L'opera offre profili di grandi predicatori del primo millennio della storia cristiana. Con diversa ampiezza di approfondimenti, si ricordano le opere oratorie e si delineano gli stili che hanno caratterizzato le rispettive forme di retorica adottate. Nell'alveo della tradizione secolare si innesta l'evento del Concilio Vaticano II con la successiva riforma liturgica: è da questo evento che anche la predicazione e soprattutto l'omiletica ha ripreso una configurazione secondo i parametri essenziali che provengono dall'esperienza del primo millennio. L'accostamento dell'opera si apre a varie considerazioni che chiamano in causa soprattutto le modalità con cui l'unica sorgente della predicazione, la Parola di Dio, è stata interpretata lungo il tempo e nei più variegati contesti delle Chiese locali. Una lezione, questa, di perenne attualità; una lezione che dà adito a una vita spirituale modellata dall'incontro tra la Scrittura, la teologia e soprattutto la celebrazione liturgica in cui la Parola attua ciò che annuncia. La retorica di cui i Padri e gli Scrittori ecclesiastici sono maestri costituisce un elemento prezioso per attivare nell'oggi del perenne annuncio del Vangelo quelle forme che permettono di facilitare e realizzare l'incontro tra Dio e il suo popolo.
Chi erano gli uomini che fondarono i primi monasteri? Quali le loro esigenze? Perché ben presto gli ordini monastici divennero un faro della cultura nelle temperie del Medioevo? Partendo dai dati disponibili, prese in esame tutte le fonti antiche giunte fino a noi, l'autore delinea la storia del monachesimo dalle origini a Benedetto da Norcia, chiarendo gli aspetti religiosi, spirituali, ambientali, sociali che hanno portato alla nwascita del fenomeno. Un libro di agile lettura, in cui le vicende di uomini e donne votati alla contemplazione sono narrate con dovizia di particolari.
Nel corso della guerra civile che ha insanguinato l'Italia, il tributo pagato dalla Chiesa con l'uccisione dei suoi sacerdoti è stato altissimo. Ma mentre per i sacerdoti uccisi dai nazifascisti sono state intitolate vie o luoghi pubblici, il ricordo delle vittime dei partigiani comunisti è praticamnete scomparso. Ad eccezione del seminarista Rolando Rivi, che è stato beatificato, nessuno degli oltre 130 preti e religiosi uccisi dai partigiani comunisti ha raggiunto la gloria degli altari. La loro morte è stata considerata un effetto collaterale di una tragedia che ha visto l'un contro l'altro armati fratelli italiani. Invece furono martiri in odio alla fede e pertanto meritevoli della beatificazione. Questo quaderno vuole iniziare a riconoscere pubblicamente il loro sacrificio affinché sia seme di nuovi cristiani.
Il volume contiene venti saggi scritti da grandi specialisti italiani, francesi e tedeschi sull’Ordine religioso dei Templari, i Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis. Rispetto alla conoscenza diffusa sull’argomento, sono presenti novità assolute, per esempio in rapporto alla legislazione, con gli studi sul manoscritto 44 A 14 della Biblioteca Corsiniana di Roma appartenente all’Accademia dei Lincei, ma anche per gli studi condotti in ambito inglese su un codice di recente ritrovamento della Biblioteca Capitolare di Modena, sicuramente appartenuto a una domus templare italiana, in cui sono descritte le cerimonie liturgiche dei cavalieri del Tempio. Inoltre si è voluto inserire la storia di questo Ordine religioso nel contesto del Mediterraneo al tempo delle spedizioni, o meglio dei pellegrinaggi armati (passagia) verso la Terra Santa. Specialisti di sicura competenza hanno affrontato il problema dei rapporti tra i pauperes commilitones e i poteri costituiti, imperatori, re, papi e sultani, mentre altri hanno indagato il loro modo di rappresentarsi nei sigilli utilizzati da alcuni responsabili dell’Ordine. Ogni saggio, di facile lettura, si conclude con una bibliografia utile per chi voglia approfondire le questioni trattate. Il tutto senza alcun cedimento ai miti storiografici e letterari che continuano a circolare nella cultura mondiale. In particolare, il saggio conclusivo del libro affronta nello specifico la storia di queste utilizzazioni del mito templare, chiarendone le ragioni e le implicazioni religiose, politiche e sociali.
Questo libro ricostruisce il percorso compiuto dalla Chiesa nella sua relazione con il moderno, assumendo un punto di vista specifico: l'atteggiamento elaborato dal papato. Se il confronto di quest'ultimo con la cultura moderna era iniziato già nel corso della Rivoluzione francese, il punto di partenza prescelto è il pontificato di Pio X che, con la solenne condanna del modernismo nell'enciclica "Pascendi" del 1907, segna una svolta: il moderno, da avversario con cui misurarsi anche per poter essere al passo con i tempi, diventa il nemico che penetra nascostamente all'interno della Chiesa per dissolverla. Vengono qui delineati i tratti fondamentali con cui ciascuno dei pontefici successivi, fino a papa Francesco, si è confrontato con questo insieme di problemi, cercando di definire una linea di presenza della Chiesa nella modernità. Tra continuità dottrinali, differenze pastorali e, talvolta, innovazioni teologiche.
Pubblicato nel 1905 questo libro resta ancora oggi un riferimento insostituibile per capire come le prime generazioni cristiane hanno affrontato il tema della guerra e del servizio militare. Dallo studio emergono due tendenze che seguiranno nel corso della storia, ben oltre i primi secoli del cristianesimo, strade diverse e talvolta contrapposte. Il servizio militare, pur nella varietà delle tipologie dell’esercito imperiale, verrà ad un tempo accettato e rifiutato mentre il linguaggio militare utilizzato già da Paolo e ripreso dai Padri come vero topos letterario finirà per esercitare un influsso che produrrà progressivamente assuefazione al servizio militare mentre la spirituale milizia di Cristo diverrà, a partire dall’epoca costantiniana, una concreta milizia nell’esercito dell’imperatore. È dunque in questi primi secoli che il cristianesimo passa progressivamente da religione di pace ad una forma di militanza che prevederà in nome di Cristo l’uso delle armi e della violenza sotto le insegne del papa, dell’imperatore o del potere politico cristianamente devoto.
In questo libro si racconta la storia del processo intentato dal tribunale dell’Inquisizione di Udine contro Ambrogio Castenario, un fabbro tedesco proveniente da Lubiana, condannato a morte dopo una vita vissuta a Udine nella più completa oscurità. L’incartamento del processo – conservato nell’archivio della Curia Arcivescovile di Udine – riesce a darci un ritratto molto preciso della sua fede, delle sue convinzioni e del suo modo di viverle; della sua vicenda umana, insomma, che lo avrebbe portato prima al cospetto del tribunale dell’Inquisizione e, successivamente, alla condanna a morte in quanto eretico impenitente.
La Prima guerra mondiale scoppiò in una Europa globalmente cristiana, e la tentazione di mescolare fino a confonderle guerra e religione non fu illusoria. Se il ritorno sugli eventi del Primo conflitto mondiale potesse aiutarci a comprendere l’incongruità della strumentalizzazione della religione come della sacralizzazione della guerra e della violenza, questo volume avrebbe assolto ad uno dei suoi compiti maggiori. Attraverso questa raccolta di studi, inoltre, si intende far capire meglio l’essenza della posizione della Santa Sede nei conflitti, specialmente quando i contendenti sono cristiani, anzi cattolici. La Santa Sede, infatti, non rivendicò tanto una certa «neutralità», bensì una reale «imparzialità» in cui manifestò attivamente il suo interesse per la pace e offrì il suo contributo a creare le condizioni di una dignitosa e pacifica convivenza.
Il caso delle relazioni tra la Santa Sede e l’Ungheria si rivela emblematico, perché malgrado le vicissitudini nella Storia e le variazioni dei regimi politici, Santa Sede e Ungheria – eccetto il periodo sovietico – affermarono sempre la loro comune volontà di cooperare per il bene comune, ciascuna nella sfera di propria competenza, in un clima di fiducia, stima e fattiva collaborazione. Dopo la fine dell'impero Austro-Ungarico, Santa Sede e Ungheria decisero di mantenere e sviluppare le loro relazioni in un contesto decisamente nuovo. Sin dal 1920 e fino al 1945, quando il Nunzio apostolico fu espulso, scopriamo l'intensa attività della Chiesa cattolica e in particolare quella della Santa Sede e dei suoi Rappresentanti, non soltanto al servizio della vita interna della Chiesa e delle sue comunità, ma anche in favore dell'intera società ungherese, in particolare durante la Seconda guerra mondiale, grazie ad una coraggiosa e proficua "diplomazia umanitaria". Questo volume porta delle conoscenze nuove, grazie ad una approfondita ricerca archivistica, e apre inedite prospettive di ricerche, tanto immenso si rivela il campo delle relazioni diplomatiche.
Il popolo romeno si segnala per aver perpetrato con straordinaria fedeltà la lingua di Roma. Peraltro, nello spazio in cui esso è venuto formandosi, dalla tarda antichità Roma si concretizzava politicamente ed ecclesiasticamente nella Nuova Roma sul Bosforo: dirsi «Romani» significava, dunque, dirsi partecipi di quell'universo istituzionale e ideale che aveva in Costantinopoli il suo fulcro.Dopo la fine del IX secolo, la tradizione ecclesiastica e di civiltà della Nuova Roma fu assunta dalle popolazioni latinofone diffuse sulle due sponde del Danubio tramite la mediazione, che di tale patrimonio realizzarono in lingua slava i discepoli di Crillo e Metodio. In tal modo il popolo romeno, portatore della lingua di Roma e formatosi nell'alveo ecclesiastico e di civiltà di Costantinopoli (ciò rimase sempre legato), si trovò nei secoli medioevali pienamente partecipe della vita spirituale e intellettuale della Slavia ortodossa.Con l'avvio del secondo Millennio lo spazio, in cui il popolo romeno è venuto progressivamente organizzando le proprie strutture sociali ed ecclesiastiche, ha costituito una tipica area d'intersezione tra Commonwealth bizantino e Christianitas latina; ne è conseguito che identità confessionali e forme di vita ecclesiastiche, altrove percepite in termini di dialettica contrapposizione, sono risultate in questo spazio (soprattutto in Transilvania) componenti distinte, ma imprescindibili, di una realtà antropologica di fatto unitaria e omnicomprensiva. Nella sua «lunga durata» la vicenda del popolo romeno ci mostra esemplarmente come il vitale intreccio di esperienze e tradizioni religiose costituisca di fatto il contesto storico ed esistenzialmente tipico dell'uomo europeo: radicato in uno specifico patrimonio di identità e di forme di vita, ma in grado di interagire con le altre realtà religiose e culturali, costitutive del suo orizzonte antropologico.