Residuo d'un lavoro, vagheggiato fin dalle prime esperienze giovanili maturate nell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli (1947-52), L'Europa di Croce, il cui punto di riferimento principale è la Storia d'Europa nel secolo decimonono (1932), intende - al di là delle vicende narrate - segnare le linee essenziali del tracciato dell'Europa moderna, seguito nell'intreccio tra la molteplicità irriducibile dei "contenuti" culturali, e l'assunzione della "forma", del "dover essere", capace di integrare quei "contenuti", storicamente e socialmente condizionati. È il problema, tanto dibattuto e contrastato della generazione seguita al Dilthey, all'avvento delle "scienze umane" o "scienze dello spirito", che hanno prodotto una frattura sostanziale nella storia del pensiero occidentale, una fase che ha inizio da più d'un secolo, con in più, ai giorni nostri, l'esigenza d'una risposta intuitiva di immediata comprensione.
La caratterizzazione culturalmente plurale delle società odierne è ormai un fatto, con tutto il suo bagaglio di effetti positivi e negativi, sviluppi possibili e conflitti. Il presente volume intende offrire un'introduzione alle questioni teoriche e pratiche che si articolano a partire da questa realtà, cercando di dare una visione articolata di questa sfaccettata tematica. Il volume è composto di tre parti: nella prima sono raccolti interventi più corposi che danno conto dei diversi modi in cui la riflessione intorno alla differenza culturale e alle sue implicazioni etiche e politiche si è sviluppata, soprattutto relativamente alle seguenti questioni: esiste un piano neutro, universale, o anche solo valido a livello intersoggettivo, sulla cui base si può discriminare tra diverse pratiche? C'è qualcosa come l'identità nazionale che va difesa? O si deve invece favorire la tutela delle diverse identità culturali? Nella seconda si ripercorre lo stesso dibattito, a partire da alcuni concetti chiave che lo caratterizzano. Nella terza vengono discussi alcuni casi concreti.
L'obiettivo del volume non è stato solo la ricostruzione della storia della scuola italiana dall'Ottocento ai giorni nostri, ma sì è altresì cercato di delineare come l'istituzione scuola si sia costituita nella civiltà occidentale e mediterranea e si sia concretata come formazione della persona e del cittadino, e non solo come una semplice trasmissione di conoscenze giudicate fondamentali. Sotto tale profilo, l'istituzione educativa, dai gradi minori fino all'università, si è rivelata determinante per il processo di civilizzazione sino a quando ha saputo coniugare insieme lo spirito dell'educazione e la validità dei contenuti, influendo sulla storia della Penisola e, a sua volta, recependone le svolte e i rivolgimenti. La storia dell'istituzione scolastica si è manifestata allora un tutt'uno con la storia civile. In particolare, nel volume non sono mancate le illustrazioni legislative sì che il lettore possa comprendere i programmi e gli intenti legislativi soprattutto dall'Unità ai giorni nostri.
Il lavoro segue tre percorsi di ricerca che indagano ed evidenziano l'instabilità costitutiva e permanente del testo sceneggiatura. Un'instabilità vitale, dinamica che sostanzia la natura, la pratica, il graduale farsi della scrittura per il cinema. Il primo percorso è di taglio storico e ripercorre la formazione della scrittura destinata al cinema, affrontando il passaggio dal muto al sonoro, con particolare attenzione al cinema delle origini, al cinema realizzato nell'ambito dello studio system, al cinema in Italia. Il secondo percorso è di natura teorica e indaga l'oggetto da diversi punti di vista, con la possibilità di ascriverlo al campo d'indagine dei Visual Studies, affrontarne la molteplicità dei livelli significanti, aprendosi alla nozione di intertestualità e ipotizzando per la scrittura per immagini un primo originario fondamento nel concetto di immagine-idea. Il terzo percorso è un tentativo di analisi intertestuale di alcuni film che, già sulla carta, si ispirano al romanzo Delitto e castigo di Feodor Dostoevskij: Pickpocket di Bresson, Taxi Driver di Scorsese, Salto nel vuoto di Marco Bellocchio.
Che laici e cattolici, in bioetica, si trovino spesso su posizioni opposte è un fatto noto, ma la ragione per cui ciò accade costituisce un tema notoriamente controverso, su cui soprattutto nel nostro paese è in corso un annoso confronto, che oppone i teorici della diversità paradigmatica fra le due bioetiche a coloro che invece, a vario titolo, la negano o la minimizzano. Considerata l'importanza cruciale del tema, il volume offre un quadro aggiornato del dibattito in corso, presentando un percorso storico e teorico che si configura come un contributo originale a una questione ineludibile della bioetica del nostro tempo e, di riflesso, della società italiana in generale. La questione, infatti, investe non solo la dimensione conoscitiva e la riflessione etico-culturale, ma presenta inevitabili ricadute anche sul piano pratico e politico.
Questo studio ha inteso avvicinarsi al difficile percorso etico e culturale della nostra epoca, al cui interno il pensiero ebraico mostra ancora tutta la sua antica giovinezza nel formulare nuove mappature, che dalle rassicuranti pareti del sacro offerte dal tempio si espandano verso la lettura difficile del tempo presente. Visto così, lo spazio empirico, rappresentato dai tanti esodi dalla terra promessa e dalle tante forzate diaspore verso paesi inospitali, si trasforma in spazio simbolico: dalla particolarità del popolo ebraico ad essere popolo scelto, "separato", dagli altri popoli ad una comunità aperta all'universale in ragione del suo implicito compito messianico. I viaggi intorno al nome impronunciabile non sono che la cifra filosofica del bisogno di attraversare il paesaggio complesso e affascinante rappresentato dall'opera millenaria che ha da sempre legato la parola biblica, il commento e le interpretazioni talmudiche con quella riflessione contemporanea provata dalle crude prove della storia.
Per molti anni visse in esilio a Roma un importante sovrano afghano, Amanullah, che aveva combattuto vittoriosamente contro i Britannici nel 1919 e che aveva cercato di avviare un coraggioso programma di riforme politiche e sociali per il proprio popolo. Fra il 1929 e gli anni della seconda guerra mondiale Roma divenne il luogo da cui Amanullah cercò di orchestrare svariati intrighi e macchinazioni per riconquistare il trono perduto. Questo libro, fondato su documentazione diplomatica in gran parte inedita, da una parte è un tentativo di comprendere come i diplomatici italiani di stanza a Kabul, fra i quali spicca Pietro Quaroni, percepissero e interpretassero la società afghana e i suoi problemi; dall'altra è una ricostruzione delle relazioni italo-afghane all'interno del quadro generale della politica italiana verso il Medio Oriente e l'Asia centrale negli anni fra le due guerre mondiali.
Il lavoro progettuale e artigianale di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) nel campo dello spettacolo è studiato per la prima volta in maniera organica in questo volume. Oltre che scenografo, scenotecnico e apparatore di feste, Bernini fu anche attore, scrittore di teatro, capocomico, perfino committente e, negli ultimi anni, impresario di commedie per musica. Praticò dunque tutti i mestieri della scena. I ricchissimi repertori di immagini e documenti della festa, le fonti relative ai grandi spettacoli barberiniani e le cronache delle commedie trovarono in Bernini un protagonista che, sul crinale di un gioco affascinante e pericoloso, valendosi di uno straordinario e multiforme talento e anche di un innegabile carisma personale, pare divertirsi a sfidare le più alte personalità di governo (anche i nipoti del papa e perfino il papa), mettendo in discussione ogni convenzione di genere e ogni regola precostituita.