In questo libro troviamo tutto ciò che chiamiamo «il latino», una lingua niente affatto morta, che permane e riaffiora, talvolta in incognito, anche nel parlato più quotidiano, espressione di una civiltà che permea ancora la nostra cultura. Nel suo cuore l'uomo occidentale conserva un'affezione per questa radice della propria identità e sogna forse un ritorno alla patria romana aperta all'Europa e al mondo. In questo libro che fu già un best seller alla sua prima uscita nel 1989 (e fu poi genialmente ritoccato) Enzo Mandruzzato ci offre una «grammatica» da leggere e per leggere e che finisce con l'appassionare. Così il latino trova il suo spazio, lingua tra le lingue, e ci propone una sfida allettante: forse lo si può imparare senza sforzo, anzi con piacere.
Romania, 5 agosto 1986. Un piccolo gruppo di pellegrini (padre Ioanichie B?lan, padre Tomás Spidlík, padre Elia Citterio e padre Adalberto Piovano) giunge nel monastero di Sihastria, una tappa fondamentale del lungo viaggio intrapreso alla ricerca della testimonianza dei padri e delle madri spirituali che allora arricchivano il monachesimo romeno. Padre B?lan è una guida d'eccezione: oltre a essersi formato proprio in quel luogo, ha già riunito in un libro le parole di vita e gli insegnamenti raccolti dalla viva voce di questi uomini e donne dello Spirito e sente il dovere morale di preservare quella insostituibile eredità e di renderla feconda per gli uomini di oggi. Proprio a Sihastria vivevano all'epoca i due più famosi padri della Romania, Cleopa Ilie e Paisie Olaru. Il racconto di questo incontro e di due lunghi colloqui con Paisie Olaru - consigliere spirituale molto ricercato in vita, considerato un santo dei nostri tempi e ancora oggi oggetto di un culto che porta migliaia di monaci e di laici a continuare a nutrirsi dei suoi consigli -, costituiscono il cuore di questo libro. Che si rivela quindi una testimonianza preziosa sul cristianesimo ortodosso, sul mondo dei monasteri e degli starec e su una tradizione che discende dai Padri del deserto, ma soprattutto una testimonianza ardente di «ciò che lo Spirito può comunicare attraverso un uomo che si lascia abitare da lui».
In questo fondamentale studio - definito dal «Times Literary Supplement» «impressionante per la padronanza dell'argomento e l'originalità delle tesi» - Christopher Dawson sostiene che i cosiddetti «Secoli Bui», il periodo storico che va dal IV all'XI secolo, non furono affatto uno sterile preludio all'energia creativa sprigionatasi dopo l'anno Mille. Al contrario, l'Alto Medioevo andrebbe descritto come un'età di rinascita perché fu allora che la complessa interazione tra l'Impero romano, la Chiesa cristiana, la tradizione classica e le società barbariche determinò la genesi di un'unitaria e vitale cultura europea. Scrivendo nel 1932, nel pieno di una profonda crisi europea - insieme culturale, politica, morale ed economica - nella quale le forze nazionalistiche sembravano aver vinto la battaglia delle idee, Dawson sosteneva che «se la nostra civiltà vuole sopravvivere è necessario che sviluppi una coscienza europea comune e la consapevolezza di una unità storica e organica». Dawson aveva chiaro che quell'unità richiedeva però soluzioni ben diverse da quelle imposte dai movimenti politici al potere e dalle teorie economiche che andavano per la maggiore. Era necessario - allora come oggi, verrebbe da dire - che l'Europa riscoprisse le proprie radici cristiane e con esse - e come loro conseguenza - l'aspirazione all'universalismo, contro ogni nazionalismo e ogni protezionismo.
«Il lettore deve accingersi a leggere questo libro con la stessa disposizione d'animo con la quale, evidentemente, il Chesterton lo ha scritto: col senso della giocondità, pura e semplice, e col gusto primitivo del burlesco. L'eroe stesso - l'ineffabile Capitano irlandese Dalroy, che riempie il volume delle sue rodomontate, delle sue canzoni e delle sue risate - rende assai bene, sullo schermo artistico, lo spirito paradossale e rumoroso, fresco ed allegro, sagace e umoristico dell'artista che l'ha creato. Al Capitano Dalroy si contrappone Lord Ivywood, formalista convenzionale, prezioso, insensibile e freddamente fanatico. In questo contrasto sta, (orse, il maggior pregio del romance, per i cui viali l'autore scorrazza liberamente e disordinatamente ora facendo improvvise digressioni ora sostando un po' come in contemplazione, ora perseguendo le sue eccentricità epigrammatiche. Lord Ivywood, che non ha mai voluto bene in vita Mia ad un cane, ma che ha sempre avuto molto a cuore la causa dei cani, personifica assai bene tutto quel mondo inglese artificioso e insincero che ha sempre una causa da propugnare e una missione cui consacrarsi. Puritanismo, vegetarianismo, proibizionismo e non so quale altro "ismo" offrono al Chesterton altrettanti elementi per la sua fantastica scorribanda nella quale l'ironia si alterna alla satira, il quadro di costume al quadretto di genere, il personaggio alla macchietta, l'aria viziata del mondo convenzionale alle sane ventate del mondo libero e giocondo, che ha per sfondo, da una parte il mare, e dall'altra il bruno profilo delle profonde foreste d'Inghilterra». (Gian Dàuli)
Sembra più facile appassionarsi alla lettura dell'Inferno di Dante che a quella del Paradiso, che può apparire come un nulla immacolato. Ma il Paradiso dantesco è più variato e violento dell'Inferno. Lì, Beatrice dichiara al poeta: "S'io ridessi tu ti faresti di cenere". Ecco perché mettiamo il Paradiso alla porta: temiamo la sua gioia esigente. E allora ci fabbrichiamo un piccolo paradiso artificiale, rassicurante: un inferno molto rispettabile. Certo, non si tratta di fuggire verso un altro mondo immaginario né di regredire verso il paradiso terrestre della Genesi, che, lo sappiamo, è definitivamente perduto. Alla nozione di un aldilà opponiamo a buon diritto l'esigenza di vivere hic et nunc. Ma non riusciamo mai a essere veramente qui, adesso. Ed è a questo punto che il vero paradiso rivela il suo paradosso e si difende dalle sue parodie: non è evasione verso un altrove, ma grazia lacerante di essere infine presenti a tutti e a ciascuno, in un'apertura sinfonica, una creatività corale. Questo libro è un invito a percorrere un itinerario attraverso la filosofia, la teologia e le arti - da Nietzsche a san Tommaso, da Baudelaire e Proust a Bernini, da Sade a Mozart - per accostarsi a ciò che il paradiso ha di più terribile e di più bello: la ferita della sua beatitudine. Non si tratta di una consolazione, ma di una convocazione a quella gioia che deve farci perdere ogni contegno - come un clown - e distruggere ogni contentamento - come un fiume...
Non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Facciamocene una ragione. Le limitazioni alla democrazia, il potere dispotico esercitato sui popoli dalle istituzioni sovranazionali, la prevalenza della finanza sulla politica, sono tutti effetti prodotti dall'economia della crescita continua. Un sistema che sta giungendo alla fine e che, come un animale ferito, mostra il suo volto peggiore e aggressivo, pronto a trascinare tutto e tutti nel baratro. Per arginare questa potenza distruttrice non basta riformare il sistema, ma è necessario cambiare l'orizzonte culturale e le categorie attraverso le quali pensiamo e interpretiamo il mondo. Le grandi famiglie politiche tradizionali non sono in grado di comprendere i rischi che l'umanità corre in questa fase storica, in cui il modo di produzione industriale si sta estendendo a tutto il mondo. Destra e sinistra sono categorie del passato. E per certi versi incarnano anche parte del problema. Se vogliamo garantirci un futuro dobbiamo smetterla con la crescita. Solo una decrescita felice, selettiva e governata, può salvarci.
Immaginiamo una ruota, con i raggi e, al centro, il mozzo.
I raggi sono le religioni storiche, limitate e influenzate dal contesto culturale e sociale in cui sorgono.
Il mozzo è la fonte da cui esse scaturiscono: la Verità, unica ed eterna.
Le prime sono rivelazioni imperfette e relative della seconda, che, manifestandosi nel mondo, si riflette nella natura finita e molteplice di quest’ultimo.
In Ritorno al Centro, Bede Griffiths mette a confronto le principali tradizioni religiose dell’Occidente e dell’Oriente – l’ebraismo, il cristianesimo, l’induismo, il buddhismo, l’islam –, e ne esamina i contenuti fondamentali con l’obiettivo di segnalarci il mistero ultimo che si cela dietro la dimensione del particolare e del contingente e di indicarci la via per rientrare in contatto con l’Uno.
Questa capacità di trascendere, di andare oltre, è presente in ciascuno di noi. Il nostro essere, come la religione, è duplice: finito e determinato da un lato, eterno e assoluto dall’altro.
Attraverso la pratica del silenzio e dell’ascolto di noi stessi, della preghiera e della meditazione, possiamo accedere a quell’interiorità che è lo spazio nel quale Dio si rivela.
Nella Vulgata politicamente corretta sono merce corrente non poche conclamate falsità storiche sulla Chiesa e sul cattolicesimo. Da molti secoli - in particolare dal tempo della Riforma - versioni distorte della verità, accettate dai più come fatti indiscutibili, sono sistematicamente usate come strumenti di manipolazione. Non si tratta, spiega Rodney Stark in questo suo ultimo lavoro, di constatare l'eterno gioco delle opposte fazioni, nel cui nome le diverse vicende vengono deformate a scopo di provocazione o di polemica. Si tratta, piuttosto, di denunciare e smentire pregiudizi, inesattezze e calunnie che compongono un sapere diffuso e condiviso, sulla cui base si legge - erroneamente - la storia, si costruisce il presente e si pianifica il futuro.
Perché Péguy, oggi? Che cosa hanno da dirci le inquietudini di questo scrittore francese, «morto sul campo d’onore» oltre un secolo fa, nella prima battaglia della Marna? Socialista, dreyfusardo, poi convertito al cattolicesimo, tradizionalista, patriota, Péguy appare agli occhi di Finkielkraut come un «profeta disperato» del malessere spirituale moderno.
Animo perennemente insoddisfatto, sempre alla ricerca di una verità più grande di quella contemplata dalla scienza e dalle ideologie del suo tempo e comunque non limitata all’orizzonte della storia e del sapere umano, Péguy è stato emarginato dalla cultura di sinistra cui pure appartenne, ma di cui rifiutò dogmi e pregiudizi. Eppure, la sua riflessione sulla modernità – sulle implicazioni dell’affare Dreyfus, sul nazionalismo che avrebbe portato alla prima guerra mondiale, sui cambiamenti sociali prodotti dal progresso tecnologico, sulla scomparsa della tradizione, sul declino della religiosità, sulla miopia degli intellettuali, sulla decomposizione della famiglia – è imprescindibile per chiunque voglia capire la crisi di certezze che caratterizza il nostro tempo.