Io sono dinamite raccoglie due tra gli scritti più importanti e controversi del filosofo tedesco: "Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è" e "L'anticristo. Maledizione del cristianesimo". "Ecce Homo", composto al culmine della genialità e all'approssimarsi della follia, è uno dei più acuti e struggenti ritratti autobiografici della letteratura europea. Subito definito "scandaloso", è un testo ricco di iperboli, paradossi geniali e sconvolgenti rivelazioni. Lo stile aforistico, diretto, contribuisce ancora oggi alla fama di questo saggio, che fu bollato dai contemporanei come l'opera di un pazzo, e che nei decenni successivi, e fino ai giorni nostri, riscosse invece un clamoroso successo di pubblico, tanto da rendere "Ecce homo" un vero e proprio classico del ventesimo secolo. "L'anticristo. Maledizione del cristianesimo", rappresenta un attacco frontale e devastante a tutta la civiltà occidentale, europea e cristiana. Un testo dissacrante e provocatorio, il tentativo di rovesciare morale, religione e cultura convenzionale a favore di una filosofia della vita e della volontà. Anticlericale, durissimo, crudele, "L'anticristo" è il manifesto ultimo della rivolta disperata di Nietzsche contro tutto ciò che egli chiama "i falsi valori".
Il volume raccoglie i due scritti più importanti e corposi appartenenti alla prima fase di attività intellettuale del pensatore russo, quando – stando al suo stesso giudizio – “riteneva” ancora di essere un critico letterario. Si tratta peraltro di due testi assai eterogenei, di diversa natura e anche di diversa importanza. Shakespeare e il suo critico Brandes è la prima opera pubblicata da Sv estov in volume autonomo, nel 1898, e la traduzione qui proposta è la prima edizione a livello mondiale in una lingua che non sia l’originale russo. La lettura di Shakespeare risente della recente “scoperta” da parte di Sv estov dell’opera filosofica di Nietzsche, e manifesta un’importante impronta interpretativa tragica, contrastante quando non apertamente polemizzante con la visione del critico danese Brandes. Il valore positivo dell’idea di tragico, incarnato dalla grandezza e dalla dignità morale dei Bruto e dei Coriolano, sarà ben presto soppiantato da una tragicità – sempre su orme nietzschiane – progressivamente più disperata. Una delle prime testimonianze dell’involuzione disperata del tragico è allora proprio l’inedito e incompiuto scritto su Turgenev, abbozzo di testo critico dedicato a Turgenev e Cv echov, il cui contenuto sarebbe confluito in buona parte nella Apoteosi dell’infondatezza di poco posteriore, dove per la prima volta lo shakespeariano “tempo” che è “uscito dai cardini” giunge fino in fondo al suo cammino lasciando il pensiero a una altezza intollerabile per la ragione e per le costruzioni pacificate e onnicomprensive dell’intelletto. Qui nemmeno il riscatto morale troverà più luogo, e come unica via d’uscita rimarrà da quel momento in poi l’invocazione all’Assurdo di Dio e alla contrapposizione Atene-Gerusalemme.
Vladimir Sergeevicv Solov’ëv (1853-1900),visionario profeta del dialogo e tenero amante della Sapienza Divina, scrisse “Il dramma della vita di Platone”nel 1898, lo stesso anno del secondo viaggio in Egitto allorquando cominciarono i primi segni di cedimento fisico dovuti al troppo lavoro. In XXX paragrafi Solov’ëv analizza –facendo precedere il tutto da una lunga introduzione su come intendere il concetto di “dramma” nel pensiero greco a partire dai pre-socratici– il legame tra la teoria dell’amore di Platone (o meglio: la sua “crisi erotica”, proprio per come la definisce Solov’ëv) e il consequenziale mutamento della sua visione del mondo. L’autore si chiede quale sia la svolta (e ‘quando’, oltre al ‘come’, precisamente, si sia consumata) che induce Platone –fino a quel momento pensatore del “non essente”, fondatore del ‘pensare’ metafisico e delle questioni gnoseologiche astrattamente interpretate– a dedicare le sue migliori opere all’amore. Un argomento fino ad allora non specificatamente rientrato nell’ordinarietà della sua sfera filosofica che lo porta alla proposizione di una teoria che non trova punti di appoggio nelle sue ‘visioni’ precedenti e che ha lasciato, in tutto il successivo corso del suo pensiero, un’impronta profonda, determinante. Ancor prima della contrapposizione tra il “vero essere” e l’umbratile “divenire”, l’apparente o il fenomeno, Platone, sotto l’influsso della dottrina e della morte di Socrate, presentì la contrapposizione etica tra ciò che deve essere e ciò che effettivamente è, tra l’autentico ordine morale e l’ordinamento della società data. Questo fu il ‘dramma’ vissuto da Platone e dalla risposta di Solov’ëv alla domanda precedente concludiamo che la revisione del pensiero filosofico platonico fu determinata proprio da tale ‘crisi’ (da cui scaturisce, appunto, la sua teoria dell’amore) che è concepibile solo come progresso del suo idealismo letteralmente imposto dalle esigenze di una nuova esperienza esistenziale.
La dialettica della durata è stata pubblicata nel 1936, nel pieno del surrazionalismo di Gaston Bachelard (1884-1962), ossia della dottrina epistemologica più spregiudicata e provocatoria del secolo scorso, pure in così piena sintonia con le rivoluzioni relativistica e quantistica della scienza fisica. Lo scritto critica in maniera costruttiva la nozione tradizionale di durata e propone l’originalissima nozione del tempo come scintillanza quantica. Oltre che per la profonda opera di scavo del concetto di durata, per il superamento netto del bergsonismo e per le proposte innovative nella riflessione sulla temporalità, il testo si caratterizza per la lucida prospettazione di una futura disciplina epistemologica: la ritmologia. Uno dei pochi libri filosoficamente decisivi sul problema del tempo. L’edizione è stata curata da Domenica Mollica, studiosa del pensiero epistemologico francese del XX secolo. Questa sua traduzione restituisce con grande sapienza lo stile immaginifico ma al contempo scientificamente sorvegliato dell’originale francese.
Il problema del senso della tecnica è una delle costanti della ricerca filosofica di Emanule Severino. La civiltà della tecnica, che incarna e realizza la vera anima dell'occidente, ha esteso oggi il suo dominio al mondo intero. Questo libro, scritto alla fine degli anni Settanta, prende le mosse da temi come la guerra fredda, il socialismo reale, il terrorismo, l'evoluzione del partito comunista e la presenza della Chiesa nella società italiana, per risalire da un lato alle "radici della violenza" (che affondano nel pensiero greco), e per giungere sul versante opposto a delineare gli sviluppi futuri della storia e della politica.
Vi sono poi altre azioni le quali, sia che derivino dalla natura, sia da disposizioni dell’animo, possono essere buone e cattive: buone, se vengono ricondotte alla giusta misura da alcune circostanze, cattive, invece, se vengono spinte ad un estremo. Ora, le azioni dei Cortigiani sono di questo genere, sia che consistano in parole, sia in impulsi dell’animo, sia in gesti. Le circostanze – come spiegò Aristotele, il principe dei filosofi – sono: il “chi”, che si riferisce alla persona che è l’agente principale. Non è infatti di poca importanza se Platone ami sua moglie o se Socrate sia adultero. Il “che cosa”, cioè che cosa la persona fa, che riguarda la specie dell’atto. C’è molta differenza, infatti, se uno mangia per sfamarsi o se è spinto a soddisfare la libidine con atto venereo. “Riguardo cosa” che considera la materia ossia l’oggetto. “In quale tempo” o “in quale luogo”, naturalmente. “Con quale mezzo” e “a causa di che cosa”: per salvarsi oppure per voluttà. E “in che modo” cioè intensamente o con calma, con delicatezza o con veemenza.
In seguito a una visione notturna, Sinesio di Cirene scrive di getto Il libro dei sogni nelle ultime ore della notte, per poi offrirlo in dono a Ipazia, la leggendaria filosofa che fu sua maestra di vita e scienza. In questo breve trattato, Sinesio fonde ragione e tradizioni antiche in pagine dense, ispirate e rigorose, in cui leggerezza e profondità filosofica si uniscono allo scopo di ricercare le origini dei sogni. Ricorrendo a una ricca, godibilissima casistica di esperienze personali, Sinesio mostra l’efficacia delle premonizioni oniriche e invita gli uomini a farsi interpreti dei propri sogni, tenendo un «diario notturno» in cui annotare con cura i messaggi delle visioni allo scopo di trovarne le chiavi interpretative. Un breve manuale che costituisce una vera e propria guida dell’anima lungo il difficile cammino verso l’Assoluto e, allo stesso tempo, afferma l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, dal più potente al più umile, di fronte al mondo divino e ai messaggi di cui il sogno è veicolo.
Chi voglio essere? Che persona voglio diventare? Il cammino dell'uomo per costruire se stesso, dallo "stadio estetico" allo "stadio etico" fino alla perfezione della fede in Dio. Un percorso di maturazione dell'individuo, quello descritto dal grande filosofo danese, incentrato sulla "scelta", capace di portare a un approdo spirituale che possa dare un senso autentico all'esistenza. Un itinerario interiore, un messaggio tutt'altro che superato e valido più che mai nel mondo di oggi, dominato dalle pulsioni edonistiche, ma sempre alla ricerca di una dimensione più libera e vera.
La formula vuota e ipocrita che denuncia l’attuale «crisi della politica» nasconde, in realtà, una crisi molto più profonda e inquietante, che accomuna non solo «tutte le forze della tradizione occidentale», ma esse stesse alla loro distruzione, compiuta dalla modernità: un’«“intima mano”, assolutamente più intima (e terribile) di quanto possa supporre Herder, quando, volgendosi al “santo Cristo” e al “santo Spi no za”, si chiede: “Quale intima mano congiunge i due in uno?”». Nel suo nuovo libro, Ema nuele Se verino mette a fuoco questo grande occultamento, accompagnandoci nel «sottosuo lo essenziale» del pensiero filosofico del nostro tempo. Severino ci mostra anzitutto la conflittualità e insieme la specularità di tali forze: l’incerta «identità europea», improntata dal duumvirato Usa-Urss, ovvero il più potente «monopolio legittimo della violenza» dell’ultimo secolo; il marxismo defunto e un capitalismo incapace di offrire alternative all’incremento del profitto privato quale «scopo supremo» della società; il cristianesimo e l’Islam come opposti dogmatici accomunati da una rigida connotazione antimoderna; lo Stato e la Chiesa, distinti sulla base di un Concordato «ambiguo» che lede le ragioni di entrambi. Al tempo stesso Severino rileva come tutte quelle forze convergano nell’asservimen to a una «tecnica» modellata dal «sapere ipotetico» della scienza e fondata sul solo «valore della potenza», e dunque sintesi e strema dell’«errore» dell’Occidente: l’«a gire» come un carattere separato dall’es sere, e il percorso dell’uomo come un procedere «tra nulla e nulla». Fitto di spiazzanti provocazioni intellettuali (sull’ancipite idea di Provvidenza, e stesa dal cattolicesimo ai totalitarismi; sulla contiguità tra vecchia e nuova Guer ra Fredda; sulla teologia di Benedetto XVI), L’intima mano è così uno sguardo «a volo d’aquila» sugli snodi essenziali della contemporaneità e un invito a inquadrarli al di là, e al di fuori, della loro ingannevole contingenza.
Nel pensiero di Arthur Schopenhauer un posto particolare viene occupato dalla riflessione attorno al linguaggio, quale veicolo della comunicazione umana e soprattutto quale abito del pensiero; ma è anche una riflessione sulle lingue stesse, intese come idiomi. Risulta abbastanza facilmente comprensibile come, all’interno di un modello di filosofia quale quella del Nostro, tale tema assuma un carattere del tutto particolare.
Nei Parerga, di cui qui presentiamo un capitolo (i paragrafi dal 298 al 303a) riuniti sotto il titolo Űber Sprache und Worte, si assiste a una ampissima analisi non tanto riferita al “Che cos’è” della lingua e dei suoi oggetti (e, sottinteso, del suo soggetto, il parlante), ma volta a – per così dire – circoscrivere, attraverso il riverberare di mille sfumature concettuali, il “Come” il linguaggio si struttura e si dispone, nell’azione stessa del pensiero.
L'Io impara a parlare sempre più onestamente:
e quanto più impara, tanto più trova parole per onorare
il corpo e la terra. Un nuovo orgoglio mi insegnò
il mio Io, ed io lo insegno agli uomini: di non ficcare
più il capo nella sabbia delle cose celesti, ma di portarlo
libero, un capo terreno che dà senso alla terra!
Una nuova volontà insegno io agli uomini: volere questa
via che l'uomo ha finora percorso alla cieca, e approvarla
e non discostarsene più furtivamente come fanno
gli ammalati e i moribondi!
Così parlò Zarathustra (1883-1885), uno dei cinque libri titanici dell’umanità secondo T.E. Lawrence, è, nel “sistema Nietzsche”, l’esplosione del suo genio linguistico e un’opera misteriosa, nella sua abbagliante chiarezza, che illumina le opere precedenti e susseguenti come il sole i suoi pianeti. È, in una corona di tutte opere scettiche, un’opera affermativa, in cui Nietzsche raggiunge le sue dimensioni ottime e massime, facendo rifulgere le sue grandissime doti di moralista, poeta, psicologo e profeta. È il vangelo della purezza, che si contrappone al vangelo della carità, l’esaltazione della vita nella sua tragica caducità contro ogni trascendenza, un inno alla grandezza con radici terrestri e la sua fenomenologia nel mondo, la sua “storia ideale eterna” iscritta nell’accidentato cammino del suo divenire terreno e del martirio che incombe a chi si mette sul suo sentiero solitario. È il vero Ecce homo, non sbandierato al pubblico, ma sussurrato a se stesso in timore e tremore. La classica traduzione di Sossio Giametta, uno dei più rinomati interpreti italiani di Nietzsche, viene presentata per la prima volta con il testo tedesco a fronte dell’edizione Colli-Montinari, con un ampio saggio introduttivo, un commento analitico e una bibliografia nietzschiana aggiornata al 2010.
Questi saggi, scritti nell'immediato dopoguerra, volevano individuare soltanto alcuni punti di maggior pressione per un orientamento ideologico delle nuove correnti dell'esistenzialismo marxista e dell'esistenzialismo cristiano. L'interesse del confronto, sia pure ridotto ai momenti essenziali, è che Kierkegaard e Marx nella cultura contemporanea incarnano un'alternativa senz'ambiguità; l'interesse teoretico del confronto sta nel fatto che ambedue raggiungono le rispettive posizioni estreme antagoniste pur muovendosi dallo stesso problema.