
Al tavolo dove si gioca la nostra sorte, siedono Eros, signore dei desideri; Narciso, simbolo dell'amore che ciascuno ha per se stesso; il Destino, la fatalità contro cui niente possiamo; Edipo, la trasgressione. E infine la Morte, al nostro fianco da sempre, anche se non sappiamo quando e come verrà. Concludendo un percorso cominciato nel 1994 con "Incontro con Io" e proseguito fino a "L'uomo che non credeva in Dio", "Per l'alto mare aperto" e "Scuote l'anima mia Eros", Eugenio Scalfari mette ora al centro della sua riflessione la partita della vita, e le regole complesse con cui si alternano al gioco gli istinti, i sentimenti, la coscienza ragionante, la nostra identità. I momenti autobiografici, le narrazioni, gli incontri, i ricordi, sono sempre sorretti da un'inesauribile tensione intellettuale e filosofica ma capaci di aprirsi, ora piú che mai, anche alle passioni e agli slanci, persino alla malinconia. "L'amore, la sfida, il destino" è un viaggio dentro e fuori di noi, alla scoperta del sé e dell'altro, guidati da un Io che è l'unico possibile testimone diretto dell'esperienza.
Tra XI e XIII secolo, nel Regno di Sicilia, in virtù di una realtà storica e culturale arricchita da una circolazione particolarmente intensa di uomini e idee, acquista evidenza esemplare il progressivo declino dell'antica concezione del mondo, che considerava l'armonia di uomo e natura come regolata da forze inviolabili, alle cui leggi ogni essere vivente doveva fatalmente soggiacere. Analizzando scrupolosamente la struttura fisica del territorio, degli impianti urbani, delle strutture edilizie, Tramontana va in cerca dei rapporti specifici che legano gli uomini del tempo all'ambiente, agli animali e alle piante. Ne risulta un vasto spaccato antropologico-culturale che indaga ogni aspetto della vita umana, ricostruita a partire da vicende e ruoli, mentalità, norme della convivenza quotidiana, bisogni e desideri, abitudini alimentari e sessuali, paure e strategie di sopravvivenza. Dominare la natura, infatti, non era più un peccato, ma un miracolo. E credere nei miracoli era il primo passo per renderli possibili, e per strappare il mondo dalla sua tradizionale immutabilità.
Riso, grano, sale e zucchero, fichi e uva, angurie e meloni sono i frutti che Madre Terra, con generosità, dona all'uomo, come ricompensa del lavoro, della cura, della fatica. Dai tempi antichi, da quando gli uomini si sono trasformati da raccoglitori in agricoltori, questo rapporto con la terra continua a mantenersi in equilibrio, anche se a volte la tecnologia sembra prendere il sopravvento sul lavoro manuale. Ritornare alle favole, al loro significato, riscoprirne il valore di testimonianza ripercorrendo antiche strade, restituendo voce alle narrazioni classiche di culture diverse è ciò che questa antologia si propone, in perfetta sintonia con la necessità sempre valida di trovare buone storie, storie da leggere o da raccontare, accompagnate da nuove illustrazioni, capaci di interpretare e di rinnovare le tradizioni. Età di lettura: da 6 anni.
Una scheda di lettura editoriale è un genere letterario di difficile definizione e può prendere forme molto diverse a seconda di chi la scrive: è una recensione un po' più informale del solito, un appunto di servizio, un testo creativo, un divertissement, uno sfogo... Ma in realtà non è che una veste più professionale di un'abitudine molto naturale in tutti i lettori: parlare di un libro che si è letto a qualcuno che ancora non l'ha letto. Con entusiasmo, con precisione, con fastidio per la noia che si è provata. Una sola cosa non pertiene ai lettori non professionali, e cioè la valutazione editoriale, il suggerimento di pubblicare o non pubblicare quel libro. Valutazione che può contemplare una serie di parametri assai varia, da quelli ideologici a quelli commerciali, cercando di non dimenticare mai l'identità della casa editrice. In questo volume Tommaso Munari ha raccolto 194 schede scritte da cento fra i più famosi lettori che l'Einaudi ha avuto nel corso degli anni. Dai "padri fondatori" come Pavese, Bobbio e Mila, agli scrittori "organici" alla casa editrice come Natalia Ginzburg, Vittorini, Calvino, Fruttero e Lucentini, Manganelli, ai grandi studiosi che frequentavano le riunioni del mercoledì, come De Martino, Cantimori, Musatti, Argan, Contini, Caffè, Ripellino, Jesi, Segre e tanti altri, senza dimenticare il mitico Bobi Bazlen che proprio nell'attività di suggeritore editoriale ha fatto convergere tutto il suo percorso intellettuale. Prefazione di Ernesto Franco.
Il principe Czartoryski, un esule che per la Polonia incarna la speranza di riconquistare l'unità, è stato rapito. Tutti disperano per la sua sorte, ma lo scaltro detective ottomano Yashim è certo che sia ancora vivo, e soprattutto è convinto di conoscere i responsabili del gesto: un gruppo di cospiratori che frequenta i salotti dell'ambasciatore polacco Palewski. Gli sfugge però l'identità della Piuma, che pare abbia ordito l'intera trama. La Sublime Porta è in agitazione e Yashim dovrebbe gettarsi sul caso anima e corpo, ma si è innamorato, e al momento l'unica indagine che lo interessa davvero riguarda il suo cuore. Saranno gli eventi a fargli riacquistare lucidità, mettendolo di fronte a svolte imprevedibili.
Eguaglianza "aritmetica" o "proporzionale", secondo la distinzione di Aristotele? Nel punto d'arrivo o di partenza? Verso l'alto o verso il basso, come vorrebbero le teorie della decrescita? Se due mansioni identiche ricevono retribuzioni differenti, dovremmo elevare la peggiore o abbassare la più alta? Ed è giusto che una contravvenzione per sosta vietata pesi allo stesso modo per il ricco e per il povero? Sono giuste le gabbie salariali, il reddito di cittadinanza, le pari opportunità? E davvero può coltivarsi l'eguaglianza fra rappresentante e rappresentato, l'idea che "uno vale uno", come sostiene il Movimento 5 Stelle? In che modo usare gli strumenti della democrazia diretta, del sorteggio e della rotazione delle cariche per rimuovere i privilegi dei politici? Tra snodi teorici ed esempi concreti Michele Ainis ci consegna una fotografia delle disparità di fatto, illuminando la galassia di questioni legate al principio di eguaglianza. Puntando l'indice sull'antica ostilità della destra, sulla nuova indifferenza della sinistra verso quel principio. E prospettando infine una "piccola eguaglianza" fra categorie e blocchi sociali, a vantaggio dei gruppi più deboli.
Marie Jalowicz vive a Berlino, ha 19 anni, è ebrea e quando nel 1941 muore suo padre, resta completamente sola. Con la guerra, la vita degli ebrei in Germania è diventata ancora pili difficile. Marie però non è disposta ad accettare passivamente l'arrivo della Gestapo come, quasi fossero incantati, fanno molti membri di quella comunità ebraica da cui decide di prendere, almeno psicologicamente, le distanze. E si pone un obiettivo: sopravvivere. Perché tutti ormai sanno dove conducono quei treni, sanno che alla fine di quei viaggi c'è solo la morte. Si sottrae quindi al lavoro forzato presso la Siemens, si stacca la stella gialla e, il 22 giugno 1942, entra in clandestinità. Per sopravvivere ha però bisogno, oltre che di documenti falsi, di nascondigli sicuri e di una buona dose di sangue freddo, anche di persone disposte ad aiutarla. Alcune, anche nazisti incalliti, lo faranno perché non sanno che è ebrea ed è difficile dire di no a una ventenne, altri perché mossi da idealismo politico, altri ancora per semplice senso di solidarietà umana. Per raggiungere la Palestina cercherà di sposare un giovane bulgaro, per avere un passaporto cinese, un aitante cinese. Troverà rifugio nella comunità artistica della città, convivrà con un giovane operaio olandese in casa di un'anziana donna. E mentre, quasi senza cibo, cerca di salvare se stessa, vede Berlino crollare sotto i bombardamenti alleati e infine entrare in città i soldati dell'Armata Rossa.
Più di cento sopravvissuti raccontano la loro storia, componendo un grande racconto corale dell'ebraismo italiano. Dal mondo di prima, l'infanzia, la scuola, alle leggi antiebraiche e alla conseguente catena di umiliazioni. E poi l'occupazione tedesca, gli arresti, le detenzioni, la deportazione. Complessivamente nel 1943 venne deportato circa un quinto degli ebrei residenti sul territorio italiano: oltre 9000 persone. Nella quasi totalità dirette ad Auschwitz. Ma chi erano gli ebrei italiani? All'inizio degli anni Trenta erano circa 45 000 persone; le comunità più consistenti erano quelle di Roma (oltre 11 000), Milano, Trieste, Torino, Firenze, Venezia e Genova. Comunità, in generale, fortemente integrate nel tessuto sociale del Paese, a tal punto che dopo la liberazione solo un'esigua minoranza dei sopravvissuti scelse, a differenza degli ebrei di altre nazionalità, di vivere altrove. Un mosaico di testimonianze che ha sui lettori un effetto dirompente proprio grazie al fittissimo intreccio di ricordi, traumi, sogni, rabbia, smarrimento, sensi di colpa, e persino speranza, dopo il ritorno alla vita.
Nel 1945, all'indomani della liberazione, i militari sovietici che controllavano il campo per ex prigionieri di Katowice, in Polonia, chiesero a Primo Levi e a Leonardo De Benedetti, suo compagno di prigionia, di redigere una relazione dettagliata sulle condizioni sanitarie del Lager. Il risultato fu il "Rapporto su Auschwitz": una testimonianza straordinaria, uno dei primi resoconti sui campi di sterminio mai elaborati. La relazione, pubblicata nel 1946 sulla rivista scientifica "Minerva Medica", inaugura la successiva opera di Primo Levi testimone, analista e scrittore. Nei quattro decenni seguenti, Levi non smetterà mai di raccontare l'esperienza del Lager in testi di varia natura, per la maggior parte mai raccolti in volume. Dalle precoci ricerche sul destino dei propri compagni alla deposizione per il processo Eichmann, dalla "lettera alla figlia di un fascista che chiede la verità" agli articoli apparsi su quotidiani e riviste specializzate, "Così fu Auschwitz" è un mosaico di memorie e di riflessioni critiche dall'inestimabile valore storico e umano. Una raccolta di testimonianze, indagini e approfondimenti che, grazie alla coerenza, alla chiarezza dello stile, al rigore del metodo, ci restituiscono il Primo Levi che abbiamo imparato a riconoscere come un classico delle nostre lettere.
Quello che scorre in cella d'isolamento è un tempo puro, svuotato di eventi. Tanto da far sembrare i giorni di chi può vedere la luce del sole - seppure attraverso le sbarre - come un luogo di libertà, fantasticato per sentito dire. Il mondo di fuori è più evanescente ancora, più irreale del passato, o dei sogni. Cresce allora la tentazione di chiamare il carcere casa, e farlo abitare dai ricordi: "Se ti svegli con il batticuore, per fortuna la prigione è li che ti aspetta. Ti tiene sollevato, separato da terra, inchiodato con la branda nel muro. Sente i tuoi movimenti. Mentre dormi, la prigione trattiene il fiato per ascoltare il tuo respiro". L'orizzonte si restringe un istante dopo l'altro, ma anche i desideri cambiano forma: l'amore per chi si prende cura di te - non importa quanto crudelmente - dà l'innesco a una Sindrome di Stoccolma universale. Un incrocio di solitudini che accomuna carcerati e carcerieri, fino a estendersi all'intera prigione, compreso chi è apparentemente escluso da ogni società e gerarchia. "Cattivi" è un romanzo di parole e sentimenti compressi, storpiati dalle cattività che li restringono. Ma anche una storia di sopravvivenza in condizioni estreme. Dando fiato a una voce che finisce per diventare l'essenza stessa della reclusione, Maurizio Torchio è riuscito nel miracolo di descrivere, senza mai giudicare, i fili invisibili che legano carnefici e vittime...