Un antico maestro della Misbnà, Ben Bag Bag, diceva: «Volgila e rivolgila, tutto vi è in essa [nella Torà]» (Avot 5,22). Tutto è nella Torà, ma bisogna voltarla e rivoltarla: Dio ha parlato, ma l'uomo deve metterci il commento. Intorno a questi due pilastri dell'ebraismo si «aggirano» le pagine che seguono: si aggirano perché non hanno una meta, un punto di arrivo, ma vogliono solo essere momenti di una frequentazione infinita (una ruminati°, direbbero i Padri) della Torà scritta e orale. Ci sono tanti modi di introdurre al giudaismo: infatti il giudaismo è plurale, e questa pluralità - nelle idee, nei tempi, nei luoghi, nelle identità - è la sua forza. Perciò molte sono le porte per entrarvi e viverci, o anche solo per conoscerlo. Una porta è quella che anche il Nuovo Testamento indica nel farsi carne, cioè realtà variamente terrena e sensibile, della parola (per Israele la Torà, per i cristiani Gesù). Fuori di questa concreta «vocalità» divina - se così si può dire -, di Dio non sapremmo mai nulla, se non, appunto, chiamarlo Ain, «Nulla», o Mi?, «Chi?», secondo i maestri della qabbalà. Ma Ain è divenuto Anì, «Io», e perciò abbiamo un Tu e non siamo più soli.
Contro Apione (latino Contra Apionem o In Apionem). Lo storico giudeo del I secolo, Flavio Giuseppe, scrisse contro Apione per combattere il tratto antiebraico scritto dal grammatico romano e commentatore omerico, Apione (di origine egiziana). Apione aveva composto un trattato contro gli ebrei nel mezzo della crisi sorto nella capitale dell'Egitto, Alessandria, nel primo terzo di quel secolo. Aveva servito come delegato ufficiale dell'imperatore per conto dei suoi compagni alessandrini. Alcuni egizi aristocratici avevano risentito dei tentativi ebraici di ottenere maggiori diritti in concomitanza con la loro cittadinanza alessandrina dall'imperatore romano Gaio (Caligola). Il conflitto ha provocato grandi sommosse (38-41 d.C.) durante le quali il quartiere ebraico della città di Alessandria fu bruciato. Subito dopo la morte di Caligola, l'imperatore Claudio soppresse i disordini con un duro rimprovero ad entrambe le parti in un decreto il cui testo è conservato fino ad oggi (P. London 1912).
“Nel libro del Salterio, secondo l’uso recepito dalle chiese, i penitenti vengono ammaestrati da sette particolari insegnamenti, utilissimi a chi vuole chiedere perdono al Signore … Questi salmi sono gli strumenti più efficaci per la purificazione del nostro cuore, dal pianto alla gioia nel Signore”. (Origene)
Massimo PAZZINI è nato a Verucchio nel 1955. È licenziato in Teologia dogmatica (STAB di Bologna 1982) e in Teologia biblica (SBF di Gerusalemme 1985). Ha conseguito il BA in Lingua ebraica e Lingue semitiche antiche all’Università Ebraica di Gerusalemme (1990) e la laurea in Lingue e civiltà orientali all’Istituto Universitario Orientale di Napoli (1998). Insegna ebraico, aramaico e siriaco allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, Facoltà di Scienze bibliche e Archeologia, dal 1991. È stato professore invitato di siriaco e di ebraico all’Ècole Biblique di Gerusalemme. Accanto a diversi articoli, ha pubblicato: Grammatica siriaca (1999); (con A. Niccacci) Il Rotolo di Rut. Analisi del testo ebraico (2001); Il Libro di Rut la moabita. Analisi del testo siriaco (2002); Lessico concordanziale del Nuovo Testamento siriaco, Jerusalem 2004 (ristampa 2014); (con A. Niccacci e R. Tadiello) Il Libro di Giona. Analisi del testo ebraico e del racconto, Jerusalem 2004; Il libro dei Dodici profeti. Versione siriaca. Vocalizzazione completa, Milano-Gerusalemme 2009; Il libro di Rut. Analisi del testo aramaico, Milano-Gerusalemme 2009; (con S. Cavalli e Frédéric Manns) Tutto è vanità. Il libro di Qoèlet nelle versioni della LXX, della Pesitta e del Targum, Napoli 2015; L’antenata del Messia. Il libro di Rut versioni antiche e moderne a confronto, Napoli 2019; La moabita. Il Midrash Rabbah del libro di Rut, Napoli 2019; Pietà di me, o Dio. I sette Salmi penitenziali nel Midrash Tehillim, Napoli 2020.
I testi qui raccolti propongono alcune riflessioni su un tema di grande interesse religioso, culturale e storico: il messianismo. Essi, partendo da una appassionante esegesi del trattato b.Sanhedrin del Talmud, tentano una delimitazione concettuale (o filosofica) di questo fenomeno ed individuano nell’etica le condizioni preliminari dell’esperienza salvifica per l’uomo contemporaneo. L’idea messianica viene così ripensata al di là della classica contrapposizione tra visioni utopistiche metastoriche e realizzazioni intrastoriche. Levinas concepisce il messianismo − tratto “particolare” del popolo ebraico e della sua storia − come una struttura universale della “soggettività” e dell’umano in generale, che consiste nell’assunzione di responsabilità nei confronti del prossimo. Ogni uomo deve essere Messia se vuole essere pienamente uomo. E può esserlo ogni volta che ascolta la voce del comandamento etico e religioso che lo destina a servire l’altro uomo: che lo «destina a servire l’universo» e ad instaurare la giustizia.
EMMANUEL LEVINAS (1905-1995) è stato tra i più importanti filosofi della seconda metà del Novecento. Per Morcelliana ricordiamo: La violenza del volto (2010).
La Chiesa non può dimenticare che essa ha ricevuto la rivelazione dell’Antico Testamento attraverso questo popolo… Vale a dire che i legami tra la Chiesa e il popolo ebraico sono fondati sul disegno del Dio dell’alleanza, e – come tali – necessariamente hanno lasciato dei segni in certi aspetti delle istituzioni della Chiesa, specialmente nella sua liturgia.
Giovanni Paolo II, Discorso dell’8 marzo 19982
Cristo, il Figlio di Dio, si è fatto carne in un popolo, in una tradizione di fede e in una cultura la cui conoscenza non può che arricchire la comprensione della fede cristiana. I cristiani devono essere sempre consapevoli e riconoscenti delle loro radici. Infatti, per poter attecchire, l’innesto sul vecchio albero ha bisogno della linfa che proviene dalle radici.
Benedetto XVI, Ecclesia in Medio Oriente, 21
La Chiesa, che condivide con l’Ebraismo una parte importante delle Sacre Scritture, considera il popolo dell’Alleanza e la sua fede come una radice sacra della propria identità cristiana … Crediamo insieme con loro nell’unico Dio che agisce nella storia, e accogliamo con loro la comune Parola rivelata.
Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 247
Germano LORI, presbitero della Diocesi di Medellín (Colombia), ha conseguito il dottorato in Teologia Biblica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Vive in Terra Santa, dove è prefetto degli studi del Seminario Redemptoris Mater di Galilea e vice-prefetto dello Studium Theologicum Galilaeae, sul Monte delle Beatitudini. È autore di varie pubblicazioni scientifiche in campo biblico ed è esperto del metodo di Analisi Retorica Biblica Semitica.
Presente nelle prime due edizioni di Spirito dell’utopia (1918 e 1923), questo testo, qui per la prima volta in traduzione italiana, fu espunto da Bloch nell’edizione del 1964. Una vicenda editoriale spia della lacerata relazione tra Bloch e l’ebraismo. Un testo che conferisce la funzione di simbolo alla figura dell’ebraismo perché depositaria di uno slancio inesausto verso l’ulteriorità, verso l’“oltre” di un futuro che sempre soltanto si annuncia, e sempre esorbita quanto si è realizzato. Ma anche la vicenda storica degli ebrei sarebbe parimenti simbolica perché ciò che è avvenuto, e ancora avviene, agli ebrei compendia esemplarmente, anticipandolo, quanto diviene sempre più leggibile nella globalità della storia. In tal senso, l’ebraismo configura lo spazio privilegiato nel quale si può cogliere, e per Bloch è stato effettivamente così, l’intuizione della dinamica intrinseca al pensiero utopico. Un pensiero che è un cristallo apocalittico di speranza e disperazione.
ERNST BLOCH (1885-1977), filosofo marxista eterodosso, è stato uno dei massimi pensatori del Novecento. Tra le sue opere più note tradotte in italiano: Soggetto-Oggetto. Commento a Hegel (il Mulino, 1975); Spirito dell’utopia (La Nuova Italia, 1980); Il principio speranza (Garzanti, 1994).
Quello che qui viene tradotto è il testo quasi integrale del più antico e autorevole commento rabbinico all'Esodo, noto come Mekhilta, nella versione attribuita a Rabbi Shim'on bar Jochaj, il più radicale dei discepoli di Rabbi 'Aqiva e colui che diventerà il principale ispiratore della mistica ebraica, al punto da essere considerato l'autore anche dello Zohar. Sulla Mekhilta si è basata tutta la tradizione esegetica successiva, compresi i commentatori medievali. In quest'opera a più mani, frutto della discussione che ha occupato almeno quattro generazioni di rabbini, possiamo ritrovare i frutti di una ricerca appassionata del senso delle Scritture che non di rado raggiunge risultati di grande valore teologico e offre numerosi spunti per una lettura semplice e feconda del testo biblico.
Quando, nel giugno 1960, Giovanni XXIII nominò il cardinale Augustin Bea a capo del Segretariato per l'unità dei cristiani, molti, come il domenicano Yves Congar, restarono sbalorditi da quella che ritenevano una singolare scelta. Cosa aveva a che fare un porporato settantanovenne, esegeta conservatore tra i più fidati collaboratori di Pio XII e suo confessore personale, con la primavera ecumenica che dal Vaticano II, e proprio da quel Segretariato, ci si attendeva? Eppure il gesuita tedesco si sarebbe in breve tempo rivelato uno dei protagonisti più autorevoli del rinnovamento conciliare e tra gli interpreti più fedeli dell'eredità roncalliana. Cosa si cela dunque dietro quella che agli occhi di molti apparve come un'improvvisa conversione? Proprio tale interrogativo, che la storiografia ha indicato come "l'enigma Bea", è al centro dell'indagine del volume, che, sulla base della documentazione degli archivi privati (tra cui l'inedito carteggio con il vescovo di Paderborn Lorenz Jaeger pubblicato integralmente in appendice), ricostruisce l'attività del gesuita nel decennio precedente al concilio, quando, dal 1949, era consultore del Sant'Uffizio. Quello che emerge è un originale profilo del futuro cardinale, divenuto progressivamente avvocato e intercessore dell'ecumenismo cattolico, in particolare tedesco, durante l'ultimo periodo del pontificato pacelliano. Fu proprio in quegli "anni di pazienza" che Augustin Bea maturò gradualmente le competenze e i contatti in ambito ecumenico che nel 1960 lo avrebbero reso tra i più stimati collaboratori di Giovanni XXIII e paladino di quell'ecumenismo destinato a rivoluzionare la chiesa cattolica durante il Vaticano II.
Il Dizionario Teologico degli scritti di Qumran prende in considerazione l’intero lessico dei manoscritti rinvenuti nei pressi del Mar Morto attorno alla metà del secolo scorso e ne illustra la semantica da una prospettiva primariamente teologica. Questa angolatura consente da una parte di ripercorrere la ricezione nella letteratura rinvenuta a Qumran di termini e motivi della Bibbia ebraica oltre che della cultura e della religione dell’Israele antico, dall’altra di ricostruire usanze, vita comunitaria e teologia implicita ed esplicita della comunità del Mar Morto, e per contrasto anche delle diverse correnti e scuole del giudaismo del tempo.
Grazie all'opera di artisti e intellettuali, nel Rinascimento emerge una consapevolezza inedita del divenire storico che favorisce il culto del nuovo nelle arti, in letteratura, in filologia e nelle scienze. Il nuovo prendeva il posto del culto, una liturgia umana subentrava a quella divina. Questa rivoluzione tocca anche la cultura ebraica, motore e agente di un rinnovamento senza precedenti. Lo studio di Giuseppe Veltri ricostruisce la vita intellettuale ebraica nel Rinascimento italiano ed europeo, mettendo in luce momenti salienti del dibattito del tempo: la coscienza storica del divenire e la secolarizzazione, la funzione della poesia dantesca come ponte fra mondo ebraico e mondo cristiano, l'uso del volgare come simbolo del connubio delle diverse tradizioni, la nascita del criticismo, l'atteggiamento scettico come strategia e sintomo della crisi politica e intellettuale, il dibattito sull'immortalità dell'anima.
Dice Rabbi Jochanan: Quando il Santo –sia benedetto– siederà in giudizio con i giusti e con gli empi, giudicherà i giusti e li condurrà in paradiso; giudicherà gli empi e li condannerà all’inferno. Allora gli empi diranno: Non ci ha giudicati giustamente. Egli assolve chi vuole e condanna chi vuole. Il Santo –sia benedetto– risponderà: È perché non volevo rendere noti i vostri peccati. Allora ne fa l’elenco ad alta voce ed essi scendono all’inferno.
Dice Rabbi Pinchas: Chi è così determinato nel peccare non può neppure pentirsi e non riceverà mai il perdono. A costoro dice il Santo –sia benedetto–: Siete voi che accendete il fuoco dell’inferno, che siete “mantice per il carbone e legna per il fuoco” (Pr 26,21)! Per questo io continuo a giudicarvi.
Rabbi Huna, in nome di Rabbi Shim‘on, dice: “Uscendo, vedranno i cadaveri degli uomini che si ribellano contro di me; infatti i loro vermi non muoiono e il loro fuoco non si spegne” (Is 66,24). Qui non si dice che “si sono ribellati”, ma che “si ribellano”, perché continuano ancora a peccare.
«Ebraismo» è il termine che definisce la vita religiosa di Israele, il popolo eletto di Dio. Esiste anche un’altra definizione, «Giudaismo», a partire dall’epoca del ritorno degli ebrei in terra di Israele dopo l’esilio babilonese. Nel titolo di questo Dizionario dell’Ebraismo si è optato per il primo termine perché esso intende tenere insieme l’intera storia multimillenaria della tradizione religiosa che si richiama ad Abramo, presentandola in modo globale, in tutte le sue diramazioni e componenti, per così dire «da Adamo ai giorni nostri» e non solo per quel periodo pur centrale, difficilmente delimitabile, che va dalla cattività babilonese all’alto Medioevo. L’Ebraismo, in tutte le sue varietà, designa dunque lo stile di vita seguito dal popolo ebraico per circa tremilatrecento anni, da quando cioè Dio scelse Abramo, il padre di Israele, tra tutte le nazioni. L’Ebraismo comporta l’osservanza rigorosa della Torah, una parola che significa «insegnamento» e che si riferisce all’insieme della Bibbia ebraica, ma soprattutto al Pentateuco (i primi cinque libri). La Torah si presenta in due forme, una scritta e l’altra orale, derivate dall’alleanza che Dio stabilì con il suo popolo di Israele attraverso Mosè, intorno al 1200 a.C. La cultura ebraica ha dato frutti abbondanti nel campo delle idee, delle scienze, delle professioni e delle arti, lasciando un segno impressionante nella storia umana, oggi come nei millenni passati. Tuttavia, fuori dalla comunità ebraica pochi conoscono le sue ricche e varie tradizioni religiose, e questa ignoranza ha avuto conseguenze negative nelle relazioni tra ebrei e non ebrei. In tutta la loro storia gli ebrei hanno sopportato i peggiori fraintendimenti e le persecuzioni più dure solo in quanto ebrei: un popolo che vive secondo le proprie tradizioni religiose ed è fedele all’alleanza con Dio, che lo distingue. Aprendo un libro sull’Ebraismo, è bene perciò che i lettori ricordino che fra il 1937 e il 1945, in Europa si perpetrò un tentativo sistematico di sterminare completamente il popolo ebraico, usando tutta la potenza e la furia del moderno stato nazionale. C’è quindi un bisogno pressante di conoscere meglio l’ebraismo. La vita religiosa ebraica è straordinaria e spicca nella storia dell’umanità. Rendersi conto di come gli ebrei abbiano continuamente dato nuove forme al loro modo di vivere in funzione della fedeltà al Dio che li ha scelti, distoglie da un pregiudizio cieco e porta a un giudizio vero, capace di arricchire.
L'ampiezza e varietà degli aspetti legati all'Ebraismo qui spiegati e approfonditi da riconosciuti esperti internazionali della materia, ha suggerito di suddividere la pubblicazione in due tomi seguendo l’ordine alfabetico: A-I per il primo tomo; K-Z per il secondo, che sarà pubblicato a poca distanza da questo. A fondo libro riproduciamo l'intero elenco dei lemmi che compongono il Dizionario dell’Ebraismo, consentendo così di coglierne il complesso dei contributi