Nel 1525 un discendente di Tamerlano e Genghiz Khan attraversò l’Indo e conquistò il Pujab: il dominio della dinastia Mogul sul subcontinente indiano era iniziato. Abraham Eraly ripercorre il domino Mogul attraverso le vite dei suoi sei imperatori: guerrieri, mistici, innovatori visionari, asceti e amanti dei piaceri della vita. Tre secoli che hanno lasciato una traccia indelebile sull’India, sulla sua cultura e sull’arte. Il trono dei Mogul è un grandioso affresco storico che rende viva e palpabile le vite dei grandi imperatori, ma anche di cortigiane, soldati, poeti e comuni cittadini.
Nella prima metà del Quattrocento le sorti di Firenze erano incerte ed esposte a gravi rischi. La crisi di potere interna unita a un’endemica debolezza militare aveva reso la città una preda ambita. Ora,mentre i Medici cercavano di stabilire la loro egemonia, il duca di Milano tentava di estendere il suo controllo su tutta l’Italia centrale. La rivoluzione culturale e artistica avviata dal Rinascimento era in bilico. La partita era ancora tutta da giocare.
Faceva caldo a mezzogiorno del 29 giugno 1440. Dagli spalti di Borgo Sansepolcro un condottiere osservava il castello di Anghiari emergere dalla foschia della Val Tiberina. Niccolò Piccinino conosceva bene la zona: quattordici anni prima, al servizio di Firenze, era stato testimone di una disastrosa sconfitta. Adesso era agli stipendi del vincitore d’allora, l’obeso e ambizioso duca di Milano, Filippo Maria Visconti. Doveva attaccare il campo fiorentino sotto le mura di Anghiari. Ma il vento spirava in modo strano. C’era nell’aria il sentore che quello sarebbe stato il giorno in cui si sarebbero giocate le sorti di Firenze. Fu un pomeriggio di urla e imprecazioni, di scalpitio di cavalli e stridore di armi, di carne e sangue. Alle sette di sera, dopo cinque ore di scontro, i fiorentini conquistarono lo stendardo nemico. Il valore della Battaglia di Anghiari fu colto dai capi della Repubblica fiorentina che nel 1502 affidarono a Leonardo il compito di celebrarla su una parete di Palazzo Vecchio a Firenze. Oggi la battaglia vive nella memoria collettiva per merito del celebre dipinto perduto di Leonardo definito da Benvenuto Cellini «scuola del mondo». Niccolò Capponi conduce il lettore nel cuore della vicenda e ripercorre la storia del capolavoro leonardesco. L’evento storico e il prodigioso gesto creativo di Leonardo si fondono nel racconto del giorno cruciale che salvò il Rinascimento.
Nei primi anni settanta Dominique Lapierre,con Larry Collins, arriva a Nuova Delhi per scrivere la straordinaria storia dell’indipendenza dell’India dall’Impero britannico.
Sarà l’inizio di una prodigiosa storia d’amore. Al volante di una vecchia Rolls-Royce Silver Cloud, la “macchina dei maharaja”, percorre in sei mesi più di ventimila chilometri. Raccoglie testimonianze e documenti unici, vive avventure rocambolesche, conosce e riesce persino a intervistare gli assassini del Mahatma Gandhi. Ne nascerà Stanotte la libertà, racconto epico sulla lotta per l’indipendenza indiana. Ma nascerà anche un rapporto forte, intenso e sincero tra gli ultimi della terra e lo scrittore affermato, che da allora all’India e all’aiuto umanitario dedicherà tutto se stesso.
Dopo il primo viaggio, Lapierre infatti ritornerà in India incessantemente, impegnandosi in programmi concreti contro le condizioni di estrema povertà.
Dormirà nelle bidonville fianco a fianco con gli emarginati della società e con i tanti eroi senza nome che si danno da fare per migliorare le condizioni dei più poveri, incontrerà Madre Teresa di Calcutta; collaborerà con James Stevens, fondatore del centro Udayan, grazie al quale migliaia di figli di lebbrosi vengono strappati dalla miseria e dalla malattia.
L’intervento di Lapierre si rivelerà decisivo per la sopravvivenza e il rilancio di questa istituzione, che garantisce un futuro per tanti bambini malati o con genitori lebbrosi. Seguiranno gli anni vissuti tra i diseredati delle bidonville di Pilkhana, a fianco dell’infermiere svizzero Gaston Grandjean. Anni di grande slancio e di immersione nella sofferenza e nella privazione da cui vedranno la luce un libro e un film celeberrimi: La Città della gioia, di cui in India mon amour Lapierre ci regala inediti dietro le quinte.
La penna di Lapierre accompagna il lettore in ripetuti viaggi nei misteri del paese-continente, immergendolo nella vitalità e il fascino dell’umanità incontrata. Foto, ricordi e riflessioni si mescolano creando una testimonianza unica: India Mon amour.
Un indimenticabile inno alla vita e alla speranza, unito da un fil rouge che deriva da un proverbio indiano: “Tutto ciò che non è donato, è perduto”.
Un lampo di umanità tra gli orrori del primo conflitto mondiale. Sono passati sei mesi dall'inizio delle ostilità, le truppe tedesche e quelle alleate si fronteggiano in una estenuante guerra di posizione, sotto i colpi del fuoco nemico, della fame, del freddo e della paura. Ma all'improvviso, alla vigilia di Natale, in un luogo imprecisato delle Fiandre, dalle trincee tedesche si levano canti natalizi e cartelli con la scritta "We not shoot, you not shoot". Superata la diffidenza iniziale gli inglesi rispondono con i loro canti e i due schieramenti concordano una tregua di tre giorni ribellandosi agli ordini. Materiali d'archivio, diari, fotografie, lettere hanno consentito a Michael Jùrgs di raccontare questo piccolo e grande miracolo dimenticato dalla Storia.
Per giustificare la propria politica estera, gli Stati Uniti hanno ripetutamente rivendicato un presunto diritto di agire contro gli "stati falliti" del globo, senza rendersi conto di condividerne drammaticamente alcune caratteristiche. Gli stati falliti sono infatti i paesi incapaci o poco propensi a "proteggere i propri cittadini dalla violenza e dalla distruzione" e che si pongono "al di là del diritto nazionale e internazionale". Anche se mettono in pratica alcune funzioni della democrazia, soffrono di un "deficit democratico" che priva le istituzioni del loro potere sostanziale e che mette in serio pericolo i propri cittadini e il resto del mondo: proprio come l'America.
«Il potere può essere accresciuto congiuntamente a un aumento delle libertà da parte di coloro che sono sottoposti all’esercizio del potere.» Cos’è e come si esercita il potere? Partendo dal rifiuto delle concezioni classiche di tipo liberaldemocratico e marxista, secondo le quali esso è un attributo di determinati soggetti o l’applicazione della forza fisica, Luhmann ritiene che il potere non sia altro che un «mezzo di comunicazione» generato attraverso simboli. Solo questo modello può spiegare i fenomeni di produzione, circolazione e consumo del potere nelle moderne società informatizzate e multimediali. La teoria del potere nella concezione di Luhmann diventa quindi parte integrante di una teoria della società. Più che mai attuale, a oltre trent’anni dalla sua prima pubblicazione, Potere e complessità sociale è una riflessione su chi e come governa le nostre esistenze.
La casa delle sorelle Portoghesi in via della Chiesa Nuova a Roma è stato uno dei cenacoli più straordinari dell’Italia del dopoguerra: la cosiddetta Comunità del porcellino. Tra gli anni quaranta e cinquanta i massimi rappresentanti del cattolicesimo politico italiano trovarono qui una calorosa accoglienza: si poteva essere ospitati in modo permanente, fermarsi per i pasti o semplicemente stare insieme e discutere. C’erano Giuseppe Dossetti, vicesegretario della Dc; Giuseppe Lazzati, futuro rettore dell’Università Cattolica; Giorgio La Pira, futuro sindaco di Firenze; Amintore Fanfani, già ministro, e Gianni Baget Bozzo. Telemaco Portoghesi Tuzi, nipote delle sorelle Portoghesi, e sua figlia Grazia rievocano quegli anni straordinari in cui la Comunità del Porcellino fece la Costituzione, condividendo rigore e passione e fecondando gli articoli di idee e valori tutt’oggi imprescindibili.
Allen Ginsberg. Ginsberg che nasce, Ginsberg che cresce, che studia, che scrive. Ginsberg che urla. Ginsberg che viaggia, che ama, che soffre. Ginsberg e l'America, il Messico, l'India. Ginsberg che lotta. Per la libertà, per i diritti, per l'uguaglianza. Ginsberg che incontra, alla Columbia University, Kerouac e Burroughs. Ginsberg e il buddismo tibetano, Ginsberg e l'amore per Peter Orlovsky, Ginsberg e le droghe. Ginsberg cittadino del mondo, Ginsberg eroe, Ginsberg poeta. Mille i Ginsberg in questo "Io celebro me stesso", la vita quasi privata dell'uomo più coraggioso d'America.
Trent'anni di lettere, cartoline, telegrammi. Trent'anni di parole e colloqui a distanza. Trent'anni di amicizia tra due delle più importanti personalità della musica contemporanea. Massimo Mila, musicologo e critico musicale di fama internazionale, e Luigi Nono, il grande compositore veneziano, uno dei massimi protagonisti della storia musicale del xx secolo. La corrispondenza che i due intrattennero dal 1952 al 1988, conservata presso la Fondazione Archivio Luigi Nono di Venezia e la Fondazione Paul Sacher di Basilea, disegna il percorso evolutivo di un rapporto umano e intellettuale di straordinaria intensità. Esperienza privata, certo, ma che dialoga e si intreccia continuamente con le più importanti vicende culturali della seconda metà del Novecento, qui illuminate dalla prospettiva privilegiata di chi quelle vicende le ha vissute da protagonista. Come un flusso ininterrotto di parole e pensieri, che ci vengono offerti senza filtri e intermediazioni, in Nulla di oscuro tra noi le personalità di Mila e Nono emergono in tutta la loro complessità, calate come sono in un contesto in continuo movimento, scosso da mille trasformazioni e, anche per questo, puntualmente ricostruito nel commento dei curatori. Il carteggio è completato da una corposa scelta degli scritti di Mila su Nono e molte delle lettere scambiate tra Nono e l'editore Giulio Einaudi, ad arricchire di documenti la storia del profondo legame tra il compositore veneziano e l'ambiente culturale torinese.
Cambridge, 1965. Due ragazzi si conoscono e si innamorano. Lei si chiama Sonia Maino, è italiana e proviene da una famiglia semplice. Lui è indiano e sì chiama Rajiv Gandhi: è figlio di Indira e nipote del Pandit Nehru, il fondatore, insieme al Mahatma Gandhi, dell'India indipendente. Superata l'opposizione iniziale del padre della ragazza, nel 1968 i due si sposano. Al matrimonio, lei indossa un sari rosso, il colore delle spose indiane. Nascono due figli, ma la tranquillità familiare non durerà a lungo. Presto Rajiv diventerà consigliere della madre e segretario generale del Partito del Congresso. Nel 1984 Indira Gandhi, al secondo mandato come primo ministro, perde la vita in un attentato e il figlio le succede. La tragedia incombe: nel maggio del 1991 Rajiv viene assassinato da un commando delle Tigri Tamil. Nel 1995 avviene l'incredibile: Sonia accetta il ruolo di leader offertole dal Partito del Congresso. Sarà proprio lei a portare alla vittoria il suo schieramento alle elezioni del maggio 2001, rinunciando poi al ruolo di primo ministro, pur rimanendo alla presidenza del Partito per perseguire il suo obiettivo iniziale, lo stesso del marito e della suocera: la lotta alla povertà. Con una scrittura epica e carica di sensualità, sulla scia di "Stanotte la libertà" di Dominique Lapierre e Larry Collins, Javier Moro ricostruisce nel suo "Sari rosso" la storia memorabile e appassionante dell'"italiana" diventata "figlia dell'India".