Tokyo, 1948. Anno del Ratto. Portatore di malattia, il topo governa la città occupata due volte: dalle truppe del generale americano Mac Arthur, insediato dopo la resa giapponese, e da fantasmi inquieti.
Tokyo. Un altro anno del Ratto. Uno scrittore corre ansimando nella notte, gli occhiali rotti, i pantaloni infangati. Fra le sue braccia gli appunti di un libro che non vuole farsi scrivere. Sta correndo verso la Porta Nera. Lì forse troverà la verità. Lì forse capirà chi è il falso medico che nel 1948 ha avvelenato e ucciso i dodici dipendenti della Banca Teikoku.
Tokyo ha scelto il suo colpevole. Ma la città è occupata, posseduta, la verità nascosta. Per scoprirla, lo scrittore partecipa a una seduta spiritica: dodici candele vengono spente, una per ciascuno spirito. Le voci delle vittime, della polizia, degli occupanti americani si contaminano, si intrecciano in un serrato rituale esorcistico. Fra i deliri dei testimoni, dove nessuno dice la verità e quando la dice ne mistifi ca un’altra, s’insinua lo spettro della Guerra Batteriologica, l’eredità degli atroci esperimenti sui tronchi, le cavie umane dell’Unità 731 deliberatamente infettate dalla peste.
E le pagine del libro che non voleva farsi scrivere ora non sono più bianche. Eppure lo scrittore non trova pace perché, sì, i personaggi fi nalmente sono suoi, ma sue sono anche le lacrime, sua è la sofferenza del Giappone.
È la condanna dello scrittore quella che David Peace racconta nel secondo volume della Trilogia di Tokyo. La sua partecipazione al dolore di un paese spezzato dalla guerra. È l’omaggio ai racconti di Akutagawa e al cinema di Kurosawa, ma anche al buio di 1984. Una storia in cui nulla è risparmiato, nessuno è risparmiato. Un libro che fa trattenere il respiro come se fosse morto il mondo intero.
Tre anni dopo la pubblicazione del "Cigno nero", un "racconto filosofico" acclamato in tutto il mondo, Nassim Nicholas Taleb fa il bilancio della vita del suo libro. L'idea talebiana del Cigno nero ha conquistato milioni di lettori e fecondato la ricerca in campi molto diversi, dalla filosofia alla statistica, dalla sociologia alla psicologia, agli studi sul clima, alla medicina. Meno feconda questa idea si è rivelata invece in economia, l'area più immediatamente vicina agli interessi dell'autore. Sulla crisi del 2008, e sugli economisti che dovrebbero analizzarla e curarla, Taleb si sofferma in questo nuovo libro, con annotazioni che hanno il sapore dell'ironia e dello scetticismo. E, ancora una volta, ribalta i sedicenti "esperti di rischi" che in questi tre anni hanno risposto all'autore con ostilità, dimostrando la loro inguaribile cecità ai Cigni neri. "Robustezza e fragilità" riassume tre anni di vita di un'idea forte, in grado di modificare i nostri paradigmi mentali; tre anni che hanno anche trasformato, in meglio, la vita dell'autore. Taleb ha incontrato filosofi, scrittori, scienziati, uomini di stato, lettori comuni e persino buoni economisti, si è confrontato con loro, ne ha ascoltato conferme e obiezioni, ha visto crescere e svilupparsi la sua idea nel mondo. Da questi incontri è nato "Robustezza e fragilità", il suo nuovo racconto filosofico dove, fornendoci una carta topografica dell'Estremistan, Taleb ci insegna come muoverci in un mondo dominato dal caso e dall'incertezza.
Incrociare le dita, toccare ferro, evitare i gatti neri, sottostare a pregiudizi scaramantici, seguire rituali propiziatori continuano a essere pratiche molto diffuse. Viviamo in un’era tecnologica avanzatissima, eppure l’antica fiducia nelle credenze soprannaturali resiste, anche in persone che si ritengono scettiche e razionali.
Lo psicologo cognitivista Bruce M. Hood ha formulato un’ipotesi rivoluzionaria per spiegare perché, nonostante ogni prova contraria (e malgrado la ricchissima letteratura scientifica, da Dawkins a Dennett, che pretende di smantellare razionalmente ogni tipo di credenza), gli esseri umani si affidino a forze soprannaturali. In Supersenso, Hood dimostra come la nostra mente sia naturalmente incline a decifrare il mondo secondo schemi regolari, strutture e meccanismi ricorrenti, quando però è impossibile far coincidere le nostre intuizioni alla realtà del mondo, entra in gioco il supersenso. Il pensiero soprannaturale, che si concretizza in forme culturali e religiose, si genera dalla nostra propensione a presumere l’esistenza di dimensioni nascoste della realtà. Un processo che dall’individuo si estende alla società, dando vita a una rete di credenze condivise, indispensabile per la convivenza. Supersenso è una conversazione piacevole e brillante che, con l’autorevolezza del saggio scientifico, abbraccia discipline religiose, psicologiche e biologiche. Una cosa è certa, dopo averlo letto non vedremo mai più il mondo nello stesso modo.
Cogliere la struttura della narrazione, sia essa affidata alla scrittura o alle immagini, significa possedere gli strumenti per interpretare romanzi e film. "Storia e discorso" è un tentativo, tra i più rigorosi e coerenti, di disegnare la topografia di quella che Henry James, con una brillante metafora, definiva la "casa della narrativa". Rielaborando spunti di Bachtin, Todorov e Barthes, quest'opera, un classico dell'analisi testuale, offre una chiave di lettura originale della narrazione letteraria e filmica, sostenuta dal piacere intellettuale per la teoria. E soprattutto dal ritorno continuo ai testi, dalla possibilità di rileggere Joyce, Dostoevskij o Conrad in una prospettiva inedita.
La Lega Nord cresce nei voti e cala lungo la penisola, al di sotto del Po, in quelle che da sessant’anni sono note come le «regioni rosse». Paolo Stefanini ha battuto, provincia per provincia, gli ex feudi comunisti, dall’Emilia all’Umbria. Ha parlato con i dirigenti leghisti, si è confuso tra i militanti e gli elettori, tra le mamme orgogliose alle selezioni di miss Padania. Ha visitato le feste verdi che costellano gli Appennini, tra zucche, vino e castagne, tra stand e gazebo, strumenti primari della militanza, e ha registrato quell’humus culturale all’origine dell’irresistibile ascesa leghista. Avanti Po è la scoperta di un’Italia centrale inedita, è il racconto dei crolli improvvisi del consenso finora monolitico della sinistra, di un popolo impaurito dagli stranieri, dei sindaci indaffarati a inventarsi nuovi riti, degli attivisti che rivendicano il loro passato comunista, dei giovani che credono che il futuro sia di Bossi. In attesa delle elezioni regionali del 2010, la nuova sfida per il grande balzo del partito del Nord al Centro dell’Italia.
Creata inizialmente per fronteggiare l'espansione dell'eresia catara e inaugurata formalmente da papa Gregorio IX a partire dal 1233, l'Inquisizione è stata una delle istituzioni più discusse della civiltà occidentale: in nome dell'ortodossia religiosa furono torturate e uccise migliaia di persone, spesso accusate di reati improbabili. Dopo il suo apogeo nella Spagna del XV secolo e con la Controriforma in Italia, l'Inquisizione arrivò anche nel Nuovo Mondo e fu ufficialmente soppressa solo nel XX secolo. Nel loro veemente resoconto gli autori dimostrano come la Chiesa, nel suo insieme, si sia appropriata dei metodi dell'Inquisizione per controllare e manipolare qualunque informazione in grado di interferire nella propria sua sfera d'azione.
Crisi finanziarie, riscaldamento globale, razzismo, criminalità e terrorismo. Guerre. Come si può essere ottimisti oggi? Eppure ci sono almeno centocinquantatré buone ragioni per esserlo.
John Brockman, l’editore dell’influente forum scientifico The Edge, ha chiesto a illustri fisici e biologi, scrittori, filosofi e artisti di rispondere a una domanda semplice e immediata: «Su cosa sei ottimista e perché?». Soffermandosi sui temi più svariati – l’educazione, la medicina, la psicologia, l’astronomia e persino la fine del mondo – 153 ragioni per essere ottimisti è un caleidoscopio di riflessioni sulla natura umana e sulla sua capacità di cambiare e migliorarsi.
Brian Greene, Jared Diamond, Richard Dawkins, Gino Segrè, Lisa Randall e tanti altri rispondono alla provocatoria domanda di Brockman e illustrano la loro visione ottimistica del mondo. Idee illuminanti scuotono il nichilismo che soffoca i nostri giorni e offrono nuove prospettive alla percezione del futuro dell’umanità.
Tra il giovane pittore, attento studioso dell’arte italiana, e l’insoddisfatto vizioso che cerca consolazione nell’alcol e nella droga è racchiusa la mirabile parentesi della ricerca solitaria, unica e rigorosissima di Amedeo Modigliani.
Il suo ideale artistico nasce e prende forma nella Livorno di fine Ottocento, alla scuola dei macchiaioli, sotto lo sguardo di Giovanni Fattori. Impara a penetrare la struttura intima delle cose, e da qui si rivolge al passato, custodito a Firenze, a Napoli, a Venezia: Masaccio, Tino di Camaino, Carpaccio, Tiziano... Dai viaggi, dal confronto con l’arte italiana prorompe la volontà di dedicarsi a un’«opera nuova», dal confronto con gli altri pittori la rivelazione della grande arte del nuovo secolo che sta nascendo in quegli anni a Parigi.
Oggi Modigliani è uno degli artisti più amati dal pubblico, dai giovani, da tutti coloro che si mettono in coda per vedere le mostre. Il suo catalogo raccoglie l’opera di uno dei maggiori artisti che l’Italia abbia avuto. I nudi sono forme severe su cui il colore accende la vita di un nuovo sistema pittorico che ha scosso la raffigurazione nel Novecento.
Ha inventato il ritratto moderno, inquieto e interrogativo, ha rappresentato poeti e cameriere, bambini e mercanti, mendicanti e donne. Lo ha fatto in una maniera unica, con una visione indipendente che Beatrice Buscaroli ricostruisce con uno sguardo critico innovativo, che scrosta dalla vita e dal lavoro di Amedeo Modigliani le leggende e i cliché nati il giorno stesso della sua morte. Rigorosa nel ricreare l’ambiente italiano e parigino a cavallo tra Ottocento e Novecento, aperta e acuta nella lettura dei gesti della tecnica artistica, la voce dell’autrice diventa trascinante nel racconto biografico, nel restituire l’intensità con cui Amedeo Modigliani visse, dipinse, scolpì.
Beatrice Buscaroli insegna Storia dell’arte alla facoltà di Conservazione dei beni culturali presso l’Università degli Studi di Bologna-Ravenna. Nel 2009 ha curato il Padiglione Italia alla 53a Biennale d’Arte di Venezia. Tra le pubblicazioni ricordiamo: Max Klinger (Ferrara Arte, 1996), Pinacoteca nazionale, Bologna (Il Sole 24 Ore – Electa, 2005), I colori nelle mani (Marietti 1820, 2009).
Nel secentenario della morte di Giotto, dal 27 aprile 1937 gli Uffizi ospitarono la Mostra giottesca, la prima retrospettiva dedicata alla pittura italiana delle origini. L’esposizione, in cui erano presentate oltre trecento opere del maestro toscano, dei pre cursori e dei seguaci, sancì il ruolo di Giotto come pater dell’«arte nostra». L’evento fu anche terreno di confronto, e scontro, tra il rigore scientifico dell’intelligencija critica dell’epoca – da Ojetti a Carena, da Offner a Salmi, da Michelucci a Longhi – che si interrogava sul valore della pittura giottesca e l’intento propagandistico dei gerarchi fascisti di nazionalizzare lo spirito della mostra. Testimonianze, lettere e cronache, insieme alle immagini delle opere e le preziose foto d’epoca, ci raccontano la genesi del progetto, le ingerenze governative, le fasi dell’allestimento e l’intenso dibattito critico che ne seguì.
A distanza di settant’anni, Alessio Monciatti sottrae la Giottesca alla dimensione acritica cui era stata relegata e rivendica il ruolo decisivo da essa ricoperto nella storia della critica d’arte, e nel contempo nella storia culturale, sociale e degli allestimenti museali.