Gli ultimi due governi presieduti da Giulio Andreotti (23 luglio 1989-27 giugno 1992) furono caratterizzati da crescenti difficoltà politiche di ordine interno. In quel periodo l'orizzonte internazionale subì mutamenti addirittura epocali. L'autorevolezza della posizione internazionale dell'Italia fu messa duramente alla prova dal nuovo scenario che stava prendendo forma. In questo contesto le questioni riguardanti il Medio Oriente ebbero un ruolo tutt'altro che trascurabile. Anche esse, infatti, riservarono difficoltà straordinarie. La stagnazione del processo di pace arabo-israeliano, la crisi del Kuwait, il tentativo di raggiungere un assetto definitivo della regione con la Conferenza di Madrid segnarono la progressiva perdita di influenza dell'Italia in un'area che era stata tra le principali direttrici della sua azione internazionale. La tradizionale ambizione italiana a "esserci" si trasformò in emarginazione dal contesto mediorientale. Anche questo fu uno dei segni della crisi che attraversò la società e la politica italiane all'inizio degli anni Novanta.
Molti dei significati che per oltre mezzo secolo abbiamo associato al termine "televisione" sono radicalmente mutati. Proprio nel momento in cui si scommetteva sulla sua scomparsa, il medium televisivo si è totalmente ridefinito, sposando le modalità comunicative dei media digitali. Le profonde trasformazioni che hanno investito questo settore hanno messo in crisi le coordinate che tradizionalmente orientavano tanto le abitudini dei pubblici, quanto le strategie dei broadcaster e degli spender. Tutto ciò rende urgente una domanda: cosa conta nella televisione contemporanea? Questo libro è il risultato di un'attività di ricerca promossa dall'Istituto di Economia dei Media e della Fondazione Rosselli. In tal senso, sono state oggetto d'indagine le trasformazioni più rilevanti emerse in tre aree d'interesse: pubblici e consumi televisivi; modelli economici e organizzativi della televisione contemporanea; le nuove forme di rilevazione e misurazione degli ascolti televisivi nell'era dei social media.
L'autore, con slancio al futuro ma attenzione alle lezioni del passato, accompagna il lettore in un percorso che racconta, senza tecnicismi, la storia di molte delle questioni più significative oggetto del dibattito economico e sociale degli ultimi anni: l'euro, i rapporti banche e imprese, l'educazione finanziaria ed al risparmio, lo spread. Il messaggio è chiaro: non si esce davvero da questa lunga e severa crisi, non ci sarà ripresa duratura, se non sapremo leggere e imparare le dure lezioni che la storia, anche recente, ci da. Dobbiamo ripartire insieme, con coraggio e umiltà, per un futuro caratterizzato da più etica e più efficienza.
Il nuovo pontificato di papa Francesco ha riacceso nell'animo dei fedeli la passione per una Chiesa profetica e povera, ma ha anche restituito al mondo agnostico e non credente le ragioni per un dialogo sulle ragioni di una spiritualità e una fede non aliene dai problemi del governo delle società. Ripartire dall'uomo per conoscere Dio: sembra questo il viaggio che consiglia di fare il giovane priore di Camaldoli, Alessandro Barban, sulla base degli stimoli e delle domande del giornalista Gianni Di Santo. Dal riparo di una cella di un eremo appoggiato sul versante orientale dell'Appennino tosco-emiliano e ai confini di un tempo "ostinato e contrario", Barban ritrova in questo "a tu per tu" con l'uomo moderno le radici dell'evangelio della buona notizia. Che affascina e incuriosisce. Che appassiona e rende aperti a nuove scommesse sul tempo "nuovo" che stiamo vivendo. Che spinge a lasciare l'inverno della fede per ritrovare la primavera dello Spirito. Piccoli passi verso una felicità dell'anima da molti invocata e da pochi conquistata. Una guida fondamentale sulle rotte del silenzio, della preghiera e della passione per il bene comune. Senza tralasciare le domande primordiali sulla vita, la morte e l'Altrove. Insomma, il vento soffia dove vuole.
Un quarto di secolo dopo la caduta del Muro, i rapporti internazionali sono ancora in una fase di transizione, di assestamento, in presenza di una miriade di nuovi attori, statuali e non, legittimi e non, persino criminali. Una situazione confusa, inedita nella storia dell'umanità, ma non illeggibile; analizzata ed affrontata nell'urgenza, con delle scorciatoie mentali, politiche ed operative. Siamo invece sostanzialmente tornati alla casella di partenza. A quando, in particolare, nel 1945 con l'ONU fu riproposto quell''internazionalismo liberale' che da due secoli percorre l'Europa come un fiume carsico. Quel cammino è stato interrotto, non cancellato, dalla Guerra fredda. Si tratta ora di ritrovarne le ragioni e il metodo. Riproponendo anche quel 'modello europeo' che, per quanto offuscato, rimane esemplare.
L'innovazione è diventata una direttrice sempre più importante per lo sviluppo delle aziende e un percorso obbligato in tempi di crisi. Tuttavia, il modello di innovazione tradizionale dell'Occidente è stato recentemente messo a dura prova dalla competizione dei mercati emergenti, che producono soluzioni efficienti a costi minori. Soprattutto in tempi di crisi, i consumatori sono sempre più spinti a preferire prodotti semplici e funzionali a prodotti con caratteristiche tecnologiche troppo avanzate e costose per le loro necessità. "Jugaad" è una parola che in Hindi descrive un processo di innovazione che proviene dal basso ed è in grado di creare soluzioni efficienti a costi contenuti. "Jugaad" non è solo un fattore che influenza il management, bensì una vera e propria "rivoluzione culturale", che sfida i modelli di produzione propri dell'Occidente. Una sfida a colpi di creatività e ingegno. Come si racconta nel libro, molti CEO di grandi aziende spingono i dipendenti ad ogni livello a liberare la loro creatività e inventare modi frugali e sostenibili per dare un valore aggiunto significativo agli stakeholders usando molte meno risorse naturali e risparmiando nel contempo un significativo ammontare di capitale per la compagnia. Questo è lo spirito "Jugaad" che l'Occidente deve accogliere e inglobare. "Jugaad Innovation" costituisce un vero e proprio "manuale di sopravvivenza" ai tempi che cambiano per le aziende occidentali... Prefazione di Federico Rampini.
Scrive l'autore che "...De Gasperi va fatto scendere dal piedistallo di marmo sul quale è stato posto e va calato tra noi, o quella giustizia che il tempo gli ha reso resterà nei libri di storia ma non sarà nella vita di oggi del Paese per aiutarci a capire come riprendere la via dello sviluppo". Di qui l'invito alla rilettura del grande statista da parte di quanti vogliano tornare a impegnarsi in una politica di ispirazione cristiana e al tempo stesso laica nell'assunzione delle proprie responsabilità, come fu per De Gasperi. Sangiorgi intreccia in un racconto serrato e ricco di retroscena inediti le tre chiavi di lettura della vita dello statista, l'amore per la famiglia, la fede religiosa e la passione politica. Il lavoro di ricerca è divenuto anche l'occasione per lo straordinario e singolare ricomporsi di un'antica e dolorosa frattura, tra De Gasperi e Giuseppe Donati, il primo direttore del Popolo.
Giovanni Franzoni racconta, per la prima volta in modo non episodico, la sua vita, dandoci modo di riflettere sulle circostanze che hanno influito sulle sue scelte. Oltre ottant'anni, cruciali nella storia del nostro Paese e della Chiesa cattolica, scorrono sotto i nostri occhi attraverso i ricordi di un protagonista. Dopo l'età giovanile trascorsa a Firenze nel periodo fascista e dela guerra, completa i suoi studi a Roma e nel 1950 entra nel Monastero benedettino di S. Paolo. Divenuto abate nel 1964, partecipa alle ultime due sessioni del Concilio Vaticano II, del quale ricorda fatti poco noti e personaggi importanti. Di questi ultimi sono riportate in appendice lettere inedite, accanto alla testimonianza toccante delle zie, che, a Firenze, seguivano "dal basso" le sue travagliate vicende. Infatti, quei "profeti di sventura" che Giovanni XXIII aveva temporaneamente messo a tacere, rialzano presto la testa e vedono nelle scelte sue e di altre chiese locali, una pericolosa deriva radicale. Seguiamo quindi i retroscena del suo strano "processo", al termine del quale è costretto a rassegnare, nel 1973, le dimissioni e a trasferrirsi in modesti locali lungo la Via Ostiense con la Comunità nel frattempo costituitasi attorno a lui e che tuttora opera cercando di testimoniare un modo "altro" di essere Chiesa.
René Girard ha senz'altro il merito, in un'era segnata dal nichilismo, di aver riportato il dibattito sociologico e filosofico sul terreno, concreto, della realtà. Una realtà che rimane pur sempre aperta e suscettibile di interpretazioni, mai risolta nella sua essenza ma che, tuttavia, non è priva di fatti. Quella indicata dal pensatore francese sembra, dunque, rappresentare una terza via; distante e dalle posizioni di certa ermeneutica filosofica di matrice nietzschiana e heideggeriana, persa nelle ambagi della deriva delle interpretazioni, e dalle rigide posizioni dei positivisti, ancora convinti che esistano soltanto i fatti. In realtà, come afferma Girard, "esistono sia i fatti sia le interpretazioni". Il realismo girardiano ci riconduce all'immanenza della realtà, alla luce "dell'ateismo pratico" dei Vangeli, con un vigoroso richiamo all'etica e con uno sguardo illuminante sulla società contemporanea, le sue crisi e le sue derive di senso. Questo studio oltre ad offrire al lettore una sintesi efficace delle teorie di Girard mette in evidenza, non senza ambizione, alcune sue possibili aporie, in dialogo con alcuni dei massimi studiosi contemporanei di scienze sociali e con uno sguardo privilegiato al pensiero complesso di Edgar Morin.
Un'Europa diversa. È dall'urgenza di imprimere una svolta radicale al progetto di costruzione europea e alle politiche dell'Unione che prende il via e si sviluppa una proposta concreta per un'Europa che vada finalmente oltre l'austerità. Un'Europa più democratica e solidale, che punti su lavoro, innovazione e crescita sostenibile, in grado di recuperare il proprio ruolo sullo scenario internazionale. Di fronte al rischio di un'avanzata delle forze antieuropeiste e dei movimenti populisti, il libro indica un percorso possibile verso un'Europa che riparta dai propri valori fondanti e che, consapevole delle sue unicità e potenzialità, torni a rappresentare una speranza per le giovani generazioni. È un'appassionata esortazione affinché i progressisti affrontino gli appuntamenti cruciali che ci attendono, forti di un europeismo rinnovato che guardi al futuro.