
Nel puntuale confronto con i testi biblici e le letterature del Vicino Oriente Antico, si intende qui ricostruire il processo con cui Qohelet giunge a formulare il suo credo assai peculiare nel contesto della cosiddetta "letteratura sapienziale". È messa in evidenza la dialettica tra l'ordine che, secondo Qohelet, Dio dà inizialmente alla sua opera, e il disordine che il saggio percepisce "sotto il sole" e di cui ritiene in certa misura responsabile la divinità. L'antitesi è su due fronti: da una parte, l'uomo non riesce a decifrare l'opera di Dio nella sua globalità, dall'altra, Qohelet, privilegiando i dati esperienziali, non è in grado di riportare il disordine a quel piano superiore in cui i saggi tradizionali sapevano giustificarlo. L'aspetto supremo del disordine "sotto il sole" è costituito per lui dalla morte che, annullando ogni differenza tra i viventi, spedisce tutti a un identico destino. Invischiato nella contraddizione tra ordine asserito e disordine percepito, Qohelet riesce a trovare una via d'uscita originale: impossibilitato a comprenderne l'opera, l'uomo ha con un Dio lontano da lui una relazione reverenziale e un po' guardinga. Tuttavia, nei momenti in cui Dio gli dona quelle gioie quotidiane che fanno emergere il gusto e il senso della vita, il rapporto con Lui si colora di gratitudine e offre all'uomo indispensabili approdi di senso nel mare dell'assurdo in cui naviga.
Il "saluto" è un'esperienza quotidiana, ma è anche parte della stessa essenza dell'uomo: il suo ingresso nel mondo, il suo “essere con gli altri", sin dall'infanzia è sancito da questo gesto elementare, pre-linguistico. Salutare, e ricambiare il saluto, è espressione del riconoscimento, sociale e affettivo.
I lineamenti per una fenomenologia del saluto si trovano nelle pagine di Massimo Giuliani, esplorando ciò che esso ha di persistente pur nella diversità dei modi e nell'oscillare dei significati: dall'essere in relazione al colmare una distanza, dal salutare per primi al congedarsi per sempre nell'ultimo saluto. Alcuni esempi, e un moltiplicarsi di riflessioni, in cui traluce la profondità di questo atto.
Sulle radici bibliche e rabbiche dello scalmo ("pace" e "bene") si sofferma Paolo De Benedetti, gettando luce sul nostro debito - talvolta impensato - verso la tradizione, nel senso ebraico della parola: ciò che si tramanda come in una catena.
Confessarsi è un dialogo, anche quando è parlare di se con se stessi. Questo saggio intende esaminare gli slittamenti di significato di uno stesso genere letterario - le Confessioni - confrontando le celebri pagine di Agostino e di Rosseau: in gioco è il dialogo interiore nel passaggio dalla confessio agostiniana alla moderna "storia dell'anima", e con esso la costituzione dell'identità e della trascendenza, alla dura prova dell'aterità interiore, del male e della colpa. Temi che, sorpresi qui nella loro dimensione dialogica, fanno affiorare la specificità della "confessione" in pensatori fra loro così distanti. Un approccio capace, al contempo, di far luce sul reciproco implicarsi, nell'opera di Rosseau, di scritti autobiografici e morali, politici e padagogici.
Il pensiero di Maréchal si può definire "inattuale" nel senso che a questa parola ha dato lo stesso Heidegger: lascia un solco nella storiografia ciò che ha la forza di mettere in discussione sia la tradizione sia il presente. La distanza critica è proprio quella che consente di mettere a fuoco l'oggetto di indagine nella sua essenzialità: nell'approccio dello studioso belga, l'originale ripresa del tomismo si radica nel confronto fra l'istanza metafisica - divenuta problematica nel Novecento - e la proposta trascendentale di Kant. Una prospettiva che getta nuova luce sull'uomo, al suo incrocio col Mistero, ma anche sul principio della ragione, che pone il senso del "limite". In questo testo, tradotto per la prima volta in italiano, il limite della ragione è appunto la mistica, di cui si indagano le condizioni di possibilità, l'essenza, la dimensione cristiana e quella fenomenologica, costituita da esperienze vissute come l'estasi. La mistica si offre qui a uno studio razionale dove la questione dell'essere, come fondamento metafisico, va congiunta alla logica: è questo il fulcro della dimensione psicologica dei mistici, che si dà nell'unità di intelletto e volontà.
Benjamin Fondane, a cura di Alice Gonzi. Sezione monografica: A. Gonzi, Presentazione; M. Jutrin, Poesia e tragico. La poesia irrassegnata di Benjamin Fondane; M. Martin, La poesia di Fundoianu vista da Benjamin Fondane; G. Piron, Il ruolo di Fondane nella diffusione del pensiero di Lestov in Francia; M. Teboul, Benjamin Fondane. Pensiero esistenziale ed ebraismo; T. Kuhnle, Per una estetica della solitudine; A. Gonzi, Con Nietzsche, malgrado Nietzsche; A. Paris, La lettura di Bergson e Freud nella Conscience malheureuse; D. Guedj, Au seuil de l'Inde: un pensiero altro?; M. Finkenthal, Benjamin Fondane e Stéphane Lupasco. Il dialogo interrotto; P. Radi, Scenari impossibili e il sogno della pampa. Fondane e il cinema.
"L'impegno per la teologia si tramuta in impegno, fino al martirio, per la liberazione dei redenti da Cristo. L'itinerario teorico-spirituale del gesuita spagnolo Ignacio Ellacuría (1930-1989) potrebbe essere riassunto in questa affermazione. Formatosi alla scuola di Karl Rahner e del filosofo Xavier Zubiri, del quale divenne non solo discepolo ma pure editore, non poteva non mettere la storia al centro della sua riflessione; e non la storia in generale, bensì quella vissuta dal popolo crocifisso di El Salvador, nella quale cercò di riscoprire il senso dei concetti teologici. Di qui il suo impegno "politico" soprattutto come rettore dell'Università Cattolica di El Salvador: far maturare intellettuali capaci di portare il Paese alla liberazione, che è già esperienza storica della redenzione. Un orientamento che non poteva non condurlo, come già Mons. Oscar Romero del quale fu amico, a diventare martire: la morte violenta lo raggiunge il 16 novembre 1989, suggello della dedizione al popolo crocifisso." (Giacomo Canobbio)
Ci si può accostare secondo diverse prospettive e con diversi metodi al cristianesimo antico, un periodo tanto affascinante quanto magmatico, creativo e differenziato. Un aspetto caratterizzante fin dagli albori le fonti letterarie cristiane è costituito dall'inesausta riflessione teologica. Il volume indaga le ragioni di questa particolarità, offrendo una sintesi attenta ai nodi problematici, ma allo stesso tempo chiara, del pensiero degli antichi cristiani. Si parla di teologia con accezione vasta, comprendendo non solo la cristologia e quella che, seppure anacronisticamente per i primi tre secoli, si può definire concezione trinitaria, ma anche ciò che i cristiani pensavano dell'uomo, della storia, della sua fine, dei modi di vivere e di organizzarsi come seguaci di Gesù. L'approccio alla materia è storico: si è evitato di valutare gli autori in base a posteriori criteri di ortodossia, da spiegare anch'essa in un'ottica storica, o di sovrapporre uno schema di progresso lineare al concreto farsi del pensiero, da analizzare nella diversità delle aree geografiche, degli influssi culturali, dell'organizzazione delle singole chiese: ne risulta un quadro ricco e sfaccettato, perché i cristiani pensarono cose diverse su Dio e su Gesù, e tuttavia unificato dalla comune convinzione che Gesù fosse il portavoce di Dio e che la sua funzione fosse salvifica.
"Sabino Chialà ha questo modo di osservare: tutta la sua meditazione è uno sguardo dal basso, e da dentro, dalla terra che ci è dimora. È, di conseguenza, continua interrogazione su come gli uomini possano abitare la terra colmi di meriti, ma poeticamente. Il metodo, scrive l'autore, è cambiare ottica, rivoluzionare la prospettiva. Abitare poeticamente la terra è un'ascesi dello sguardo. È quello che accade in questo suo tentativo di analizzare l'uomo contemporaneo. Non si tratta di studiarlo come da un pulpito di incuriosita sapienza antropologica; si tratta di chiedersi: che sguardo posso, debbo avere, su quelle che chiamano malattie del secolo? E sempre avremo bisogno di riscoprire la prospettiva, per decifrare la stoffa tragica di cui è fatta l'esistenza umana." (Barbara Spinelli)
La Confutazione di tutte le eresie, di incerta attribuzione, è un'opera eresiologica antica fra le principali a noi pervenute. Costituisce sia una fonte di notevole rilievo per la conoscenza della filosofia greca, delle dottrine e delle pratiche esoteriche tardo-antiche, sia un repertorio sulle diverse sette gnostiche, molte delle quali altrimenti ignote. È un documento unico nel suo genere, dove sono descritte con grande vivacità le controversie teologiche e i conflitti personali entro la Chiesa di Roma agli inizi del III secolo. L'opera, qui tradotta con commento, ha un'introduzione di Emanuele Castelli e un saggio in appendice del curatore Aldo Magris, che ne mostra l'importanza per capire il paradigma gnostico.