Non c'è dubbio che Tommaso d'Aquino rappresenti uno dei pensatori più importanti e influenti dell'intera storia del pensiero occidentale, e non solo della tradizione cattolica. Tuttavia la grande fioritura di studi nel Novecento ha in generale privilegiato solo alcuni aspetti del suo pensiero, costruendo un'immagine piuttosto statica e dogmatica del maestro domenicano. Questo profilo cerca invece di restituire a Tommaso la sua dimensione storica, proponendo sia una ricostruzione complessiva, in ordine cronologico, della struttura e delle circostanze di composizione delle sue opere che la presentazione e discussione dei temi filosofici più significativi presenti in ciascuna di esse, anche in rapporto alle fonti con cui lo stesso Tommaso non ha mai smesso di dialogare nel corso della sua carriera - da Aristotele alla tradizione neoplatonica, da Agostino e Boezio ad Avicenna e Averroè.
Secondo F. Nietzsche, il nichilismo è lo "smarrimento dei valori tradizionali - Dio, Verità, Bene - e lo scivolamento verso il trivellante sentimento del proprio nulla". In un mondo frutto del caso, l'uomo si ritrova senz'anima, destinato al niente della morte e senza un fine soprannaturale. Contro questo modo di concepire l'esistenza, si espongono a livello multidisciplinare (teologia, filosofia, psicologia, morale) non solo le contraddizioni interne del nichilismo, ma anche quelle dei suoi precursori (agnosticismo, materialismo, ateismo, scientismo, laicismo). Particolare attenzione viene data alla fondazione religiosa della libertà, della morale e dell'amore (contro il relativismo) e alla critica delle concezioni di Dio come Nulla e Ineffabile (misticismo, teologia negativa). Guidano lo studio il realismo e il pensiero cristiano, due prospettive che offrono risposte per superare le precarietà della vita (divenire, vuoto, male, angoscia) e intravedere la presenza dell'Assoluto. In Appendice, le classiche "dimostrazioni dell'esistenza di Dio" esemplificano la perenne validità di una "metafisica dell'essere" profondamente anti-nichilista.
Prendendo spunto dalle prestigiose Gifford Lectures, tenute nel 1989 con il titolo "La dimora del Divino nel mondo contemporaneo. La Trinità indivisa", "Il ritmo dell'Essere", alla cui stesura Panikkar si è dedicato per vent'anni, è considerata la sua opera più importante nel campo filosofico. Il tema di base è la struttura triadica o trinitaria della realtà, che comprende il Divino. l'Umano e il Cosmico. Questa prospettiva cosmoteandrica rappresenta un punto di unione fra cristianesimo, induismo e buddhismo. Nel descrivere la sua opera, Panikkar afferma: "Non sto cercando di dire qualcosa di nuovo. Non voglio contribuire alla alienazione prodotta dalla ricerca ossessiva di novità. La mia originalità, ammesso che esista, sarà quella di andare alle origini - non per fare archeologia o formulare interpretazioni anacronistiche [...], ma per propormi come cacciatore-raccoglitore dei nostri giorni, piluccando frammenti di vita dallo stupendo campo dell'esperienza umana sulla Terra". Alla fine, tuttavia, egli ammise i limiti nel raggiungere una tale grandiosa sintesi. Il capitolo nono, che riguardava la consumazione escatologica finale di tutta la realtà, fu omesso dall'autore e sostituito da un breve epilogo commovente in cui egli scrive: "Ho dovuto ammettere che le questioni ultime non possono avere risposte ultime, ma, se non altro, possiamo essere consapevoli del problema che abbiamo presentato. Ho raggiunto i limiti della mia comprensione, e qui mi devo fermare.
Finalmente come Dio! Come Dio? Finalmente?
Essere come Dio è tentazione antica come la consapevolezza di essere uomo: sentimento variamente articolato che l'uomo non possa aspirare a nulla di meno e che a nessun altro spetti giudicare ciò che è bene o male. È dunque paradossale l'entusiasmo irresponsabile per la 'morte di Dio': Nietzsche aveva ben detto che non c'era di che entusiasmarsi a buon mercato. In ogni caso, se Dio è morto, essere come Dio diviene problematico; anche essere al suo posto, perché lì la morte ormai incombe. Il nostro non sembra esser più il tempo dell'ebbrezza su nessuno dei due fronti, piuttosto il tempo del disinganno, magari risentito, dell'uomo che ha provato ad essere come Dio e che stenta ad essere dignitosamente uomo. Tempo di fragilità dolorosa dell'uomo che, tuttavia non rinuncia all'arroganza con cui, dopo aver detto "penso quindi sono", dice "sono quindi voglio e posso" mosso da aspirazioni di sempre più piccolo cabotaggio. Ci chiediamo se, per qualificare la propria identità, l'uomo non possa far altro che muovere i suoi passi ripetendosi ossessivamente: penso quindi sono, mi sento quindi… Sono… Finalmente… Come Dio. Forse dovrebbe riconoscersi nello sguardo di un compagno di strada, ritrovarsi nella confidenza della sua voce. Forse un Dio amante dell'uomo, che per essere con l'uomo non si sottrae nemmeno alla morte, sarebbe un buon compagno di strada per un diverso incedere alla scoperta della sua dignità.
Una 'summa teologica' del pensiero di Klaus Hemmerle su Dio uno e trino.
Miguel de Unamuno (Bilbao, 1 864 - Salamanca, 1936), uno dei più importanti filosofi spagnoli del secolo scorso, concepì "l'Agonia del cristianesimo" (1924), un'opera dal taglio colloquiale e semi-autobiografico, in seguito a una profonda crisi esistenziale, più forte e pregnante di quella grande crisi spirituale che l'aveva gettato nello sconforto nel 1 897, dettata anche dal tormento nostalgico vissuto durante l'esilio e la fuga in Francia. Tutta la vita di Unamuno si sviluppò in una costante lotta interiore che è stata ragione di confronto con i grandi temi del cristianesimo e motivo di impegno politico e sociale e che lo ha portato a scontrarsi con la monarchia, con la dittatura di Primo de Rivera e con la sollevazione militare di Franco agli albori della guerra civile spagnola, durante la quale Unamuno morì, nel 1936. In questo scritto, molte delle idee già espresse in Del sentimento tragico della vita (1913) vengono rinnovate da una forte vis polemica nei confronti della società e delle ideologie precostituite, e da un intenso dramma interiore. Un conflitto che sta alla base della stessa agonia del cristianesimo che abita ogni singolo individuo, ogni uomo cristiano, che è agonico per definizione. L'agonia è, infatti, la "lotta" di chi vive lottando contro la vita stessa, e contro la morte, poiché il fine della vita è farsi un'anima, un'anima immortale. Questa è per Unamuno "ansia d'immortalità".
Il volume intende contribuire alla ricerca dello specifico cristiano della creazione, in vista di un'adeguata riflessione teologica sull'uomo. Il confronto con il pensiero di Michel Henry offre la possibilità di guadagnare un pensiero teologico sulla creazione e sull'uomo al contempo propriamente cristiano e in dialogo con la filosofia e la cultura contemporanee. L'opera è composta da due sezioni: la prima (In dialogo) raccoglie le relazioni del Colloquio di Antropologia Teologica 2011; nella seconda sezione (Contributi) sono presentati alcuni articoli di approfondimento sul pensiero di M. Henry.
L'opera di Hans-Georg Gadamer (1900-2002) si è intrecciata con gli sviluppi teologici del mondo protestante, influendo poi in ambito cattolico. Il suo modo di concepire la verità e la storia e il rilievo dato alla tradizione per la coscienza della determinazione storica hanno avuto ampi riflessi negli sviluppi filosofici del Novecento. Individuato nella teoria della "storia degli effetti" (Wirkungsgeschichte) il nucleo centrale e innovatore della filosofia ermeneutica di Gadamer, il presente studio ne ricostruisce l'elaborazione. Notevole la descrizione del superamento gadameriano dello storicismo di Schleiermacher e Dilthey. Analizza quindi l'andamento del dialogo critico tra la sua teoria e gli esponenti della teologia liberale e dialettica (Troeltsch, Barth, Bultmann), e della "nuova ermeneutica" (Fuchs, Ebeling). Discute, infine, gli esiti della teoria presso teologi protestanti (come Pannenberg), e cattolici (come Geffré). Suggestivo il capitolo conclusivo intitolato "Ermeneutica e pluralismo religioso". In appendice, un'intervista dell'autore al cattolico Claude Geffré, esponente di spicco della teologia ermeneutica del nostro tempo
La scomparsa del vecchio Dio non ha forse spianato la via a un nuovo modo di cercare, amare e pensare la divinità? La sospensione delle certezze dogmatiche non ha forse dischiuso la possibilità per un rinnovato stupore religioso? Situati sul crinale tra teismo e ateismo, abbiamo ora l'opportunità di rispondere in modo più libero alle cose che non possiamo capire. Il filosofo irlandese Richard Kearney chiama questa condizione ana-teismo, o ritorno a Dio dopo Dio - un momento di ignoranza creativa che significa una rottura con le certezze precedenti e ci invita a forgiare nuovi significati a partire dalle sapienze più antiche. La religiosità ritrovata nella sospensione degli assoluti, sia teistici sia ateistici, si caratterizza come apertura allo straniero nella scommessa tra ospitalità e ostilità verso l'altro. Ana-teismo conia un nuovo dominio concettuale per la spiritualità del terzo millennio: accettare che non possiamo mai essere sicuri circa Dio è l'unico modo per riscoprire una sacralità nascosta nella vita di ogni giorno e meravigliarsi della divinità del quotidiano. Come scrive Vattimo nella sua introduzione: "L'anateismo non è solo, in definitiva, il momento di sospensione e di vuoto destinato a trovare "di nuovo" una fede "piena", più o meno affine alle fedi tradizionali, ma un atteggiamento che deve accompagnare ogni fede ritrovata"
Nel XX secolo abbiamo assistito ad una grande fioritura teologica che ha posto interrogativi pungenti alla cosiddetta "società secolare"; al medesimo tempo, la distruzione prodotta dai totalitarismi occidentali ha costretto il pensiero a rivedere molte istanze epistemologiche consolidate da secoli. L'esistenzialismo barthiano, il cristianesimo non religioso di Bonhoeffer e la critica del sacrificio in Girard aprono vie ancora inesplorate per guardare noi stessi e la realtà del mondo alla luce dell'evento di Gesù Cristo morto e risorto.
Descrizione dell'opera
Il presupposto che accomuna i saggi raccolti nel volume è che la teologia fondamentale, per non accontentarsi di essere un vago aggiornamento dell'apologetica, deve implicare un'estetica, intesa inscindibilmente come teoria dell'arte e del sentire. Solo così la sostanza teologica della rivelazione e la forma antropologica della fede possono essere adeguatamente vagliate, alla luce del sentire umano. Affinché la promessa cristiana ci appaia degna di fede non basta considerarla ragionevole, occorre saperla 'immaginare': impegnare cioè nei suoi confronti le risorse della sensibilità e dell'immaginazione.
Sommario
Introduzione (S. Knauss - D. Zordan). I. APERTURE. Religione nel «cultural turn»: prolegomeni a un'estetica teologica per l'oggi (G. Larcher). Logiche dell'estetico: ritrattazioni teologiche (P. Sequeri). L'estetico e l'idea cristiana di Dio. Attrazioni e disaffezioni di un rapporto inquieto (M. Neri). II. SENSI. L'estetica della soggettività (A.D. Ornella). La soggettività, la persona e l'arte moderna. Riflessioni teologiche su Jacques Maritain e Charles Taylor (W. Dyrness). Il sentimento. Il teologico cristologico come verità dell'estetico alla luce della rifl essione di F. Schleiermacher e R. Otto (R. Maiolini). «Aisthesis»: i sensi e la teologia (S. Knauss). Il corpo di Dio: implicazioni estetiche della rivelazione cristiana di Dio (P. Lia). Sensi spirituali e anime di materia: del come la sapienza ci dice qualcosa di sé (S. Morra). III. SGUARDI. Immagine di culto - scrittura - corpo - arte. Riflessioni per una teoria elementare dei media nel monoteismo (E. Nordhofen). Lo spazio tra immagine e parola: il viaggio dalla «Deposizione» di Rogier van der Weyden a «Sliding Time» di Walter Verdin (D. Apostolos-Cappadona). Vedere l'invisibile, sentire il visibile. Interiorità e apprezzamento estetico in Kandinsky, riletto da Michel Henry (D. Zordan). Il mago come teologo: le 'Costellazioni' di Juan Miró (C. Pickstone). Vedere la luce: la contemplazione e le opere di James Turrell (J.L. Kosky). IV. PRATICHE. Arte, congenialità, contemplazione. Sulla possibilità di una relazione fra estetica e rivelazione a partire da Luigi Pareyson (A. De Santis). Calvino e Ricoeur. Da un'estetica del segno a un'estetica del senso (J. Cottin). Arte sacra, autonomia e servizio. Cinquant'anni dopo la «Sacrosanctum concilium» del Vaticano II (F. Boespflug). Senso teologico della liturgia e riscoperta dell'estetica rituale. Considerazioni sul Movimento liturgico del XX secolo (A. Grillo). Teo-drammatica come prassi di liberazione (R.S. Goizueta).
Note sui curatori
STEFANIE KNAUSS, dottoressa in teologia, ha studiato presso le Università di Freiburg i.Br., Manchester e Graz ed è attualmente ricercatrice presso il Centro per le scienze religiose della Fondazione Bruno Kessler. Si occupa soprattutto del rapporto tra teologia e cultura e della corporeità nelle religioni e nella teologia.
DAVIDE ZORDAN ha ottenuto il dottorato in teologia presso l'Institut d'Études Théologiques di Bruxelles ed è ricercatore presso il Centro per le scienze religiose della Fondazione Bruno Kessler. Insegna inoltre teologia fondamentale al Corso superiore di scienze religiose di Trento. I suoi studi riguardano in particolare l'estetica teologica e le dinamiche del credere nel contesto contemporaneo.
Atti del convegno tenuto il 26 e 27 febbraio 2009 dalle facoltà di teologia e filosofia della Pontificia Università della S. Croce. Non un convegno celebrativo del testo dell'enciclica ma piuttosto un'applicazione del desiderio di collaborazione auspicato da Giovanni Paolo II. 'La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità'. Così recita l'incipit della Fides et ratio, consegnata al mondo da Giovanni Paolo II il 14 settembre 1998. Dopo oltre dieci anni di distanza le vie percorse sono innumerevoli e la contemplazione della verità attraverso la fede e la ragione apre nuovi orizzoni ancora più vasti.