Principio protestante e situazione proletaria è un chiaro esempio di pensiero militante, ovvero di una proposta teoretica impegnata nel difendere un'opzione sociale intollerante all'ingiustizia. Perciò il principio non rimane esterno al dramma della responsabilità, chiamata a destreggiarsi tra cinico realismo e speranza utopica. Tillich opera una critica filosofico-morale che accetta il rischio e l'ambiguità dell'azione politica. Banco di prova di questo esercizio è l'analisi della situazione proletaria, che muove dall'opzione umanistica, da una dottrina dell'uomo che riconosce come originario l'intreccio tra l'autocoscienza della propria singolarità e l'essenziale condizione sociale e politica dell'esistenza.
La storia della gioventù cattolica durante i lunghi anni Sessanta è indispen- Maria Bocci sabile per capire la contestazione studentesca. All'origine della solidarietà generazionale e della sollevazione simultanea dei ragazzi del Sessantotto ci sono infatti tensioni ideali pregnanti e capaci di creare orizzonti comuni di senso, tanto più presenti nelle fasce della popolazione giovanile collegate al mondo cattolico. Questa è la storia di una delle avanguardie più notevoli del Sessantotto italiano, gli studenti dell'Università Cattolica. Il volume ne segue le prospettive ideologiche e le dinamiche di sviluppo tra anni Cinquanta e Sessanta, grazie a un notevole apparato di documenti editi e inediti che permette una ricostruzione puntuale e complessiva degli eventi, suggerendo chiavi interpretative utili per capire come e perché i ragazzi dell'ateneo del Sacro Cuore hanno anticipato i tempi e hanno fornito reparti avanzati che nel '68 si sono collocati in prima linea.
In questo libro vengono proposte le famose 95 tesi sulle indulgenze e altri due testi fondamentali, scritti in tempi e circostanze diversi: De libertate Christiana e De captivitate Babylonica Ecclesiae.
Una presentazione di Sergio Quinzio, un’ampia nota biografica e copiose note rendono il volume accessibile a un vasto pubblico.
Le 95 tesi sulle indulgenze sono l’opera di un severo monaco agostiniano che era anche professore di teologia nella piccola e recente – nel XVI secolo – università di Wittenberg.
Egli viveva una religiosità di tipo medioevale. Non condivideva la crisi della religiosità tradizionale, tipica di una cultura rinascimentale che non gli apparteneva: era un uomo del passato e viveva la fede come i suoi antenati.
Si può dire che egli si trovò a essere l’inconsapevole elemento catalizzatore di un enorme fenomeno storico.
Affermando la libertà della fede da ogni imposizione dogmatica, Lutero fu anche un uomo del mondo moderno, in quanto espresse la fede nella sua purezza come aveva appreso dalla Bibbia.
Vuole la tradizione che il 31 ottobre 1517 Lutero (o più probabilmente i suoi studenti, addirittura all’insaputa del maestro) abbia affisso sulla porta della chiesa di Wittenberg, le 95 tesi in latino riguardanti il valore e l’efficacia delle indulgenze.
Proporre pubblicamente tesi da discutere apparteneva al costume accademico dell’epoca e Lutero intendeva infatti rivolgersi al mondo dei dotti e alle autorità ecclesiastiche, non indirizzare un manifesto all’opinione pubblica.
Ma la sua critica dilagò in tutta Europa e giunse fino a Roma, con le conseguenze epocali che tutti conosciamo.
Negli affreschi sistini numerose scene o figure della storia del popolo ebraico sono presentate come origine, o prefigurazione, della storia cristiana aperta dall'Incarnazione. Il ciclo degli Antenati di Cristo, dipinto sulle lunette e sulle vele della volta, svolge un ruolo essenziale nel connettere le due «età»: l'enumerazione dei patriarchi e dei re della stirpe di Abramo si conclude, in accordo con la genealogia proposta nel Vangelo di Matteo, col nome di Giuseppe, marito di Maria e padre di Gesù. La tradizione iconografica presentava solitamente questi patriarchi come venerabili figure maschili accompagnate dai loro discendenti; Michelangelo stravolge radicalmente le consuetudini figurative accostando, nelle lunette della Sistina, ai nomi degli antenati una straordinaria serie di famiglie immerse nella vita quotidiana: donne che accudiscono i loro bambini o intente ai lavori domestici, vecchi padri pensierosi o addormentati, personaggi erranti, uomini e donne in attesa.
L'emergenza sanitaria mi ha costretto a rivedere molte prassi pastorali e questa è una grazia. Da tempo sentivo che le pratiche pastorali vanno ripensate in questo 'cambio d'epoca'. Ma da soli non eravamo in grado di cogliere le opportunità di cambiamento. Occorreva uno scossone che venisse dalla vita, dalla storia; una crisi che aprisse una faglia nello scorrere ordinario di pratiche pastorali che proseguono per inerzia. Il Covid19 è stato questo scossone. E allora ho pensato di rileggerne alcune per cogliere possibili vie di trasformazione e di rinnovamento. Sono solo intuizioni, pensieri di un prete che vive in parrocchia, che esercita il suo ministero in mezzo alla gente senza rinunciare a pensare".
In questi testi, scritti tra il 1964 e il 1993, il grande studioso francese, instancabile 'viaggiatore' di differenti mondi interiori ed esteriori, delinea un itinerario appassionato alla ricerca di un modo nuovo di pensare e di vivere la singolarità dell'opzione cristiana. Il cristiano contemporaneo, egli dice, si ritrova privo di certezze cui poggiarsi, non ha più il facile appiglio di istituzioni e pratiche consolidate: una situazione che condivide con l'«uomo comune» che de Certeau ha messo al centro di tutta la sua opera, l'uomo ogni giorno posto di fronte alla sfida del quotidiano, comune ma mai banale, anzi creativo, unico e speciale nell'intercettare l'esperienza concreta, la vita. E allora, come può quest'uomo, questo cristiano, trovare e percorrere il «sentiero non tracciato» che lo porti a pensare la sua fede e a inserirla positivamente nella società in cui vive? Immaginando i mondi possibili a partire proprio dal reale in trasformazione che si offre ai suoi occhi, prendendosi il rischio dell'incontro con la povertà non solo fisica, ma soprattutto spirituale: povertà di luoghi di identità religiosa, psichica, sociale; povertà come carattere ormai distintivo anche del credente contemporaneo. Perché è a quel punto che la «debolezza del credere» mostra la sua forza, evoca gesti e parole nuove per dar carne alla fede nell'oggi, suscita quel desiderio insaziabile e quella speranza senza pari che ci salva, nello scorcio di Novecento di de Certeau come nel nostro tempo di transizione radicale. Riproposti qui in una nuova edizione italiana, questi testi diventano allora per noi parole profetiche provenienti da un'intelligenza abbagliante, da un pensiero incisivo che non fa sconti alle facili consolazioni e convenzioni del discorso religioso, ma va dritto all'essenziale. Al fuoco, alla passione che devono agitare l'esperienza di fede. Prefazione di Stella Morra.
«Un giovane gentiluomo che si è reso protagonista di uno spettacolo dei giuseppe gangale più rari in tutta l'Inghilterra». Così scriverà il padre Gesuita Robert Parsons quando presenterà il messaggero della stessa lettera a Papa Gregorio XIII. Nel più ampio progetto di restaurazione dell'Antica Fede in Inghilterra, dal 1579 al 1583, fondò e organizzò l'Associazione Cattolica, contribuì alla nascita delle tipografie clandestine a Greenstreet, East Ham e Stonor Park, ideò e finanziò la realizzazione dei dipinti raffiguranti Martiri e Testimoni dell'Inghilterra nella chiesa del Collegio inglese a Roma. Sempre pronto a versare il sudore e qualora ce ne fosse stato bisogno anche il sangue per il bene della causa cattolica, accompagnò i padri Gesuiti Parsons e Campion in missione a Londra e nelle contee dell'Inghilterra fornendo loro tutto il sostegno economico di cui avevano bisogno, nonché la sua intelligenza missionaria. Fu uno degli uomini più perseguitati dal regime elisabettiano, che sapeva che i Padri della Compagnia erano custoditi e sostenuti da lui. Per questo fu definito dai contemporanei "l'angelo dei martiri inglesi".
Correva l'anno 2020. L'anno del virus. Viaggiavano in Tv, in Rete, sugli smartphone, le immagini di morte, sofferenze, crisi economica e relazioni sospese. Impotenti apparivano i grandi della Terra di fronte alle incognite di una pandemia che ridisegnava confini, potenze, certezze. Lo spirito laico che aveva investito nella supremazia di finanza, mercato e tecnologia, vacillava rispetto alle domande dello Spirito che, poste nella notte del mondo da un uomo vestito di bianco, interrogava la classe politica, appellandosi a «uomini e donne che hanno la vocazione politica e i partiti politici di diversi Paesi affinché cerchino il bene comune del Paese e non il bene del proprio partito». Ma lo slancio solidale dei cattolici, vissuto nei giorni difficili, potrebbe più che mai "servire" al Paese durante la più grande operazione di ricostruzione morale ed economica dal dopoguerra ad oggi.
«Queste pagine sono animate più dall’amore per la parte inesistente del cristianesimo, che dal rimpianto per il suo splendore passato (che in fondo è solo un’illusione). Perché il suo avvenire non esiste… ancora».
«Il futuro del cristianesimo è tutto nella riserva d’inaudito che il Vangelo possiede: perché, sì, c’è qualcosa del Vangelo che non abbiamo ancora inteso!».
Descrizione
C’è forse qualcosa del Vangelo che non abbiamo ancora inteso?
Il filosofo danese Søren Kierkegaard riteneva che il cristianesimo del Nuovo Testamento non esistesse: esiste il cristianesimo senza Vangelo, il quale però non è altro che un simulacro inventato dai cristiani stessi per non dover conformare la loro vita alla parola di Cristo.
Dominique Collin riprende questa tesi corrosiva per spiegare che il cristianesimo storico e culturale è un’illusione: una confortevole illusione che consente ai cristiani di evitare di chiedersi se sono ancora fedeli al Vangelo – parola viva, sempre inedita, perfino sovversiva.
Quando, allora, esisterà il cristianesimo? Quando smetterà di interrogarsi sul suo futuro e si preoccuperà di più di ciò che mancherebbe all’essenziale del Vangelo se non fosse proclamato come Vangelo?
Per uscire dalla crisi nella trasmissione della parola cristiana nel mondo di oggi, questa brillante perorazione del domenicano Collin propugna un cristianesimo che sappia parlare in modo evangelico a qualsiasi uomo e donna, credente o non credente, per invitarli – infine – a esistere.
Cosa sappiamo della Giudea della prima metà del I secolo? Sicuramente molto. I Vangeli e le opere di Flavio Giuseppe forniscono una mole di informazioni unica per la storia antica. Eppure l'importanza che questi anni hanno assunto per la storia successiva ha spesso spinto ad ingigantire gli avvenimenti accaduti in questo arco di tempo o a guardarli attraverso la lente deformante della storia degli effetti, o, peggio, ad isolarli rispetto al più ampio contesto imperiale romano. L'enorme visibilità che Gesù ha dato a quanti sono entrati con lui in contatto - farisei, scribi, sommi sacerdoti, Ponzio Pilato... - ha fatto perdere di vista la reale dimensione storica di queste figure, il loro effettivo ruolo politico-sociale e i poteri concreti di cui disponevano. E così, in modo quasi paradossale, il contesto politico e sociale con cui Gesù entra in contatto nella brevissima parentesi del suo operato pubblico è stato elevato a immagine dell'intero giudaismo del I secolo. L'intento di questo volume è quello di restituire alla dinamica della storia quel periodo fondamentale che va dal 4 a.C., anno in cui muore Erode, al 44 d.C., quando finisce la breve esperienza di Agrippa I, ultimo re nella storia di Israele: sono anni densi e complessi in cui Roma proverà, per scelta di Augusto, a rinunciare all'appoggio di un re-vassallo e a imporre, non senza esitazioni, errori e ripensamenti, il proprio controllo sulla regione.
Roma, fine anni Sessanta, borgata dell'Acquedotto Felice: centinaia di migranti provenienti dal Centro-sud vivono nelle baracche. Un giovane prete, Roberto Sardelli, decide che è quello il posto in cui andare a vivere; non solo: è il luogo ideale per fare una scuola. E quella che nascerà nella baracca n. 725 sarà una delle più straordinarie iniziative di pedagogia popolare mai realizzate in Italia. Le lezioni di don Sardelli, basate sul nesso tra istruzione e riscatto sociale, non forniscono solo nozioni, ma trasformano la testa dei giovani. La miseria e l'emarginazione possono essere sconfitte attraverso la presa di coscienza della propria condizione e attraverso lo studio: questa è la lezione più importante che i ragazzi apprendono. Rivoluzionare sé stessi per rivoluzionare la realtà in cui si vive e la realtà che appare più remota, ma in cui ci si rispecchia. Tutto ciò nella «dolorosa coscienza - scrive Alessandro Portelli nella prefazione - che per gli "ultimi" ogni conquista è pagata con pesanti prezzi umani ed è anche precaria e spesso deludente». Prefazione Alessandro Portelli.