Pur se interrotto dalla vittoria del centro-destra alle elezioni comunali dello scorso aprile, il ciclo riformatore delle giunte Rutelli e Veltroni ha saputo restituire a Roma, negli ultimi quindici anni, un prestigio da vera capitale e ha lasciato in alcuni campi, come quello della cultura, un bilancio largamente positivo, un "capitale" da difendere e sviluppare. Questo perché, senza più cadere nella trappola della contrapposizione tra "effimero" e "permanente", le giunte di centro-sinistra sono riuscite a promuovere una grande stagione culturale, ma soprattutto a realizzare quegli spazi e quelle strutture di cui la città aveva bisogno. Il volume analizza a fondo per la prima volta il segreto di questo successo, le strategie che lo hanno ispirato, le scelte che lo hanno orientato, descrivendo punto per punto le novità che l'hanno reso possibile: l'Auditorium di Renzo Piano, la rivoluzione nella gestione dei musei, la creazione di un nuovo sistema espositivo, la rinascita delle biblioteche, il sistema delle "case" (delle letterature, del cinema, del jazz, dei teatri, della memoria). E ancora: la film commission, la riapertura delle sale cinematografiche, i teatri di cintura. Tutto questo grazie anche a un diverso rapporto tra pubblico e privato, che è andato ben oltre le norme pur innovative introdotte in precedenza dalla legge Ronchey. Queste iniziative hanno suscitato il consenso dei romani e dei turisti, dimostrando che la cultura può rivelarsi un volano di crescita economica.
Annibale Gilardoni e Luigi Sturzo iniziarono a frequentarsi a Roma dal 1916 Gilardoni era segretario dell'Unione delle province d'Italia, avvocato di successo e libero docente all'Università "La Sapienza", e Sturzo vicepresidente dell'Anci e pro-sindaco di Caltagirone. Fu tale l'impressione della sua competenza in materia di autonomie locali, economia e finanza che nel 1919, pur essendo lui estraneo al mondo cattolico, Sturzo lo volle nel Partito popolare, di cui divenne deputato nel 1924. Piero Gobetti, nel 1925, lo segnalò tra gli "uomini nuovi" di quel partito che avrebbero meritato di guidare l'Italia. Redattore de "II Popolo", durante il fascismo denunciò con la stessa fermezza la riduzione dei redditi dei lavoratori e quella dei bilanci di comuni e province, l'orientamento del governo a favore dei grandi capitalisti e lo scandalo delle concessioni petrolifere attribuite alla Sinclair, condividendo con l'amico Giacomo Matteotti l'attenzione alle autonomie locali, alla politica finanziaria e alla corruzione. Aventiniano e antifascista, Gilardoni fu corrispondente di Sturzo in esilio. Le sue lettere narrano l'inconcludente attività politica dell'Aventino e gli esordi del regime fascista. Si tratta di pagine ricche di umanità e piene di sconforto per la tragedia che sentiva incombente; in esse traspare una profonda fede religiosa, che pure non gli impedisce di condannare il "tradimento" del Concordato del 1929.
Arthur Sulzberger jr., l'editore del «New York Times», ha detto di non credere che il suo giornale sarà ancora in edicola nel 2013. L'edizione su carta sarà sostituita da contenuti diffusi attraverso Internet da una nuova redazione multimediale, che il quotidiano più importante del mondo sta organizzando. La crisi di vendite che affligge i giornali da una ventina d'anni lascia pensare che la previsione sia realistica. Che cosa è successo? Il tempo a disposizione della gente è diminuito, e ognuno di noi ha ormai la possibilità di essere informato quando vuole, dove vuole e sui temi che preferisce senza dovere per forza ricorrere alla lettura di un giornale. Le pagine web, le e-mail, la telefonia mobile, le tv tematiche riempiono costantemente le nostre giornate, senza lasciarci mai soli. Nel giro di qualche anno le nuove tecnologie di comunicazione avranno un impatto ancora più forte sui destini dei giornali di carta.In questo libro si racconta come i quotidiani italiani, europei e americani hanno cercato di reagire, spesso con successo, alla crisi e quali sono le opportunità che le tecnologie stanno offrendo a molti di loro per creare un legame più solido e duraturo con i propri lettori.
"Solo l'Occidente conosce uno stato nel senso moderno, con un'organizzazione legalmente stabilita, una classe di funzionari di professione e un diritto di cittadinanza... Solo in Occidente si trova il concetto del cittadino (civis romanus, citoyen, bourgeois), perché solo in Occidente c'è una città nel senso specifico del termine... Infine la cultura occidentale si distingue da ogni altra per la presenza di uomini con un ethos razionale della conduzione della vita. Magia e religione le incontriamo ovunque. Ma un fondamento religioso della condotta di vita, che doveva poi portare nelle sue conseguenze ad un razionalismo specifico, è proprio soltanto, ancora una volta, dell'Occidente." Così si esprimeva, nel semestre invernale 1919-20, Max Weber durante il suo ultimo corso universitario, dedicato alla storia economica e sociale universale. Pubblicata per la prima volta nel 1923, quest'opera si presenta come una piccola summa del nucleo del suo pensiero ed è l'unico testo nel quale propone in forma sintetica la sua teoria della genesi del capitalismo occidentale. Accanto al ruolo della religione protestante nello sviluppo del capitalismo, e più in generale nella formazione di una regola etica di vita, egli ricostruisce - con una straordinaria padronanza della storia delle diverse civiltà - il lento formarsi di una serie di fattori istituzionali che solo nell'esperienza occidentale giungono a pieno compimento: dallo stato moderno al principio di cittadinanza, dalla scienza alla tecnica razionale.
Il Risorgimento, fase cruciale di gestazione dell'Italia contemporanea, nella memoria collettiva di molti italiani è percepito come un periodo su cui non è più necessario interrogarsi, oppure come un dato da rimettere in discussione quanto alla sua epica tradizionale: l'eroico risultato delle gesta di un pugno di audaci che spezzarono il giogo straniero finendo immortalati nella toponomastica di tutte le città d'Italia. Le rivoluzioni risorgimentali dal 1820 al 1860 sconvolsero il sistema politico creato dal Congresso di Vienna, avviando tra i ceti dirigenti, e in parte anche tra le classi popolari, quel processo di "costruzione della nazione" che avrebbe gettato le fondamenta dello stato italiano. Fu un processo che si sviluppò fra limiti e difficoltà: la rottura fra moderati e democratici; la presenza dello Stato della Chiesa come fattore destabilizzante dell'unità appena ottenuta; il malcontento sociale, l'instabilità politica, l'endemico stato di rivolta delle campagne; un assetto assai tradizionale dei rapporti di produzione; e non da ultimo la presenza di un sistema economico geograficamente molto squilibrato. Questo volume è una ricostruzione storiografica che muove da un approccio per temi: dalla storia sociale dell'Italia preunitaria all'analisi delle ideologie nazionalistiche, dalle dinamiche dello sviluppo economico agli assetti politico-istituzionali dell'ancien regime, fino alle recenti acquisizioni della nuova storia culturale.
In principio c'era Odino, il re degli dei, degli uomini e delle guerre, che conduceva alla testa delle Valchirie, le sue feroci guerriere. Accanto a lui, c'era il barbuto Thor, dio del tuono, che agitava il suo magico martello contro i giganti, gli eterni rivali. E poi c'era Freya, la dea dell'amore, alla perenne ricerca del marito, per cielo e per terra, su di un carro trainato da gatti bigi; e soprattutto c'era Loki, il fratello di sangue di Odino, che col suo spirito cialtrone faceva morire dal ridere gli altri dei. Loki il mascalzone, "il Dio del Niente in Particolare, ha rappresentato il dio della mia mente di bambino, con i suoi impulsi contrapposti di vandalismo e visione, immaginare cose e sfasciarle. E mentre faceva e disfaceva complotti, generava e cancellava mostri, contribuiva a ritardare e accelerare il termine delle cose, restava il dio della natura infinitamente complicata dello svolgere trame, del raccontare stesso", come dice Michael Chabon nella sua prefazione. Ingri e Edgar d'Aulaire catturano tutto ciò in una prosa immediata, magica e realistica al tempo stesso, che non si sofferma mai a scuotere la testa o a spalancare la bocca di fronte alle meraviglie e ai disastri che nelle loro raffigurazioni si fanno remoti e al contempo vividi.
"Le Mille e una notte" cominciano a Parigi, nel 1704 a partire da Monsieur Antoine Galland, l'orientalista che per primo le traduce e le tradisce, le trascrive e le riscrive. E da questo inizio parte uno dei più tortuosi e tormentati capitoli della storia dell'edizione, il cui punto cruciale diventa la caccia alle fonti arabe delle Notti. C'è un solo, corposo blocco delle Mille storie su cui la mano sublime e truffaldina di Galland non ha potuto sovrapporre la sua impronta. Un manoscritto arabo in tre volumi, effettivamente proveniente dalla Siria, di qualche secolo più antico, che si trova ora depositato presso la Bibliothèque Nationale di Parigi. L'unico modo di risalire a prima di Galland era lavorare su quel manoscritto, cercarne i riscontri nell'ambito della sua stessa famiglia e in quelle limitrofe, senza i veli dell'Occidente e del suo "orientalismo". A questa impresa si è dedicato Muhsin Mahdi e questa edizione ne riporta la traduzione. Il volume è accompagnato da un DVD in cui Vincenzo Cerami legge le storie sulle musiche di Aidan Zammit all'Auditorium Parco della musica di Roma. "Ogni immagine che compare nelle Mille e una notte - scrive lo stesso Cerami nell'introduzione ne chiama a raccolta tante altre, in un gioco di metafore, di specchi, di rimbalzi, di inganni, di allusioni. Il destino, che di quest'opera è protagonista assoluto, crea gli incroci più improbabili, incongrui, quasi sempre inattesi".
L'esordio alla poesia di uno dei massimi studiosi di letteratura italiani. Una biografia interiore, estesa in un ventaglio molto vasto di registri, di toni, di misure, ma unificata dalla presenza forte della natura. Una natura percepita come lingua del paesaggio ma soprattutto come silenzioso mostrarsi delle cose, come movimento di apparizione e sparizione, come annuncio e declino, come fulgore e ferita. La presenza - dei viventi e delle cose confina, in questi versi, con l'ombra di un senso che sempre si ritrae, fluttuante tra l'impossibile e il metafisico. Temi e motivi propri dei libri teorici e critici di Prete (la luce e l'ombra, l'elemento stellare e lunare, la vertigine della parola) affiorano consegnati alla musica del verso. Il titolo è un omaggio al paesaggio salentino, da cui l'autore proviene, terra dove si possono incontrare quelle misteriose antiche pietre. E indica il senso della verticalità, della interrogazione estrema e in certo senso originaria che trascorre in questi versi.
I saggi raccolti in questo volume - frutto della riflessione acuta e rigorosa che il più grande studioso italiano di Weber ha condotto nel corso di venticinque anni - mettono a fuoco tutti i temi centrali della complessa opera weberiana. Un primo nodo di questioni riguarda la teoria del metodo delle scienze storico-sociali, considerata nel contesto del dibattito epistemologico tedesco tra Otto e Novecento, che ebbe per protagonisti pensatori quali Dilthey, Husserl e Rickert. Un secondo fuoco tematico affronta la grande questione della "sociologia della religione", studiata nei suoi rapporti con la teoria weberiana della razionalità e della razionalizzazione, volta a cogliere la specificità dello sviluppo dell'Occidente rispetto alle civiltà dell'Oriente e alle loro forme di religiosità. Un terzo blocco ha per oggetto i rapporti tra politica, diritto ed economia, così come emergono dall'analisi che Weber ne ha offerto soprattutto in "Economia e società". Il libro, infine, prende in esame gli aspetti essenziali della recezione di Weber nella cultura italiana, con particolare riguardo alla sua presenza nel dibattito sociologico e nella discussione filosofica della seconda metà del Novecento. Pur nella pluralità dei temi affrontati, il volume offre una presentazione organica e aggiornata dell'opera di Weber, ed è uno strumento per la comprensione dei suoi contributi alle scienze sociali contemporanee.
Dalla formazione sui classici del marxismo e del liberismo, alle responsabilità di coordinatore della programmazione economica del centro-sinistra, al difficile ruolo di ministro dell'Ambiente nel momento di maggiore vitalità delle lotte ambientaliste, la vita di Giorgio Ruffolo è un racconto di scommesse fatte e non sempre vinte. Si trova ad agire da protagonista in momenti di svolta radicale per le sorti della repubblica, a volte nell'ombra, da tecnico, a volte sotto i riflettori da ministro o eurodeputato. Il racconto si snoda attraverso tappe che vanno dalla sua formazione, durante la seconda guerra mondiale - le letture, gli incontri, un antifascismo sempre più convinto che matura attraverso Marx e Salvemini -, ai primi incarichi pubblici, nell'Ufficio studi della Bnl, fino alla nomina a ministro nel 1987 e poi all'elezione a parlamentare europeo. La descrizione dell'ambiente, le biografie dei primi burocrati della repubblica si alternano al racconto di un'Italia che cambia, soprattutto nei costumi. La trama si arricchisce di considerazioni e documenti che consentono di toccare con mano periodi estremamente complessi della storia d'Italia: la pionieristica fase della programmazione, osteggiata dai grandi partiti di massa e dalle manovre dei grandi "monopoli" italiani; la morte di Mattei, ricordato attraverso il lavoro comune, i viaggi, il problema del petrolio italiano e il ruolo giocato dai paesi arabi e dai servizi segreti francesi nella sua tragica fine.