
«La post-verità è il frutto maturo e velenoso di un albero che molti giardinieri hanno contribuito a innaffiare e concimare: alcuni con buone, altri con pessime intenzioni, altri ancora senza interrogarsi troppo sulle possibili conseguenze. Ma perché allora proprio oggi questa improvvisa attenzione, questo soprassalto di interesse e di allarme?».
Eletta parola dell’anno 2016 dall’Oxford Dictionary, la post-verità è entrata ormai nel linguaggio giornalistico e nel parlare comune. Su che cosa sia, come ci siamo arrivati, quali gli effetti positivi e quelli perversi c’è una grande confusione e un’asfissiante retorica. In un incalzante percorso attraverso concetti filosofici, teorie sociologiche, strategie comunicative e originali interpretazioni di eventi e processi sociali dall’inizio del Novecento fino ad oggi – dal sorgere dei mass media ai social network – questo saggio è una guida per chi vuole capire che cosa sta succedendo nella società e nella cultura occidentale senza moralismi e catastrofismi.
Guido Gili insegna Sociologia della comunicazione e dei media nell’Università del Molise, dove è stato preside della Facoltà di Scienze Umane e Sociali e ha diretto il dottorato in Sociologia e ricerca sociale. Ha insegnato nelle università di Bologna, Macerata e Luiss “Guido Carli” (Roma). Componente di comitati scientifici di Centri di ricerca, Fondazioni e riviste, ha anche fatto parte del Consiglio di Amministrazione del quotidiano “Avvenire”. I suoi studi hanno contribuito a illuminare temi fondamentali come la credibilità, la manipolazione, l’ecologia della comunicazione, la violenza dei media, le dinamiche dell’opinione pubblica. Tra i suoi lavori più recenti: Comunicazione, cultura, società. L’approccio sociologico alla relazione comunicativa (con F. Colombo), La Scuola, Brescia 2012.
Giovanni Maddalena insegna Filosofia della comunicazione e del linguaggio nell’Università del Molise. Affermato studioso di semiotica, di Peirce, del pragmatismo americano, di Vasilij Grossman, è membro del Comitato scientifico internazionale dell’École Normale Supérieure di Parigi. Ha tenuto corsi di insegnamento e cicli di conferenze in università francesi, statunitensi e latino-americane. È autore di una proposta filosofica originale in The Philosophy of Gesture, McGill-Queen’s University Press, Montreal 2015. Per Marietti ha curato l'edizione italiana di Owen Barfield, Salvare le apparenze. Uno studio sull'idolatria (2010) ed è autore, con Guido Gili, del saggio Chi ha paura della post-verità? Effetti collaterali di una parabola culturale (2017). La sua opera prima di narrativa è la raccolta di tragedie teatrali I sicofanti - Irene. Dilogia del potere (2012).
Questo libro è il racconto di una vita vissuta drammaticamente all'insegna della fede, e insieme è la testimonianza dei rapporti e delle vicende in essa generati e affrontati. Il protagonista è don Savino Gaudio (1944-2016), sacerdote che ha operato in diverse parrocchie della periferia milanese (Baranzate, Cesano Boscone, Cormano, Dergano, Brugherio, Mezzate e Corsico). Dai ricordi, dalle testimonianze e dai dialoghi riportati nel libro dal fratello, emerge vivida la missione di don Savino, contrassegnata da un'esigenza di bene e di amore che si è composta per lui nell'umanità di Cristo.
Il dibattito acceso dalla pubblicazione di Amoris laetitia non deve sorprendere: i caratteri di originalità che papa Francesco vi ha inserito mettono in discussione punti decisivi dell'odierna proposta pastorale sul matrimonio. Cuore pulsante di questa Esortazione apostolica come del suo Pontificato è l'anelito a una Chiesa «in uscita», al riscoprire il fatto che la fede coincide con l'esistenza stessa resa missione. Nel presente «cambiamento d'epoca» il cristiano vivrà il matrimonio come una realtà irriducibile a questione di coppia: la «Chiesa domestica» si realizzerà grazie alla «comunità», grembo di una «appartenenza evangelizzatrice» che fa del compito del matrimonio-famiglia l'occasione della propria personale maturità umana.
Il lavoro è una questione sociale "emergente" in due sensi: da un lato, ci troviamo di fronte a rischi crescenti di disoccupazione e alla diffusione di lavori precari, sfruttati, alienati; dall'altro, nonostante tutto ciò, assistiamo all'emergere di una gamma di potenziali lavori "virtuali" propri di un'economia dopo-moderna. Questi due processi sono correlati fra loro. Ciò che li connette è l'affermarsi di una società reticolare che richiede una nuova soggettività dell'agire lavorativo e forti innovazioni nelle forme organizzative. Per comprendere questa trasformazione epocale occorre considerare il lavoro come relazione sociale, anziché come mera prestazione, nella prospettiva di un'economia relazionale.
Con la forza della sua azione e con l'intensità del suo pensiero, il domenicano Jacopo da Varagine ha offerto un'immagine nuova di quel medioevo di "orizzonti aperti" che in lui ha assunto sfumature inedite, diventando parte di un'identità che andava oltre i confini della concreta quotidianità dei Genovesi per aprirsi a più alti ideali.
Il libro raccoglie le testimonianze di tre persone che vivono concretamente il dialogo interreligioso e interculturale mostrando che è possibile superare le molte ristrettezze solitamente prevalenti attorno a questo tema. Il valore di queste pagine attinge all'esperienza viva e sofferta di donne e uomini in carne e ossa, paradossale e contraddittoria, com'è normalmente la vita di ognuno. Dalle loro voci emerge qualcosa di nuovo. È un viaggio arduo e complesso che ha nel suo orizzonte un possibile riavvicinamento e lascia spazio alla speranza. Shalom, Salam, Pace.
Elia Benamozegh (Livorno 1823-1900) è uno dei più importanti maestri dell'ebraismo sefardita e italiano. Biblista, talmudista, cabbalista, filosofo della religione, egli è anche uno dei precursori del dialogo ebraico-cristiano. Le sue opere possono costituire un'introduzione alla tradizione vivente d'Israele, per la quale la Torah scritta è inseparabile dalla Torah orale. Profondo convincimento di Rav Benamozegh era che proprio la Torah sarebbe diventata il luogo d'incontro tra ebrei e cristiani.
Papi e cardinali, vescovi e santi, monache tipografe e mistici, ma anche letterati e bibliofili, poeti e collezionisti, ladri e falsari, editori e copisti: ecco i protagonisti di questo libro. In una singolare galleria di 166 brevi testi che, sotto il segno della scrittura e della lettura, offrono un quadro mosso e variegato di personaggi poco noti e altri molto famosi. Tra percorsi inediti, soggetti curiosi, figure minori e singolari, passioni e follie della bibliofilia. Così, nell'alternanza di virtù e vizi, si profila un originale panorama, rivisitato con leggerezza e ironia. C'è però, a ben vedere, una serietà di fondo in questa osservazione dell'umanità, perché anche i libri possono essere pedine di una partita per l'eternità.
«Il semplice fatto che nella sapienza delle sentenze antiche i testi riguardanti un’esperienza di Dio e quelli che riguardano un’esperienza del mondo si mescolino tra di loro senza alcuna regola, parla assolutamente contro l’idea che vi sia una qualche tensione nell’organo della conoscenza. Israele non ha conosciuto affatto l’impasse in cui noi ci troviamo alla lettura di questi testi. La sua grandezza consiste forse in questo, nel non aver separato la fede dalla conoscenza: le esperienze del mondo erano sempre per lui esperienze di Dio e le esperienze di Dio esperienze del mondo».
Gerhard von Rad, eminente esegeta dell’Antico Testamento, nella sua vasta produzione si è generalmente occupato dello studio delle tradizioni storiche di Israele. In questo ultimo e grande lavoro si è concentrato invece sulle tradizioni sapienziali della Bibbia mosso dall’esigenza di risolvere un’aporia fondamentale dell’esegesi veterotestamentaria: quella tra creazione e storia, tra mondo e salvezza, tra ragione e fede.
Gerhard von Rad (Norimberga 1901 - Heidelberg 1971), teologo protestante e biblista, ha insegnato alle Università di Jena (1934), Göttingen (1945) e Heidelberg (dal 1950). La sua opera più importante è Teologia dell’Antico Testamento (Theologie des Alten Testaments, 2 voll., 1957-60, trad. it. Paideia, 1972-74). Tra le altre opere sono state tradotte: Il sacrificio di Abramo (Morcelliana, 2009), Genesi (Paideia, 2000), Scritti sul Vecchio Testamento (Jaca Book, 1984).
La libertà politica, secondo Benjamin Constant, permette ai membri di una comunità di influenzarne i modi di governo, di elevare proteste per qualcosa che è giudicato contrario al bene comune, di porre qualcuno nella posizione di guida e di sostituirlo se necessario. Sembra il minimo. Eppure attualmente neanche metà degli Stati del mondo possono dirsi pienamente liberi. Perché la libertà politica si perde. La storia ne offre molti esempi: dai tiranni di Atene fino a Mussolini, è possibile verificare quanta libertà politica sia stata conculcata o addirittura eclissata per anni, decenni o secoli. Gli stessi rischi si ripropongono agli attuali sistemi politici e lasciano aperta una domanda di fondo alla quale occorre sempre tornare: oggi stiamo davvero esercitando la nostra libertà politica?