"Noi ragioniamo di centocinquant'anni di Italia unita, ma non dobbiamo perdere di vista che l'unità italiana ha conosciuto tre fondazioni. Alla prima fondazione, che ebbe luogo a conclusione del Risorgimento e diede vita nel 1861 allo Stato monarchico liberale, seguirono la seconda nel 1922-25 con la formazione dello Stato fascista e la terza nel 1945-1947, dopo la fine della guerra civile e della Resistenza, che costituì lo Stato democratico repubblicano. Fondazioni di 'tre Italie' prodotte una dalla fine degli antichi Stati e le altre due da crolli o crisi di regime. Non deve sfuggire che ciascuno di questi eventi segnò la nascita di una 'nuova Italia', con un inevitabile lascito di laceranti discordie. L'Italia del Risorgimento si ammantò della virtù di avere finalmente ridato alla penisola l'indipendenza perduta nel Cinquecento, di aver posto fine alla secolare frammentazione e congiunto lo Stato nuovo agli Stati liberali d'Europa, con l'estensione delle istituzioni del Piemonte al resto del paese. Poi il fascismo si assegnò la gloria di rappresentare un secondo Risorgimento, che faceva rivivere l'anima migliore del primo e dava vigore a quell'unità nazionale che prima era propriamente mancata: un'unità eretta sulla fine degli antagonismi politici e sociali, sulla raggiunta concordia tra capitale e lavoro, sul governo di un capo infallibile, sulla riconciliazione tra lo Stato e la Chiesa e sull'ingresso della nuova Italia nel novero delle grandi potenze d'Europa".
Una 'cucina italiana' intesa come modello unitario, codificato in regole precise, non è mai esistita e non esiste tuttora. Se però la pensiamo come 'rete' di saperi e di pratiche, come reciproca conoscenza di prodotti e ricette provenienti da città e regioni diverse, è evidente che uno stile culinario 'italiano' esiste fin dal Medioevo.
Le identità non sono inscritte nei geni di un popolo ma si costruiscono storicamente, nella dinamica quotidiana del colloquio fra uomini, esperienze, culture diverse. L'italianità della pasta, o del pomodoro, o del peperoncino è fuori discussione. Ma è anche fuori discussione che la pasta, il pomodoro, il peperoncino appartengano in origine a culture diverse. È esattamente questo il genere di identità che dobbiamo cercare nella storia alimentare e gastronomica di un'Italia che si modella come spazio di valori comuni, di saperi e di sapori condivisi.
L'Italia ha bisogno di un ponte solido tra società e politica e lo vuole. Per costruirlo occorre un pilone centrale che può essere costituito dalle piccole imprese, dalla loro volontà di essere finalmente protagoniste. Forse è un sogno, ma del genere di quelli su cui si può scommettere. Se i sogni sono condivisi possono realizzarsi.
Repentini crolli di fatturato e produzione, conflitti con le banche, fino a drammi personali: la crisi dell'imprenditoria è cronaca di tutti i giorni. E se, invece, la piccola impresa fosse la grande risorsa per il futuro dell'Italia? Giangiacomo Nardozzi si rivolge agli oltre trecentomila piccoli imprenditori del nostro Paese che rappresentano un 'saper fare' vivace e creativo ammirato nel mondo e che proprio per questo potrebbero assumere un peso che non hanno mai avuto nel discorso politico. Sarebbe una gran bella svolta, e non solo per l'economia.
Sappiamo ancora parlare la nostra lingua? Se non lo facciamo è responsabilità degli insegnanti o di un cambiamento culturale profondo? Quanto conta ancora l’ora di italiano? L’opinione di un linguista di eccellenza su un tema che riguarda tutti.
Il professore di lettere si trova oggi tra due fuochi. Da un lato le polemiche, di grande risonanza mediatica, sulla scarsa preparazione dei ragazzi non soltanto rispetto all’ortografia e alla sintassi, ma anche sulla padronanza di quel lessico un po’ più alto (velleitario, dirimere, faceto...) che può capitare di incontrare anche solo leggendo l’editoriale di un quotidiano; dall’altro, dopo decenni, il primato umanistico ha subito un complessivo ridimensionamento a favore delle materie scientifiche. L’italiano resta comunque l’asse portante di qualsiasi progetto didattico: sono in gioco la capacità di capire quel che si legge, di articolare un discorso efficace, di imparare il gusto della lettura e di accostarsi al patrimonio dei classici. Alla luce di una lunga esperienza e di una grande sensibilità didattica, Luca Serianni, tra i ‘saggi’ incaricati della supervisione dei nuovi programmi che entreranno in vigore nel settembre 2010, riflette a tutto campo sullo stato dell’italiano a scuola, guardando anche al latino, il tradizionale asse portante della cultura umanistica dall’Unità a oggi. Non si tratta di mettere sotto accusa qualcuno, men che meno gli insegnanti alle prese con un lavoro che viene scelto quasi sempre per vocazione ma deve fare i conti, oltre che con le ristrettezze di bilancio, con un precario riconoscimento sociale; si tratta di proporre riflessioni e suggerimenti operativi che rendano più efficace l’attività didattica, senza restare, per inerzia o per semplice omaggio alla tradizione, nel solco delle abitudini acquisite.
Indice
Premessa - 1. Le due culture - 2. Scienze e lettere nella scuola - 3. Il latino sul banco degli imputati - 4. L’ora d’italiano: di tutto, di più - 5. Scrivere, esprimersi, argomentare - 6. La grammatica - 7. L’arricchimento lessicale - 8. La letteratura a scuola: alcuni spunti didattici - 9. Perche insegnare i classici (e come) - Nota bibliografica - Indice dei nomi e delle cose notevoli
«Se una grande maggioranza di italiani è orgogliosa della propria italianità, considera un bene l’Unità d’Italia, e si identifica con la patria, allora è lecito concludere che lo stato di salute della nazione italiana appare buono, molto buono, anzi florido. Ma le cose stanno proprio così?»
Il mondo in cui viviamo è diviso in Stati nazionali. Ma l’Italia va controcorrente: alla vigilia del 150° anniversario dell’Unità, il nostro paese sembra afflitto da una grave crisi di sfiducia nella propria esistenza. Molti cittadini pensano che la nascita dello Stato unitario sia stato un errore e che una nazione italiana non sia mai esistita. E vorrebbero prendere un’altra strada; ma non sanno quale. In un mondo di Stati nazionali, gli italiani rischiano di vagare, litigiosi e divisi, verso un futuro incerto e senza meta. Emilio Gentile invita a riflettere su oltre un secolo di storia, per comprendere le ragioni di tanto smarrimento. E, con l’immaginazione, apre uno spiraglio al miracolo della speranza.
Indice
Prefazione - I. Italia unita cento anni fa. 1911 - II. Italia unita cento anni dopo. 2011 - III. Nel mondo degli Stati nazionali - IV. Il Miracolo dello Stellone. 3111 - Nota dell’autore
In breve
Questo non è l’ennesimo libro dedicato alle sorti contingenti della sinistra o della destra, all’analisi teorica dei loro mali, ai consigli (peraltro non richiesti) sugli oggetti e i metodi delle loro politiche, all’interrogativo se la prassi debba essere moderata o antagonista, istituzionale o radicale. Il discorso che qui si svolge non vuole distribuire patenti di ‘vera’ sinistra né di ‘vera’ destra, ma spiegare come e perché queste categorie politiche moderne continuano ad avere senso anche in uno scenario largamente postmoderno.
Indice
Premessa – 1. Una dicotomia obsoleta? – 2. Gli schemi delle teorie, e la complessità della storia - 3. L’origine della politica moderna, e le sue conseguenze – 4. L’età globale, e il caso italiano – 5. Sul presente, e sul futuro. – Conclusione provvisoria - Bibliografia essenziale
Il percorso dall’anarchia alla giustizia deve passare per l’ingiustizia. Una portata globale della giustizia si raggiungerà solo tramite sviluppi che dapprima accresceranno l’ingiustizia del mondo introducendo istituzioni efficaci ma illegittime.
Berlino ha sempre provocato reazioni contrastanti. È stata detestata da personalità opposte, come Rosa Luxemburg e Konrad Adenauer, per la sua incancellabile impronta prussiana. Ma è stata amata con pari intensità per il suo occidentalismo da letterati e studiosi come Heinrich Mann ed Helmut Plessner. Berlino è l'unica cittadella dell'illuminismo, il luogo della modernità tedesca che vuole conquistare e mantenere il suo profilo di libera città occidentale. Si è incominciato a parlare della Berliner Republik vent'anni fa con grande ambivalenza, nel contesto della decisione del trasferimento della capitale da Bonn. Di fronte alla naturalezza con cui oggi finalmente Berlino è e si sente accettata da tutti - tedeschi, europei e stranieri in generale - come capitale della Germania, si stenta a credere alla preoccupazione con cui la classe politica tedesca a suo tempo ha affrontato la questione. Da dove nasceva lo stato di ansietà per il pericolo di una possibile "orientalizzazione" del Paese? Gian Enrico Rusconi ripercorre le vicende che hanno portato all'epocale caduta del Muro berlinese e le contrastanti interpretazioni che sono seguite, e rintraccia nello scottante tema "dei due Stati tedeschi".
Tutto tende all’Uno: una è la radice culturale e politica dell’Europa, una la via per governare e sanare l’economia, una per costruire l’Unione europea. Da tempo si è smesso di contare oltre l’Uno. Eppure di pensare anche il due se non il tre ce ne sarebbe un bisogno grande. Se nel formulare un’opinione non vengo confrontato con forti obiezioni, sarò contento. Se sono un politico, avrò addirittura l’impressione che si sarà creata una sorta di pace. La pace dell’Uno non è tuttavia pace. È stasi. La verità, lasciata sola con se stessa, non splende più forte. Al contrario: si spegn
Le ossessioni, la retorica, i tradimenti, il tragicomico narcisismo del duce in un piccolo libro che fa riflettere. Denis Mack Smith è lo storico inglese più noto nel nostro Paese.
Quando si è buone madri? E quando buone figlie? E se non si è per niente madri, si può essere buone donne? Le storie parallele di Dacia Maraini e Silvia Vegetti Finzi, l'una portata via dall'Italia e ultra protetta dalla madre mentre è in corso nel Paese la dittatura fascista, l'altra invece abbandonata dalla mamma e dal papà in fuga dallo stesso regime. E i racconti di Anna Salvo, le cui pazienti sul lettino continuano a mettere al primo posto il loro rapporto con la madre. Il libro raccoglie il dibattito che si è svolto sul tema nel corso di una manifestazione intitolata "I dialoghi di Trani", organizzata dall'Associazione Maria del Porto e dai Presidi del libro.
Due verbali, custoditi negli Archivi Vaticani, testimoniano due eccezionali conversazioni tra personaggi molto diversi. Si tratta della testimonianza di un momento particolare della storia della nostra democrazia e dello scontro tra due protagonisti della scena politica e religiosa.
"Sottovalutazione della mafia, limiti politico-culturali di approccio al problema, ambiguità e timidezze: dall'attualità ci vengono tanti motivi in più per rileggere quest'opera di Gaetano Mosca, facendo tesoro di una testimonianza che racconta un mondo lontano nel tempo, ma vicino ai nostri interessi di uomini ancora alle prese con lo stesso fenomeno criminale che affliggeva l'Italia agli inizi del Novecento." (Gian Carlo Caselli e Antonio Ingroia)
Il Giubileo del Novecento sembrava aprire un futuro difficile per il cattolicesimo. Infatti l'età contemporanea è per la Chiesa una vicenda di emarginazione progressiva in una società che si secolarizza, fino a rendere legittima la domanda: il cattolicesimo sta per morire? Gli avvenimenti del secolo hanno dimostrato il contrario. Ad andare in tilt e scomparire sono stati in realtà il comunismo nell'Est e la fede nel progresso laico in Occidente. Nonostante la propria intransigenza, o forse proprio per essa, la Chiesa cattolica si è adattata ad una situazione di crisi fino a sopravvivere, affermare la sua forza e, con l'89, a vincere nell'Est europeo.