La felicità, il benessere, la qualità della vita non hanno alcuna relazione diretta con la ricchezza materiale. Avere molto non significa stare bene. Al contrario, staremo meglio se sapremo proporci come obiettivo non il meno, ma il meno quando è meglio. Maurizio Pallante racconta in queste pagine una rivoluzione fatta di semplicità, di ragione e di rispetto, che si fonda sulla scelta di ridurre la produzione e il consumo delle merci che non soddisfano nessun bisogno. Dalla crisi di oggi - che è ambientale, energetica, morale e politica, oltre che economica - si potrà uscire se la società del futuro saprà accogliere un sistema di vita e di valori fondato sui rapporti tra persone, sul consumo responsabile, sul rifiuto del superfluo.
Un'analisi della progressiva e profonda crisi "dei valori che ha segnato la società occidentale degli ultimi secoli. Esaminando il pensiero di grandi intellettuali della modernità - da Baudelaire a Valéry, da Spengler a Camus, da Nietzsche a Heidegger, a Derrida -, l'autore riflette sulla perdita traumatica dell'orizzonte di senso che segue all'affermazione della nuova civiltà borghese, incentrata sul progresso tecnologico-scientifico, e ne indaga gli effetti a livello sociale, filosofico e letterario. A emergere con forza è una tradizione intellettuale nichilista, in cui siamo tuttora immersi e che mette in discussione la possibilità di proporre valori assoluti come metro interpretativo. La tendenza culturale dominante diviene così il relativismo, in bilico tra il rischio di accettazione passiva e omologante di tutte le idee e la speranza di apertura autentica alla negoziazione e al dialogo.
Un elogio dell'immoralismo contro il moralismo ortodosso di vedute ristrette e contro l'eccesso di immoralità. Tenendo come riferimento costante il pensiero di Nietzsche e spaziando dalla filosofia antica a quella contemporanea, l'autore traccia il percorso della morale nei secoli, considerando come disposizione più favorevole alla conoscenza la tendenza a dubitare delle verità precostituite e la ricerca autonoma, fondata sull'esperienza, delle proprie norme di comportamento.
È il saggio in cui l'autrice espone in modo più articolato e completo la sua elaborazione della questione dei diritti umani. Jeanne Hersch individua nella capacità di libertà dell'essere umano e nell'esigenza assoluta di attualizzazione e affermazione di questa capacità il fondamento assoluto e universale dei diritti umani. Al contempo, però, ricerca le condizioni concrete e reali di sviluppo di questa capacità di libertà, le condizioni di una "vita buona", corrispondenti all'oggetto dei diritti umani particolari, politici e civili, sociali ed economici, culturali ecc. L'incrocio di esistenzialismo e realismo rende la sua posizione particolarmente originale e feconda, e la inserisce a pieno titolo nel dibattito filosofico contemporaneo sui diritti umani insieme a Bobbio, Sen, Nussbaum, Griffin, Benhabib, Arendt, Searle e altri. A partire dalla sua idea di libertà, Jeanne Hersch offre infatti solidi argomenti rispetto ad alcuni dei maggiori problemi che sono al centro del dibattito attuale sui diritti umani: il problema del fondamento dei diritti umani, della giustificazione della loro universalità, del significato e dell'efficacia delle Dichiarazioni universali, dell'inclusione dei diritti positivi (economici, sociali, culturali) nei diritti umani, e dell'educazione ai diritti umani.
Il declino dei sistemi religiosi istituzionali ha lasciato un vuoto morale ed emozionale nella cultura occidentale. Steiner esamina le mitologie sostitutive offerte dal programma filosofico-politico di Marx, dalla psicoanalisi di Freud e dall'antropologia di Lévi-Strauss, e le vampate dell'irrazionale come l'astrologia, l'occulto, i culti orientali: tutti tentativi mancati di dare una risposta complessiva alla crisi di senso che colpisce l'uomo moderno.
Il progresso delle neuroscienze, l'uso degli psicofarmaci, le terapie brevi centrate sulla correzione del sintomo sembrano decretare la morte della psicoanalisi. La cura deve comprimersi il più possibile. Contro questa deriva cinica un pamphlet che sintetizza perché vivere senza inconscio sarebbe una catastrofe interiore.
Nel clima di slancio e di entusiasmo per la vittoria della Lega Santa a Vienna (1683), che arrestava l'espansione dell'impero ottomano, Tirso Gonzàlez de Santalla, cattedratico a Salamanca e futuro generale della Compagnia di Gesù, diede alle stampe un "Manuale per convertire i maomettani" in cui forniva ai missionari dettagliate istruzioni e consigli sulla predicazione agli islamici, in Europa e in terra di missione. Il "Manuale", ricco di esempi tratti dall'esperienza diretta del gesuita, ebbe numerose edizioni e traduzioni. Emanuele Colombo fornisce ampi intarsi di questo fortunato libro e dei carteggi di Gonzàlez: uomo colto e illuminato, il gesuita riferisce incontri e dialoghi che approdano alla conversione, ma anche, talvolta, alla conferma di diffidenze e incomprensioni.
"Come raramente accade, questo libro non si limita a porre una questione, ma offre anche una risposta. Le risposte, anche quando non le si dovessero condividere, non debbono mai spaventare, e tanto meno in questo caso; una delle frasi più belle che ho sentito pronunciare dal suo autore è: "Con me percorrerai sempre inizi". E una citazione da Gregorio di Nissa, "padre della mistica cristiana", vissuto nel IV secolo, fratello di Basilio, il fondatore del monachesimo orientale. Ecco: questo libro dovrebbe proprio leggersi come un nuovo inizio..." (Dalla Prefazione di Roberta De Monticelli)
Uomo di smisurata cultura e grande viaggiatore, Leonardo Pisano, meglio noto come Fibonacci, è considerato uno dei più geniali matematici di tutti i tempi, al quale si deve l'introduzione del sistema decimale e l'utilizzo delle cifre arabe in Europa. Dai viaggi in Egitto, Siria, Grecia, Sicilia e Provenza per conto del padre mercante trasse i grandi insegnamenti che gli avrebbero permesso di pubblicare, nel 1202, quell'opera colossale che è il Liber Abaci: un saggio destinato a rivoluzionare per sempre i sistemi di numerazione e a dare forma compiuta i fondamenti dell'algebra e dell'aritmetica.
Semplicità equivale a buon senso, a equilibrio: questo l'insegnamento che sembriamo trarre sempre di più dalla vita di tutti i giorni. Ci ribelliamo contro la tecnologia, sempre più complicata e contorta, contro i lettori DVD in cui ormai non si contano menu e funzioni o, ancora, contro i software che immancabilmente si accompagnano a veri e propri manuali di istruzioni. L'iPod e il suo straordinario successo lo dimostrano: la semplicità, specie nell'era digitale, è la carta vincente. Uno studioso del MIT ha fatto di questo affascinante tema l'oggetto delle sue incessanti ricerche e ci propone qui un semplicissimo e tuttavia denso trattatello sulla semplicità, scritto per permettere ai lettori di comprenderne i fondamenti e di esplorarne i legami con il design, la tecnologia e la vita in generale. Concepito secondo lo stesso criterio di semplicità, il libro di Maeda illustra le dieci leggi fondamentali di questo concetto, dalla più semplice ("Riduci") alla più complessa ("Semplicità significa sottrarre l'ovvio e aggiungere il significativo"): dieci leggi concentrate in poco più di cento pagine, di modo che anche la lettura e il tempo necessario a compierla siano all'insegna della semplicità e diano modo a chiunque di far proprie le linee guida di questa affascinante teoria anche durante la pausa pranzo o un volo di breve durata.
Diversamente da quanto il titolo potrebbe far intendere, questo non è un libro contro il digitale, anzi: le nuove forme tecnologiche odierne sembrano poter amplificare alcune delle potenzialità della fotografia tradizionale, basti pensare al formidabile utilizzo delle fotocamere dei cellulari nella produzione e archiviazione di "oggetti" di memoria. L'avvento del digitale, l'affermazione di una tecnologia che fa della manipolazione la sua arma migliore, sembrano aver dissipato le critiche mosse a teorici, artisti e operatori di epoca analogica, secondo le quali la fotografia di prima generazione veniva considerata un mezzo di duplicazione della realtà, incapace di "mentire" e, quindi, di produrre forme culturali. Ma con il passaggio dall'analogico al digitale, definito da molti epocale e dirompente, la fotografia ha veramente cambiato modalità e filosofia di rappresentazione? Andando oltre la querelle tra gli "apocalittici" e gli "integrati", tra coloro che rimpiangono i prodotti a traccia chimica e quelli che ne annunciano l'inesorabile tramonto celebrando i fasti del nuovo sistema, l'autore propone un confronto originale delle due tecnologie per tornare a riflettere su questioni fondamentali, etiche ed estetiche, dell'identità fotografica, sul ruolo e la responsabilità dell'autore, sull'arte e la comunicazione più in generale.
"Lo Stato è un corpo": dal medioevo all'età moderna lo sforzo di comprendere la complessità di entità astratte come lo Stato e il potere si concretizza spesso in questa metafora conoscitiva. Tre snodi fondamentali della storia di questa metafora politica e cioè il Medioevo e Marsilio da Padova, Machiavelli, Hobbes mostrano come la solidarietà tra corpi celesti, corpi umani e corpi politici filtri da un'epoca a un'altra, consentendo di spiegare le ragioni della comunità, per cedere poi il passo ad una visione diversa, in cui lo Stato diventa una seconda natura, capace di creare autonomamente la propria materia, ovvero i cittadini. Il passaggio al moderno si illumina anche in questo passaggio di metafore.
Il volume presenta un'introduzione storica e filosofica ad alcune delle principali teorie dell'argomentazione sviluppate nella seconda metà del Novecento. Seguendo come filo conduttore il nesso tra argomentazione e logica formale, il testo si propone di illustrare alcune delle tradizioni teoriche più importanti degli ultimi cinquant'anni: dalla Nouvelle Rhétorique di Perelman, alla teoria degli argomenti di Toulmin, agli sviluppi argomentativi della logica conversazionale di Grice e della teoria degli atti linguistici di Austin e Searle, alla pragmatica comunicativa di Habermas, fino alla teoria dell'Interpersonal Reasoning di Walton e Krabbe.
Frutto di un lavoro di compilazione, l'opera restituisce la profonda ammirazione e l'empatia intellettuale ed estetica che spinsero Maria Zambrano a interessarsi al pensiero unamuniano e ad analizzarne le pieghe più recondite, facendo emergere i suoi risvolti più interessanti. Alla ricostruzione delle coordinate storiche, culturali e filosofiche del suo tempo segue l'analisi di alcuni concetti chiave della sua produzione, tra cui i rapporti tra filosofia e religione, fra poesia e conoscenza, fra tragedia ed esistenza.
Ora che il comunismo è stato gettato alla polvere della storia, diventa più urgente che mai ponderare il corso futuro del suo apparente conquistatore: il capitalismo. Con l'intento di esaminare la possibile direzione del capitalismo, come prima cosa l'autore di questo libretto identifica la natura della sua preda, facendo una veloce panoramica su cosa il capitalismo non è. Una volta stabilito il modo in cui capitalismo e mercato lavorano in contrasto con gli altri meccanismi di coordinamento nella società, propriamente tradizione e comando, Heilbroner esplora il capitalismo come un sistema economico e, allo stesso tempo, come ordine politico e dimostra come i due piani siano assolutamente interrelati.
Precettistica religiosa, letteratura libertina, arte figurativa, documenti archivistici delineano la storia sotterranea di un'intimità quotidiana che non ha prodotto molti discorsi, né memorie collettive. Uno spaccato che dal Medioevo alle soglie del Novecento porta alla luce visioni culturali e correnti di pensiero dal punto di vista religioso e laico. Un quadro variegato di conferme e di sorprese per rivivere le avventure del corpo nei pruriti di pulci e pidocchi, nelle evacuazioni umane, nelle pratiche igieniche genitali, nelle sollecitazioni e nelle mortificazioni delle "parti vergognose". Dalle avventure di un corpo a misura d'uomo emerge un'intimità quotidiana istintiva o calcolata, in cui la vera sorpresa è la scoperta di un mondo di donne.
Uno dei più grandi storici dell'arte del Novecento ripercorre in questo libro le fasi più significative della storia della pala d'altare, dalle origini al Cinquecento. Protagonista indiscussa della pittura italiana nell'arco di tre secoli, la pala d'altare rappresenta un genere a sé, e come tale merita di essere indagata e analizzata. E proprio cimentandosi con questo particolare veicolo espressivo che pittori del calibro di Masaccio, Mantegna, Piero della Francesca e Tiziano hanno definito il loro stile e sancito l'immortalità delle loro opere. Prendendo spunto dal problema teorico della pala d'altare, l'autore ne rintraccia le origini nelle produzioni artistiche del 1100-1200, per dedicarsi infine a un'analisi storica della pala italiana attraverso l'esame di alcuni esempi fra i più significativi. Un libro per esperti e meno esperti, per chi intende approfondire un tema appassionante e per chi vi si avvicina per la prima volta.
C'è ancora spazio per la libertà dell'uomo in un mondo in cui l'immagine si fa sempre più simbolo vuoto, in cui la tecnologia e le macchine si impossessano sempre di più del nostro quotidiano e i nostri pensieri e i nostri desideri sembrano robotizzarsi ogni giorno che passa? Muovendo da questa fondamentale domanda, Flusser si avventura nell'analisi di una disciplina imprendibile, dai contorni sfumati, in cui il confine tra tecnica e arte, tra riproduzione ed espressione, risulta per definizione ambiguo. Ridotta al mero statuto di duplicazione della realtà, svuotata del suo senso primario di "ricostruzione del mondo", la fotografia è per Flusser l'emblema della pericolosa deriva che oggi rischia di travolgere gli esseri umani: quello di essere schiavi di una tecnica priva di fondamento. Ecco il perché di una filosofia della fotografia: solo attraverso un suo ripensamento l'uomo potrà scongiurare la minaccia di asservimento alle macchine e ridare spazio a quella libertà e a quel senso che nell'era postindustriale sembra avere smarrito.
Il volume presenta in una nuova traduzione due fra i testi più importanti per la ricostruzione della vita e delle gesta del condottiero macedone: il "Romanzo di Alessandro" (III a.C.-I d.C.), che assembla materiali storici e leggendari eterogenei, e la "Vita di Alessandro" (115 d.C. circa) in cui Plutarco mette in luce il carattere del condottiero, le sue virtù di magnanimità, di nobiltà d'animo, di coraggio, ma anche la sua ira, i suoi scatti capricciosi e violenti, la sua nervosa e incontenibile passionalità.
Cos'è la città? Cos'è lo spazio urbano? Rifacendosi all'insegnamento di Michel Foucault, il libro ricostruisce una genealogia di questi concetti fino alla nascita del moderno paradigma della sicurezza. Si tratta del dispositivo biopolitico che ancora oggi ci governa, e che si definisce compiutamente verso la metà del Settecento. Nel suo contesto, ogni luogo sarà sicuro solo in quanto delimita e insieme lascia apparire un potenziale pericolo: interno ed esterno, pace e guerra, vita e morte, divengono così i poli di una relazione dinamica costante. Questo dispositivo, che mirerebbe ad escludere ogni spazio di fuga, si rivela però un vero e proprio apparato mitologico, e contro di esso il libro chiama ad una "defezione assoluta".
Farmaci, molecole sempre più all'avanguardia, strategie psicoterapeutiche, corsi di autostima; questa è l'offerta assordante che riempie le orecchie di chi, affetto dal male oscuro, non chiede altro che qualcuno si assuma la responsabilità della propria guarigione. Contro la depressione la psicoanalisi propone un percorso inverso: restituisce la responsabilità al soggetto, nella consapevolezza che, proprio così, al soggetto possa spalancarsi l'unica possibilità di intervenire sul sintomo che lo affligge. Il dispositivo analitico possiede un potere antidepressivo che, già solo a considerare la potenza del transfert, rivela la sua forza di rivitalizzazione del soggetto.
Libertà e potere politico: questi i temi nodali che il grande filosofo americano affronta in questo libro. Conciliando le analisi sul linguaggio e la mente, che lo hanno consacrato sulla scena internazionale, agli ultimi progressi della ricerca nel campo della neurobiologia e delle scienze cognitive, Searle approfondisce ulteriormente la sua teoria della coscienza e dell'intenzionalità arrivando a porsi un interrogativo cruciale: quale dev'essere la natura fisica della mente affinché la libertà sia possibile?
Questo scritto, che ha sullo sfondo l'interesse per i mutamenti politici dopo la caduta del Muro nei paesi dell'Europa orientale, mette a confronto i processi costituenti seguiti alla Rivoluzione americana e alla Rivoluzione francese. Il punto teorico che affronta riguarda due "atti linguistici", come direbbe Searle, richiamati nel titolo: argomentare e negoziare. L'obiettivo principale dell'analisi è di fare chiarezza sui rapporti tra argomentazione e negoziazione, concetti che si intrecciano con la distinzione di Habermas tra comportamento strategico (quello che massimizza i vantaggi in una situazione conflittuale) e comportamento comunicativo (quello che mira alla condivisione).
In questo libro l'autore analizza quella particolare tipologia di ritratti (e di autoritratti) che sembra derivare direttamente dalle icone bizantine e, prima ancora, dai ritratti di el-Faiyùm: immagini dipinte di volti o di busti ritratti frontalmente che, quasi sempre, fissano lo spettatore e nei quali gli occhi sono protagonisti assoluti. La selezione ha inizio con la ritrattistica tardoromana orientale, non tanto perché fu questa l'epoca in cui venne scoperta l'individualità, ma piuttosto perché i primi ritratti pittorici giunti fino a noi rimontano alle vestigia del mondo romano, all'epoca in cui le religioni misteriche orientali iniziarono a conquistare adepti.
Medico, psichiatra, psicoanalista, Jacques Lacan (1901-1981) è stato una delle personalità più significative nella cultura del Novecento e nella storia della psicoanalisi del dopo-Freud. Il suo riferimento costante e rigoroso ai fondamenti della clinica psicoanalitica s'interseca con l'utilizzo critico delle teorizzazioni più avanzate proprie della linguistica, della filosofia, della logica, dell'antropologia, della letteratura e della psichiatria. Scritto da due psicoanalisti di generazioni diverse ma formatisi entrambi alla scuola di Lacan, questo libro offre al lettore un'esposizione chiara e rigorosa dell'insegnamento lacaniano.
Un'indagine sulle passioni dell'essere umano: la passione dell'invidia e della gelosia, la passione del desiderio e del Male, la passione dell'amore e dell'odio. Ma è a quest'ultima, alla passione dell'odio, che questo studio si dedica in modo particolare. Jacques Lacan l'aveva definita, insieme a quella dell'amore e dell'ignoranza. una "passione dell'essere". L'odio, infatti, diversamente da ogni altra passione ha di mira l'essere dell'Altro. Non colpisce l'immagine, non vuole ciò che l'altro ha, non attacca un aspetto particolare della sua esistenza. L'odio è un'invidia speciale: è, come afferma Lacan, "invidia della vita".
Una nuova opera di questo atipico pensatore che riflette in modo originale sull'impatto che i media hanno sulla nostra vita. Il mondo codificato in cui viviamo non è più sinonimo di progresso, ormai non racconta più storie, e vivere in esso significa smettere di agire. Quando qualcosa perde di significato si parla di "crisi dei valori". Questo perché siamo ormai dipendenti dal testo, anche per la storia, per la scienza, per la politica, per l'arte. Noi "leggiamo" il mondo, ad esempio dal punto di vista logico, o matematico. Ma la nuova generazione, che dipenderà dalla tecnologia non condivide i nostri "valori". E noi non sappiamo ancora attraverso quale nuovo significato la tecnologia che ci circonda, ci programmerà.
Il libro espone in un linguaggio semplice e accessibile le problematiche sociali e gli aspetti culturali legati al fenomeno della devianza giovanile, attraverso una lettura sociologica, psicologica e giuridica. La famiglia, la scuola, il gruppo, il quartiere, la città, facendo da sfondo alle storie di tanti ragazzi, diventano essi stessi protagonisti. Perché un ragazzo 'normale' rapina e uccide; quanto dipende da lui, quanto dipende dagli altri; come è possibile aiutarlo; come è possibile recuperarlo; quale deve essere la giusta punizione; quale la valenza rieducativa del carcere.
È innegabile che il progressivo affermarsi del pensiero kleiniano nelle società psicoanalitiche europee (molto meno negli Usa) ha pagato un certo prezzo in termini di rigore di pensiero. Certe parti della teoria di Melanie Klein paiono infatti aver subito una revisione, perlopiù tacita. La riproposizione che qui viene offerta del lavoro della psicoanalista austro-britannica ci presenta, in un percorso che attraversa i luoghi centrali del suo pensiero, una lettura che colloca Melanie Klein tra i pensatori più rilevanti - non solo all'interno della disciplina psicoanalitica - del moderno e della sua crisi.
In questo libro lo storico della letteratura Ezio Raimondi propone una lettura dell'idea di barocco accostando lo scrittore Carlo Emilio Gadda al critico d'arte Roberto Longhi.
La questione delle foibe (i crepacci carsici dove furono gettati, tra il 1943 e il 1945, dagli jugoslavi migliaia di italiani) è rimasta per molto tempo un tabù nella nostra storiografia: una vicenda terribile e "scabrosa" sulla quale era difficile scrivere. Gli storici Raoul Pupo e Roberto Spazzali sono stati fra i protagonisti del rinnovamento degli studi sul problema delle foibe avvenuto a partire dalla fine degli anni ottanta. Questo libro fornisce la documentazione necessaria al lettore per comprendere autonomamente i fatti e orientarsi nelle varie interpretazioni storiografiche. L'ultima parte, "I luoghi della memoria", contiene una mappa dettagliata delle foibe e le indicazioni indispensabili per raggiungerle.
Maria Zambrano (1904-1991) è stata una delle grandi figure della scena intellettuale di questo secolo, una pensatrice originale e profonda. Fu allieva del filosofo Ortega y Gasset e visse a lungo in esilio (in Italia dal 1954 al 1964), a causa della sua opposizione al franchismo. Tornata in Spagna nel 1984, vinse nel 1988 il Premio Cervantes. Nella sua opera occupa un posto privilegiato "Il sogno creatore", scritto nel 1965. Ma quella prima versione è soltanto una parte del presente volume, modificato e arricchito fino al punto di trasformarsi in un nuovo libro.
L'autore, psicoanalista puro, si dedica da anni alla pratica con soggetti tossicodipendenti trattati in istituzione. Le terapie proposte si dividono tra modelli comunitari fondati sul lavoro pratico-manuale e percorsi misti, dove accanto alla disciplina del lavoro viene offerto un aiuto psicologico attraverso equipe di orientamento eterogeneo, formate da educatori e psicologi.
Giuliano Procacci studia i vari aspetta della storia contemporanea, rivolgendosi a quell'episodio, ossia alla disfida di Barletta, con la curiosità e la passione per le fonti che lo hanno aiutato a narrare i grandi eventi. Procacci ha così scoperto che la disfida di Barletta non andò proprio così come la si conosce e che di disfide ce ne furono più di una, in secoli diversi. E' stato uno di quegli episodi della storia che servono alla politica, al patriottismo e anche alla letteratura, e che vanno quindi raccontati nuovamente.
Tutta la storia è una specie di aurora ripetuta ma non compiuta, dischiusa al futuro. Questa è la tesi che attraversa il libro della filosofa spagnola. Una riflessione sulla storia umana (sulla sua tragicità spezzata da qualche spiraglio di speranza) e sulle possibilità della democrazia di rappresentare davvero la medicina contro quel "grande peccato di tutti noi" che è l'assolutismo, che nasce dal fatto che le persone si sognano illimitatamente volenti e potenti.
La storiografia era, nella città antica, un'attività diffusa e quasi pervasiva: l'attività più vicina alla politica, e perciò stesso intrinseca all'arte della parola. La storiografia greca, in particolare, ha avuto una vitalità prodigiosa e ha segnato per molti secoli la strada a chiunque, in Occidente, intendesse scrivere storia: in greco, in latino, poi negli idiomi volgari. Si è scritta storia alla maniera dei greci fino all'Illuminismo.