La migliore «lezione» è quella che insegna a controllare le emozioni con l'intelletto e a muovere l'intelletto con le emozioni. Quotidianità e culmine di una via alla conoscenza, la lezione, così come la pensa e desidera Gustavo Zagrebelsky, è insieme un tempo e un luogo di amicizia - di filìa -, creativo tanto per gli studenti quanto per il professore. «La lezione è una sorta di chiamata a raccolta intorno al sapere». La lezione mette insieme persone diverse e parole diverse: è, anzi, una «casa delle parole», parole con le quali professore e studenti creano il mondo nominandolo. «La scuola e la lezione, che si nutrono necessariamente di parole, hanno di conseguenza questo dovere primario: usarle con tutte le cautele del caso, sapendo che il veleno dell'equivoco è sempre in agguato». Lezione si fa insieme, come una passeggiata fra amici. Amici, però, soprattutto della conoscenza. Se il professore inevitabilmente deve sedurre, deve farlo non verso se stesso, bensì verso la materia che tratta. A lezione c'è «fascino» se c'è «voglia» di partecipare... «con allegria, commozione, paura, turbamento: insomma con l'intelletto e l'emozione». A lezione, nessuno può permettersi di «ripetere» e basta, se si fa sul serio. Né gli studenti né il professore. Tutti, ognuno per la parte che gli compete, devono partecipare al processo della ricerca. La lezione pensa se stessa mentre si sviluppa, con pause, digressioni, interventi di qualche studente, per poi riprendere il filo, il cammino. Per tutto il resto basterà il manuale, quello sì, per forza, fisso e ripetitivo, semplice strumento di supporto, sostituto impossibile della creatività e, di piú, della vivacità della lezione. Come voti ed esami del resto, che, con un simile tipo di lezione, diventano quello che sono da sempre: mero controllo degli «strumenti» di base per addentrarsi nella materia. L'organismo vivente della «classe» è una società in miniatura e così «la costruzione di una classe può essere vista come una prefigurazione, una promessa, un'immagine della società che vogliamo costruire, competitiva, discriminatoria, violenta oppure cooperativa, ugualitaria, amichevole». Ciò che in fondo la scuola richiede è di pensarsi in modo utopico, come qualcosa cui si lavora incessantemente ben sapendo che la perfezione è irraggiungibile. Solo allora vale la pena di essere severi. E, quando occorre, eretici.
In questo libro, fondato sullo spoglio di diari, romanzi, carteggi e riviste, Raffaele Liucci affronta un tema a lungo espunto dalla memoria ufficiale: la seconda guerra mondiale vissuta, raccontata e talvolta sofferta dagli intellettuali italiani, che sono rimasti a osservarla passivamente, o hanno tentato in tutti i modi di evitarla, perché estranei alla sua sfera ideologica. Da Cesare Pavese a Piero Calamandrei, da Giovanni Comisso a Salvatore Satta, da Alberto Moravia a Tommaso Landolfi, non pochi sono stati gli uomini di cultura che hanno cercato di esiliarsi nella loro "casa in collina", dalla quale osservare la catastrofe, senza esserne travolti, talora ripiegando in un soliloquio estetizzante. Ricostruire le loro vicende, dalla fine degli anni Trenta al secondo dopoguerra e oltre, significa gettare una nuova luce sull'identità della Repubblica, "nata dalla Resistenza", ma figlia anche del disimpegno civile e del rifiuto della Storia.
Cent'anni fa, il 22 aprile 1909, nasceva Indro Montanelli. Nel 2006 Gerbi e Liucci hanno pubblicato "Lo stregone", il primo volume della sua biografia (1909-1957). Ora è la volta del secondo e conclusivo volume (1958-2001), anch'esso fondato sullo spoglio di una sterminata produzione giornalistica e su abbondanti fonti archivistiche inedite. Gli attacchi all'Eni di Enrico Mattei. Le polemiche contro Camilla Cederna e i radical-chic. La campagna per Venezia. Il doloroso divorzio dal "Corriere" e la fondazione del "Giornale". L'attentato brigatista. Il lungo sodalizio con Silvio Berlusconi, troncato all'inizio del 1994 dalla "discesa in campo" del tycoon televisivo. Il fallimento della "Voce" e il ritorno nell'alveo materno del "Corriere". Sullo sfondo di queste e altre vicende, viene rivisitata - nei suoi chiaroscuri l'intera storia politica dell'Italia novecentesca. Ove spicca un battagliero Montanelli, conservatore sì, ma anche libertario e anticlericale, non esattamente quel "bieco reazionario" dipinto per anni da certa vulgata.
Siamo passati dal nazionalpopolare irrisolto all'irrazionalpopolare attraverso una società dello spettacolo sempre più integrale, liberamente totalitaria, attivamente demagogica. L'avanguardia ha fatto scuola, la cattiva maestra e le sue assistenti sono le nuove muse. C'è informazione più che formazione, situazione e non circostanza, divertimento più che intendimento, de-costruzione e non invenzione. Di un cretino patentato con due apparizioni tv si dice "Guarda che non è uno stupido". Se diventa ospite fisso si dice "Bisogna dire che è bravo". Nell'irrazionalpopolare è bello ciò che piace senza un motivo. Anzi, è proprio la mancanza apparente di un motivo a rendere qualcosa incredibilmente più bella. E bello ciò che piace "agli altri come me" e senza un motivo apparente si prova a capire perché. Contribuendo alla crescita del suo successo. Per capire lo si penetra e se ne viene penetrati. Contagiati. Il bello, come il segnale della telefonia mobile, è tutto intorno a noi. Ed è anche dentro di noi, anche se non è nostro. La gara è con il tempo, a vivere ciò che crediamo bello, a fissarlo su un supporto tecnologico: attimo fermati perché voglio capire se sei bello. Novelli Faust incerti ma risoluti, ci basta una macchina fotografica digitale per catturare e riprodurre all'infinito quello che ci piace. Perché viviamo in una società dove regna un imperativo categorico di natura estetica: compiacersi.
Dopo le storie e i personaggi legati al mondo della fabbrica Antonio Galdo racconta le storie di coloro che hanno rifiutato la china che conduce al consumo inconsapevole di tutto ciò che compone la nostra vita, coloro che hanno scelto di non sprecare se stessi. Un agronomo ha creato una rete di "Last minute market": per non sprecare cibo si raccolgono confezioni vicine alla scadenza per orfanotrofi e ospedali. Due celebri cuochi predicano una cucina fatta anche di avanzi. Una ragazza anoressica si fa fotografare nuda per una campagna del Ministero della Salute. La fondazione Civicum fa le pulci a bilanci e spese delle pubbliche amministrazioni: una battaglia di civiltà. A Milano una comunità aiuta a superare la dipendenza dalla febbre degli acquisti. Un monaco camaldolese misura e pesa le parole, le riduce all'essenzialità. Un esperto di clima del CNR racconta i guasti dei nostri sprechi delle risorse ambientali.
L'università italiana sta morendo di nepotismo, scarsa selezione nel vagliare il corpo docente, mancanza di incentivi alla produzione scientifica, incapacità di individuare prospettive da seguire da parte di chi ha il compito di governarne l'evoluzione. L'università italiana non è produttiva né equa, non facilitando la mobilità sociale. Praticamente ogni ministro ha legato il proprio nome a una rivoluzione dell'università, suscitando dibattiti infiniti su ogni comma di legge. Ma un osservatore esterno che guardasse ai risultati invece che ai mille rivoli delle normative non si accorgerebbe di nulla. Ciò che serve è una cosa sola: abbandonare l'illusione di poter controllare tutto dal centro e introdurre invece un sistema di incentivi e disincentivi efficaci. Questo saggio è la fotografia impietosa di una catastrofe educativa che pesa sul futuro dell'Italia. Ma anche la coraggiosa proposta di alcune riforme semplici e radicali, per rompere definitivamente con decenni di palliativi. Un sistema dove sia nell'interesse stesso degli individui cercare di fare buona ricerca e buona didattica ed evitare comportamenti clientelari. Un sistema in cui ogni ateneo possa fare quello che vuole, ma dove chi sbaglia sia chiamato a pagare. Un sistema che elimini la straordinaria iniquità attuale, in cui le tasse di tutti finanziano l'università gratuita dei più abbienti.
Nell'India splendente del boom economico, centinaia di milioni di persone non riescono a mangiare due volte al giorno. Analfabeti, oppressi dalla povertà e dalla divisione in caste, vivono in uno stato costante di paura e insicurezza. Da trentacinque anni, la "Scuola dei piedi nudi" di Bunker Roy cerca di migliorare la vita dei contadini insieme a loro, offrendo risultati tangibili: trovare acqua per irrigare la terra, curare le malattie, vedere i propri figli frequentare la scuola. A Tilonia, migliaia di giovani che nessuno avrebbe impiegato sono addestrati a una professione. I criteri per la selezione sono semplici: devono essere poveri e analfabeti. La speranza è che un giorno siano in grado di stare in piedi da soli, guardando al mondo come esseri umani.
Il nuovo terrorismo fondamentalista è un fenomeno per definizione sovranazionale; ma le legislazioni antiterrorismo rimangono incardinate sullo Stato nazionale. Con quali strumenti giuridici affrontare la nuova minaccia senza mettere in discussione le nostre concezioni di libertà. Dove comincia il bisogno di sicurezza? Come deve essere ridefinito il concetto di garanzia individuale nelle nuove condizioni? Come lavorano le istituzioni internazionali su questi temi? L'autrice, un magistrato da anni impegnato in questo campo, accompagna il lettore tra i molti interrogativi che attraversano la nostra coscienza civile e giuridica nel tempo nuovo del terrore globale.
La mancanza di talenti è un aspetto del declino italiano. Perché il talento non è un dato naturale ma un prodotto di un sistema che va orientato attraverso politiche d'investimento, economiche e non può essere relegato a ciclici e generici dibattiti sulla ricerca o sui giovani. Saper coltivare e valorizzare il talento non è un optional, ma un imperativo per competere nell'economia di oggi, che chiama in causa tutti i principali attori del nostro sistema socio-economico: università, imprese, sistema sociale e territoriale. Il fallimento italiano è rintracciabile in problemi e ritardi in ciascuno di questi ambiti, che il libro analizza e discute in profondità, proponendo anche alcune soluzioni strutturali per affrontare il problema.
Con il referendum del 1987 l'Italia ha deciso di chiudere le sue centrali nucleari. Ma oggi la battaglia per l'ambiente passa per una politica energetica che non escluda il nucleare, come fonte energetica a zero emissioni di idrocarburi e come unica vera alternativa alla dipendenza energetica delle importazioni di gas e petrolio. Il leader storico dell'ambientalismo italiano spiega perché e, nel farlo, ripercorre vent'anni di discussione pubblica italiana sulle politiche ambientali ed energetiche. Racconta le tappe della discussione fino all'arrivo della legge del 1987, e spiega quella che per lui non è un'abiura del verbo ambientalista, ma l'espressione della consapevolezza che la soluzione sia nelle tecnologie. Innanzitutto in quelle che ci possono consentire di usare l'energia in modo più efficiente, nelle fonti alternative, nel miglioramento dei consumi e dei combustibili nei trasporti, ma anche nell'uso dell'energia nucleare.
Alcuni sostengono che il capitalismo avrebbe imboccato una strada di autodistruzione di cui si può prevedere il necessario percorso e la sua inevitabile fine. Per Giorgio Ruffolo non è vero. Non c'era niente, nel passato del capitalismo, che fosse necessario e inevitabile. E non c'è niente di simile nel suo futuro. Perché le origini del capitalismo possono essere rintracciate ben prima della nostra epoca, prima dell'emersione del volto potente e inquietante dell'impresa contemporanea. Perché già l'antichità dell'Occidente, tra Grecia e Roma, conteneva in sé i segni di quella attrazione verso il denaro e verso la produzione di valore che costituisce l'essenza della produzione e dello scambio capitalistico. Il passato del capitalismo gode quindi una durata straordinariamente lunga, e questo spinge Ruffolo a guardare al futuro nella certezza che il capitalismo non avrà vita troppo breve. Perché esso ha dentro di sé la capacità di adattarsi ai tempi più diversi, l'elasticità necessaria a catturare l'immaginazione degli uomini di qualsiasi epoca, gli strumenti indispensabili per continuare a essere lo scenario economico del futuro.
Nel 2008 saranno passati trent'anni dal rapimento di Aldo Moro. Il 16 marzo 1978 venne rapito dalle Br in via Fani, a Roma. Nei 55 giorni di prigionia scrisse numerosissime lettere, alcune delle quali furono secretate dal Parlamento dopo il primo processo. I politici italiani, nonché i giornalisti, si affannarono a dichiarare che le lettere erano prive di valore perché risultanti da una costrizione. Erano certo lettere criptiche, allusive, scritte da un uomo che vedeva progressivamente chiudersi gli spazi di ascolto. Miguel Gotor riordina cronologicamente l'intero carteggio, con alcune lettere mai prima d'ora pubblicate, e ne offre un'edizione critica cui applica il rigore interpretativo della filologia storiografica. Il risultato è un quadro impressionante dell'Italia di quegli anni, con un uomo prigioniero al culmine della sua carriera politica che giudica la nazione e i colleghi politici; senza ipotesi immaginifiche ma con una serie di informazioni suggestive e inquietanti.
Cos'è accaduto ai Democratici americani negli anni del lungo dominio di George Bush? Quali idee muovono il mondo della sinistra statunitense? Con quale proposta politica si presenteranno allo scontro per la vita e per la morte delle elezione presidenziali del novembre 2008? E infine, sarà davvero Hilary Clinton il candidato per la Casa Bianca? Sono alcune delle domande a cui risponde questa indagine nel mondo politico e intellettuale della sinistra americana, all'inizio di quello che sarà il decisivo anno elettorale.
Dominata da servizi innovativi e ad alto valore aggiunto, destinata a far tramontare la cultura del lavoro salariato, la società della piena disoccupazione è un fenomeno che spaventa e genera polemiche. Alle classi dirigenti spetta prendere atto che il problema non è combattere il precariato, ma garantire opportunità di lavoro e protezione sociale per chi deve affrontare una vita lavorativa più frammentata. Con i nuovi meccanismi di produzione del quaternario il lavoro resterà necessariamente flessibile e volatile. Per la politica la sfida è complessa e ineludibile. Solo le comunità capaci di adattarsi al cambiamento, anche rivoluzionando l'organizzazione dello Stato sociale, riusciranno a ottenere benefici dall'avvento della società dei servizi personalizzati. Mentre i mercati del terzo mondo sfruttano la disoccupazione per affermare le proprie merci nei mercati aperti mondiali, nell'Occidente avanzato molti sono disoccupati perché sempre in formazione, imprenditori a rischio di fallimento o di spiazzamento competitivo, in cerca di un nuovo lavoro, con un assegno minimo, disoccupati perché lavoratori part-time o stagionali o a contratto a termine. Ma la strada intrapresa dalla politica economica per garantire crescita e sviluppo può paradossalmente dare al lavoratore più potere e porre alla politica nuovi e assillanti problemi.
L'autobiografismo è un aspetto peculiare dell'identità ebraica, che accomuna gli scritti della tradizione biblica alla letteratura contemporanea. Elena Loewenthal percorre questo filo, riflettendo sulla consapevolezza di sé del mondo ebraico e muovendosi tra Ezechiele e Philip Roth, Umberto Saba e Amos Oz, Arthur Miller e Saul Bellow. La prospettiva che cerca è quella della fuoriuscita dal compiacimento addolorato della storia ebraica; i temi che incontra sono quelli dell'ebraismo politico e culturale contemporaneo. Il tono è, nonostante l'importanza e complessità del tema, anche ironico e leggero, nel tentativo di muoversi "à la Chagall" sopra la volatile identità ebraica.
In Camerun Jean-Paul Pougala è figlio di un notabile, ma è obbligato a lasciare l'Africa a metà degli anni Ottanta. Ora è un piccolo imprenditore che lavora tra l'Africa, Torino e la Cina. In questo libro racconta la sua storia, ma ha anche modo di denunciare le condizioni di vita africane: Pougala è nato in una società patriarcale, suo padre ha trenta figli da varie mogli. Quando con la madre è cacciato di casa decide di tentare la via dell'emigrazione e si ritrova a studiare in Italia, all'Università di Perugia. Ma anche in Italia sperimenta condizioni di vita non sempre agevoli. Al suo arrivo si sente isolato dai compagni di università per le paure di quegli anni legate all'AIDS. E non è quella l'unica forma di apartheid subdolo e pervasivo che sarà costretto a subire, e che per un certo periodo della sua vita ha prevalso persino sull'immagine che egli aveva di sé. Il percorso di un uomo nuovo, una storia di vera globalizzazione personale.
Un viaggio nell'universo politico, culturale, antropologico ed estetico della destra postfascita italiana, nata nel 1995 dallo scioglimento del Movimento Sociale Italiano e dalla nascita di Alleanza Nazionale. Alessandro Giuli racconta un passato che non passa, guardando alle tribolazioni identitarie di un mondo che non ha ancora sciolto i nodi della propria natura e della propria vera funzione: l'uso del potere, il leaderismo, l'estetica, l'antropologia del quotidiano postfascista. Nello stesso tempo ritrae anche l'universo dei militanti che, quasi a dispetto dei propositi della dirigenza politica del partito, non paiono essersi molto allontanati da un mentalità che si riconosceva sotto il segno dei Ray-Ban o degli stivaletti a punta, o aveva come letture obbligate i testi di Evola o Jünger... Il ritratto dii coloro che, delusi e scettici, guardano con diffidenza il nuovo corso della destra finiana: l'altra metà oscura del bipolarismo ideologico italiano.
Subito dopo la fine della Prima guerra mondiale, dal 1919 al 1926, sulle rovine dell'Impero ottomano, la Turchia e le potenze vincitrici si contendono il controllo su una piccola provincia del neonato Regno di Iraq. La zona di Mossul, ricchissima di petrolio, diventa l'epicentro di un conflitto politico e diplomatico che rischia più volte di farsi armato. È una crisi che per la prima volta rivela l'abbraccio incestuoso tra diplomazie occidentali e interessi petroliferi, in uno schema che non sarà mai più così chiaro e trasparente. Ma è anche la prima esibizione muscolare di Mussolini nel mondo, in una vicenda che mostra i tratti già vecchi di un regime in formazione. Una vicenda profetica e appassionante, che Mauro Canali ci racconta sulla base di documenti inediti raccolti negli archivi italiani e statunitensi.
L'antipatia e il risentimento contro gli Stati Uniti hanno rappresentato una componente importante della cultura europea sin dai tempi della Rivoluzione americana, molto prima che l'America diventasse quella che è oggi. Per secoli l'antiamericanismo è stato un elemento cruciale, talvolta dominante, tra le élite europee. Oggi, con la presidenza di George W. Bush e la risposta americana agli attacchi terroristici dell'11 settembre, assistiamo ad un imponente aumento dell'ostilità contro gli Stati Uniti da parte dei rappresentanti dell'opinione pubblica europea. E per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, il risentimento che le élite coltivano da tempo contro gli Stati Uniti si è mescolato a sentimenti popolari dando origine ad una "tempesta perfetta" di natura politica e culturale.
Ripercorrendo allegoricamente le principali tappe della vita del Profeta, l'autore costruisce una sorta di manifesto-manuale per i milioni di musulmani che vivono in terre occidentali, esortandoli a rafforzare una propria presenza politica e culturale del tutto autonoma dalle contaminazioni della civiltà cristiana e a coinvolgersi più integralmente nelle comunità islamiche in cui si trovano a vivere. Un invito avversato da più parti politiche che mette al centro del dibattito l'esigenza di considerare un Islam non antagonista ma nemmeno collaborativo, difficilmente riconducubile alla logica occidentale della mediazione.
Lucia Annunziata ci restituisce le atmosfere e i protagonisti del 1977 spesso gli stessi protagonisti dell'Italia di oggi immortalati nella loro giovinezza - intrecciando ricordo privato e indagine storico-giornalistica intorno a uno dei passaggi fondamentali della nostra storia recente. Perché nel 1977 l'Italia esplode in migliaia di piccoli e grandi scontri di piazza, drammi privati e collettivi, scaramucce politiche e intellettuali. Scivolando in un caos sempre più cupo e violento, che avvolge il paese in una cappa da cui nessuno riesce a sottrarsi. Mentre la sinistra si frantuma in mondi conflittuali, la persecuzione prende il posto della politica, i padri vengono ripudiati e uccisi. È l'anno in cui inizia a morire la Repubblica nata dalla Resistenza. Lo spartiacque dopo il quale l'Italia non sarebbe più stata la stessa.
La globalizzazione non è un male e va abbracciata. A sostenere questa tesi è Stiglitz, autorevole sostenitore della critica alla globalizzazione liberista. Si tratta forse di una ritrattazione del Premio Nobel? In realtà, è il frutto di una constatazione: se la globalizzazione è un processo inevitabile, è possibile farla funzionare in direzione del benessere dei paesi più arretrati e dei cittadini dei paesi avanzati attraverso un mix di politiche di solidarietà e di intervento delle istituzioni internazionali.
Il "regno" di Camillo Ruini a guida della Conferenza Episcopale Italiana ha coinciso con la stagione di massima confusione della politica italiana: cattolici dislocati in entrambi gli schieramenti, la transizione tra un papa forte e un papa dalla fama conservatrice. L'autore riflette sulla dimensione pubblica della chiesa italiana e sul suo rapporto con la politica, nel momento in cui, in assenza di un unico partito cristiano, la Chiesa sembra sempre più decisa a entrare direttamente e senza mediazioni nel dibattito politico, impegnata nella conquista dell'immaginario, dei media, della politica. Cardinali e laici, vecchie associazioni e nuovi movimenti, integralisti e disubbidienti. La forza e la debolezza, la resistenza e gli accomodamenti, le piccole manovre e le visioni epocali. In gioco c'è la sopravvivenza stessa del cristianesimo.
L'Occidente ha sempre inseguito il sogno di carpire i segreti della Cina, della sua prodigiosa vitalità e ricchezza. E la Cina non ha mai amato troppo l'interesse degli stranieri, ai quali ha spesso fatto credere ciò che volevano credere. Cosi, in un raffinato gioco di schermi e di specchi, è nato un altro paese: la Cina degli occidentali. Rappresentato bene da un nome - Cina - che viene utilizzato solo in Occidente. Di volta in volta, questa Cina immaginaria è stata terra di immense ricchezze (XVII secolo), modello di ogni buona amministrazione (XVIII), pronta all'Occidente e alla Cristianità (XIX), rivoluzionaria pacifica e virtuosa (negli anni della rivoluzione culturale maoista). Oggi quel paese appare interessato solo al denaro e all'economia. Ma esiste un'altra Cina, al di questo luogo sognato nello specchio occidentale? E come riconoscerla? Zhou Enlai non avrebbe dubbi, come disse a Henry Kissinger: "I misteri cinesi scompaiono in un solo modo, studiando".
Qual è una politica estera di sinistra? Un interrogativo antico ma ancora privo di risposta. Dinanzi alle decine di regimi dittatoriali del pianeta, i progressisti possono accontentarsi di difendere lo status quo e la stabilità? Non è, invece, più coerente con la missione di una sinistra delle libertà promuovere la democrazia in tutte le sue forme e, dunque, lottare contro le tirannie? Da Carlo Rosselli ad Amartya Sen, da Arthur Koestler a John F. Kennedy, da Bill Clinton a Tony Blair, nel corso del Novecento la sinistra ha fatto dell'espansione della democrazia la sua migliore bandiera. In un mondo non meno tormentato, quella bandiera non deve essere abbandonata, a costo di sfidare le convenzioni del pacifismo e dell'antiamericanismo. Un libro non conformista che interroga la coscienza civile della sinistra italiana.
Dopo un'introduzione generale del curatore, il volume è organizzato per voci affidate ciascuna a un autore diverso. Ogni voce mette in relazione il concetto di laicità con la politica, le istituzioni democratiche, la ricerca scientifica, la nazione e la patria, la storia, la scuola, la vita e la morte, la fecondazione assistita, le biotecnologie, il darwinismo, il liberalismo, il relativismo. Una variegata mappa di concetti che rivendicano la legittimità del pensiero laico, nel momento in cui il terreno della cultura laica sembra essere diventato oggetto del contendere da parte di numerosi fondamentalismi, non solo religiosi. Firmano le voci, tra gli altri: Giulio Giorello, Gian Enrico Rusconi, Gilberto Corbellini.
Indro Montanelli rappresenta un caso unico nella storia del giornalismo italiano. Sarà per l'impareggiabile facilità di scrittura o per il temperamento sulfureo e anarco-conservatore, o anche per l'inusuale longevità professionale. Fatto sta che a cinque anni dalla scomparsa, la sua fama di testimone del Novecento rimane intatta. La grande firma del "Corriere della Sera" è tuttora oggetto di animate discussioni, i suoi lavori sono costantemente ristampati e opinionisti di ogni tendenza ricorrono alle sue sferzanti battute. Questo libro affronta Montanelli attraverso la sua sterminata produzione giornalistica, le sue opere a stampa e una miriade di fonti archivistiche finora inesplorate.
A quali condizioni la compassione è un motivo appropriato per l'eutanasia? In quali circostanze può essere un atto di benevolenza responsabile? E soprattutto, si può almeno discutere della possibilità di dare la morte a chi si trovi in uno stato di sofferenza estrema e senza speranza? Da sempre la morale e la religione si interrogano sull'eutanasia. Oggi la discussione si è fatta pubblica e appassionata, lungo linee di contrapposizione che attraversano la nostra società in modo spesso manicheo. Goffi guida il lettore attraverso i dilemmi etici e morali dei quali si compone la contesa sull'eutanasia, rendendoli comprensibili a chiunque si interroghi sul valore della vita e sul senso del dolore.
La presidenza Ciampi rappresenta una svolta per il sistema politico e istituzionale italiano. È la prima elezione presidenziale in un sistema maggioritario ed è una scelta "bipartisan" nel contesto di un bipolarismo fortemente antagonista. Ciampi riflette questo mandato con una strategia di esternazioni equidistanti, rompendo una tradizione di presidenti "militanti" come Cossiga o Scalfaro. Questo, che sembra il limite tipico del tecnocrate, definisce la sua politicità: pungola il centrosinistra e le sue involuzioni identitarie, puntella il centrodestra e le sue derive plebiscitarie. Se Berlusconi scavalca il Parlamento rivolgendosi direttamente all'opinione pubblica, Ciampi vive la difficile coabitazione, regolando il conflitto.
Sono molti i temi, legati alle attuali incertezze economiche, trattati dai due autori: la genesi e il declino del ceto medio, dalla rivoluzione mercantile alla globalizzazione; il crepuscolo del consumatore borghese, avverso al rischio e in grado di trasferire valori da "classe media" alla generazione successiva; la nascita delle nuove enormi catene commerciali, la crisi della fabbrica industriale in Occidente; la rivoluzione del low cost e il suo farsi sistema; i nuovi ceti medi che ormai abitano in Cina, Brasile, Sudafrica, Russia; la scomparsa dei privilegi di welfare del ceto medio tradizionale, schiacciato da un nuovo contratto sociale: Stato minimo e welfare low-cost. Problemi che investono tutto l'Occidente, ma cosa significano per l'Italia?
C'è chi ancora pensa ai gastronomi come a una cricca di mangioni egoisti, incuranti di ciò che sta loro attorno. Certo, il cibo può e dovrebbe essere un piacere, ma mangiare, ci fa riflettere Carlo Petrini, è anche "un atto agricolo": selezionando cibi prodotti con criteri che rispettino l'ambiente e le tradizioni, favoriamo la biodiversità e un'agricoltura equa e sostenibile. Di conseguenza, se nutrirsi è un "atto agricolo", produrre dev'essere un "atto gastronomico" conforme ad almeno tre criteri essenziali: buono, pulito e giusto. Attraverso frammenti autobiografici intercalati a meditate riflessioni, cifre e proposte concrete, l'autore ci fa comprendere quanto è ampia oggi la galassia delle discipline che gravitano intorno al cibo.
L'espressione "capitalismo personale" mette insieme due termini contraddittori, che in passato si è cercato di separare. La natura impersonale del capitale lo identificava con l'azienda, mentre la persona apparteneva allo spazio proprio della vita privata. Oggi però il capitale ha sempre più bisogno delle persone, che si impegnino nelle aziende utilizzando al meglio le proprie capacità e sviluppando autonomie crescenti: una grande opportunità, non indenne tuttavia da rischi e sofferenze. Sommando diverse categorie, la metà del lavoro prestato oggi in Italia è riconducibile, secondo le stime del Censis, a figure di "capitalisti personali". Si tratta di una vera e propria rivoluzione, che gli autori documentano con le parole dei protagonisti.
È urgente democratizzare la finanza: non solo nei paesi in via di sviluppo ma anche in Europa, dove il crescente ricorso al lavoro precario rende l'accesso al credito sempre più problematico. Tra il liberismo selvaggio e le declinanti politiche di welfare, ispirate a un'anacronistica concezione provvidenziale dello Stato, la microfinanza può, invece, giocare un ruolo importante riconciliando la logica del profitto con quella dell'interesse comune. Il microcredito (che ha sottratto negli ultimi decenni più di 60 milioni di persone nel mondo dallo stato di povertà) costituisce cosi una valida terza via, permettendo agli esclusi di diventare creatori in proprio di ricchezza.
Iraniano, diplomatico e ministro, Majid Rahnema ha rappresentato il suo Paese alle Nazioni Unite. È stato membro del Consiglio esecutivo dell'Unesco, insegna regolarmente negli Stati Uniti. In questo volume offre una critica radicale e nuova del mondo globalizzato, un excursus storico sulla povertà, sull'evoluzione del significato della parola povero e un'analisi della situazione sociale dei poveri nel mondo, oggi più che mai miserabili, vittime di un'economia che si pretende in grado di soddisfare i bisogni e invece distrugge persino la possibilità di una dignitosa povertà.
Tra i fondatori del Partito d'azione, Giorgio Agosti appartiene a quella generazione di uomini che ha segnato un'impronta profonda nella cultura nazionale di una "Italia civile", trasmessa in eredità dal Novecento al nuovo secolo. Il diario che ha lasciato, con alcune anticipazioni relative al 1946-47, abbraccia senza interruzioni quasi trentacinque anni di storia repubblicana, dal 1953 al 1988. Giorno per giorno si succedono commenti alla situazione politica interna e internazionale, resoconti di incontri con amici e maestri, come Salvemini, Calamandrei, Galante Garrone, Bobbio e tanti altri. Il diario è curato dal figlio Aldo.
Che cosa devono fare gli Stati Uniti per esercitare positivamente la loro egemonia di prima potenza mondiale evitando di alienarsi il resto del mondo? Per l'autore del "Paradosso del potere americano" la risposta è univoca: produrre "soft power". Il termine, coniato dallo stesso Nye verso la fine degli anni Ottanta, consiste nella capacità di attrarre e persuadere, è legato alla cultura, agli ideali politici e alle politiche di un Paese, tanto quanto l'"hard power", la capacità coercitiva, è il frutto della forza militare ed economica di una nazione.
I genitori di oggi cercano di assolvere il loro ruolo meglio che possono e, oppressi dai sensi di colpa, sono diventati succubi dei loro figli. Il risultato è perlomeno paradossale: le relazioni di coppia si sono compromesse, i ruoli non sono più ben definiti, e i figli sono diventati dei tiranni domestici. Un saggio controcorrente che tratta di padre, madre e bambino, un trio in cui bisogna riequilibrare i rapporti.
Inverno 1944, la direzione centrale dei campi di concentramento invia una richiesta all'ufficio della Gestapo di Buchenwald chiedendo del deportato Jorge Semprún, di anni venti, matricola numero 44.904. I comunisti prigionieri nel campo intercettano il messaggio e decidono di nascondere il giovane dietro l'identità di un altro detenuto agonizzante. Il ricordo di questa sostituzione serve all'autore per raccontare, dall'interno, non solo l'orrore, la sofferenza e la morte in un campo nazista, ma anche i rapporti di potere tra i detenuti, i tradimenti o gli atti di solidarietà, il ruolo del partito, l'atmosfera di una Parigi occupata, il suono di un nome, il sorriso di una donna, l'aria di una canzone, di una poesia che aiuta a vivere.
Giovanni Agnelli non è stato solo il leader della Fiat, dell'ammiraglia del capitalismo italiano. È stato anche uno dei pochissimi esponenti della nostra classe dirigente ad aver raggiunto e mantenuto per quasi cinquant'anni una posizione di particolare rilievo nel Gotha internazionale. Dai suoi numerosi discorsi nei vari sodalizi e dal suo vasto giro di rapporti e conoscenze al di qua e al di là dell'Atlantico, nonché dal saggio introduttivo di Valerio Castronovo, si ha modo di riscontrare quale importanza abbiano avuto la figura e l'opera di Agnelli nell'accreditare nel mondo un'immagine di Italia impegnata tanto sul fronte della modernizzazione che su quello dell'integrazione europea.