
La mediazione familiare si presenta come una terra di confine, in cui coesistono termini apparentemente inconciliabili: mentre da una parte si accompagna la coppia durante la separazione coniugale, dall'altra è necessario costruire un nuovo patto che la sostenga nei compiti legati alla crescita dei figli e alla tutela dei legami familiari e generazionali. In questa nuova edizione il modello simbolico trigenerazionale viene presentato in una versione ampliata e completamente revisionata. Nella prima parte, oltre agli sviluppi della mediazione familiare sia nella prassi sia negli aspetti legislativi, si presenta una proposta metodologica per le équipe dei servizi che lavorano con casi complessi di conflittualità familiare. Nella seconda parte il lettore troverà un approfondimento e una riconcettualizzazione del tema della funzione genitoriale applicato all'intervento di mediazione familiare, con la presentazione di nuove tecniche interattive per l'incontro con i figli.
In questo libro, che è il seguito naturale di "La cura delle infanzie infelici", Luigi Cancrini propone cinque storie, raccontate in prima persona dai bambini che le hanno vissute. Presentate nel modo in cui sono emerse all'interno di una situazione terapeutica dedicata espressamente a loro, le storie aprono scenari in vario modo terribili o affascinanti e fino a oggi del tutto sconosciuti anche per gli addetti ai lavori. Chi si prende cura oggi dei bambini maltrattati o infelici poco si preoccupa, abitualmente, di dare loro l'ascolto su cui sarebbe giusto basare il proprio intervento, e poco o nulla esiste in letteratura, tranne che per i traumi legati all'abuso, sul modo in cui il bambino riflette dentro di sé, nei suoi vissuti e nelle sue esperienze, la complessità dolorosa delle situazioni in cui è costretto a crescere. Naturale e straordinariamente semplice risulta, da questo modo di procedere, l'integrazione delle esperienze elaborate dagli psicoanalisti dell'infanzia, da Klein a Winnicott fino a Bowlby, con quelle dei terapeuti sistemici della famiglia, mentre chiara si presenta, anche per i non professionisti, la necessità di riconoscere il diritto alla psicoterapia per tutti i bambini che soffrono troppo. Evitando lo sviluppo di quelli che sarebbero, in mancanza di questo intervento, i gravi disturbi di personalità dell'adulto.
Risultato del lavoro di più di settanta autori (tra cui Clarkin, Fonagy, Gunderson, McGlashan, Westen), riuniti sotto la sigla dell'American Psychiatric Association Publishing, questo è il trattato sui disturbi di personalità più completo oggi disponibile. La seconda edizione è stata elaborata in risposta ai progressi crescenti nel campo degli studi sulla personalità e i suoi disturbi. Il volume offre informazioni aggiornate su tutti i temi che oggi risultano essenziali per i clinici, dalla prima parte sui concetti fondamentali e l'eziologia alle successive sui trattamenti, i problemi specifici, le popolazioni, i setting e le direzioni future. Per questo costituisce una guida clinica e un testo di riferimento insostituibile non solo per psichiatri, psicologi e psicoterapeuti, ma anche per accademici e studenti.
Perché online facciamo cose che non faremmo mai in altre circostanze e delle quali potremmo finire per pentirci? Quali sono le motivazioni che spingono a stringere legami di amicizia e anche d'amore in rete? A queste e ad altre domande risponde Patricia Wallace, indagando le questioni cruciali relative agli effetti di Internet sul comportamento umano, per esempio i motivi per cui agiamo in modo inusuale negli ambienti online e i modi nei quali i social media influenzano le nostre impressioni e le nostre relazioni personali. Attingendo agli ultimi risultati della ricerca, questa nuova edizione analizza le tendenze che si vanno affermando nell'uso della rete. Tre capitoli inediti hanno come tema lo sviluppo infantile, i giochi online, la privacy e la sorveglianza, e tra i nuovi argomenti emergono gli attacchi online, le dinamiche di gruppo, le proprietà della rete che creano dipendenza, le strategie per delineare il futuro di Internet.
La stupidità funzionale può essere una vera catastrofe. Può portare a fallimenti aziendali, tracolli finanziari e altri disastri. Esistono innumerevoli esempi, nella realtà quotidiana, di organizzazioni che accettano comportamenti assurdi, che vanno dal non porsi domande allo svolgere pedissequamente compiti ripetitivi. Eppure, una piccola dose di stupidità può essere utile per alimentare l'armonia e favorire il successo. È il paradosso della stupidità: un comportamento discutibile può rivelarsi positivo nel breve termine ma un disastro nel lungo periodo. Alvesson e Spicer affrontano con spregiudicatezza i prò e i contro della stupidità funzionale. Scoprirete cosa rende un ambiente lavorativo irresponsabile e come, nel mondo del lavoro, i comportamenti conformistici debbano essere bilanciati da una cultura che incentiva la riflessione critica e il mettere in dubbio, incoraggiando le persone a utilizzare appieno l'intelligenza in nome della gratificazione personale e del successo organizzativo.
Il rimuginici è una forma di pensiero negativo e ripetitivo che negli ultimi decenni ha assunto un ruolo fondamentale tra i fattori psicologici identificati come perno della sofferenza emotiva nella maggior parte dei disturbi psicologici. Rimuginare significa preoccuparsi delle cose negative che possono accadere, ma anche riflettere continuamente sui propri errori, su ciò che desideriamo e non abbiamo, sulle ingiustizie subite. Il rimuginio prolunga e intensifica la sofferenza psicologica, ostacola una naturale regolazione delle emozioni, soprattutto quando i pazienti non riescono a liberarsene o quando viene ritenuto utile o necessario. Il testo ricapitola i risultati teorici, empirici e clinici della letteratura internazionale e del percorso di ricerca degli autori. Si propone un impianto teorico chiaro ed esaustivo sui processi cognitivi di base e sul ruolo della conoscenza metacognitiva. Si chiarisce inoltre come le forme del rimuginio si interfacciano con i disturbi psicologici e si mostra ai clinici come intervenire sulle credenze metacognitive che orientano il rimuginio e sugli aspetti comportamentali che lo mantengono nel tempo.
Non sappiamo perché e come l'Homo sapiens abbia sviluppato la capacità di costruire storie. Possiamo però ipotizzare come presumibilmente siano andate le cose. Cioè come un ominide abbia sviluppato la facoltà di narrare storie e come queste lo abbiano avvantaggiato tra tutte le specie. Si tratta dunque di studiare la narrazione, la fiction e la letteratura nel contesto della teoria dell'evoluzione e delle scienze cognitive, prendendo le mosse dalle recenti acquisizioni dell'archeologia cognitiva che mettono in relazione la produzione di utensili e lo sviluppo di capacità narrative. Si comprende così che la narrazione ha un ruolo decisivo nella costituzione del Sé e delle sue protesi esterne, come da tempo sostengono i teorici della mente estesa e della cognizione incarnata. Questo studio si inserisce nel quadro più ampio di una teoria biopoetica della narrazione e di un'antropologia filosofica che non trascura il bios rispetto allo spirito. Per questo, categorie fondamentali come la compensazione e l'esonero possono essere rilette in chiave evoluzionistica e fornire alcune spiegazioni del comportamento narrativo dell'Homo sapiens: il riequilibrio dei suoi deficit funzionali ed esistenziali e il contenimento dell'ansia.
Ogni organizzazione mira ad assumere i candidati migliori, così come ogni candidato aspira a esprimersi al meglio delle proprie possibilità. Il testo prende in esame un percorso di selezione reale, descrivendo i differenti momenti in cui si articola. In questa nuova edizione, particolare rilievo viene dato all'utilizzo del web e dei social network, fonti di informazioni ormai imprescindibili sia per il reclutamento sia per la selezione. Per ciascun passaggio vengono proposti esempi di materiali diagnostici, come i test e le prove di gruppo, brani di colloqui e schede di valutazione, che consentono di riconoscere le molteplici attività che il selezionatore è chiamato a svolgere.
Qual è la pratica che impegna, da sempre, chi "fa" filosofia e qual è l'efficacia di tale fare? In questo volume non ci si interroga sulla natura della filosofia, o sulla possibilità di considerarla una disciplina scientifica alla stregua di molte altre. Ci si chiede piuttosto che genere di esercizio teorico si compia "facendo "filosofia e perché esso affascini ancora migliaia di giovani, che continuano a scegliere questa materia di studi, palesemente improduttiva secondo alcuni paradigmi della contemporaneità. Riflettendo sul pensiero greco, risulta evidente come la filosofia non possa essere separata dalla politica, né possa essere considerata avulsa da un uso pragmatico, produttivo di una ben definita forma di vita. L'esempio dei cinici come "praticanti della verità" aiuta a chiarire il tema della postura filosofica come attitudine a stringere un'alleanza tra vita e pensiero. Cosa è andato perduto con l'avanzare dei progressi della ragione, in età cartesiana e poi kantiana? Come è possibile praticare una filosofia che sia in grado di incorporare la verità, secondo le parole di Nietzsche? Alla ricerca di possibili risposte, il testo interroga differenti posizioni teoriche, per continuare a interpretare la filosofia come resistenza al conformismo del presente, ma anche come trasformazione etica e pratica.
Interrogando la storia dell'idea di esperienza da Talete alla filosofia contemporanea, come Andrea Tagliapietra fa in questo libro, è possibile imbattersi in una singolare scoperta, ovvero nel nesso fra l'esperienza e l'attenzione. I neuroscienziati, però, ci avvisano che la soglia d'attenzione dell'uomo - una manciata di secondi - è scesa, negli ultimi anni, pericolosamente al di sotto di quella del pesce rosso. Oggi l'intelligenza, dai test d'ingresso all'università alla velocità che chiediamo ai nostri computer, fino ai quiz televisivi e alle decisioni di manager e politici, si misura sulla rapidità della risposta, mentre chi esita fa la figura dello stupido, del "ritardato", di colui che va scartato e non è all'altezza. Eppure senza esitazione non c'è attenzione e, quindi, neppure quell'esperienza che ci consente di abitare il mondo e, in prospettiva, anche di potercene prendere finalmente cura.