guai. E allora non solo i tre fratelli sono costretti a riavvicinarsi, a dividere la preoccupazione e a tentare di ricomporre un trauma che alimenta ogni minima increspatura della loro intimità, ma sono anche travolti da una rivoluzione privata che implica, per tutti, il progetto di una nuova vita. L'ultimo romanzo di Elizabeth Strout è un'istantanea scattata nel momento esatto in cui le fragilità affettive escono allo scoperto mostrando tutta la complessità dei legami indissolubili. La sottile accortezza narrativa, che si manifesta in dettagli minuti quanto necessari, riesce a illuminare i più esili movimenti dell'animo e a scandagliare l'oscillazione perpetua della nostra emotività.
Si può vivere, e come, con l'idea martellante, incancellabile, di aver ucciso? In un'estate che s'accende di colpo su una Roma sfacciatamente monumentale, l'amicizia erotica - un gioco serissimo - tra la ventenne Fulvia e un ragazzo senza nome e dal passato inconfessabile, appassionato di musica classica, viene sconvolta dall'incidente mortale di Ruggero, che avrebbe compiuto dieci anni dopo poche settimane. Fulvia, che assiste al fatto dal terrazzo della sua casa, crede di averlo causato con un gesto sprovveduto. Il dubbio la sconvolge e il ragazzo senza nome, vedendo la sua amata sbriciolarsi in quell'ossessione, appronta un piano di salvezza con la complicità di un'altra donna. Il duo, diventato trio, sale la ripida scala della guarigione, della libertà, entra nelle stanze dei genitori del bambino morto, vittime anch'essi di un dolore folle, nell'aria di cristallo della loro bella casa all'Aventino. Poi aiutano un giovane flautista, Giovanni, a dominare il suo straordinario talento. Ma l'idea fissa della morte non arretra, anzi possiede tutti. Nell'atto finale, dopo una serie di blasfemi capovolgimenti frutto della lotta tra le energie della sopravvivenza e della persecuzione, i ritmi della vita, della musica e della morte si legano e cala il sipario su chi ha raccolto la sfida dell'amore oltre ogni limite, i segnalati.
Dopo "Wolf Hall", romanzo che narra l'origine dell'Inghilterra moderna attraverso gli occhi del discusso Thomas Cromwell, questo secondo capitolo dell'opera dedicata all'epoca Tudor si apre nel 1535, quando il Segretario di Stato di Enrico VIII è all'apice del suo potere. Le sue fortune sono infatti cresciute insieme a quelle di Anna Bolena, la seconda moglie del re, per la quale il sovrano ha chiuso i rapporti con la Chiesa di Roma e fondato quella Anglicana. Ma la politica di corte sospinge l'Inghilterra in un isolamento pericoloso e Anna fallisce in ciò che aveva promesso: dare alla luce un figlio maschio che assicuri la linea dei Tudor. La corona è debole e quando Cromwell assiste all'invaghimento del re per la riservata e tranquilla Jane Seymour, la fine del matrimonio con Anna Bolena è già certa, ma ancora senza un disegno. Mentre si fa strada attraverso gli scandali sessuali di corte, immersa nei miasmi del pettegolezzo, il Segretario di Stato deve anche trattare per giungere a una versione ufficiale che possa soddisfare Enrico e mettere al sicuro la propria carriera, diventare l'autore di una storia che salvi il potere e la corona per sempre. Ma nessuno, né Thomas né il sovrano, uscirà illeso dal sanguinoso teatro che sono gli ultimi giorni di Anna, la regina che va incontro al patibolo con coraggio e solennità, inondando del suo sangue la storia inglese.
"Bastava un solo sguardo, o quasi, per contemplare tutta Butcher's Crossing. Un gruppo di sei baracche di legno era tagliato in due da una stradina sterrata e poco oltre, su entrambi i lati, c'erano alcune tende sparse". Ecco lo sperduto villaggio del Kansas dove, in una torrida giornata del 1873, giunge Will Andrews, ventenne bostoniano affamato di terre selvagge. L'America sta cambiando, la ferrovia in breve scalzerà la tensione verso l'ignoto che aveva permeato il continente, lasciando solo il mito della frontiera. Eppure, il giorno in cui Will sente sotto i piedi la sua terra promessa, esiste ancora la caccia al bisonte, un'esperienza portentosa, cruenta e fondante, archetipo della cultura americana. È questo che il ragazzo vuole: dimenticare le strade trafficate ed eleganti di Boston e rinascere in una terra che lo accolga come parte integrante della natura. Ma in questi luoghi lontani dalla costa orientale e dalla metropoli gli uomini sono legnosi, stremati dall'attesa di un riscatto mai ottenuto e negli occhi custodiscono tutta l'esperienza del mondo. La caccia, l'atroce massacro di cui Will si rende complice, è un momento in cui si addensano simbologie, dove il rapporto tra l'essere umano e la natura diventa grandiosa rappresentazione, ma soprattutto è un viaggio drammaticamente diverso da ciò che il ragazzo si aspettava, da quel che immaginava di scoprire su se stesso e sul suo paese.
"Ci sono guerre che non hanno tregua, eroi senza fanfare. Caterina è una di questi: una veterana di diciassette anni, che comincia la lotta ogni mattina, entrando nella tortura dei vestiti. Perché Caterina è obesa, e l'unica normalità che conosce è tra le mura di casa, in una famiglia di obesi. La sua identità scompare a contatto con il resto del mondo, perché fuori l'unico modo di sopravvivere è diventare Cate, la supereroina ferocemente autoironica il cui potere è quello di "essere il paragone che salva": nessuna è più brutta, più grassa o più sola di lei. Caterina va a testa alta per il mondo ostile: attraversa le selve dei soprannomi, si veste del desiderio di essere invisibile, rifiuta la pietà degli altri. Il suo posto nel mondo è gravato dalla sproporzione, ma la sua scialuppa di salvataggio è l'intelligenza, la sua arma il sarcasmo con cui anticipa su di sé il giudizio degli altri per anestetizzarlo prima che colpisca duro. Matteo Cellini entra a gamba tesa nella vita di Caterina, e senza sconti ci racconta la sua guerra. Lo fa talmente bene che non è la pietà per Cate quella che ci rimane, ma è il rispetto. Rispetto per questa eroina condannata al fuori misura, e rispetto per un autore che la misura - letteraria - invece la conosce bene, con un racconto durissimo e lieve, implosivamente normale e ferocissimamente pieno di tenerezza." (Alessandra Casella)
Nel 1933, al suo primo apparire in America, "Il piccolo campo" suscitò scandalo tra i puritani e fu portato in tribunale. I giudici trovarono offensive le esplicite scene di sesso e le crude rappresentazioni della miseria umana, vietarono la diffusione del romanzo e fecero arrestare Erskine Caldwell. La comunità degli scrittori e editori americani protestò e l'autore fu rilasciato per essere poi scagionato completamente. Da un tale esordio nessuno si aspettava quei dieci milioni di copie che "Il piccolo campo" si è conquistato, diventando uno dei romanzi più venduti di sempre e capace di consacrare il suo autore tra i più significativi del XX secolo americano. Quello dei Walden è il ritratto feroce, cui non mancano pennellate d'ironia, di una famiglia scossa da passioni elementari e irrefrenabili, di un'esistenza schiacciata dal peso di una depressione economica insopportabile che trasforma il lavoro in una disperata lotta per la sopravvivenza e approda a una cieca corsa all'oro che tutto distrugge. "Il piccolo campo" riesce a trasmetterci tutt'oggi l'attualità dell'affresco che Caldwell fa della crisi, con l'urgenza di una scrittura travolgente che la rende una storia senza tempo.
Sono uomini e donne deportati in Siberia i protagonisti del romanzo, e le storie di questi trotzkisti - che si incontrano in uno sperduto villaggio ai confini del mondo, si legano di amicizia, si confrontano, si amano - ci raccontano gli anni strazianti in cui tanti, come Serge, furono imprigionati a causa della loro aperta opposizione al regime staliniano. Sono uno spaccato, a forti tinte autobiografiche, del mondo di brutalità dove Stalin ha già rinnegato gli ideali di una rivoluzione che si è appena messa in moto e l'onesto credo in un mondo migliore dei bolscevichi della prima ora è totalmente tradito dal cinismo e dalla crudeltà degli uomini che tengono le redini del potere. Pubblicato per la prima volta nel 1940, "Se è mezzanotte nel secolo" precede di anni le opere di Koestler e Solgenitsyn e offre un ritratto della Russia staliniana come di una macchina atta ad annientare uomini, corpi e anime. In un paese dove gli avversari del regime muoiono nell'anonimato svanendo come se non fossero mai nati, Serge, uno dei primi a far sentire la propria voce, svela con fermezza e coraggio l'uso della tortura fisica e psicologica, restituendo loro un nome e un volto e salvandoli dall'oblio del silenzio. Introduzione di Goffredo Fofi.
Jennifer White ha passato la maggior parte della sua vita a esercitare la professione di chirurgo, attività nella quale ha raggiunto traguardi eccellenti, assicurandosi una carriera brillante e remunerativa. È vissuta in un appartamento elegante, di classe, dove insieme al marito ha cresciuto i suoi due figli, Mark e Fiona. Lo scorrere del tempo ha portato con sé inevitabili delusioni e qualche lutto, però l'amica più cara, Amanda, è stata sempre lì, alla porta accanto, presenza sororale che ha custodito tutte le pieghe della vita di Jennifer come solo le amiche più vere sanno fare. Ora la dottoressa White ha sessantacinque anni, è in pensione e da qualche mese Magdalena, infermiera premurosa, vive in casa sua. Ed è qui che comincia questa storia, con la notizia della morte di Amanda e la polizia che bussa alla porta di Jennifer, perché lei conosceva bene la vittima e perché le ha vissuto accanto per tanto tempo. La donna è stata ritrovata con quattro dita di una mano amputate, un'operazione fatta con precisione, con mestiere, un taglio netto da bisturi. Esiste un legame tra l'omicidio e la dottoressa? Sarà necessario attraversare la mente di lei, ferita dall'Alzheimer, privata della possibilità di registrare e ricordare, e dai frammenti di memoria ricostruire cosa è successo. "Non ricordo se ho ucciso" è un viaggio lontano, un gioco di specchi dove il racconto privato incrocia la vicenda criminale, dove ogni personaggio è una scoperta...
"Il fico che cresce sulle rovine della fortezza, emblema e geroglìfico del nuovo libro di Claudio Damiani, ha i giorni contati. Verrà qualcuno a restaurare gli spalti del diroccato maniero aristocratico dove cresce, sradicando quella forma di vita abusiva, vita incurante della sua propria bellezza, capace di assentire al suo destino senza opporgli un'assurda resistenza. Dall'albero il poeta ricava l'insegnamento supremo: è possibile amare la vita senza avvelenarla con la paura della morte. È possibile, dunque, la felicità, quella pura e gratuita vibrazione dell'essere qui, dell'esserci ora, minuscolo filo saldamente intrecciato all'arazzo del cosmo? Come un saggio taoista, Damiani non si stanca mai di dipingere a rapidi colpi di pennello paesaggi nei quali gli uomini e le bestie, le piante e le pietre, le nuvole e le acque sono gli elementi solidali dello stesso prodigio, ovvero una sola materia senza più nome, disponibile a tutti gli esperimenti di un'alchimia interiore capace di trasformare in oro il fardello dell'impermanenza e l'angoscia del tempo che fugge. Oltre il piacere del testo, ai lettori di questo libro si offre una terapia sottile ed efficace come solo sanno essere i consigli di chi è capace di curare se stesso, e non smette mai di farlo." (Emanuele Trevi)
Sullo sfondo di un Marocco in grande fermento e sempre più diviso fra tradizione e modernità, la vita di Youssef Al Firsioui, giornalista e scrittore, viene sconvolta il giorno in cui riceve una lettera che annuncia la morte misteriosa del figlio Yassine, in seguito a un attentato terroristico in Afghanistan di cui si è reso protagonista. Il lutto profondo che ne segue si manifesta con la perdita dell'olfatto e, progressivamente, di qualsiasi gusto per la vita: i cibi, anche i più prelibati, non hanno sapore, così come i rapporti con le donne diventano piatti e senza passione. Eppure l'elaborazione del dolore subisce molte trasformazioni e Youssef, senza quasi accorgersene, inizia un viaggio personale dove, passo passo, riemergono i legami avuti con i protagonisti della sua esistenza; la madre, giovane donna tedesca morta suicida in una terra amata eppure ostile; il padre, uomo che incarna lo spirito stesso del Marocco, ormai anziano e cieco eppure instancabile guida archeologica delle antiche rovine romane della città di Volubilis. Nel frattempo il rapporto con la moglie è rovinato sotto il peso della perdita del figlio e saranno altre donne ad accompagnare Youssef in questo turbinio emotivo dove sentimenti ingovernabili fioriscono uno dopo l'altro, in cui la dimensione della conversazione privata è lo strumento con il quale si torna alla vita.
In una lettera indirizzata a un maresciallo dei carabinieri, Greta ripercorre un anno di supplenza nella scuola media di Meduno, paesino delle montagne friulane. Un anno passato tra lezioni, gite nei boschi, chiacchierate con colleghi frustrati da un mancato trasferimento, rapporti non sempre facili con la comunità del posto. Un anno ripercorso attraverso una confessione che è un viaggio nei sentimenti, alla riscoperta del nodo di repulsione e attrazione per una terra aspra, dove anche i ragazzi hanno negli occhi la durezza di leggi antiche e la purezza di un isolamento che le scie dei caccia militari, diretti nei vicini territori dell'ex Iugoslavia durante la guerra del Kosovo, sfiorano appena. È un anno che si rispecchia nel volto da bambino-adulto di "Occhiverdi", e nella silenziosa, cauta passione che quello stesso volto suscita in Greta. Ma l'anno raccontato, l'anno che è questo libro, è macchiato dalla tragica morte di un ragazzo al termine di una festa in riva al fiume. Si è trattato di un incidente o è stato vittima di un omicidio? Qualcuno avrebbe potuto fare qualcosa per impedirlo? È l'eco di questo evento misterioso continuerà ad aleggiare sulla vita dei protagonisti come un fantasma senza pace.
Nel 1960 Frank Sinatra regalò alla sua amica Marilyn Monroe un cane che l'attrice decise di chiamare Mafia Honey. Il cucciolo era nato in Scozia e i due furono inseparabili durante gli ultimi anni di vita della diva. Lei se lo portò ovunque e lui ne vide di tutti i colori. Era ghiotto di fegato, appassionato di scarpe e dei misteri dell'arte. Ma soprattutto adorava la sua padroncina. Ambientato nel mondo crepuscolare dei primi anni Sessanta, questa brillante commedia letteraria ripercorre l'ultima parte dell'esistenza di una donna che sarebbe diventata un'icona del XX secolo. Ed ecco Marylin insieme a Sinatra, Marylin con J.F. Kennedy, Marylin che si risolleva dal divorzio con Arthur Miller; la osserviamo sul set del suo ultimo film, sola e vulnerabile, con il suo cane fedele come unica compagnia. Maf è testimone e narratore, voce fuori campo in un romanzo che porta sulla scena le vette dell'arte, la cultura pop, la commedia piccante, gatti che fanno il verso alla poesia di William Carlos Williams e coccinelle parlanti, oltre alla politica dello Spettacolo in un periodo di grandi cambiamenti. Eroe di un'avventura picaresca come non se ne vedevano dai grandi romanzi dell'Ottocento, Maf occupa un posto di primo piano (a quattro zampe) accanto ai più significativi protagonisti della narrativa contemporanea.