L’armatura perduta è l’avvincente racconto di come ancor oggi l’archeologia possa riservare straordinarie scoperte, quale quella fatta da Livio Zerbini, valente studioso del mondo antico, in uno degli scenari paesaggistici e storici più affascinanti e suggestivi: la Colchide , l’antica regione, affacciata sul Mar Nero, il cui nome evoca immediatamente il mito di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro.
Le pagine del libro non soltanto ripercorrono e ricostruiscono le fasi salienti dell’eccezionale scoperta archeologica, un’antica armatura, completa ed in ottimo stato di conservazione, ma rappresentano una sorta di viaggio a ritroso nel tempo nell’antica Colchide, in cui la dimensione del mito si percepisce ancora e sembra quasi insita negli stessi luoghi, e in cui l’archeologia, proprio per l’insufficienza di scavi sistematici, risulta ancora inevitabilmente ammantata di quel fascino del mistero della scoperta.
Ma la scoperta, pur se di grande rilevanza scientifica, è di per sé l’occasione per raccontare un viaggio in una terra dall’incontaminata bellezza, che ancora preserva inesplorati tesori archeologici.
Questa terra, così densa di storia, oltre a conservare paesaggi incontaminati di assoluta e straordinaria bellezza, rappresenta un vero e proprio scrigno di tesori archeologici ancora tutti da scoprire. È il caso della straordinaria scoperta fatta dall’autore del libro, Livio Zerbini, dell’Università di Ferrara, insieme a Vakhtang Licelli, dell’Università di Tbilisi. Nella provincia di Samtskhe, a sud dell’attuale Georgia, in un territorio per molti secoli di grande importanza strategica, attraversato dal fiume Mtkvari, tra i villaggi di Tsunda e Tmogvi, lungo il percorso fatto da Pompeo Magno per giungere in Colchide, all’interno di una vallata ben celata e nascosta, in cui sembra che il tempo si sia fermato per sempre, si trova un’imponente necropoli, composta di innumerevoli tombe, che datano dall’età del bronzo al III secolo, che costituirà, senza alcun dubbio, una delle più interessanti aree archeologiche degli anni a venire.
L’armatura perduta è pertanto la palese dimostrazione di come molte rilevanti scoperte archeologiche possano ancora venire alla luce, e sottrarsi così all’oblio del tempo nel quale erano inevitabilmente cadute, e nel contempo concorrere a dare la giusta dimensione e fisionomia a quell’immensa galleria di fatti, avvenimenti e personaggi che hanno animato il grande palcoscenico della storia.
Livio Zerbini insegna Storia Romana presso l’Università degli Studi di Ferrara, dove è responsabile del Laboratorio sulle Antiche province Danubiane. Dirige una missione archeologica nella Colchide. Ha pubblicato numerosi lavori sull’economia, la società e il popolamento nel mondo romano e sulla didattica della storia antica. Tra i suoi libri recentemente editi, si ricordano: Demografia, popolamento e società del delta padano in età romana (Ferrara 2002), La città romana (Firenze 2005), Insegnare l’antichità (Roma 2006), L’ultima conquista (Roma 2006) e con Rubbettino La Dacia romana (Soveria Mannelli 2007) e Pecunia sua (Soveria Mannelli 2008). È autore di documentari e consulente scientifico di trasmissioni radiotelevisive.
La fede della Chiesa non si basa su concetti astratti, ma sulla “Buona Notizia” di un Dio che ha fatto il suo ingresso nel mondo assumendo la natura umana. Per questo motivo, il “mondo cattolico” è fatto di luoghi fondamentali per la fede della Chiesa così come per quella di ogni singolo fedele, luoghi – come il Santo Sepolcro – che sono stati testimoni di eventi straordinari o che, come la parrocchia nella quale si è cresciuti, hanno contribuito alla formazione dell’identità cristiana di ognuno. Le Lettere a un giovane cattolico di George Weigel sono appunto un racconto epistolare dell’atmosfera e del significato di alcuni luoghi simbolo per la fede cristiana: da Baltimora, città natale dell’Autore e prima diocesi statunitense, alla Basilica di San Pietro, dal monte Sinai al pub preferito da Chesterton, da Gerusalemme alla Cracovia di Karol Wojtyla.
Da qui Weigel parte per illustrare la ricchezza e la profondità della fede cristiana a quanti, giovani anagraficamente o solo nell’animo, sono affascinati dal Mistero e sperano di potergli dare un volto lungo il loro cammino.
"Lo scopo del saggio è di fornire delle chiavi di lettura per orientarsi tra i sommovimenti epocali che stiamo vivendo. Esiste una "stella polare" cui riferirsi per interpretare la nostra storia collettiva? Don Lorenzo Rossetti, accogliendo l'espressione di Paolo VI "Civiltà dell'amore", individua proprio in questa "proposta" sociale della Chiesa il criterio normativo che consente un discernimento cristiano sulle vicende storiche. L'autore vede nella fratellanza/fraternità il fondamento ontologico della solidarietà come determinazione personale e sentimento di condivisione, ma sottolinea pure che in chiave teologica bisogna distinguere tra fraternitas naturale e soprannaturale. Tale distinzione ci riporta al linguaggio classico: essa giova a cogliere il punto di continuità e quello di novità tra società umana e comunità ecclesiale: questa è il "fermento" di quella. E proprio in forza dell'esistenza di tale principio soprannaturale può vedersi illuminata e appunto vitalizzata quella realtà creaturale che, ahimè, sembra spesso giacere nelle tenebre. Si capisce allora il motivo per cui la Civiltà dell'amore possa definirsi con l'ossimoro "utopia concreta": una meta, un traguardo possibile, arduo, ma non assurdo o velleitario da perseguire." (dalla presentazione del cardinale Ruini)
Per iniziativa delle Cattedre riunite di Diritto ecclesiastico, Diritto canonico e Storia del diritto canonico dell'Università degli studi di Cassino, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha istituito il Comitato Nazionale per lo studio del principio di sussidiartela, fraternità, solidarietà ed uguaglianza da Leone XIII alla Costituzione Europea. Il Ministero ha esteso l'indagine anche ai principi sociali di solidarietà, uguaglianza e fraternità. Principi che non costituiscono altro che diritti sociali e, come tali, innati e aventi un valore assoluto. Diritti quindi essenziali che appartengono, iure proprio, all'essere umano in quanto uomo e che ineriscono alla sua natura e alla sua dignità di persona e, in quanto tali, preesistenti rispetto allo Stato che, se non li ha creati, non potrà né ridurli, né sopprimerli. Diritti non legati a una specifica epoca né ad un singolo Paese, ma comuni a tutti i tempi e Paesi. Questo volume raccoglie alcuni dei contributi che hanno formato oggetto dei quattro convegni - di cui uno a carattere internazionale - svolti, rispettivamente, a Cassino, l'11 dicembre 2007; Bucarest, 27-28 maggio 2008; Roma, il 19 giugno 2008 e, infine, Barga (Lu), 16-18 ottobre 2008.
"Tra tutte le opere di Mises - scrive M.N. Rothbard nella prefazione a 'Teoria e storia' - spiccano quattro immensi capolavori: 'Teoria della moneta e dei mezzi di circolazione' (1912); 'Socialismo' ( 1922); 'L'azione umana' (1949) e 'Teoria e storia' (1957). 'Teoria e storia' - dice sempre Rothbard - resta di gran lunga il capolavoro più trascurato di Mises. E tuttavia fornisce il retroterra filosofico e l'elaborazione della filosofia sottostante a "L'azione umana". È la grande opera metodologica di Mises, che spiega la base del suo approccio all'economia e fornisce critiche brillanti di concezioni decisamente inconsistenti come lo storicismo, lo scientismo e il materialismo dialettico marxista". Lucido sui bersagli da colpire, altrettanto chiaro sull'oggetto e sul metodo delle scienze storico-sociali, come anche sui presupposti e sulle conseguenze politiche di quelle concezioni della storia elaborate dai teorici che hanno combattuto, senza conoscerla, l'economia di mercato, l'economista Mises con "Teoria e storia" ha proposto un'opera che costituisce una pietra miliare nel tormentato ed affascinante sviluppo del Methodenstreit relativo alle scienze storico-sociali.
Boss, imprenditori, politici e traffici. Passato e presente. Tante storie nello spartito di un'unica storia, quella dell'intramontabile Cosa nostra. È scritta nell'operazione Gotha, che decapita la direziona strategica della mafia. Una cimice nel quartier generale dei "corleonesi" svela tutto. Voci e sussurri trasmettono vecchi riti e nuovi progetti degli "uomini d'onore". Ambiguità e prepotenze, obiettivi politici e sogni di dominio si proiettano con terribile genuinità. Cosa nostra è al bivio. Il "fantasma" Binnu sta per abdicare. La lotta per la successione è già aperta. A contendersela sono anziani leader e "giovani leoni". Una "guerra" è sul punto di esplodere. Per vincerla non bastano kalashnikof, astuzie e tradimenti. Ci vuole forza economica e attivismo sulla rotta Palermo-New York, per dominare il narcosistema internazionale. Non è sufficiente appoggiare politici senza scrupoli con la potente "macchina elettorale" mafiosa. Il futuro chiede una nuova classe dirigente al posto dei vecchi e sanguinari capi. Il futuro non c'è senza i "propri uomini" nelle istituzioni; senza il supporto di consulenti per le questioni legali, gli investimenti, l'occultamento dei fondi; senza l'abilità nel manovrare l'immenso potenziale economico dell'organizzazione.
Ci sono due cose che - non solo oggi, ma oggi in modo determinante - pesano nella politica, e ancora di più nella valutazione che i cittadini compiono sulla classe dirigente di un Paese: la decisione e la velocità. Insomma, per un verso la capacità di compiere scelte chiare, di assumersi una responsabilità, e per altro verso il fatto che ciò avvenga in tempi adeguati all'immediatezza bruciante del mondo in cui siamo immersi. La democrazia istantanea è la nuova sfida con cui siamo chiamati a misurarci: ci può piacere o no, ma è una condizione alla quale non è più possibile sottrarci. Ed è un fatto che Silvio Berlusconi sembri muoversi in questo contesto di modernità come un pesce nella sua acqua, mentre i suoi avversari continuano ad annaspare in un imbarazzante crescendo di autolesionismo. I consigli si danno solo a chi li chiede, e non è certo un mio compito darne alla sinistra, che peraltro sa benissimo sbagliare da sé: eppure, chi come me crede in un tendenziale bipartitismo, e quindi spera che entrambi i principali cantieri politici siano sicuri, operativi e affidabili, si augura che la sinistra italiana non abbia paura di imparare qualcosa di importante da Silvio Berlusconi. Parliamone: senza tabù, senza anatemi, senza schemini precostituiti, e senza lavagne dei buoni e dei cattivi.
Cristianesimo ed emergenze culturali del terzo millennio.
Il compito, le sfide, gli orizzonti
Prefazione di S.E. Mons. Gianni Ambrosio
Ogni vera inculturazione del Vangelo passa attraverso il vissuto culturale di un popolo e in esso si consuma, si compie: entra a permeare profondamente abitudini, usanze, istituzioni, ruoli, leggi, persino sistemi di produzione, perché in fondo raggiunge e cambia l’uomo nella sua realtà di uomo, trasformando i giudizi di valore, il modo di percepire se stesso e la realtà che lo circonda. Per questo motivo, il Vangelo che si incultura esige anche un discernimento valoriale sulle oggettivazioni visibili dello spirito umano, sapendo che però la comunicazione del Vangelo va ben più in profondità. Quella del “coltivatore di sicomori” appare come una metafora interessante che nella lettura del processo di inculturazione permette di riconoscere il “rispetto” per ogni cultura, ma anche il dono fatto dal Vangelo. Il coltivatore è in realtà un intagliatore, perché opera un taglio particolare che permette al frutto di giungere a maturazione. La necessità del “taglio” dice l’importanza che il contenuto eccedente e salvifico del Vangelo incida le/nelle culture; d’altra parte però i frutti sperati sono propri delle culture. Questa prospettiva è indagata nell’opera tenendo conto delle sfide fondamentali dell’odierna congiuntura culturale – il multiculturalismo, la questione ambientale ed ecologica, il riduzionismo antropologico tra bioetica e politica – e di due grandi orizzonti possibili per risolvere le difficoltà: l’allargamento sapienziale de
Il "sacerdozio di Maria" precede cronologicamente quello di Cristo, dal cui sacrificio dipende. Visibilizza il sacerdozio o movimento sacrificale della Trinità, inteso come volontà di donarsi, in un'unità indissociabile all'umanità di Maria, figura della Chiesa, assunta nel dinamismo dell'amore trasformante. La Vergine, fin dall'Annunciazione e soprattutto ai piedi della croce, può far suo il versetto di Giovanni: "Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio Unigenito" (Cv 3,16), che rivela l'intenzione divina e mariana/ecclesiale di amare l'uomo e la creazione fino al dono della stessa vita. Proprio il Padre, nella pienezza del tempo, ha inviato il Figlio nato da donna, perché l'uomo ricevesse l'adozione a figlio tutto rivolto al seno del Padre. La figura della Vergine viene così a costituirsi parte della vita trinitaria, associata alla rivelazione e alla partecipazione dell'amore come verità del sacerdozio cristiano. Il lettore potrà appassionarsi a trovare in quest'opera domande e risposte a problemi attuali che "l'autore articola e sviluppa con competenza utilizzando diversi registri: quello della riflessione teologica e della spiegazione esegetica, quello della meditazione spirituale e della evocazione poetica".