«Il tempo è fuori dai cardini», scriveva Shakespeare, quasi avvertendo nel suo stadio di incubazione quella che è stata definita una «patologia temporale» dell'uomo contemporaneo, incapace tanto di progettare il futuro quanto di rielaborare il passato. Si è prodotta una «forbice temporale», ovvero uno iato strutturale fra il tempo della vita e il tempo del mondo, con i suoi correlati della noia e/o dell'angoscia... All'origine vi è una sorta di presente eternizzato, cioè una pura presenzialità che si sottrae alla decisione. Questa sindrome investe il senso della durata, cioè la coscienza del tempo vissuto. Il significato si dà sempre nel presente, come un «parto maschio del tempo» (Bacon) che supera il passato da cui trae origine per orientarsi all'avvenire. Allora, la percezione dell'ostilità del tempo, minacciato di sterilità, dev'essere saggiata nel crogiolo della «fedeltà allo spirito» (Alquié): l'essenza del tempo risiede nella sua tessitura drammatica, essendo eminentemente una relazione... L'autrice tenta una disamina della sintassi filosofica del tempo: punto di fuga è la provocazione lanciata da O. Cullmann negli anni 60, secondo cui il pensiero occidentale e il regime temporale cristiano sarebbero inconciliabili...
Il volume raccoglie gli Atti del convegno tenutosi a Gerusalemme, presso il Notre Dame of Jerusalem Center, nei giorni 6 e 7 dicembre 2010, a cura della Facoltà di Filosofia dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma. Il convegno riguardava i rapporti tra fede e ragione nella Scolastica medievale ebraica, cristiana ed islamica. Sia quel convegno sia la presente raccolta degli Atti relativi si incastona all’interno della Cattedra Marco Arosio di Alti Studi Medievali, la cui collaborazione al convegno poteva essere considerata il suo evento di partenza e di lancio. Ringraziamo vivamente tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del convegno e del volume, particolarmente i Signori Franco ed Olimpia Arosio, genitori del compianto Marco, giovane e valente medievista, richiamato dal Padre a Sé nel 2009. In onore del Prof. Marco Arosio questo volume ospita anche una sua relazione, da lui tenuta in un convegno medievista riunitosi in Assisi nel novembre del 1997.
Il libro, curato da Carmelo Pandolfi e Rafael Pascual, presenta i contributi dei professori Carmelo Pandolfi, Guido Traversa, Renata Salvarani, Joan-Andreu Rocha Scarpetta, Graziano Perillo, Giovanni Boer, Rafael Pascual, Costantino Sigismondi e Marco Arosio (postumo).
Parliamo facilmente dell'anima di un violino, dell'anima di una trave, dell'anima di una canna di fucile. Eppure siamo sempre più imbarazzati se dobbiamo parlare di anima umana. Perché? Sembra che "anima" evochi risonanze sospette, sicché tanti pensano di fare a meno - o preferiscono fare a meno - di quella nozione. La reputano desueta, mitica, infarcita di religioso. Lacroix, filosofo e moralista francese che per anni ha insegnato che «non c'è anima senza corpo», scorge ora uno stretto rapporto fra la rimozione del religioso e quella dell'anima. Così come il religioso è portatore di un significato che glie è proprio, allo stesso modo la nozione di anima è portatrice di un significato che va oltre le nozioni moderne con cui crediamo di sostituirla (come "soggetto" o "psichismo"): l'anima è propriamente apertura, è superamento, è libertà... "Anima" - termine che implica ragione e fede, buon senso e rivelazione - risulta in definitiva insostituibile. Sarebbe folle volersene sbarazzare.
Da Nilla Pizzi a Marco Mengoni, da Abramo a Malcolm X, da Socrate a Bauman, sono innumerevoli i link che Sottocornola suggerisce nel suo viaggio fra musica, cinema, mode, televisione, controculture e spiritualità, alle radici della popular culture italiana e del suo immaginario globale, mentre tratteggia il grande affresco del '900 sino al nuovo millennio, fra saggi, interviste, lezioni-concerto e disegni pop che ci accompagnano in un percorso interdisciplinare e transmediale imprevedibile. Questi "Saggi pop" si confrontano dunque coi prodotti della cultura di massa in Italia, analizzati come contestuali a un sistema che tende a mercificare tutti gli ambiti vitali della persona, ma anche come spazio socio-culturale di negoziazione di senso e costruzione di identità, secondo una "didattica della bellezza" che coniuga abilmente il vissuto personale, la trasfigurazione in senso universale, l'apporto mediatico di musica e immagini, l'insegnamento storico e sociale, l'ermeneutica grazie alla quale la contemporaneità è affrontata, assorbita e offerta artisticamente nella sua essenza più profonda.
Nel presentare la dottrina sul giudizio di Dio nei confronti dei dannati e dei beati, il francescano Giovanni Duns Scoto elabora una risposta concettuale che fa uso di una nuova teoria della modalità, grazie alla quale trova coerente spiegazione l’apparente contraddizione tra prescienza divina e libertà umana.
Ernesto Dezza è professore di metodologia generale e di storia della filosofia medievale presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Antonianum nonché professore di teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
In questo fascicolo gli autori offrono al lettore una vivace dinamica che nasce dalle loro ricerche, intesa ad armonizzare le diverse scienze ecclesiastiche con una teologia che si incarna continuamente nella storia. Dal momento che l’incarnazione ha come destinatario il popolo di Dio, diviene sempre più impellente il richiamo a far sì che la dignità dell’essere umano sia garantita dalle scienze del diritto. La persona è il cuore del diritto, e della persona il diritto si prende cura, garantendo l’applicazione equa delle norme. In questa direzione il Diritto diviene partner insostituibile della Teologia, e tutt’e due – Teologia e Diritto – concorrono all’edificazione del Regno di Dio nella verità e nella giustizia. (Dalla Prefazione)
Il presente volume, che costituisce la terza parte dell'intero "Saggio sull'etica normativa nella Summa Theologiae di San Tommaso d'Aquino", considera le articolazioni antropologico-morali di quello che San Tommaso denomina "motus rationalis creaturae in Deum", analizzando le due tensioni correlate e basilari della natura umana: l'aspettativa della felicità e l'appetito razionale, entrambe coinvolte nella dinamica dell'azione morale verso il fine. L'autrice propone di ravvisare nel trattato tommasiano De Beatitudine una pregiudiziale teologica più che un'evidenza aristotelica - pure presente come cospicua fonte - e di rileggere la normazione etica in seno alla modalità tensiva dell'appetito razionale, tipico della crenatura intelligente, libera e per sé potestativa.
La Confutazione di alcune dottrine aristoteliche è opera in lingua greca falsamente attribuita dalla tradizione manoscritta all'apologista Giustino, la cui redazione può probabilmente essere datata tra il IV e il V secolo. L'opera si inserisce nella tradizione del pensiero cristiano antico che, a partire dalla convinzione che L'attività creatrice di Dio si collochi ab initio temporis, individua in Aristotele, sostenitore della dottrina dell'eternità del cosmo e del tempo, uno dei bersagli privilegiati della sua polemica. In questo contesto l'atteggiamento dell'anonimo autore della Confutatio appare tuttavia singolare: per difendere la creazione dal nulla egli si confronta in modo diretto - caso quasi unico all'interno della Patristica - con il testo aristotelico della Fisica e del trattato De caelo, confutandone le dottrine con argomentazioni di carattere esclusivamente filosofico ed evitando il richiamo al testo biblico quale strumento probatorio.
«Col concetto di potere dischiudiamo l'essere, e l'essere conferisce al concetto di potere la sua dimensione profonda». La radicalità dell'indagine che Tillich propone in Die Philosophie der Macht ne costituisce uno dei fattori più intellettualmente affascinanti e filosoficamente fecondi. La sua capacità di entrare in dialogo con la tradizione culturale che lo precede rende particolarmente prezioso questo scritto, teoreticamente denso, la cui portata profetica si spinge a illuminare anche le controversie storico-politiche del ventunesimo secolo. Il testo viene proposto nella versione originale tedesca con traduzione a fronte curata dal prof. Alessandro Gamba, del settore scientifico-disciplinare "Filosofia teoretica" dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, autore anche del saggio introduttivo: «Paul Tillich e il potere come principale metafora dell'essere».
In questo suo importante lavoro, Kurt Appel elabora una teoria teologica del tempo, mostrandone il ruolo centrale nella concezione di Dio da parte della filosofia speculativa – da Leibniz a Kant, da Hegel all’ultimo Schelling. Il concetto di tempo si mostra così come una chiave decisiva per la comprensione di questi due complessi sistemi di pensiero, la filosofia e la teologia. Il tempo al quale noi normalmente pensiamo, quello lineare e meccanico dell’orologio, scorre uniforme e indefinito, sempre uguale. È un continuum senza qualità di sorta, neutrale e asettico, del tutto indifferente: e pre- tende di dettar legge. Indagando il rapporto esistente fra il tempo della rivelazione (nel paradigma biblico) e il tempo secolarizzato (del paradigma post-moderno), Appel mette in scacco i presupposti di quest’ultimo. Mostra come la concezione del tempo cronologico in eterna espansione sia del tutto insufficiente. E svela come il senso del tempo aperto dalla creazione di Dio e occupato dall’intimità di Dio risieda «nelle infinite costellazioni dell’affezione che fanno il mondo degno di essere vissuto e il regno di Dio ospitale per una creatura realmente finita» (P. Sequeri). L’eternità, in questo scenario, risulta momento di un tempo intrinsecamente liturgico, nel cui passato – aperto e sempre da riscrivere – ci perviene il nome di Dio, e la cui dignità risiede nella vulnerabilità, nell’indisponibilità e nell’apertura dell’essere. Una sorprendente teoria teologica del tempo. Un modo inaspettato di guardare al Dio cristiano che si dona come nostro ospite nel tempo.
KURT APPEL, nato nel 1968, filosofo e teologo, è docente di teologia fondamentale e di filosofia della religione presso l’università di Vienna e direttore della piattaforma di ricerca interdisciplinare «Religion and Tran- sformation in Contemporary European Society». Tiene corsi universitari sia a Milano sia a Trento. In italiano ha pubblicato: Apprezzare la morte. Cristianesimo e nuovo umanesimo (EDB, Bologna 2015).
La tesi principale attorno alla quale si articola il libro è che nel pensiero moderno il discorso su Dio non è semplicemente un "tema", ma si costituisce come un "problema", in relazione all'assunto cartesiano del "problema della conoscenza" come pregiudiziale. Sotto tale aspetto la filosofia kantiana e quella hegeliana si presentano come due diverse soluzioni rispetto al "problema di Dio". Kant ha il merito di cogliere l'aporia di fondo che caratterizza le "dimostrazioni razionalistiche" dell'esistenza di Dio e Hegel quello di ripristinare la teologia filosofica eliminando la separazione moderna tra il "pensiero" e l'"essere", ossia il presupposto ch'è comune al razionalismo (nonché all'empirismo) e allo stesso Kant.
Questa opera potrebbe apparire, ad un primo sguardo, la semplice raccolta degli atti di un convegno. Infatti, i contributi che compongono questo volume sono stati presentati nell’VIII workshop della SISRI svoltosi a Roma dal 30 al 31 Maggio 2015 e dedicato al rapporto tra le visioni filosofiche del mondo e il lavoro scientifico. L’occasione era l’anniversario dei 400 anni dalla composizione della Lettera a Madama Cristina di Lorena da parte di Galilei. Lo scienziato pisano fu chiamato, in un drammatico momento della sua carriera, a rendere conto della conciliabilità tra il credo cristiano e la sua ricerca scientifica. In realtà, anche oggi ci poniamo con urgenza le stesse domande e cerchiamo risposte che riconosciamo come mai interamente conclusive e sempre aperte a maggiori approfondimenti. Questo carattere di “apertura” del domandare che, muovendo da settori disciplinari specifici, trascende i limiti imposti dai riduzionismi dei singoli metodi di ricerca, è l’aspetto fondamentale che illumina il senso di questa pubblicazione. Anche se potrebbe stupire l’eterogeneità dei contributi, dalla matematica alla biologia, dalla teologia alla storia della scienza, l’unità è visibile nella tensione ad una sintesi del sapere che concepisce i confini tra i campi delle scienze non come muri invalicabili, ma come interne distinzioni di un insieme organico.