Il volume offre l'edizione critica di alcuni testi teologici e filosofici di dom Robert Desgabets, benedettino cartesiano vissuto nel Seicento. Gli opuscoli sono editi prendendo per base le raccolte manoscritte conservate nella Biblioteca municipale di Epinal. Essi approfondiscono attraverso la prospettiva agostiniana e cartesiana il tema del rapporto e della collaborazione tra ragione e fede, con particolare attenzione ai misteri della Trinità, dell'Incarnazione e della trasmissione del peccato originale, oltre che alle tematiche della grazia, della predestinazione, della giustificazione e della natura degli angeli. Gli inediti, brevemente contestualizzati e corredati da un essenziale apparato di note, sono preceduti da un saggio introduttivo che, oltre a restituire il quadro storiografico di riferimento, contribuisce a illustrare l'apporto gabetiano ai dibattiti teologici, filosofici e scientifici del XVII secolo.
“Cinismo” è oggi sinonimo di insensibilità, di un’amara disponibilità a farsi complice di qualsiasi cosa a qualunque prezzo. Ben altra natura possedeva il cinismo degli antichi, o quello che Nietzsche chiamava cynismus, una forma estrema di autodifesa che opponeva alla minaccia dell’insensatezza sociale un nucleo irriducibile di sopravvivenza, la sfrontatezza vitale di una filosofia vissuta. Se il cynicus Diogene viveva in una botte, il “cinico” moderno aspira invece al potere e al successo. Critica della ragion cinica parte da questa contrapposizione per rileggere l’intera storia della filosofia, sottoponendo a una serrata analisi il rapporto tra intellettuali e apparati di potere e il relativo strascico di sangue e ideologie.
Dalle esilaranti frecciate di Diogene contro Platone alla rivisitazione del Grande Inquisitore dostoevskijano, da Nietzsche e Heidegger alle drammatiche parabole della repubblica di Weimar e della rivoluzione russa, Sloterdijk mette a nudo i rischi estremi della falsa coscienza. Sostenuto da una inesauribile e travolgente forza satirica, intreccia provocatoriamente storia del pensiero e costumi sessuali, moda. arte, ideologia e mass media. E dopo aver tracciato una lucida diagnosi della catastrofe politico-morale del nostro tempo, ci indica una possibile terapia, attraverso il coraggio sereno e consapevole di un nuovo cynismus.
Quest’opera è stata accolta da Jürgen Habermas come un “capolavoro di letteratura filosofica”.
Edizione italiana a cura di Andrea Ermano e Mario Perniola
Presentazione di Mario Perniola
L'autore
Peter Sloterdijk, fra i protagonisti del dibattito filosofico contemporaneo, insegna Filosofia ed Estetica presso la Staatliche Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe e dirige l’Istituto di Filosofia della Cultura presso la Akademie der bildenden Künste di Vienna. Nelle nostre edizioni ha recentemente pubblicato Devi cambiare la tua vita (2010), La mano che prende e la mano che dà (2012) e Stress e libertà (2012).
- See more at: http://www.raffaellocortina.it/critica-della-ragion-cinica#sthash.B5DeFkiu.dpuf
L'obiezione di Max Stirner sul carattere trascendente di ogni costruzione utopica, anche quando si presenta come «scientifica» e del tutto immanente come il marxismo o lo storicismo crociano o l'attualismo gentiliano, è ancora oggi di grande attualità.
In ogni atto o progetto rivoluzionario, per quanto determinato da contraddizioni interne dell'esistente, c'è una trascendenza implicita. Per Sartre, come per Nietzsche, Weber e Popper, senza passione non si fa nulla e la negazione di ogni trascendenza rischia di produrre, come alternativa, solo la solitudine del solipsismo. Non si tratta di scomodare la prova ontologica di sant'Anselmo o il ragionare neo-aristotelico di san Tommaso d'Aquino perché la questione, tuttora aperta, non riguarda l'esistenza o l'inesistenza di Dio, bensì il suo mistero.
Sommario
Prefazione. I. La trascendenza implicita in ogni atto rivoluzionario. II. Nodi irrisolti. III. La natura reinventata. IV. Le contraddizioni del marxismo egotistico. V. L'ultimo specialista dell'universale. VI. Sartre e l'antropologia strutturale. VII. Evoluzione dell'intellettuale. VIII. Sartre, letterato suo malgrado. IX. L'intellettuale alla ricerca del «perché». X. Il carattere operativo del conoscere. XI. L'intellettuale come «residuo della società». XII. Elitarismo contro intersoggettività. XIII. L'abbandono e la resa. XIV. Merleau-Ponty, difensore dell'alterità. XV. L'iniziativa individuale come variabile indipendente. XVI. La tattica soffoca la strategia. XVII. Giudizio tecnico contro giudizio politico. XVIII. Il paravento del culto dell'efficienza. XIX. L'erosione dell'autonomia del giudizio politico. XX. Albert Camus, il figlio del Mediterraneo. XXI. Alla ricerca delle radici e dei valori primordiali. XXII. Il Mediterraneo non bagna Boulevard Saint-Germain. XXIII. L'altera e sterile solitudine dell'ego in Jean-Paul Sartre.
Note sull'autore
Franco Ferrarotti è professore emerito di Sociologia all'Università La Sapienza di Roma e direttore della rivista La Critica sociologica. Con Nicola Abbagnano ha fondato nel 1951 i Quaderni di sociologia, che ha diretto fino al 1967. È stato tra i fondatori, a Ginevra, del Consiglio dei Comuni d'Europa nel 1949, responsabile della divisione Facteurs sociaux dell'Ocse a Parigi e deputato indipendente al Parlamento italiano dal 1958 al 1963. Nominato Directeur d'études alla Maison des Sciences de l'Homme di Parigi nel 1978, è stato insignito del premio per la carriera dall'Accademia nazionale dei Lincei nel 2001 e nominato Cavaliere di gran croce al merito della Repubblica dal presidente Ciampi nel 2005. Ha insegnato e condotto ricerche in molte università europee e numerose sue pubblicazioni sono state tradotte all'estero. Con EDB ha pubblicato La religione dissacrante. Coscienza e utopia nell'epoca della crisi (2013).
Certi trionfi sono peggiori delle eclissi. È accaduto anche alla bellezza. Proscritta come imbarazzante anticaglia dal sussiego postmodernista, ha poi riguadagnato terreno nella vita quotidiana attraverso un'idea artefatta di naturalezza e il culto della prestanza corporea, che promette a chiunque una facile elusione del proprio "ricettacolo di fango". Stefano Zecchi non si compiace affatto di un simile rientro in scena della bellezza. Se oltre vent'anni fa la riscattava dal limbo di irrilevanza in cui l'aveva confinata l'intero Novecento, avanguardista e "post", adesso la difende dalla sua versione cosmetica, domenicale. Nella nuova edizione di quel saggio controcorrente, accolto con successo, Zecchi torna a essere felicemente inattuale. Ai suoi occhi rimozione estetica ed esaltazione sociale appartengono allo stesso orizzonte isterilito, in cui ancora una volta viene aggirata la domanda di senso che è racchiusa nella rappresentazione di una forma sensibile e che costituisce la vera dimensione utopica dell'esistenza. Più che salvare il mondo, secondo l'auspicio di Dostoevskij, oggi la bellezza deve essere messa in salvo dal mondo.
«Obbedite ai poteri. Se ciò vuol dire "cedete alla forza", il precetto è buono ma superfluo e posso assicurare che non sarà mai violato. Ogni potere viene da Dio, lo riconosco; ma anche ogni malattia viene da lui. Ciò significa che è vietato chiamare il medico? Supponiamo che un brigante mi sorprenda nel passaggio di un bosco: non solo bisogna per forza che gli consegni la borsa, ma, nell'eventualità che potessi sottrargliela, sarei in coscienza obbligato a dargliela ugualmente? Perché, in ultima analisi, la pistola che ha in pugno è anch'essa un potere. Riconosciamo, dunque, che la forza non fa il diritto e che si è obbligati a obbedire solo ai poteri legittimi.» (Du contrat social, I, 3)
"IL realismo naturale non è una teoria filosofica, appartiene al fenomeno della conoscenza ed è sempre indicibile in esso. Tale realismo s'identifica con la convinzione, da cui siamo dominati per tutta la vita, che il complesso delle cose, delle persone, degli avvenimenti e dei rapporti - in breve, del mondo in cui viviamo e che rendiamo nostro oggetto nel conoscere - non è prodotto solo dal nostro conoscere, ma sussiste indipendentemente da noi. Se questa convinzione ci abbandonasse anche un solo istante nella vita non la prenderemmo più sul serio. Ci sono teorie filosofiche che l'abbandonano; ma esse svalutano così la vita nel mondo e in realtà non la prendono più sul serio." Nicolai Hartmann
Il costituzionalismo rigido ha cambiato profondamente la natura del diritto e della democrazia, imponendo alla politica limiti e vincoli sostanziali, a garanzia dei diritti fondamentali costituzionalmente stabiliti. Oggi l'intero edificio della democrazia costituzionale è aggredito, come modello teorico e come progetto politico, dall'asimmetria tra il carattere globale dei poteri economici e finanziari e i confini ancora statali del diritto e della democrazia; dall'abdicazione al ruolo di governo della politica, tanto impotente e subordinata ai mercati quanto onnipotente nei confronti dei soggetti deboli e dei loro diritti; dal generale sviluppo dell'illegalità o peggio dall'assenza di regole sui poteri, sia pubblici che privati. L'espansione del costituzionalismo e la costruzione delle sue garanzie all'altezza dei nuovi poteri economici globali è perciò il compito principale della politica e la sola alternativa razionale a un futuro di disordini, di violenze, di disuguaglianze e devastazioni ambientali, oltre che di involuzioni autoritarie e antidemocratiche.
Il volume raccoglie gli Atti del Convegno nazionale «Religione e fede nell’età postsecolare » (Milano, 21-22 novembre 2012), organizzato nell’’anno della fede’ dal Progetto «Filosofia ed esperienza religiosa», il gruppo di lavoro promosso dal dipartimento di Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dal Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della CEI. Nei due precedenti convegni, «Filosofia e mistica» ed «Esperienza religiosa», si è indagato il ‘soggetto religioso’, nel tentativo di evidenziare le categorie fondamentali del ‘fare esperienza religiosa’ come base teoretica, con cui affrontare anche la più vasta problematica del religioso. Abbiamo così voluto rivendicare la specificità della riflessione filosofica sul religioso e insieme l’interesse per un lavoro interdisciplinare. Frutto di questo disegno è questo terzo convegno: un’analisi delle pratiche della religione e della fede in un’età enigmatica, la post-secolare, insieme segnata dal più radicale relativismo e dal cosiddetto ‘ritorno di Dio’. Dalle interpretazioni dei dati delle più recenti e più grandi ricerche sociologiche, condotte dai sociologi F. Garelli, C. Lanzetti e L. Allodi, passando attraverso l’appassionata disamina della fede rintracciata nei chiaroscuri del mondo della vita — nei romanzi italiani del primo decennio del secolo XXI (G. Langella), nel vissuto femminile (P. Ricci Sindoni) e in alcune voci ebraiche (I. Kajon) —, si approda alla domanda cruciale sulla ragionevolezza della fede, a cui si tenta di rispondere con ragioni filosofiche, destreggiandosi tra il labirinto del desiderio e la sfida della finitezza e del non senso (M. Borghesi, R. Madera, G. Palumbo).
Giuseppe Colombo, membro del dipartimento di Filosofia dell’Università Cattolica e della Facoltà di Scienze della Formazione, è professore di Filosofia morale e di Forme e modelli del pensiero filosofico all’Università Cattolica, sede di Brescia. È il coordinatore del Progetto «Filosofia ed esperienza religiosa». È noto per i numerosi studi sulla filosofia italiana del Novecento (La filosofia come soteriologia: l’avventura spirituale e intellettuale di Piero Martinetti, Vita e Pensiero 2005) e per le indagini di antropologia filosofica (dal volume Conoscenza di Dio e antropologia, Milano 1988 ai saggi Agire religioso e fede, in Prospettiva dell’azione e figura del bene, Milano 2008 e Generative Fiduciality and Experience, in Understanding Human Experience: Reason and Faith, Bern 2012).
Il celebre corso, Che cos’è la filosofia? (1929) – svolto in un teatro a causa delle contestazioni studentesche alle quali partecipò anche Ortega – costituisce il manifesto della ragione vitale e storica in dialogo con Dilthey, Husserl e soprattutto Heidegger. L’occupazione filosofica, di indole rigorosamente teoretica, non è priva di audacia ed é caratterizzata da una dimensione ludico-sportiva, a cui si dedicano gli uomini liberi; perciò essa è un’attività superflua dell’uomo ‘nobile’ che nondimeno la giudica indispensabile per vivere una vita qualitativamente umana ed all’altezza del tempo.
José Ortega y Gasset (1883-1955) è stato uno tra i più influenti filosofi spagnoli dell’età contemporanea. Nonostante il noto stile colloquiale e la sua intensa attività di giornalista, il pensiero di Ortega y Gasset si è distinto nel panorama internazionale per la densità concettuale e la profondità di indagine. Considerato per certi aspetti esponente o anticipatore della corrente esistenzialista, nel corso dello sviluppo delle proprie posizioni l’autore ha abbracciato il prospettivismo di stampo nietzscheano ma anche un certo storicismo. La sua opera più conosciuta è La ribellione delle masse, risalente al 1930.
Armando Savignano, docente all’Università di Trieste, ha dedicato numerosi saggi all’ispanismo filosofico. Tra i libri più recenti: Introduzione a Ortega Y Gasset, Bari 1996; Introduzione a Unamuno, Bari 2001; Maria Zambrano. La ragione poetica, Genova-Milano 2004; Panorama della filosofia spagnola del Novecento, Genova-Milano 2005; Don Chisciotte. Illusione e realtà, 2006; Il vincolo degli anniversari. Saggi di filosofia spagnola contemporanea, Caserta 2009.
Il libro è il ritratto della crisi religiosa e filosofica verificatasi agli albori del mondo moderno, ai tempi di Newton, Cartesio, Rembrandt e, soprattutto, di Leibniz e Spinoza, il logico e matematico inventore del Calcolo. Al centro del racconto è Dio. Lo scenario è quello di un'Europa appena uscita dalla guerra dei Trent'anni, segnata dalle difficoltà di un'altissima conflittualità religiosa, scossa da rivolgimenti politici altrettanto profondi. Le due "idee" del divino che Leibniz e Spinoza elaborano sono tutt'altro che estranee a questo sfondo, rispetto al quale emergono come conseguenze e contromisure. L'autore contribuisce a fare di questa ricostruzione del passato un'immagine ben viva per l'attuale panorama politico, diviso tra rinascite di vario segno, dai neoilluminismi ai neotradizionalismi cristianeggianti.
Queste pagine intendono rispondere all’esigenza di offrire un’immagine il più possibile aggiornata, completa e unitaria dell’uomo, che tenga conto delle acquisizioni delle scienze e della filosofia e sia integrale nell’approccio, ma senza essere eccessivamente specialistica. Dal punto di vista del metodo la tesi fondamentale del volume è che l’uomo si conosce nella sua specificità riflettendo sulla sua esperienza, sulle sue opere, sulle sue azioni e sulle dimensioni corrispettive, e coniugando questa riflessione con i dati delle scienze in continua evoluzione. Il testo è preceduto da una sintetica storia dell’antropologia filosofica e da un’introduzione di carattere metodologico. I capitoli dal II al V sono espositivi: l’uomo si comprende tra psiche e corporeità, tra ragione e tendenza, tra natura e cultura, tra sé e gli altri, tra passato e futuro. Gli ultimi due capitoli costituiscono una ripresa sintetica in chiave riflessiva, epistemologica e metafisica del discorso svolto in precedenza. Il testo si chiude con un interrogativo particolarmente attuale alla luce dei progressi della tecnologia: in che misura è possibile una trasformazione radicale dell’uomo senza dissolvere la sua identità? Benché tutte le principali concezioni antropologiche siano considerate nell’esposizione, il volume privilegia una prospettiva integrale che si pone in continuità con la tradizione classica.
«Se una teoria filosofica non fosse altro che un'assunzione isolata intorno al mondo, proposta con un "prendere o lasciare", senza alcun cenno a un suo nesso con qualsiasi altro oggetto, essa risulterebbe effettivamente al di là di ogni discussione. Ma lo stesso potrebbe dirsi anche di una teoria empirica. Se qualcuno si presentasse con le equazioni di Newton o anche con i suoi stessi ragionamenti, senza spiegare prima quali erano i problemi che la teoria intendeva risolvere, non saremmo in grado di discuterne razionalmente la verità - non più di quanto possiamo fare circa la verità di un libro dell'Apocalisse».