Il mondo della scuola attraverso storie vere, tutte immaginate tra banchi e lavagne. Qual è la sostanza della scuola italiana? Quali rituali, frasi fatte, disfunzioni, tic resistono per corridoi e aule? Come interagiscono professori e ragazzi? Chi per anni ha raccontato la scuola in maniera lieve con un malinconico retrogusto che lascia un po' d'amaro, è Domenico Starnone, che è stato a lungo insegnante. Lo ha fatto a partire dal suo esordio letterario, Ex cattedra, libro ormai di culto: la cronaca di un anno scolastico registrata da un docente che annota la quotidiana lotta, la quotidiana complicità tra alunni confusi e insegnanti amareggiati. Seguono le confessioni di Fuori registro, quattordici istantanee così realistiche da sembrare assurde. C'è poi la scuola di Sottobanco, che racconta uno scoppiettante scrutinio di fine anno. E infine il repertorio di Solo se interrogato, dove il difficile compito dell'insegnante viene ricostruito attraverso memorie di quando si è stati studenti, storie di vita quotidiana ed esercizi di immaginazione. La scuola è un piccolo scrigno che conserva momenti di un lavoro lungo e appassionato: quello che Starnone ha svolto nelle aule e quello che ha fatto scrivendo per il piacere di narrare e per amore dell'istruzione pubblica.
Tanti anni prima Lorenza era una ragazza bella e insopportabile, dal fascino abbagliante. La donna che un pomeriggio di fine inverno Guido Guerrieri si trova di fronte nello studio non le assomiglia. Non ha nulla della lucentezza di allora, è diventata una donna opaca. Gli anni hanno infierito su di lei e, come se non bastasse, il figlio Iacopo è in carcere per omicidio volontario. Guido è tutt'altro che convinto, ma accetta lo stesso il caso; forse anche per rendere un malinconico omaggio ai fantasmi, ai privilegi perduti della giovinezza. Comincia così, quasi controvoglia, una sfida processuale ricca di colpi di scena, un appassionante viaggio nei meandri della giustizia, insidiosi e a volte letali.
Quella che stiamo vivendo non è solo una rivoluzione tecnologica fatta di nuovi oggetti, ma il risultato di un'insurrezione mentale. Chi l'ha innescata - dai pionieri di Internet all'inventore dell'iPhone - non aveva in mente un progetto preciso se non questo, affascinante e selvaggio: rendere impossibile la ripetizione di una tragedia come quella del Novecento. Niente più confini, niente più élite, niente più caste sacerdotali, politiche, intellettuali. Uno dei concetti più cari all'uomo analogico, la verità, diventa improvvisamente sfocato, mobile, instabile. I problemi sono tradotti in partite da vincere in un gioco per adulti-bambini. Perché questo è The Game.
Uomo ribelle e ambizioso, pittore inquieto e geniale, Jacopo Robusti detto il Tintoretto ha vissuto solo per dipingere e per la sua arte ha sacrificato tutto (reputazione, guadagni, piaceri), allontanando uno a uno - con la sola eccezione del remissivo Dominico - tutti i figli: le femmine in monastero, via da casa i maschi insofferenti alla sua tirannia. Finendo per perdere anche la prediletta figlia naturale, Marietta, educata contro le convenzioni della società per fare di lei la sua creazione più riuscita: una musicista, una pittrice, una donna libera. Trascinandoci nella Venezia di fine Cinquecento, fastosa e cosmopolita, minacciata dai turchi e devastata dalla peste, Melania G. Mazzucco ci restituisce il quadro di un mondo al culmine del suo splendore eppure presago del declino.
Oggi in Italia tutti hanno una ricetta in tasca per avvicinare gli italiani all'arte. Si tratta spesso di ricette a base di usurate pratiche di marketing, che dovrebbero far digerire Botticelli, come uno zuccherino aiuta a buttar giù la medicina amara, a cittadini considerati soltanto orde di consumatori inconsapevoli e irredimibili. Il risultato è desolante: ammesso (e per nulla concesso) che questa spintissima mercificazione serva a vendere qualche biglietto in più, è certo che non alimenta in alcun modo il nostro dialogo con l'arte. E se invece la ricetta fosse molto più semplice e rispettosa dell'intelligenza di ognuno di noi? Montanari traccia in queste pagine agili e appassionanti una possibile via per un'educazione artistica che sia anche educazione sentimentale e civica. E ci accompagna tra le strade del bello, dove alto e basso si mescolano, dove contemporaneo e classico sono parte di un unico grande discorso, che parte dalle mani impresse sulla roccia in una caverna e arriva a Banksy, passando per Raffaello, Monet, Pellizza da Volpedo e Rothko. «I monumenti ci parlano. In ogni modo provano ad attirare la nostra attenzione, implorano uno sguardo, una nostra sosta. Lo fanno perché, pur eterni o quasi, non vivono se non attraverso la vita dei vivi. Se accettiamo di far loro un po' di spazio nella mente e nel cuore, in cambio essi rendono più intensa, più profumata, più profonda la nostra vita. Temo che nessun produttore o responsabile di rete lo accetterebbe, ma il programma televisivo che davvero vorrei realizzare consisterebbe in una lentissima camminata in una qualunque chiesa storica del nostro Paese: e invece di fermarmi a far due chiacchiere con i passanti e i conoscenti, mi fermerei a leggere ogni lapide. Ognuno di quei brevi testi ha il potere di convocare davanti ai nostri occhi uomini e donne, eventi e pensieri, storie e vite di dieci secoli, e oltre. Dalla più sperduta chiesa si stende una rete di storie che avvolge l'Europa o il mondo interi, capace di farci sprofondare nei recessi intimi della nostra comune umanità».
Se un viaggiatore venuto da molto lontano cominciasse a sfogliare le pagine dei Vangeli totalmente ignaro della loro origine e di ogni possibile implicazione teologica, che cosa leggerebbe? In buona sostanza quattro versioni in parte (ma non del tutto) simili della tragica vicenda di un predicatore che, avendo sfidato il potere della Chiesa e dello Stato, viene processato e condannato a morte. Ma c'è un altro elemento che colpirebbe il nostro ipotetico lettore: la folla di personaggi in cui il protagonista s'imbatte, o da cui è accompagnato, nel corso della sua breve esistenza. Il nostro ipotetico lettore sarebbe colpito dalla diversità delle reazioni, dall'odio implacabile allo smisurato amore. Noterebbe le turbe, il popolo, una folla indistinta, poveramente vestita, rassegnata o crudele, fatta di pescatori, operai dei campi e delle vigne, pastori, in genere illetterati, alcuni gravemente malati, tutti fiduciosi nella storia del loro popolo e nell'aiuto costante del loro Dio. Dallo stupore per questa umanità, dalla meraviglia per queste straordinarie presenze umane, è partito Corrado Augias a colloquio con uno dei maggiori storici del cristianesimo, Giovanni Filoramo. Augias «stringe l'inquadratura» sugli uomini e le donne che appaiono nei Vangeli. Ne esamina le vite narrate dagli evangelisti ma anche i segreti taciuti, le origini o i destini. A cominciare dalla madre del giustiziato, ad esempio, figura che dovrebbe avere carattere centrale e che - stranamente - risulta, invece, appena abbozzata, presenza sfuggente caratterizzata da rapporti spesso aspri con suo figlio. O il padre (adottivo?), piccolo imprenditore edile, più che semplice falegname, perennemente muto di fronte alle straordinarie vicende che il destino gli ha riservato. O le figure enigmatiche e sfaccettate di Giuda e della Maddalena. Con questo libro, Augias e Filoramo riescono in un'impresa difficile: narrarci in maniera sorprendentemente nuova una storia che pensavamo di conoscere.
Gennaio 1920. Al funerale di Modigliani ci sono tutti quelli che contano, i più grandi artisti contemporanei. Eppure nessuno, in vita, lo ha preso davvero sul serio. Con i passi che portano il feretro al cimitero del Père Lachaise cresce però la consapevolezza della nascita di una stella nel firmamento della storia dell'arte. Di colpo le quotazioni dei suoi quadri schizzano alle stelle. Nasce la leggenda di Modí, il maudit, il maledetto. Ma chi era davvero Amedeo Modigliani? Un giovane spavaldo e rissoso o piuttosto un artista combattuto e sensibile? Dall'apprendistato in Toscana, in una Livorno di commerci e affari, agli anni parigini a fianco dei maggiori pittori del primo Novecento, dai rapporti tumultuosi con le donne al tragico epilogo, Corrado Augias con una prosa asciutta, chiara e coinvolgente riesce a restituirci la parabola esemplare di «un grande artista, un uomo infelice e vitale, misterioso dissipatore del suo stesso talento», tracciando allo stesso tempo l'affresco fedele di un'epoca irripetibile.
Secondo il racconto dei Vangeli, Gesù, dopo l'Ultima Cena, si ritira nei pressi di un piccolo campo poco fuori Gerusalemme: è il Getsemani, l'orto degli ulivi. Alla testa di un gruppo di uomini armati, arriva Giuda che indica Gesù ai soldati baciandolo. Questo bacio è divenuto il simbolo dell'esperienza straziante del tradimento e dell'abbandono. Ma anche i suoi discepoli e Pietro stesso, il più fedele tra loro, tradiscono il Maestro lasciandolo solo. Nella notte del Getsemani non c'è Dio, ma solo l'uomo. È lo scandalo rimproverato a Gesù: aver trascinato Dio verso l'uomo. La notte del Getsemani è la notte dove la vita umana si mostra nella sua più radicale inermità. In primo piano c'è l'esperienza dell'abbandono assoluto, della caduta, della prossimità irreversibile della morte e della preghiera. La notte del Getsemani è la notte dell'uomo.
Che cos'è l'andare in montagna senza la conquista della cima? Un atto di non violenza, un desiderio di comprensione, un girare intorno al senso del proprio camminare. Opera di narrativa che prende spunto da un viaggio realmente accaduto, taccuino di viaggio, ma anche il racconto illustrato, caldo, dettagliato, di come vacillano le certezze col mal di montagna, di come si dialoga con un cane tibetano, di come il paesaggio diventa trama del corpo e dello spirito. Perché l'Himalaya non è una terra in cui addentrarsi alla leggera: è una montagna viva, abitata, usata, a volte subita, molto lontana dalla nostra. Per affrontarla serve una vera spedizione, con guide, portatori, muli, un campo da montare ogni sera e smontare ogni mattina, e soprattutto buoni compagni di viaggio. Se è vero che in montagna si cammina da soli anche quando si cammina con qualcuno, il senso di lontananza e di esplorazione rinsalda le amicizie. Le notti infinite in tenda con Nicola, l'assoluta magnificenza della montagna contemplata con Remigio, il saliscendi del cammino in alta quota, l'alterità dei luoghi e delle persone incontrate. Questo è il viaggio che Paolo Cognetti intraprende sul finire del suo quarantesimo anno, poco prima di superare il crinale della giovinezza.
Ci sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con "L'Arminuta" fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia così questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde tutto - una casa confortevole, le amiche più care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c'è Adriana, che condivide il letto con lei. E c'è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L'accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell'Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.
Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l'orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo "chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l'accesso" ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E li, ad aspettarlo, c'è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, "la cosa più simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui". Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: "Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino". Un'eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.
Hai cinque anni, due sorelle e desidereresti tanto un fratellino per fare con lui giochi da maschio. Una sera i tuoi genitori ti annunciano che lo avrai, e che sarà speciale. Tu sei felicissimo: speciale, per te, vuol dire «supereroe». Gli scegli pure il nome: Giovanni. Poi lui nasce, e a poco a poco capisci che sí, è diverso dagli altri, ma i superpoteri non li ha. Alla fine scopri la parola Down, e il tuo entusiasmo si trasforma in rifiuto, addirittura in vergogna. Dovrai attraversare l'adolescenza per accorgerti che la tua idea iniziale non era così sbagliata. Lasciarti travolgere dalla vitalità di Giovanni per concludere che forse, un supereroe, lui lo è davvero. E che in ogni caso è il tuo migliore amico. Un romanzo di formazione in cui non c'è nulla di inventato, che stupisce, commuove, diverte e ha conquistato il cuore di centinaia di migliaia di lettori.
Perché possiamo dirci italiani? A dispetto delle tante divisioni, storiche e attuali, c'è qualcosa che ci accomuna. Una serie di tratti che ci rendono immediatamente riconoscibili in qualsiasi luogo del mondo; nel male ma anche nel bene. Corrado Augias ci accompagna in un viaggio alla scoperta di ciò che definisce il nostro carattere nazionale. Un viaggio nei luoghi della nostra memoria collettiva e in quelli del suo cuore: dalla Milano del teatro alla Trieste di confine, transitando per Bologna dove il Nord incontra il Sud, poi Roma e Napoli per arrivare a Palermo, alle porte di un'altra civiltà con cui da sempre abbiamo dialogato. Un'opera civile e insieme intima, che scava alla ricerca di un'identità le cui radici affondano nei mille diversi volti di un paese grande, bellissimo e tormentato.
Una dichiarazione d'amore al nostro Paese, nonostante i suoi difetti.
Eugenio Borgna, nel corso della sua lunga carriera, ha incrociato molte vite: le ha incontrate in manicomio, in clinica, in ospedale, nel proprio studio. Ha ascoltato le loro voci fragili e si è fatto carico di paure, angosce e speranze. Ha cercato di porre un rimedio al dolore attraverso il dialogo e l'immedesimazione con l'altro. E non lo ha fatto soltanto attraverso la razionalità del medico, ma anche mettendo in gioco i suoi sentimenti e il suo calore di uomo, consapevole che la psichiatria ha bisogno anche della comprensione, della vicinanza, del riconoscimento per guardare davvero negli abissi insondabili dell'interiorità. Una vita dedicata alla conciliazione fra le parole e il silenzio, all'attenzione per le fragilità e alla cura di emozioni e sentimenti; all'ascolto del corpo e dell'anima. Sempre con umanità, fiducia e gentilezza.
I miti sono quel che resta dopo la dimenticanza, la rovina, il tempo che passa. Per questo sono eterni, perché sono al fondo di noi. Paola Mastrocola ha trovato una misura miracolosa per raccontarci una volta ancora queste storie infinite: nelle sue pagine la ricchezza e la leggerezza s'incontrano per la gioia pura del lettore, parlando in fondo dell'amore e basta. L'amore per un uomo, una donna, un fiume, una stella. La nostra porzione illuminata, il punto in cui alla nostra vita tocca ancora una parte del divino. L'amore per il mondo, così com'è. Dentro ogni storia c'è una domanda, che va dritta al cuore. In quale forma dobbiamo amare? E la bellezza si può rapire? Si può, amando, non conoscere l'amore? E quanto conta una promessa? E perché a una certa età che chiamiamo giovinezza abbiamo voglia di non concederci a nessuno, e giocare, e stare a mezz'aria, in volo? Le domande pungolano il mito, lo piegano a parlare da sé. Il racconto seduce con la sua forza, muovendosi con naturalezza dal passato al presente, in un tempo indifferenziato, inanellando dialoghi senza virgolette, parole che restano nell'aria. Storie che si richiamano e si inseguono, componendo un unico romanzo. L'amore, come lo raccontano i Greci, è struggente. Non è un sentimento, è di più: è la forza che lega insieme il tutto, il nodo che ci stringe, il cielo che ci sovrasta: ciò che ci determina, ci toglie la libertà ma ci dà senso, nutre la nostra più profonda sostanza di esseri umani transitori, così attaccati alla vita.
Alle prese con ambizioni frustrate e desideri infranti, tre quarantenni tentano goffamente di resuscitare dalle ceneri di fallimenti piccoli e meno piccoli, rincorrendo una maturità che quasi sempre ha il volto di una donna. È il caso del protagonista di "Segni d'oro", che pensava di insegnare all'università e si ritrova bibliotecario infelice in un paesino di provincia. In crisi con la moglie, dopo una fuga passionale sui Colli Euganei scopre di trovare verità e bellezza solo nell'esaltante lessico degli antichi poeti. In "Eccesso di zelo", un dattilografo si perde nella stessa inconcludenza. Sullo sfondo di una Roma disfatta dal caldo, si lascia coinvolgere in un conflitto di coppia altrui dapprima per pura cortesia, poi con un fervore sempre crescente, lanciandosi in un'impresa cavalleresca alla rovescia che metterà a rischio tutte le sue conquiste dell'età adulta. Altrettanto ansioso e nel pieno di una crisi è infine il protagonista di "Denti", un racconto che si dischiude come una bocca aperta sulla vita di un insegnante divorato dai ricordi e ossessionato dalla gelosia, nonché dai propri incisivi enormi. Con una postfazione dell'autore.
Ritrovarsi alle prese con un adolescente taciturno e spigoloso che è quasi uno sconosciuto, inventarsi madre quando quell'idea era già stata abbandonata da tempo. È ciò che succede a Caterina, la protagonista di Bella mia, quando Olivia, la sorella gemella che sembrava predestinata alla fortuna, rimane vittima del terremoto dell'Aquila, nella lunga notte del 6 aprile 2009, lasciando il figlio Marco semiorfano. Il padre musicista vive a Roma e non sa come occuparsene, perciò tocca a Caterina e alla madre anziana prendersi cura del ragazzo, mentre ciascuno di loro cerca di dare forma a un lutto che li schiaccia. Ma è in questo adattamento reciproco, nella nostalgia dei ricordi, nella scoperta di piccole felicità estinte, nei gesti gentili di un uomo speciale che può nascondersi la forza di accettare che il destino, ancora una volta, ci sorprenda. Bella mia è un romanzo di grande intensità che parla con un linguaggio scarno ed essenziale dell'amore e di ciò che proviamo nel perderlo. Ma soprattutto della speranza e della rinascita: la rinascita di una città squassata dal sisma e la rinascita ancora piú faticosa della fiducia nella vita.
«Il pane di ieri è buono domani», dice per intero il proverbio. Con la bussola di queste parole Enzo Bianchi racconta storie e rievoca volti della propria esistenza: il Natale di tanti anni fa e la tavola imbandita per gli amici, il suono delle campane nella veglia dell'alba e il canto del gallo nel silenzio della campagna, i giorni della vendemmia e la cura dell'orto.
Trova il momento della solitudine e quello della veglia, accoglie la vecchiaia come una stagione che arriva alla vita.
Ogni racconto è la tappa di un cammino sapienziale che parla dell'amicizia, della diversità, del vivere insieme, dei giorni che passano e della gioia.
Della vita di ogni uomo in ogni tempo e terra del mondo.
L'angoscia di fronte alla domanda: «che tempo fa?» è certo più forte quando un semplice evento atmosferico può distruggere in pochi minuti un anno di lavoro. Allora non è poi così strano vedere il parroco del paese incedere nella tempesta, il piviale viola scosso dal vento, fendere l'aria con l'aspersorio dell'acquasanta e implorare con voce ferma Dio di fermare la grandine: «Per Deum verum, per Deum vivum...»
In un mondo sempre più abitato da suoni nuovi e pervasivi è facile perdere, o non udire, le voci antiche che scandivano lo scorrere del tempo: il canto del gallo all'alba, il rintocco delle campane che annunciava momenti lieti o tristi, il grido dell'acciugaio e il richiamo del venditore ambulante di carta da lettere. Suoni quotidiani, destinati a tutti.
Il cibo, a ben guardare, oltre che un nutrimento necessario è anche qualcosa di cui si deve «aver cura». La tavola è luogo di incontro e di festa e la cucina è un mondo in cui si intrecciano natura e cultura. Preparare il ragù può diventare allora un momento di meditazione e la bogna càuda un vero e proprio rito in cui gli ingredienti che la compongono rappresentano uno scambio di terre, di genti, di culture. A dispetto di ogni localismo (anche culinario) tutti i cibi infatti, anche i più nostrani, sono carichi di debiti con l'esterno e con chi, in terre lontane, ha coltivato le materie prime, le ha fatte crescere e le ha raccolte.
Dentro ciascuno di questi ricordi, e in tutti quelli che compongono il libro, c'è un senso esatto della vita in cui la memoria personale e individuale sfuma nella storia universale o meglio, senza forzature, si fa memoria collettiva.
Sono storie del «tempo che fu» ricche di personaggi singolari, di aneddoti curiosi, di comandamenti nati dalla saggezza popolare e offerti dai padri ai figli, di momenti duri, sofferti e solitari, di volti e di parole che restano a lungo impressi nella memoria. Sono storie piene di amore per la terra. E insieme rappresentano insegnamenti di fede, di amicizia, del vivere insieme, dell'ospitalità. Meditazioni sulla vita, sulla morte, sulla gioia, sulla vecchiaia, e sulla ricchezza della diversità.
La prima settimana di libertà dell'irreprensibile maggiordomo inglese Stevens diventa occasione per ripensare la propria vita spesa al servizio di un gentiluomo moralmente discutibile. Stevens ha attraversato l'esistenza spinto da un unico ideale: quello di rispettare una certa tradizione e di difenderla a dispetto degli altri e del tempo. Ma il viaggio in automobile verso la Cornovaglia lo costringe ben presto a rivedere il suo passato, cosi tra dubbi e ricordi dolorosi egli si accorge dì aver vissuto come un soldato nell'adempimento di un dovere astratto senza mai riuscire ad essere se stesso. Si può cambiare improvvisamente vita e ricominciare daccapo? Da questo romanzo di Ishiguro, acclamato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e vincitore del prestigioso Booker Prize, nel 1993 il regista americano James Ivory ha tratto un famoso film con Anthony Hopkins ed Emma Thompson.
Kathy, Tommy e Ruth vivono in un collegio, Hailsham, immerso nella campagna inglese. Non hanno genitori, ma non sono neppure orfani, e crescono insieme ai compagni, accuditi da un gruppo di tutori, che si occupano della loro educazione. Fin dalla più tenera età nasce fra i tre bambini una grande amicizia. La loro vita, voluta e programmata da un'autorità superiore nascosta, sarà accompagnata dalla musica dei sentimenti, dall'intimità più calda al distacco più violento. Una delle responsabili del collegio, che i bambini chiamano semplicemente Madame, si comporta in modo strano con i piccoli. Anche gli altri tutori hanno talvolta reazioni eccessive quando i bambini pongono domande apparentemente semplici. Cosa ne sarà di loro in futuro? Che cosa significano le parole "donatore" e "assistente"? E perché i loro disegni e le loro poesie, raccolti da Madame in un luogo misterioso, sono così importanti? Non lasciarmi è prima di tutto una grande storia d'amore. È anche un romanzo politico e visionario, dove viene messa in scena un'utopia al rovescio che non vorremmo mai vedere realizzata. È uno di quei libri che agiscono sul lettore come lenti d'ingrandimento: facendogli percepire in modo intenso la fragilità e la finitezza di qualunque vita.
Il leggendario re Artù è morto ormai da qualche tempo ma la pace che egli ha imposto sulla futura Inghilterra, dilaniata per decenni dalla guerra intestina fra sassoni e britanni, seppure incerta, perdura. Nella dimora buia e angusta di Axl e Beatrice, tuttavia, non vi è pace possibile. La coppia di anziani coniugi britanni è afflitta da un arcano tormento: una sorta di inspiegabile amnesia che priva i due di una storia condivisa. A causarla pare essere una strana nebbia dilagante che, villaggio dopo villaggio, avvolge indistintamente tutte le popolazioni, ammorbandole con i suoi miasmi. Axl e Beatrice ricordano di aver avuto un figlio, ma non sanno più dove si trovi, né che cosa li abbia separati da lui. Non possono indugiare oltre: a dispetto della vecchiaia e dei pericoli devono mettersi in viaggio e scoprire l'origine della nebbia incantata, prima che la memoria di ciò a cui più tengono sia perduta per sempre. Lungo il cammino si uniscono ad altri viandanti - il giovane Edwin, che porta il marchio di un demone, e il valoroso guerriero sassone Wistan, in missione per conto del suo re - e con essi affrontano ogni genere di prodigio: la violenza cieca degli orchi e le insidie di un antico monastero, lo scrutinio di un oscuro barcaiolo e l'aggressione di maligni folletti, il vetusto cavaliere di Artù Galvano e il potente drago Querig...
Settant'anni fa usciva il "Diario" di Anne Frank. Il mondo scopriva il volto intimo dello sterminio nazista attraverso gli occhi di una ragazzina "qualunque". E oggi, grazie allo sceneggiatore e regista Ari Folman e all'illustratore David Polonsky, le parole di Anne si trasformano in un graphic novel capace di conservarne la forza e di enfatizzarne la straordinaria qualità letteraria. Basandosi sull'unica edizione definitiva del Diario, autorizzata dall'Anne Frank Fonds fondata da Otto Frank, Folman e Polonsky ci consegnano, per mezzo di una prospettiva inedita, la voce di un'adolescente allegra e irriverente, che come ogni sua coetanea - di ieri, di oggi, di sempre - desidera soltanto scoprire un mondo che invece è costretta a sbirciare di nascosto.
Dai colori dell'India ai segreti del Monte Athos. Dalla sterminata cordigliere dell'America Latina agli ipnotici silenzi della Siberia. Dalle dolci sinuosità della Moldava fino al Pacifico e oltre. Dalle antiche vie che costeggiano il mare alle strade che uniscono le grandi città. Il viaggio in auto di Oscar Niemeyer lungo oltre mille e duecento chilometri da Rio de Janeiro fino a Brasilia per dare vita a una città mai esistita prima. Il cammino a piedi di Vincent Van Gogh tra il Belgio e la Francia nell'inverno in cui fini per capire cosa gli serviva davvero per diventare pittore. La soglia inattesa con cui è costretta a misurarsi Frida Kahlo. La fuga di Joni Mitchell dalle battaglie meschine della fine di un amore. La corsa insonne di Keith Jarrett verso Colonia. "Controvento" racconta le storie di chi, attraversando un ponte, mettendosi su una strada, salendo su un autobus o un treno, ha trovato in un giorno, in un istante, il modo di cambiare e trasformarsi. I viaggi hanno segnato la vita di molti e di molti altri la segneranno nel tempo che verrà: perché l'altro e l'altrove hanno sempre in serbo qualcosa che non abbiamo ancora conosciuto, che lenirà il nostro dolore e ci schiuderà il passaggio verso la strada poco battuta.
Attila e Zazzi hanno quattordici anni e sono amici per la pelle. A prima vista non si direbbe. Sono diversi in tutto: il carattere, le famiglie d'origine, il loro sguardo sul mondo. Attila è un Charlie Brown che sogna spesso a occhi aperti, con un padre assente, una madre bigotta, una sorella che se n'è andata a Milano e un nonno anarchico un po' bizzarro ma con qualche lampo di saggezza. Francesco Zazzi detto Franz invece è sguaiato, aggressivo, dichiaratamente fascista, incontrollabile negli slanci che punteggiano le sue giornate, sempre sopra le righe ma anche profondamente libero. A unire i due ragazzi c'è solo un'amicizia profonda e indissolubile, di quelle che possono nascere solo a quell'età.
"Malamore è un libro del 2008 e ha una forza che cresce col passare degli anni: cresce perché resta intatta, nel tempo, la vera domanda che lo anima. E la domanda non è perché gli uomini si sentano tanto spesso autorizzati a esercitare violenza - verbale, fisica, psicologica - sulle donne che sostengono di amare. La vera questione - mi pare, piuttosto - è perché le donne non siano in grado di respingere la violenza, quando la riconoscono. Cosa le induce, cosa ci induce a sopportare il crescendo di umiliazioni, le piccole angherie domestiche, le prepotenze pubbliche che sempre preludono a un epilogo tragico? Cosa ci fa credere di poter cambiare, accogliere, domare la minaccia? C'è una sorta di presunzione, dice l'antica favola che apre questo libro: la topolina si innamora del gatto, convinta che lo renderà vegetariano. C'è un oscuro sentimento profondo che si nutre di sensi di colpa, raccontano le tante storie di donne - celebri, anonime - che come stelle cadenti illuminano la scena del delitto. Esercizi di resistenza al dolore, recita il sottotitolo. Forse la chiave è qui: nella confidenza che le donne hanno col dolore, la palestra che serve a trasformarlo in forza. Ciascuno troverà la sua risposta, leggendo. Troverà qualcosa della sua storia e forse il coraggio di guardarla negli occhi. Se accadesse anche una volta sola, è per quella volta che ho scritto questo libro." (Concita De Gregorio)
Nel gennaio 2006 Michela Murgia viene assunta nel call center della multinazionale americana Kirby, produttrice del "mostro", l'oggetto di culto e devozione di una squadra di centinaia di telefoniste e venditori: un aspirapolvere da tremila euro, "brevettato dalla NASA". Mentre, per trenta interminabili giorni, si specializza nelle tecniche del "telemarchètting" e della persuasione occulta della casalinga ignara, l'autrice apre un blog dove riporta quel che succede nel call center: metodi motivazionali, raggiri psicologici, castighi aziendali, dando vita alla grottesca rappresentazione di un modello lavorativo a metà tra berlusconismo e Scientology. Un racconto sul precariato in Italia, che fa riflettere, incazzare e, miracolosamente, ridere. Fino alle lacrime. Questo primo romanzo dell'autrice sarda ha ispirato il film di Paolo Virzì, "Tutta la vita davanti". Con una nuova prefazione dell'autrice.
Entrato in un negozio per comprare una borsa alla fidanzata, Kemal Basmaci, trentenne rampollo di una famiglia altolocata di Istanbul, si imbatte in una commessa di straordinaria bellezza: la diciottenne Füsun, sua lontana cugina. Fra i due ha ben presto inizio un rapporto anche eroticamente molto intenso. Kemal tuttavia non si decide a lasciare Sibel, la fidanzata: per quanto di mentalità aperta e moderna, in lui sono comunque radicati i valori tradizionali (e anche un certo opportunismo). Così si fidanza e perde tutto: sconvolta dal suo comportamento, Füsun scompare, mentre Kemal, preda di una passione che non gli dà tregua, trascura gli affari e alla fine scioglie il fidanzamento. Quando, dopo atroci patimenti, i due amanti si ritrovano, nella vita di Füsun tutto è cambiato. Kemal però non si dà per vinto. In assoluta castità, continua a frequentarla per otto lunghi anni, durante i quali via via raccoglie un'infinità di oggetti che la riguardano: cagnolini di porcellana, apriscatole, righelli, orecchini... Poterli guardare, assaggiare, toccare è spesso la sua unica fonte di conforto. E quando la sua esistenza subisce una nuova dolorosa svolta, quegli stessi oggetti confluiranno nel Museo dell'innocenza, destinato a rendere testimonianza del suo amore per Füsun nei secoli futuri. La storia di un'incontenibile passione, ma allo stesso tempo uno sguardo ora severo, ora ironico, ma certamente non privo di profondo affetto sulla Istanbul di quegli anni e sulla sua contraddittoria borghesia.
Ci sono gialli d'inverno, come la luce dei lampioni in una bufera, ma anche gialli d'estate, come la sabbia nelle scarpe dopo una giornata al mare. Ci sono gialli d'autunno, come le foglie sui viali alla vigilia di Ognissanti, ma anche gialli di primavera, come le primule ai bordi d'un bosco. Perché se è vero che ogni delitto ha la sua stagione, è anche vero che ogni stagione ha il suo delitto: omicidi da camino acceso o rapimenti in giardino, furti su una spiaggia affollata o aggressioni a mano armata d'ombrello, non c'è occasione, non c'è momento che un criminale disdegni per portare a segno il proprio piano. Da gennaio a dicembre, da Capodanno a Natale, dall'Ottocento a oggi, dodici racconti, uno per mese, in un lunario del delitto.
Tutto si è svolto in un pugno d'ore, diciotto o venti al massimo. Dall'imbrunire di un giorno, al primo pomeriggio del successivo. In modo convulso. Per lo più nottetempo o alle prime luci dell'alba. Il processo che ha cambiato il destino dell'uomo è stato celebrato sicuramente in fretta, ma in base a quali accuse? Secondo quale rito? Chi aveva ordinato l'arresto e perché? E soprattutto, chi aveva il potere di convalidare il provvedimento emettendo la sentenza finale? Ad essere indagate sono le ultime febbrili ore di Gesù di Nazareth, il giovane profeta giustiziato su un patibolo romano a Gerusalemme in un anno convenzionalmente datato 33 della nostra èra. Vicende viste, forse per la prima volta, anche dalla prospettiva degli occupanti romani. È questo un libro dove si entra e si esce dalla storia, dove si raccolgono e indagano i documenti, dove si commentano le fonti e le si fa parlare, e dove anche uomini e cose prendono vita. Fra queste pagine si ode il rumore della pialla del falegname, lo stridio delle ruote dei carri, il belato degli agnelli; si vedono il bianco della farina e il grigio del fumo dei camini e si percepiscono le presenze misteriose di maghi, indovini, assassini. Saggismo e gesto narrativo s'incontrano: c'è la precisione storica e c'è la vita, la passione per il mondo e il talento di raccontarlo. Molti sono i protagonisti della storia e appaiono più tormentati, sfaccettati, umani, di quanto siamo soliti considerarli...
Pochi momenti restano impressi in ognuno di noi come quelli vissuti a scuola. È lì che per la prima volta si provano emozioni, passioni, delusioni e rancori che durano una settimana, ma così forti da restare indelebili nella memoria. È lì che, mentre impariamo a conoscere il mondo, il mondo impara a conoscere noi. È lì che nascono amicizie destinate a durare per sempre. Che li si ami o li si odi, gli incontri e gli scontri di quei giorni sono spesso destinati a cambiare una vita e per questo sono stati oggetto dell'attenzione di tanti scrittori, che hanno saputo raccontarli nei loro lati comici e in quelli tragici: gli imbarazzi e le risate, i piccoli drammi e i grandi amori, i misteri da risolvere e gli incubi paurosi. Da Edmondo De Amicis a Stefano Benni, da Edgar Allan Poe a Michael Crichton: un mosaico variopinto di storie su quel tempo che tutti vorremmo tornasse.
Adriana Zarri decise nel 1975 di imprimere una svolta "radicale" alla sua vita monastica e di abbracciare l'eremitaggio. Intraprendendo una scelta di vita che privilegia la solitudine e il silenzio. Quello che con questo racconto di esperienze, ricordi e riflessioni di vita contemplativa, vuole offrirci è una particolare, concreta e umana idea di monachesimo. Una scelta di solitudine può essere infatti un luogo fecondo di incontro, il silenzio contemplativo può essere un modo di parlare più forte e meglio a tutti ed essere un luogo dove racconto e realtà convivono e si contaminano, dove "lo studio e la riflessione sono impastati di vita". Nel libro, Adriana Zarri illustra via via diversi aspetti della sua vita: dalle circostanze che l'hanno spinta verso questa decisione, all'organizzazione pratica della casa e delle sue giornate, al rapporto con la natura e il ritmo delle stagioni, alla relazione con il mondo secolare e i mezzi di comunicazione, alle paure e pericoli che nascono da una vita simile, agli animali che le fanno compagnia. Agli incontri con amici, scrittori e intellettuali, che vengono a trovarla e a discutere con lei. Ma ogni argomento, anche il più umile e quotidiano, è trattato con bonaria e umanissima ironia (e autoironia). E soprattutto diventa lo spunto per una riflessione sulla meditazione e sul silenzio necessario affinchè ognuno possa trovare la sua voce: perché "occorre avere del silenzio un concetto vitale e non formale".
"Insomma, quel mattino di novembre, mentre andavo a zonzo nel vuoto da non so quanto tempo, succede che io incontro questo tale. E vi posso dire che, accidenti, se prendevo a destra anziché a sinistra non lo avrei incontrato. Quindi? Quindi tutto questo deve pur significare qualcosa. Ho preso a sinistra ed è stato tutto quel che è stato, questa benedetta storia che adesso vi racconto". È da qui che prende avvio il romanzo, per trascinarci presto in un altrove abitato da asini, libri, funamboli, macinini da caffè, poeti, scollatori di francobolli e altre mirabolanti creature. E poi c'è Guglielmo, un ragazzino che scrive delle lettere sgangherate e bellissime da cui emerge a poco a poco la sua storia. E c'è qualcuno, Raimond, che raccoglie quelle parole e le trasforma in un'azione. Perché ciò che è vecchio, desueto, ai margini, eccentrico, può essere mosso da un'energia misteriosa e seguire strade poco battute, dove l'utile e l'inutile sanno ribaltarsi l'uno nell'altro e diventare, forse, una sostanza nuova.
Certe vite ruotano intorno a un prima e un dopo, intorno a un singolo momento che segna la fine di un'esistenza ordinaria e conduce verso frontiere inesplorate. Tutti i protagonisti di queste storie hanno percorso quella strada fuori dal comune. Lo hanno fatto in epoche e mondi distanti, seguendo spinte diverse: un sogno o un'ambizione, un'illusione o un delirio. Ma sempre con cieca ostinazione. C'è Giovanna d'Arco, finita al rogo aggrappata alle parole del suo Dio. Ci sono Galileo Galilei e Marie Curie. Il primo costretto, per amore di scienza, ad anni di sospetti e accuse, fino all'abiura. La seconda che, nel suo mistico slancio verso la ricerca, conserva, da ragazza e da moglie, da vedova e da madre, una straordinaria umanità. C'è Malala Yousafzai, che ancora bambina ha avuto il coraggio di denunciare la condizione femminile nel Pakistan dei talebani, rischiando la sua giovane vita. Sergio Luzzatto, con il suo stile preciso e suggestivo, racconta le vite di quindici personaggi che spesso nel bene, e talvolta nel male, hanno ossessivamente cercato di cambiare il mondo.
Cosa accade quando una donna decide di assecondare la sua passione e seguire l'uomo che ama, ma dimentica le sue figlie? Oppure quando sceglie di inseguire il sogno di giorni piú felici aggrappandosi alle lettere scritte a uno sconosciuto? Quanto resta dei tanti anni di gioia passati insieme alla propria moglie, se lei ne sta perdendo lentamente il ricordo? Le domande a cui rispondono le storie di Alice Munro lasciano sempre pieni di dubbi. E piú passa il tempo piú si fanno semplici, come se avesse ormai capito la formula per distillare in purezza l'esistenza senza complicarla. Perché le sue domande sono quelle che ciascuno si pone nel corso di una vita. All'apparenza facilissime, rivelano invece tutta la grazia di cui sono capaci gli esseri umani, le scelte fatte e non fatte, le cose prime e quelle ultime con cui ognuno di noi deve fare i conti.
"Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie". Si apre cosi la lettera che Vanda scrive al marito che se n'è andato di casa, lasciandola in preda a una tempesta di rabbia impotente e domande che non trovano risposta. Si sono sposati giovani all'inizio degli anni Sessanta, per desiderio di indipendenza, ma poi attorno a loro il mondo è cambiato, e ritrovarsi a trent'anni con una famiglia a carico è diventato un segno di arretratezza più che di autonomia. Perciò adesso lui se ne sta a Roma, innamorato della grazia lieve di una sconosciuta con cui i giorni sono sempre gioiosi, e lei a Napoli con i figli, a misurare l'estensione del silenzio e il crescere dell'estraneità. Che cosa siamo disposti a sacrificare, pur di non sentirci in trappola? E che cosa perdiamo, quando scegliamo di tornare sui nostri passi? Perché niente è più radicale dell'abbandono, ma niente è più tenace di quei lacci invisibili che legano le persone le une alle altre. E a volte basta un gesto minimo per far riaffiorare quello che abbiamo provato a mettere da parte. Domenico Starnone ci regala una storia emozionante e fortissima, il racconto di una fuga, di un ritorno, di tutti i fallimenti, quelli che ci sembrano insuperabili e quelli che ci fanno compagnia per una vita intera.
Costretto ad allenarsi sin da quando aveva quattro anni da un padre dispotico ma determinato a farne un campione a qualunque costo, Andre Agassi cresce con un sentimento fortissimo: l'odio smisurato per il tennis. Contemporaneamente però prende piede in lui anche la consapevolezza di possedere un talento eccezionale. Ed è proprio in bilico tra una pulsione verso l'autodistruzione e la ricerca della perfezione che si svolgerà la sua incredibile carriera sportiva. Con i capelli ossigenati, l'orecchino e una tenuta più da musicista punk che da tennista, Agassi ha sconvolto l'austero mondo del tennis, raggiungendo una serie di successi mai vista prima.
Clara studia "storia della psicanalisi". La sera, seduta in cucina, rimane sveglia fino a tardi ad analizzare i casi delle "grandi isteriche" e le cronache del rapporto con i medici che le ebbero in cura: Freud, Jung, Charcot... In quei momenti sospesi, il piccolo appartamento in cui vive con il padre, il fratello e la nonna sembra spalancarsi in un abisso notturno, capace di riportarla indietro nel tempo e trascinarla nelle profondità di queste grandi narrazioni. Perché questo sono, prima di tutto: storie di vita, di corpi e di amori; ossessioni e incomprensioni, guarigioni e scacchi. Storie di donne. Ma poi, per curiosità più che per bisogno, Clara comincia a lavorare nel bar del fratello. E sarà allora che, tutt'a un tratto, la vita vera spazzerà via, con la sua forza e i suoi spigoli, gli anni di isolamento e di studio solitario. Abituata a confrontarsi con la teoria di un inconscio remoto, già catalogato e raffreddato, Clara si troverà alle prese con una vicenda misteriosa e ambigua, un omicidio che affonda le radici in un vortice di sentimenti incandescenti, di violenza e di colpa. Nel territorio violato delle periferie di oggi l'attende l'incontro con Wanda, una di quelle donne sopraffatte che per lei sono sempre state soltanto personaggi da studiare sui libri: scoprirà per la prima volta l'emozione e la paura di ascoltare, lei per prima, un cuore che si schiude, e che esige da lei una risposta.
Anne Frank muore a Bergen-Belsen nel marzo del 1945 pochi mesi dopo essere stata deportata insieme alla sua famiglia. Aveva trascorso i due anni precedenti nascosta nell'"alloggio segreto", dedicando parte delle sue lunghe giornate alla stesura del suo diario, un documento unico, commovente e sincero. Ma Anne, che sognava di diventare una scrittrice, non si limitò ad affidare al diario la cronaca quotidiana della sua vita in clandestinità. Nonostante l'esistenza impossibile che la guerra e il razzismo antisemita la costrinsero a vivere, infatti, Anne non smise mai di raccontare e di raccontarsi, accumulando pagine e pagine di pensieri, ricordi e annotazioni. "Tutti gli scritti" raccoglie, in un unico volume, tutto questo prezioso materiale. Oltre alle diverse stesure del diario troveremo i suoi racconti, le prime pagine di un abbozzo di romanzo, le poesie e le lettere a lungo rimaste inedite. Un'edizione arricchita da una serie di saggi che ricostruiscono la vita di Anne e della sua famiglia, l'occupazione di Amsterdam e la storia del "Diario". A completare il volume un apparato fotografico, una tavola cronologica, un albero genealogico e una bibliografia essenziale. Con saggi di Gerhard Hirschfeld, Mirjam Pressler e Francien Prose.
Un pilota d'aerei in avaria nel mezzo del Sahara, un piccolo principe piombato sulla Terra da un minuscolo asteroide per sfuggire alla solitudine. È così che inizia una delle favole senza età più semplici e piene di poesia che siano mai state scritte: una storia di incontri bizzarri e di struggente malinconia, di amicizia e di amore che parla al cuore di tutti noi. Un grande classico per l'infanzia amato anche dagli adulti. Con gli acquerelli dell'autore. Età di lettura: da 8 anni.
Dalle grandi praterie annerite da immense mandrie di bisonti, agli smisurati ranch di proprietà di un pugno di allevatori che regnavano come monarchi assoluti su schiere di vaqueros, al paesaggio arido e desolato punteggiato dalle torri dei campi petroliferi, la storia del Texas occidentale è la storia di un susseguirsi di massacri, la storia di una terra strappata di mano più e più volte nel corso delle generazioni. E inevitabilmente anche la storia dei McCullough, pionieri, allevatori e poi petrolieri, è una storia di massacri e rapine, a partire dal patriarca Eli, rapito dai Comanche in tenera età e tornato a vivere fra i bianchi alle soglie dell'età adulta, per diventare infine, sulla pelle dei messicani e grazie ai traffici illeciti fioriti nel caos della Guerra Civile, un ricchissimo patròn. Ma se Eli McCullough, pur sognando la wilderness perduta, non esita ad adattarsi ai tempi nuovi calpestando tutto ciò che ostacola la sua ascesa, suo figlio Peter sogna invece un futuro diverso, che non sia quello del petrolio che insozza la terra e spazza via i vecchi stili di vita, e non può che schierarsi con trepida passione dalla parte delle vittime. La storia, però, la fanno i vincitori, ed ecco allora Jeanne, la pronipote di Eli, magnate dell'industria petrolifera in un mondo ormai irriconoscibile, in cui di bisonti e indiani non c'è più neanche l'ombra, e i messicani sono stati respinti al di là del Rio Grande...
Su un'isola dai destini incrociati madre e figlio siedono allo stesso tavolo, una di fronte all'altro. Scrivono. Cercano una storia smarrita. Trovano un luogo che non c'era, il piacere del tempo perso. Si incontrano in una lingua comune, nel gioco del racconto. E mettono in fila le parole, perché con le parole si può fare tutto. Anche riacchiappare un nonno che non c'è più, ricostruire insieme le favole che lui inventava con il nipotino, recuperare il filo dei ricordi. E attraverso i racconti madre e figlio si scambiano parole che forse non si sarebbero detti mai e costruiscono una nuova storia. La loro, che durerà per sempre.
Al tavolo dove si gioca la nostra sorte, siedono Eros, signore dei desideri; Narciso, simbolo dell'amore che ciascuno ha per se stesso; il Destino, la fatalità contro cui niente possiamo; Edipo, la trasgressione. E infine la Morte, al nostro fianco da sempre, anche se non sappiamo quando e come verrà. Concludendo un percorso cominciato nel 1994 con "Incontro con Io" e proseguito fino a "L'uomo che non credeva in Dio", "Per l'alto mare aperto" e "Scuote l'anima mia Eros", Eugenio Scalfari mette ora al centro della sua riflessione la partita della vita, e le regole complesse con cui si alternano al gioco gli istinti, i sentimenti, la coscienza ragionante, la nostra identità. I momenti autobiografici, le narrazioni, gli incontri, i ricordi, sono sempre sorretti da un'inesauribile tensione intellettuale e filosofica ma capaci di aprirsi, ora piú che mai, anche alle passioni e agli slanci, persino alla malinconia. "L'amore, la sfida, il destino" è un viaggio dentro e fuori di noi, alla scoperta del sé e dell'altro, guidati da un Io che è l'unico possibile testimone diretto dell'esperienza.
Nel 1945, all'indomani della liberazione, i militari sovietici che controllavano il campo per ex prigionieri di Katowice, in Polonia, chiesero a Primo Levi e a Leonardo De Benedetti, suo compagno di prigionia, di redigere una relazione dettagliata sulle condizioni sanitarie del Lager. Il risultato fu il "Rapporto su Auschwitz": una testimonianza straordinaria, uno dei primi resoconti sui campi di sterminio mai elaborati. La relazione, pubblicata nel 1946 sulla rivista scientifica "Minerva Medica", inaugura la successiva opera di Primo Levi testimone, analista e scrittore. Nei quattro decenni seguenti, Levi non smetterà mai di raccontare l'esperienza del Lager in testi di varia natura, per la maggior parte mai raccolti in volume. Dalle precoci ricerche sul destino dei propri compagni alla deposizione per il processo Eichmann, dalla "lettera alla figlia di un fascista che chiede la verità" agli articoli apparsi su quotidiani e riviste specializzate, "Così fu Auschwitz" è un mosaico di memorie e di riflessioni critiche dall'inestimabile valore storico e umano. Una raccolta di testimonianze, indagini e approfondimenti che, grazie alla coerenza, alla chiarezza dello stile, al rigore del metodo, ci restituiscono il Primo Levi che abbiamo imparato a riconoscere come un classico delle nostre lettere.
Una ragazza che porta la morte con un bacio. Un'investigatrice privata che farebbe impallidire Sherlock Holmes. Una donna annegata tra le braccia nere della Senna. Una giornalista decisa a passare la vigilia di Natale in un museo delle cere per risolvere un caso misterioso. Da Agatha Christie a Fred Vargas, da Mary E. Wilkins Freeman a Patricia Highsmith, le più grandi maestre della detection ci accompagnano in un viaggio appassionante attraverso tutte le sfumature del crimine. I racconti: Mary Cholmondeley, Lo sconosciuto sulla soglia; Agatha Christie, Il caso della domestica perfetta; Daphne du Maurier, Baciami ancora, sconosciuto; Anna Katharine Green, La macchia; Patricia Highsmith, Trappola di ghiaccio; Catherine Louisa Pirkis, La vendetta di una principessa; Ruth Rendell, La prudenza non è mai troppa; Fred Vargas, La notte efferata; Ethel Lina White, Statue di cera; Mary E. Wilkins Freeman, Una confessione; Barbara Wilson, Assassinio alla fiera internazionale del libro femminista.
Quando sei perso, guardati intorno. Dubita di tutto e cancellalo. Hai una sola certezza: tu sei lì. Lo sei perché c'è il tuo corpo e tu sei il tuo corpo. Il tuo corpo è spazio che hai attraversato, ma anche tempo che ti ha reso ciò che sei. Il tempo te lo porti scritto addosso: le cicatrici sono parole (questa racconta di quando bambino scivolasti così vicino a un chiodo da poterne rimanere cieco, quest'altra ti ricorda di quando quasi uccidesti tua moglie e tua figlia) e le parole sono cicatrici (quelle che ti disse tua madre dopo che la sentisti parlare al telefono con un uomo che non era tuo padre). Ma non c'è solo il dolore. C'è il piacere, tutto il piacere che hai vissuto, che ti ha travolto in questi sessantaquattro anni. E infine il corpo da cui il tuo corpo ha iniziato a esistere, quello di tua madre. La sua storia e il tuo rapporto con lei sono il cuore pulsante di questo libro (una sorta di doppio, di gemello segreto del tuo "L'invenzione della solitudine", dov'era il padre il fulcro dell'ossessione). Hai capito dal silenzio con cui hai accolto la notizia della sua morte e dalla crisi di panico che ne è seguita - fu come sentire il tuo stesso corpo fuggire da te - che qualcosa era cambiato, che dovevi fermarti a ricapitolare. Che eri entrato nell'inverno della vita.
Quando riceve una lettera di minaccia con un ragnetto al posto della firma, Felicito Yanaqué non perde tempo e va alla polizia di Piura a sporgere denuncia. È proprietario di una ditta di trasporti, ha una moglie, due figli, e una giovane amante di nome Mabel: ha faticato troppo per lasciare che adesso qualcuno gli porti via tutto e, più di ogni altra cosa, a spaventarlo non sono certo i ricatti, ma il disonore. A Lima, intanto, Rigoberto, a un passo dalla pensione, viene chiamato a fare da testimone a Ismael, il suo datore di lavoro che sposerà in gran segreto la domestica Armida, per impedire che il suo patrimonio venga dilapidato dai figli. Al ritorno dal viaggio di nozze, però, Ismael muore e Armida, spaventata dalle pressioni degli eredi, scappa a Piura, dalla sorella. Sta a Rigoberto mantenere la promessa fatta da testimone e sistemare la faccenda.
Kweku Sai è morto all'alba, davanti al mare della sua casa in Ghana. Quella casa l'aveva disegnata lui stesso su un tovagliolino di carta, tanti anni prima: un rapido schizzo, poco più che un appunto, come quando si annota un sogno prima che svanisca. Il suo sogno era avere accanto a sé, ognuno in una stanza, i quattro figli e la moglie Fola. Una casa che fosse contenuta in una casa più grande - il Ghana, da cui era fuggito giovanissimo - e che, a sua volta, contenesse una casa più piccola, la sua famiglia. Ma quella mattina Kweku è lontano dai suoi figli e da Fola. Perché il chirurgo più geniale di Boston, il ragazzo prodigio che da un villaggio africano era riuscito a scalare le più importanti università statunitensi, il padre premuroso e venerato, il marito fedele e innamorato, oggi muore lontano dalla sua famiglia? Lontano da Olu, il figlio maggiore, che ha seguito le orme del padre per vivere la vita che il genitore avrebbe dovuto vivere. Lontano dai gemelli, Taiwo e Kehinde, la cui miracolosa bellezza non riesce a nascondere le loro ferite. Lontano da Sadie, dalla sua inquietudine, dal suo sentimento di costante inadeguatezza. E lontano da Fola, la sua Fola. Ma le cose che sembrano più fragili, come i sogni, come certe famiglie, a volte sono quelle che si rivelano più resistenti, quelle che si scoprono più forti della Storia (delle sue guerre, delle sue ingiustizie) e del Tempo.
"Hanno ucciso papà. Ma queste cose succedono nei film, non può essere vero. I compagni dell'asilo non mi credono. Allora insisto: 'Hanno ammazzato papà, gli hanno sparato, bum! bum! bum! con la pistola' e mimo con le dita la forma dell'arma. Una P38". Walter Tobagi è morto a Milano il 28 maggio 1980, assassinato sotto casa da una semisconosciuta formazione terroristica. Era una delle firme piú prestigiose del "Corriere della Sera". Aveva trentatre anni. La figlia Benedetta aveva tre anni. Era lí. Oggi Benedetta vuole capire. Con forza, con delicatezza, ricostruisce la figura pubblica e privata del padre in un racconto che intreccia spietate vibrazioni intime ad analisi storiche lucide e rigorose. Cercando di comprendere cos'erano gli anni Settanta. Un libro tenero e terribile in cui batte il cuore di un padre ritrovato.
Un'infanzia vissuta sotto la stella dell'assenza e dell'estraneità. Parigi, ottobre 1942. Durante l'Occupazione un uomo e una donna si incontrano. Lui è un ebreo di origini toscane, lei è una fiamminga arrivata a Parigi inseguendo l'impossibile sogno di diventare ballerina. I due si sposano e hanno due figli, uno è Patrick Modiano. Per vent'anni vivono in un appartamento al numero 15 di quai de Conti, ma quelle che conducono sono vite parallele che a volte si intrecciano per brevi istanti ma che non si incontrano mai del tutto. Un'indifferenza tenacemente perseguita, segnata, per il piccolo Patrick, da affidamenti a persone di fiducia (che un bel giorno vengono arrestate dalla polizia) o reclusioni in collegi spartani e inospitali (dove si viene sistemati come "nel deposito bagagli di una stazione dimenticata"). A essere narrato in queste pagine è un universo di volti, a tratti solo un nome o un soprannome, che Modiano cerca di far riemergere dalla profondità della memoria per ricostruire una personale carta d'identità, o meglio per tracciare un impossibile e indefinito pedigree (lasciando però la sensazione che quella raccontata non sia mai la sua vita). Una narrazione colma di nostalgia e mistero, un affascinante ritratto di una Parigi-mito, un racconto generoso e impietoso di uomini ed esistenze reali o forse soltanto possibili.
Un magistrato che rimane vittima del proprio riflesso. Una partita di droga da ritrovare tra le nevi di Courmayeur. Uno scherzo di Halloween che si trasforma nel piú efferato dei giochi. Un rapimento annunciato per l'esatta metà della notte, quando il vecchio giorno non può che diventare un nuovo incubo. Undici maestri del giallo esplorano il territorio misterioso che si estende dal tramonto all'alba, attraverso tutte le sfumature del buio. Perché gli incubi più neri, e più veri, sono quelli che accadono quando non riusciamo a chiudere occhio. I racconti: Gilbert K. Chesterton, Lo specchio del magistrato; Agatha Christie, A mezzanotte in punto; Giancarlo De Cataldo, Neve sporca; Arthur Conan Doyle, L'avventura del pollice dell'ingegnere; Ellery Queen, L'avventura del gatto morto; Erckmann-Chatrian, L'occhio invisibile, o la locanda dei tre impiccati; Joe R. Lansdale, Veil in visita; Edgar Allan Poe, Gli omicidi della Rue Morgue; Melville Davisson Post, La notte oscura; Fred Vargas, Cinque franchi l'una; Edgar Wallace, Il poliziotto poeta.
A volte anche una visita inattesa e poco gradita - quella di un amico cieco della moglie, per esempio - può smuovere emozioni dimenticate. E cosi, infatti, che il narratore del racconto che dà il titolo alla raccolta - forse il più celebre di Carver e uno dei più amati dall'autore - finisce per passare quasi senza rendersene conto dall'iniziale ostilità condita di gelosia al momento di una piccola rivelazione. È un personaggio carveriano a tutti gli effetti, l'anonimo protagonista del racconto: sottilmente alla deriva, privo di amici, inchiodato in un lavoro che detesta, con una moglie da cui forse si sente un po' trascurato. Eppure, è proprio la presenza ingombrante del cieco Robert a costringerlo a uscire dalla sua corazza e abbozzare un rapporto umano, una condivisione che gli permetterà di recuperare, forse, una parte di sé dimenticata. Carver ne segue l'impercettibile evoluzione con naturalezza, con uno stile maturo e consapevole dei propri mezzi, da lui stesso definito "più pieno e generoso". Se "Cattedrale" chiude la raccolta su una tenue nota positiva, nel resto del libro prevalgono i toni desolati, i fragili equilibri pronti a spezzarsi in conseguenza di eventi all'apparenza secondari: un nuovo trasloco in "La casa di Chef", l'atto mancato di una riconciliazione impossibile in "Lo scompartimento", l'inizio di una crisi senza apparenti vie d'uscita in "Vitamine", in cui nella deriva personale fa irruzione la violenza della storia.
Tre leggendari pionieri ottocenteschi rivivono fra le pagine dell'originale e struggente mescolanza di fatti e finzione che è "Livelli di vita": Fred Burnaby, colonnello della cavalleria della Guardia Reale inglese e viaggiatore per terre esotiche e inesplorate, la "divina" Sarah Bernhardt, la più grande attrice di tutti i tempi a detta di alcuni, e Félix Tournachon, il caricaturista, vignettista, aeronauta e celebre fotografo ritrattista noto come Nadar. Ad accomunarli, un'incomprimibile passione per il volo, l'impulso sacrilego a issarsi a bordo di una cesta di vimini appesa a un pallone e, affidandosi a un precario equilibrio di pesi e correnti, sganciarsi dal regno che ci è deputato per conquistare lo spazio degli dèi. Una buona metafora per ogni storia d'amore. Quella immaginata fra Burnaby e Sarah Bernhardt, ad esempio - l'aria, l'assenza di vincoli, l'eccentricità, lei; la concretezza, l'avventura, la disciplina, lui. O quella, cinquantennale, fra Nadar e l'afasica moglie Ernestine. Oppure la storia d'amore, durata trent'anni e poi proseguita, fra Julián Barnes e la moglie Pat Kavanagh. Storie in cui "metti insieme due cose che insieme non sono mai state e il mondo cambia", esempi di una "devozione uxoria" che travalica ogni barriera. Volare è esaltante e semidivino, volare è pericoloso. Un calcolo sbagliato, un vento contrario, un disegno avverso, o la casuale assenza di esso, e si può precipitare.
Tokyo, 1984. Aomame è un'assassina spietata e fragile. In minigonna e tacchi a spillo, vendica tutte le donne che subiscono violenza, con una tecnica micidiale e invisibile. Tengo è un ghost writer che deve riscrivere un libro inquietante, pericoloso come una profezia. Entrambi si giocano la vita in una storia che sembra destinata a farli incontrare. Ma quando Aomame vede sorgere in cielo una seconda luna, capisce che, forse, non potranno condividere neppure la stessa realtà...
Periferia di Milano, anni Settanta. Gli anni del terrorismo e della droga, dei sogni di Oriente e di liberazione. Una mattina, nella classe di un Istituto Agrario, fa la sua apparizione Giulia, una giovane professoressa di lettere che parla di letteratura e di poesia con una passione sconosciuta. È quell'incontro a "salvare" Massimo Recalcati che, in questo libro dedicato alla pratica dell'insegnamento, riflette su cosa significa essere insegnanti in una società senza padri e senza maestri, svelandoci come un bravo insegnante sia colui che sa fare esistere nuovi mondi, che sa fare del sapere un oggetto del desiderio in grado di mettere in moto la vita e di allargarne l'orizzonte. È il piccolo miracolo che può avvenire nell'ora di lezione: l'oggetto del sapere si trasforma in un oggetto erotico, il libro in un corpo. Un elogio dell'insegnamento che non può accontentarsi di essere ridotto a trasmettere informazioni e competenze. Un elogio della stortura della vite che non deve essere raddrizzata ma coltivata con cura e riconquistata nella sua singolare bellezza.
Nella materia liquida di questo tempo che indebolisce ogni gerarchia, i conflitti tra le generazioni sembrano passati di moda. Genitori e figli si trovano vicini all'improvviso, tanto nei comportamenti quanto nel modo di guardare il mondo, in famiglie che, invece di essere allargate, sono "allungate". Al posto del classico rapporto di subalternità, compare cosi una condizione più complice e paritaria, che in alcuni casi si trasforma in vera e propria amicizia. Un fatto all'apparenza positivo, ma che nasconde una questione cruciale: non è sulla frattura condivisa tra giovani e adulti che si struttura l'identità? In questo libro Marco Aime e Gustavo Pietropolli Charmet affrontano la progressiva svalutazione di quei riti di passaggio, come la leva militare o il fidanzamento, che scandivano fino a ieri lo sviluppo del nostro ruolo sociale, e le sue conseguenze. Perché, se l'autorità dei genitori tende all'estinzione, la scuola perde d'importanza e l'ingresso nel mondo del lavoro pare sempre più un miraggio, quando arriva il momento delle responsabilità?
Una nuova edizione per un classico del Novecento. Il testo è accompagnato dall'introduzione di David Bidussa, da note bio-bibliografiche e da una scelta di letture critiche di Cesare Cases, Lorenzo Mondo, Frediano Sessi, Pier Vincenzo Mengaldo, Cesare Segre e Stefano Levi Della Torre. "'Sommersi e salvati' è un classico contemporaneo che portiamo nel XXI secolo. Occorre rileggerlo anche avendo in mano le tracce delle letture precedenti. Quelle risposte non sono da gettare e comunque non sono fallaci. Raccontano la storia di una lettura che è prima di tutto la storia delle nostre incertezze e delle nostre domande inevase." (D.B.)
"Ora che avverto quotidianamente l'incedere della vecchiaia, la memoria mi riporta sovente ai luoghi in cui ho vissuto..." dice Enzo Bianchi che parte con cuore, testa e memoria, alla ricerca di tutti i luoghi che hanno suscitato in lui affetti e sentimenti, dove ha trascorso l'infanzia o che ha raggiunto viaggiando. E noi partiamo con lui. Quelli che visitiamo sono angoli di mondo ma anche luoghi della vita e dell'anima. Sono il Monferrato con le sue colline, i "bric", il paese con la sua comunità, le usanze, i proverbi, l'esistenza grama, la fatica e i momenti di forte e gratuita solidarietà. Sono la cella del monaco, un luogo da dove osservare il mondo, dove diventare consapevoli delle gioie e delle sofferenze e dove prendono forma le parole con cui narrare qualcosa della vita. Un luogo in cui si ripropone sovente la domanda: che ne è di noi? Perché questo viaggio, naturalmente, è anche un viaggio nel tempo, un viaggio nella vita che scorre, nei giorni di un uomo e in quelli delle stagioni. Sono i giorni del focolare, passati a tavola conversando insieme ai famigliari e all'ospite, gustando il cibo preparato con cura e bevendo il vino che celebra e festeggia. Ma sono anche le vacanze di Natale, quando i bambini aspettavano la festa preparando il presepe e la sera della vigilia il grande ceppo, elsùc 'd Nadàl, ardeva nel camino. Sono tutti giorni che attraversano il tempo e fanno parte del nostro vivere: alcuni ci fanno soffrire, altri ci rallegrano e ancora ci stupiscono.
Al centro di questo romanzo misterioso e potente, che scorre in una lingua tersa dove sembrano risuonare insieme gli echi delle vite dei mistici e la poesia di Emily Dickinson, c'è la figura di Ildegarda. Una donna che viene lasciata dal marito amatissimo ma devastato nello spirito. La sua solitudine è illuminata solo dall'amore per il figlio che adora. Quando l'ombra della morte sembra sfiorare il bambino, Ildegarda si interroga sul male del mondo, sulla paura di vivere, di perdere l'amore, di perdere il figlio. Lo strazio per l'abbandono e soprattutto l'angoscia per non saper proteggere il figlio portano Ildegarda a cercare nella sua fede irrequieta una strada di salvezza. Un patto con quel Dio che appare impotente di fronte al dolore dell'uomo. È la lotta che ciascuno di noi, credente o no, un giorno si trova a combattere. Un nuovo inatteso incontro, nell'incanto di un paesaggio di neve dalla bellezza struggente, porta Ildegarda a vivere una passione del corpo e dello spirito che ha in sé un'attesa di eternità. Di un'altra vita e giorni nuovi. Perché il sogno di ogni amore è che il miracolo non abbia fine. Forse è solo una promessa, ma una promessa è molto più potente di un sogno.
Adele ha trentadue anni e non ha mai lavorato un giorno in vita sua. Una mattina si sveglia e scopre che il suo mondo non esiste più: il marito ha dichiarato fallimento, ha prosciugato i conti in banca ed è scappato con l'amante. Come regalo d'addio le ha lasciato il gigantesco cane della sua nuova fidanzata. Ed è proprio mentre Adele tenta di liberarsene che una ragazza con una bambina in braccio le si fionda in macchina... Inizia così il nuovo romanzo di Stefania Bertola, con l'incontro-scontro tra due donne che non potrebbero essere più distanti: una pare uscita da una versione biellese di Beautiful, l'altra è ecocompatibile e spontaneamente zen, generatrice automatica di guai. Costrette dal destino a dividere una casa, alcune insidie, un'accanita nemica e un affascinante bugiardo, ciascuna imparerà dall'altra a ribaltare le proprie certezze.
In questo romanzo Niccolò Ammaniti va al cuore della sua narrativa, con una storia tesa e dal ritmo serrato, un congegno a orologeria che si carica fino a una conclusione sorprendente: e mette in scena la paura stessa. Michele Amitrano, nove anni, si trova di colpo a fare i conti con un segreto cosi grande e terribile da non poterlo nemmeno raccontare. E per affrontarlo dovrà trovare la forza proprio nelle sue fantasie di bambino, mentre il lettore assiste a una doppia storia: quella vista con gli occhi di Michele e quella, tragica, che coinvolge i grandi di Acqua Traverse, misera frazione dispersa tra i campi di grano. Il risultato è un racconto potente e di assoluta felicità narrativa, dove si respirano atmosfere che vanno da Clive Barker alle Avventure di Tom Sawyer, alle Fiabe italiane di Calvino. La storia è ambientata nell'estate torrida del 1978 nella campagna di un Sud dell'Italia non identificato, ma evocato con rara forza descrittiva. In questo paesaggio dominato dal contrasto tra la luce abbagliante del sole e il buio della notte, Ammaniti alterna, a colpi di scena sapienti, la commedia, il mondo dei rapporti infantili, la lingua e la buffa saggezza dei bambini, la loro tenacia, la forza dell'amicizia e il dramma del tradimento.
Esiste una Roma che non compare in nessuna guida turistica, una città nella città fatta di inattesi frammenti di magia. Una Roma in cui la parola d'ordine è girovagare, dalla primavera all'inverno, sotto la pioggia e sotto il sole, con il naso all'insù o gli occhi ben piantati, in attesa di quelle scoperte che fermano il tempo e ripuliscono lo sguardo: il capolavoro meno visibile della storia dell'arte, una piazza affollata di poeti come un ascensore, l'elefantino del Bernini "con un obelisco sul groppone", il pavone che passeggia sulla Garbatella... Nove anni dopo "Isole", Marco Lodoli torna a vagabondare nella capitale per recuperare tutto ciò che non aveva trovato posto nella sua prima "guida". Un libro che è un invito a "scantonare" dalla vita di tutti i giorni, per imparare a riconoscere la bellezza e godersela, fino in fondo.
Una ragazza che sparisce dopo un falò. Una cena all'aperto che potrebbe rivelarsi fatale. Un ladro che firma il proprio colpo con un Sette di cuori. Un uomo ucciso con un coltello per l'arrosto durante il picnic del 4 luglio. E attorno a un nido di vespe l'indagine perfetta, quella che non ha bisogno di spargimento di sangue per arrivare a una soluzione. Undici maestri del mistero portano alla luce del sole ciò che di solito rimane avvolto nell'ombra. Undici racconti per un'estate che si tinge di giallo. Racconti di: Agatha Christie, Arthur Conan Doyle, Ellery Queen, Jacques Futrelle, Émile Gaboriau, Maurice Leblanc, Catherine Louisa Pirkis, Edgar Allan Poe, Rex Stout, Fred Vargas. Con la partecipazione di Marcello Fois.
Anno Domini 1555. Sopravvissuto a quarant'anni di lotte che hanno sconvolto l'Europa, un eretico dai mille nomi racconta la sua storia e quella del suo nemico, Q. Predicatori, mercenari, banchieri, stampatori di libri proibiti, principi e papi compongono l'affresco dei tumultuosi anni delle guerre di religione: dalla Germania di Lutero, al regno anabattista di Münster, all'Italia insidiata dall'Inquisizione. "Q" è l'esordio narrativo del rivoluzionario collettivo ora noto come Wu Ming.
"Lasciarsi andare" raccoglie diciassette racconti, scelti da Alice Munro tra i suoi preferiti. Diciassette pietre miliari che scandiscono un percorso affascinante lungo la sua carriera, le sue opere, i suoi temi. E che ci permettono di osservare, con un unico colpo d'occhio, l'evoluzione del suo talento. Prefazione di Margaret Atwood.
Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.
Christopher Boone ha quindici anni e soffre della sindrome di Asperger, una forma di autismo. Il suo rapporto con il mondo è problematico: odia essere toccato, detesta il giallo e il marrone, si arrabbia se i mobili di casa vengono spostati, non riesce a interpretare l'espressione del viso delle persone, non sorride mai... In compenso, adora la matematica, l'astronomia e i romanzi gialli, ed è intenzionato a scriverne uno. Si, perché da quando ha scoperto il cadavere di Wellington, il cane della vicina, non riesce a darsi pace. E gettandosi nel "caso" con la stessa passione del suo eroe Sherlock Holmes, finisce per portare alla luce un mistero più profondo, che gli cambierà la vita e lo costringerà ad addentrarsi nel mondo caotico e rumoroso degli altri. Con una nuova prefazione dell'autore.
La vigilia di Natale, Manuela Paris torna a casa, in una cittadina sul mare vicino Roma. Non ha ancora ventotto anni. È assente da tempo, da quando è andata via - ancora ragazza - per fare il soldato. In fuga da un'adolescenza sbandata, dalle frustrazioni di una madre che cerca attraverso di lei il proprio riscatto e dalle lacerazioni della sua famiglia. Con rabbia, determinazione e sacrificio, Manuela si è faticosamente costruita la vita che sognava, fino a diventare sottufficiale dell'esercito e comandante di plotone in una base avanzata del deserto afghano, responsabile della vita e della morte di trenta uomini. Ma il sanguinoso attentato in cui è rimasta gravemente ferita la costringe a una guerra molto diversa e non meno insidiosa: contro i ricordi, il disinganno e il dolore, ma anche contro il ruolo stereotipato di donna e vittima che la società tenta di imporle. L'incontro con il misterioso ospite dell'Hotel Bellavista, Mattia Rubino, un uomo apparentemente senza passato e, come lei, sospeso in un suo personale limbo di attesa e speranza, è l'occasione per fare i conti con la sua storia. E per scoprire che vale sempre la pena vivere - perché nessuno, nemmeno lei, è ciò che sembra. Cronaca, affresco e diario, storia d'amore e di perdita, di morte e resistenza, spiazzante e catartico, "Limbo" si interroga anche, e ci interroga, su cosa significhi, oggi, essere italiani.
Allestito con le scenografie dipinte dallo stesso Dario Fo ormai quindici anni fa e tornato a calcare le scene in una nuova forma al Teatro Duse di Bologna nel febbraio del 2014, "Lu santo jullàre Franzesco" prende spunto da leggende popolari, testi canonici del Trecento e documenti riscoperti negli ultimi tre secoli. A emergere è il lato umano del santo che amava definirsi "jullàre al servizio di Dio": la personalità multiforme, la capacità di comunicare l'idea di un Dio aperto al dialogo con l'uomo peccatore, il carisma e l'abilità istrionica che lo hanno reso universale patrimonio dell'umanità e non solo della Chiesa. In questa riscrittura Fo dedica l'incipit del testo a papa Francesco, a un possibile cambiamento di rotta della Chiesa (più un auspicio che una scommessa a tutti gli effetti) e alla decisione di Bergoglio di chiamarsi, appunto, Francesco. Un nome che nessun papa aveva osato scegliere prima, per un santo che il potere ecclesiastico aveva a lungo cercato di "addomesticare", riuscendoci solo dopo la sua morte con l'imposizione di una biografia autorizzata e l'eliminazione di qualsiasi riferimento al Francesco sovversivo della prima cronaca.
"Io non ho più interesse per niente e nessuno, rubo penne, passeggio per strade degradate, sbavo per una portinaia e basta, basta così", dice di sé il narratore di questa storia, un vecchiaccio sgradevole e scorretto, burbero, perfido. Irresistibile. E se la portinaia di cui si è invaghito - una donna sulla sessantina, attraente, 'sciabile'- accetta la corte di un barista con i denti rifatti; se la sua ex moglie, che era "un vortice di generosità, di capricci, di ovulazioni, di piccole iniziative stupefacenti", lo guarda come se fosse il suo gommista; se con la figlia parla per lo più del tempo, a lui non resta che raccontare, divagando, di tutto questo. E raccontare di Armando, il suo migliore amico. La parte buona del carciofo che è lui. Una persona rara, gentile, positiva. Con un progetto folle in testa. Sì, perché se tutti vogliono lasciare qualcosa dopo la loro morte, "chi una tabaccheria avviata, chi un grande romanzo, qualcun altro una collezione di lattine di birra", Armando vuole lasciare un amore. Si è messo in testa che due ragazzi del quartiere che ancora non si conoscono, Chiara e Giacomo, sarebbero una coppia perfetta, e intende dare una mano al destino. Pretesa, questa, che l'intrattabile vecchiaccio reputa ridicola e tenta di osteggiare in tutti i modi. Ma dopo aver impiegato oltre settant'anni per convincere gli altri a non contare su di lui, si ritroverà coinvolto dalla fastidiosa, insistente, implacabile fiducia nella vita di Armando.
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Sono passati più di sessant'anni da quando è stato scritto, ma continuiamo a vederlo, Holden Caufield, con quell'aria scocciata, insofferente alle ipocrisie e al conformismo, lui e tutto quello che gli è cascato addosso dal giorno in cui lasciò l'Istituto Pencey con una bocciatura in tasca e nessuna voglia di farlo sapere ai suoi. La trama è tutta qui, narrata da quella voce spiccia e senza fronzoli. Ma sono i suoi pensieri, il suo umore rabbioso, ad andare in scena. Perché è arrabbiato Holden? Poiché non lo si sa con precisione, ciascuno vi ha letto la propria rabbia, ha assunto il protagonista a "exemplum vitae", e ciò ne ha decretato l'immenso successo che dura tuttora. Torna, in una nuova traduzione di Matteo Colombo, il libro che ha sconvolto il corso della letteratura contemporanea influenzando l'immaginario collettivo e stilistico del Novecento.
In questa raccolta la Munro conferma le sue qualità narrandoci una manciata di esistenze dove avvenimenti inattesi o particolari dimenticati modificano il corso delle cose. Una cameriera dai capelli rossi, nuova arrivata in una vecchia dimora, viene per caso coinvolta nello scherzo di una ragazzina. Una studentessa universitaria si reca per la prima volta in visita a un'anziana zia e, riconoscendo un mobile di famiglia, scopre un segreto di cui non era a conoscenza. Una paziente giovane e in fin di vita trova un'inaspettata speranza di proiettarsi nel futuro. Una donna ricorda un amore brevissimo e che tuttavia ha modificato per sempre il suo vivere.
Il legame sociale e affettivo più nobile, l'amicizia, in un libro che ne rivela la forza consolatoria e al tempo stesso rivoluzionaria, in un'epoca segnata dalla crisi e dalla banalizzazione dei sentimenti. Col tono sobrio ma appassionato di sempre, Paolo Crepet indaga l'amicizia, sentimento "più dogmatico dell'amore", che non conosce sfumature di comodo, per ridarle dignità. Si interroga sulle amicizie maschili e femminili, sul loro rapporto con l'amore e con il sesso, con il dolore e con la morte, con la fedeltà e il tradimento. E ancora sull'amicizia tra genitori e figli e sul senso che essa ha all'epoca dei social network. Rivelandoci il potere che rivestono nella nostra vita le relazioni che non giudicano e non ricattano, ma chiedono complicità e gratuità. E lasciandoci nella mente alcuni ritratti indimenticabili, che con leggerezza e ironia trattengono qualcosa del passato, e ci fanno intuire che nell'amicizia il tempo non è mai perduto. Con una nuova prefazione dell'autore.
Nel 1903 Vita e Diamante, nove anni lei, dodici lui, sbarcano a New York. Dalla miseria delle campagne del Mezzogiorno vengono catapultati in una metropoli moderna, caotica e ostile. Vita è ribelle, possessiva e indomabile, Diamante taciturno, orgoglioso e temerario. Li aspettano sopraffazione, violenza e tradimento. Ma anche occasioni di riscatto, la scoperta dell'amicizia e, soprattutto, l'amore. Che si rivelerà più forte della distanza, della guerra, degli anni. Dando voce a un coro di personaggi perduti nella memoria, Melania Mazzucco tesse i fili di una narrazione che è insieme familiare e universale. La storia di tutti quelli che hanno sognato, e sognano, una vita migliore.
Tutti i bambini della regione di Gaomi sono venuti al mondo grazie alle cure e alla sapienza delle mani di Wan Xin, l'unica levatrice della zona. Il suo è un talento naturale che in breve tempo la trasforma nell'amata custode dei segreti della maternità. Ma quando, a metà degli anni Sessanta, il partito è preoccupato per l'esplosione demografica e decide di porvi rimedio, Wan Xin diventa la severa vestale della politica per il controllo delle nascite imposta dal regime e si applica a praticare aborti e vasectomie con lo stesso zelo con cui portava nel mondo nuove vite. Col passare degli anni la campagna per il controllo demografico acquista un carattere di violenza repressiva a cui la stessa Wan Xin non riesce a sottrarsi: in un drammatico inseguimento, una donna partorisce su di una zattera in mezzo al fiume pur di salvare la vita al figlio. Quando all'inizio degli anni Novanta, la stretta del regime si allenta, Wan Xin vede crollare i motivi e gli ideali in cui aveva creduto e con cui aveva messo a tacere la sua coscienza. Finché, in una drammatica notte, tornando a casa, si smarrisce in una zona paludosa: il gracidare delle rane le ricorda il pianto dei bambini mai nati, i corpi gelidi degli animali, come piccoli feti abortiti, la circondano, la ricoprono, spingendola a un ripensamento di tutta la sua vita.
Luciano Ligabue ha sempre sostenuto - e lo ribadisce nel testo scritto appositamente per questo volume - di avere un pubblico particolare. Non solo "bello", né semplicemente "diverso" da tutti gli altri, ma proprio "speciale", e che dunque meritava di essere raccontato in presa diretta. Emanuela Papini raccoglie la sfida con un libro che nasce come testimonianza di amore reciproco e di reciproca gratitudine tra un cantautore e il suo pubblico, ma che è diventato molto di più. Perché Ligabue ha ragione: nelle storie della "sua gente" c'è il ritratto emotivo di un pezzo d'Italia meravigliosa e vera, in equilibrio precario ma forse mai così viva. Un'Italia fatta di persone che lottano, amano, credono, sognano, soffrono, rischiano, imparano, qualche volta perdono ma continuano a provare, e infine vincono. La loro quotidianità è il tessuto di un romanzo cantato in coro in cui è facile riconoscersi, perché è un po' la nostra quotidianità. E sullo sfondo, in ogni pagina, ci sono le canzoni di Ligabue: la colonna sonora che accompagna le nostre vite e qualche volta - e allora è una piccola magia - le cambia.
"Esercizi di stile" è un esilarante testo di retorica applicata, un'architettura combinatoria, un avvincente gioco enigmistico. Tutto vero, però è anche un manifesto letterario (antisurrealista), è un tracciato di frammenti autobiografici, è la trascrizione di una serie di sogni realmente effettuati da Queneau. E perfino un testo politico, nonché un'autoparodia. Questo è quanto emerge dalle riflessioni che Stefano Bartezzaghi ha dedicato a questo libro-capolavoro. E la sua postfazione al volume diventa complementare alla classica introduzione di Umberto Eco, del quale si conserva anche la traduzione. In appendice, presentati per la prima volta in italiano, alcuni esercizi lasciati cadere nell'edizione definitiva, un indice preparatorio e l'introduzione, anch'essa inedita in Italia, scritta da Queneau per un'edizione del 1963.
È un rapporto molto conflittuale, fatto di continue rotture e difficili riconciliazioni, a legare la narratrice a Emerenc Szeredàs, la donna che la aiuta nelle faccende domestiche. La padrona di casa, una scrittrice inadatta ad affrontare i problemi della vita quotidiana, fatica a capire il rigido moralismo di Emerenc, ne subisce le spesso indecifrabili decisioni, non sa cosa pensare dell'alone di mistero che ne circonda l'esistenza e soprattutto la casa, con quella porta che nessuno può varcare. In un crescendo di rivelazioni scopre che le scelte spesso bizzarre e crudeli, ma sempre assolutamente coerenti dell'anziana donna, affondano in un destino segnato dagli avvenimenti più drammatici del Novecento.
Un diavoletto dai mille giochi di prestigio conduce Roberto, un ragazzino che odia la matematica perché insegnata male da un professore antipatico, alla scoperta del paese incantato dei numeri. E il mondo della matematica diventa fantasioso come una fiaba. Età di lettura: da 10 anni.
Enid e Alfred Lambert, in una città del Midwest americano, trascinano le giornate accumulando oggetti, ricordi, delusioni e frustrazioni del loro matrimonio: l'uno in preda ai sintomi di un Parkinson che preferisce ignorare, l'altra con il desiderio, ormai diventato scopo di vita, di radunare per un «ultimo» Natale i tre figli allevati secondo le regole e i valori dell'America del dopoguerra, attenti a «correggere» ogni deviazione dal «giusto». Ma i figli se ne sono andati sulla costa: Gary, dirigente di banca, vittima di una depressione strisciante e di una moglie infantile; Chip che ha perso il posto all'università per «comportamento sessuale scorretto»; infine Denise, chef di successo che conduce una vita privata discutibile secondo i Lambert.
Giudicando la propria vita di uomo e l'opera politica, Adriano non ignora che Roma finirà un giorno per tramontare; e tuttavia il suo senso dell'umano, eredità che gli proviene dai Greci, lo sprona a pensare e servire sino alla fine. "Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo" afferma, personaggio che porta su di sé i problemi degli uomini di ogni tempo, alla ricerca di un accordo tra la felicità e il metodo, fra l'intelligenza e la volontà. I "Taccuini di appunti" dell'autrice (annotazioni di studio, lampi di autobiografia, ricordi, vicissitudini della scrittura) perfezionano la conoscenza di un'opera che fu pensata, composta, smarrita, corretta per quasi un trentennio.
"Oggi questo celebre resoconto di un semplice sottoufficiale alpino che si trova a combattere nel settore centrale del fronte russo, proprio quando l'esercito dell'Unione Sovietica sferra il suo potente attacco demolitore, acquista rilievo speciale. Man mano che i fatti narrati si allontanano nel tempo, il diario del sergente diventa più intenso e assume i caratteri dell'esperienza perenne. La testimonianza scritta, rispetto agli eventi storico-geografici da cui è scaturita, intrattiene lo stesso rapporto che potremmo supporre fra la moneta e il suo conio." (Dalla postfazione di Eraldo Affinati)
Possono esistere felicità trascurabili? Come chiamare quei piaceri intensi e volatili che punteggiano le nostre giornate, accendendone i minuti come fiammiferi nel buio? Sei in coda al supermercato in attesa del tuo turno, magari sei bloccato nel traffico, oppure aspetti che la tua ragazza esca dal camerino di un negozio d'abbigliamento. Quando all'improvviso la realtà intorno a te sembra convergere in un solo punto, e lo fa brillare. E allora capisci di averne appena incontrato uno. I momenti di trascurabile felicità funzionano così: possono annidarsi ovunque, pronti a pioverti in testa e farti aprire gli occhi su qualcosa che fino a un attimo prima non avevi considerato. Per farti scoprire, ad esempio, quant'è preziosa quella manciata di giorni d'agosto in cui tutti vanno in vacanza e tu rimani da solo in città. Quale interesse morboso ti spinge a chiuderti a chiave nei bagni delle case in cui non sei mai stato e curiosare su tutti i prodotti che usano. A metà strada tra "Mi ricordo" di Perec e le implacabili leggi di Murphy, Francesco Piccolo mette a nudo i piaceri più inconfessabili, i tic, le debolezze con le quali tutti noi dobbiamo fare i conti. Pagina dopo pagina, momento dopo momento, si finisce col venire travolti da un'ondata di divertimento, intelligenza e stupore. L'autore raccoglie, cataloga e fa sue le mille epifanie che sbocciano a ogni angolo di strada. Perché solo riducendo a spicchi la realtà si riesce ad afferrare per la coda il senso profondo della vita.
A questo romanzo (pensato e scritto in tre anni, dal 1971 al 1974) Elsa Morante consegna la massima esperienza della sua vita "dentro la Storia" quasi a spiegamento totale di tutte le sue precedenti esperienze narrative: da "L'isola di Arturo" a "Menzogna e sortilegio". La Storia, che si svolge a Roma durante e dopo la seconda guerra mondiale, vorrebbe parlare in un linguaggio comune e accessibile a tutti.
"L'arte della gioia" è un libro postumo: giaceva da vent'anni abbandonato in una cassapanca e, dopo essere stato rifiutato da molti editori, venne stampato in pochi esemplari da Stampa Alternativa nel 1998. Ma soltanto quando uscì in Francia ricevette il giusto riconoscimento. Nel romanzo tutto ruota intorno alla figura di Modesta: una donna vitale e scomoda, potentemente immorale secondo la morale comune. Una donna siciliana in cui si fondono carnalità e intelletto. Modesta nasce in una casa povera ma fin dall'inizio è consapevole di essere destinata a una vita che va oltre i confini del suo villaggio. Ancora ragazzina è mandata in un convento e successivamente in una casa di nobili dove, grazie al suo talento e alla sua intelligenza, riesce a convertirsi in aristocratica attraverso un matrimonio di convenienza. Tutto ciò senza smettere di sedurre uomini e donne di ogni tipo. Amica generosa, madre affettuosa, amante sensuale: Modesta è una donna capace di scombinare ogni regola del gioco pur di godere del vero piacere, sfidando la cultura patriarcale, fascista, mafiosa e oppressiva in cui vive. "L'arte della gioia" è l'opera scandalo di una scrittrice. È un'autobiografia immaginaria. È un romanzo d'avventura. È un romanzo di formazione. Ed è anche un romanzo erotico, e politico, e psicologico. Insomma, è un romanzo indefinibile, che conquista e sconvolge.
A Buell, in Pennsylvania, il sogno americano prende la ruggine accanto alle fabbriche chiuse e alle acciaierie dimesse. Il lavoro che se ne va lascia dietro di sé una comunità in cui la fine del sogno di una nazione si ripete, ogni giorno, nei sogni infranti dei suoi abitanti. Come quelli di Isaac English: vent'anni, timido, insicuro, ha il cervello di un genio ma il college rimane un sogno da quando la madre si è suicidata e lui, qualche tempo dopo, ha tentato di imitarla. Sarebbe morto se non l'avesse salvato Billy Poe. Billy, da parte sua, non è molto sveglio, ma in compenso è grande e grosso: a scuola era un campione di football tanto da guadagnarsi una borsa di studio per l'università. Andarsene avrebbe significato stare alla larga dai guai ma ad abbandonare sua madre e la baracca in cui vivono non ce l'ha proprio fatta. Poi un giorno, dopo anni passati ad accudire il padre invalido, Isaac decide di scappare di casa e partire per la California. Appena fuori città si imbatte nell'amico Billy e quando scoppia un temporale decidono di ripararsi in un capannone abbandonato: l'incontro con tre senzatetto darà inizio a un'imprevedibile catena di eventi che segneranno per sempre le vite di Isaac, Billy e degli altri personaggi.
Il "Diario" della ragazzina ebrea che a tredici anni racconta gli orrori del Nazismo torna in una nuova edizione integrale, curata da Otto Frank e Mirjam Pressler, e nella versione italiana da Frediano Sessi, con la traduzione di Laura Pignatti e la prefazione dell'edizione del 1964 di Natalia Ginzburg. Frediano Sessi ricostruisce in appendice gli ultimi mesi della vita di Anna e della sorella Margot, sulla base delle testimonianze e documenti raccolti in questi anni.
Perché gli europei hanno assoggettato gran parte degli altri popoli? Secondo Diamond le diversità culturali affondano le loro radici in diversità geografiche, ecologiche e territoriali sostanzialmente legate al caso. Armato di questa idea, l'autore può lanciarsi in un appassionante giro del mondo, alla ricerca di casi esemplari con i quali illustrare e mettere alla prova le sue teorie. Attingendo alla linguistica, all'archeologia, alla genetica molecolare e a mille altre fonti di conoscenza, Diamond riesce a condurre questo "tour de force" storico-culturale con sorprendente maestria, affiancando aneddoti personali a racconti drammatici o a spiegazioni di complesse teorie biologiche, che affronta con abilità di divulgatore.
Primo Levi, reduce da Auschwitz, pubblicò "Se questo è un uomo" nel 1947. Einaudi lo accolse nel 1958 nei "Saggi" e da allora viene continuamente ristampato ed è stato tradotto in tutto il mondo. Testimonianza sconvolgente sull'inferno dei Lager, libro della dignità e dell'abiezione dell'uomo di fronte allo sterminio di massa, "Se questo è un uomo" è un capolavoro letterario di una misura, di una compostezza già classiche. È un'analisi fondamentale della composizione e della storia del Lager, ovvero dell'umiliazione, dell'offesa, della degradazione dell'uomo, prima ancora della sua soppressione nello sterminio.
"La tregua", seguito di "Se questo è un uomo", è considerato da molti il capolavoro di Levi: diario del viaggio verso la libertà dopo l'internamento nel Lager nazista, questo libro, più che una semplice rievocazione biografica, è uno straordinario romanzo picaresco. L'avventura movimentata e struggente tra le rovine dell'Europa liberata - da Auschwitz attraverso la Russia, la Romania, l'Ungheria, l'Austria fino a Torino - si snoda in un itinerario tortuoso, punteggiato di incontri con persone appartenenti a civiltà sconosciute, e vittime della stessa guerra. L'epopea di un'umanità ritrovata dopo il limite estremo dell'orrore e della miseria.
Quando "Il grande quaderno" apparve in Francia a metà degli anni Ottanta, fu una sorpresa. La sconosciuta autrice ungherese rivela un temperamento raro in Occidente: duro, capace di guardare alle tragedie con quieta disperazione. In un Paese occupato dalle armate straniere, due gemelli, Lucas e Klaus, scelgono due destini diversi: Lucas resta in patria, Klaus fugge nel mondo cosiddetto libero. E quando si ritroveranno, dovranno affrontare un Paese di macerie morali. Storia di formazione, la "Trilogia della città di K" ritrae un'epoca che sembra produrre soltanto la deformazione del mondo e degli uomini, e ci costringe a interrogarci su responsabilità storiche ancora oscure.
"Eboli - dicono i lucani tra cui Levi fu mandato al confino dal fascismo - e l'ultimo paese di cristiani. Cristiano è uguale a uomo. Nei paesi successivi, i nostri, non si vive da cristiani, ma da animali". Dice Italo Calvino in uno dei due testi che introducono questo volume: "La peculiarità di Carlo Levi sta in questo: che egli è il testimone della presenza di un altro tempo all'interno del nostro tempo, è l'ambasciatore d'un altro mondo all'interno del nostro mondo. Possiamo definire questo mondo il mondo che vive fuori della nostra storia di fronte al mondo che vive nella storia. Naturalmente questa è una definizione esterna, è, diciamo, la situazione di partenza dell'opera di Carlo Levi: il protagonista di "Cristo si è fermato a Eboli" è un uomo impegnato nella storia che viene a trovarsi nel cuore di un Sud stregonesco, magico, e vede che quelle che erano per lui le ragioni in gioco qui non valgono più, sono in gioco altre ragioni, altre opposizioni nello stesso tempo più complesse e più elementari".
Durante un viaggio in Russia Carrère riprende contatto con le sue origini, con la lingua russa che ha accompagnato la sua infanzia e, soprattutto, inizia a indagare sul nonno materno, che dopo una vita difficile scomparve nell'autunno del 1944, probabilmente ucciso perché sospettato di collaborazionismo con i tedeschi. È il segreto di sua madre, il fantasma che tormenta la sua famiglia. Proprio per esorcizzarlo ha deciso di andare in una piccola cittadina della provincia russa, dove rimane per un lungo periodo, in attesa che accada qualcosa. E qualcosa accadde: un crimine atroce. La follia e l'orrore tornano a impossessarsi di lui e, allo stesso tempo, della sua vita amorosa. Scrive per Sophie una novella erotica ("Facciamo un gioco") che dovrebbe irrompere nella realtà di un amore improntato a fughe, tradimenti, riprese; ma la realtà manda a soqquadro i suoi piani, facendo a pezzi il suo amore.
Pubblicato nell'aprile del 1950 e considerato dalla critica il libro più bello di Pavese, "La luna e i falò" è il suo ultimo romanzo. Il protagonista, Anguilla, all'indomani della Liberazione torna al suo paese delle Langhe dopo molti anni trascorsi in America e, in compagnia dell'amico Nuto, ripercorre i luoghi dell'infanzia e dell'adolescenza in un viaggio nel tempo alla ricerca di antiche e sofferte radici. Storia semplice e lirica insieme, "La luna e i falò" recupera i temi civili della guerra partigiana, la cospirazione antifascista, la lotta di liberazione, e li lega a problematiche private, l'amicizia, la sensualità, la morte, in un intreccio drammatico che conferma la totale inappartenenza dell'individuo rispetto al mondo.
Ci son quelli che amano i bilanci, la nostalgia, tornare piuttosto che partire. Ci son quelli, invece, che guardano sempre avanti e preferiscono mille volte gli inizi alle conclusioni. Lorenzo Jovanotti Cherubini è uno cosí, uno che, non appena finisce un disco, non vede l'ora di farne uno nuovo. Ma anche per quelli come lui arriva prima o poi il momento di volgere lo sguardo all'indietro e fare, se non un vero e proprio bilancio, almeno un backup. Per liberare spazio salvando il passato. A venticinque anni da "È qui la festa?", il suo primo grande successo, Lorenzo Cherubini tira il fiato e si racconta: la passione per il rap, le notti in consolle, gli inizi a Radio Deejay e, all'improvviso, la sensazione di essere al centro della scena della musica italiana, senza sapere bene come. E poi i viaggi, le idee, le canzoni scritte di getto e subito incise, o quelle tenute in un cassetto per anni. Come "Bella", rimasta musica fino all'arrivo della moglie Francesca. Sí, perché c'è anche questo in "Gratitude", c'è forse soprattutto questo: l'ispirazione che viene dalle persone e dall'amore per le persone. La donna della vita, un fratello che non c'è piú ma che si sente sempre... Con una voce in cui risuonano tutto il ritmo, la passione e l'allegria della sua musica, Lorenzo Cherubini ci trascina in una festosa maratona all'indietro, la rincorsa che serve a spiccare il volo. Perché per quelli come lui, anche con venticinque anni di carriera alle spalle, la vita è sempre un nuovo viaggio.
In queste storie Alice Munro racconta di donne alle prese con una relazione sentimentale difettosa - una relazione, piú precisamente, il cui immancabile difetto si va in quel momento manifestando, o si è già manifestato - e del loro tentativo di affrontarla senza illusioni ma contemporaneamente senza cinismo, con una conoscenza antica che però non vuole rinunciare al privilegio di farsi sorprendere appena un po'. Donne caparbie, spiritose, amare, sempre lucidissime, creature di un'autrice che non svia mai lo sguardo da ciò che pulsa e vive.
Gioca a shanghai con le sue storie, Alice Munro, da sempre. Getta sulla pagina posti, alberi, situazioni e donne, cucine, abiti e animali, e con mano ferma se li riprende, li riordina provvisoriamente dentro la storia successiva, di raccolta in raccolta. Intanto passano gli anni e le verità che accendono improvvise i suoi racconti si sono fatte longeve. Non perché durino, ma perché non smettono di accendersi di nuovo, emanando altra luce, un'altra luce. Con "Troppa felicità", tuttavia, il lettore avverte il passaggio in corsa di un'elettricità inedita, una scarica di tremenda libertà. Queste storie sembrano spingersi un passo oltre il segreto contenuto in storie passate, e non per consumarlo rivelandolo, ma per complicarne l'esito a partire dalla consapevolezza temeraria della vecchiaia. E se altrove l'immaginazione aveva provato a raffigurarsi l'orrore della morte di un bambino, qui i figli a morire sono tre, e a ucciderli è il padre. Se altrove una madre imparava a sopportare l'abbandono della figlia, qui all'abbandono del figlio segue il coraggio di rappresentare l'incontro, anni dopo, con uno sconosciuto di cui un tempo si conosceva a memoria ogni millimetro di intimità. Se altrove la fragile e caparbia convenzionalità dell'infanzia coagulava in dispetti odiosi ai danni di una qualsiasi creatura debole, qui tocca il fondo di una banalità del male senza scampo.
Il libro, come recita il sottotitolo, è una storia vera. Protagonista è Hermann Roth, il padre di Philip. Hermann è un vedovo di ottantasei anni, agente di assicurazioni in pensione, conosciuto un tempo per il suo genio, la sua forza e il suo fascino, che ora lotta contro un tumore al cervello. Colmo di amore e attenzioni, di ansia e terrore, Philip accompagna il padre in ogni momento di questa enorme esperienza, lungo il calvario di una dilatata agonia. Il figlio condivide l'umore e le miserie che il malato è costretto a subire: consulti medici, l'orrore del decadimento fisico, l'attesa inumana della separazione finale. Gli episodi memorabili si accumulano: il figlio che paragona la fredda tomografia del padre al calore della propria biografia; il confronto del suo lascito patrimoniale con quello di un taxista psicopatico; ma anche il concerto di musica da camera suonato dagli amici per Hermann; o Philip che telefona a Joanna, una compagna d'università, per calmare le proprie angosce.
Seymour Levov è un ricco americano di successo: al liceo lo chiamano "lo Svedese". Ciò che pare attenderlo negli anni Cinquanta è una vita di successi professionali e gioie familiari. Finché le contraddizioni del conflitto in Vietnam non coinvolgono anche lui e l'adorata figlia Merry, decisa a portare la guerra in casa, letteralmente. Un libro sull'amore e sull'odio per l'America, sul desiderio di appartenere a un sogno di pace, prosperità e ordine, sul rifiuto dell'ipocrisia e della falsità celate in quello stesso sogno.
Al centro di "Nemesi" c'è un animatore di campo giochi vigoroso e solerte, Bucky Cantor, lanciatore di giavellotto e sollevatore di pesi ventitreenne che si dedica anima e corpo ai suoi ragazzi e vive con frustrazione l'esclusione dal teatro bellico a fianco dei suoi contemporanei a causa di un difetto della vista. Ponendo l'accento sui dilemmi che dilaniano Cantor e sulla realtà quotidiana cui l'animatore deve far fronte quando nell'estate del 1944 la polio comincia a falcidiare anche il suo campo giochi, Roth ci guida fra le più piccole sfaccettature di ogni emozione che una simile pestilenza può far scaturire: paura, panico, rabbia, confusione, sofferenza e dolore. Spostandosi fra le strade torride e maleodoranti di una Newark sotto assedio e l'immacolato campo estivo per ragazzi di Indian Hill, sulle vette delle Pocono Mountains - la cui "fresca aria montana era monda d'ogni sostanza inquinante" -, "Nemesi" mette in scena un uomo di polso e sani principi che, armato delle migliori intenzioni, combatte la sua guerra privata contro l'epidemia. Roth è di una tenera esattezza nel delineare ogni passaggio della discesa di Cantor verso la catastrofe, e non è meno esatto nel descrivere la condizione infantile.
"Contro-romanzo", "cronaca di una follia", "il buco nero di un enorme imbuto", "un grido di allerta", "una specie di bomba atomica", "un appello al disordine necessario": con queste e altre espressioni venne salutato al suo apparire, nel 1963, "Rayuela", uno dei capolavori del Novecento che ha cambiato la storia del romanzo e la vita delle persone che lo hanno letto. In una Parigi popolata da affittacamere xenofobe, intellettuali male in arnese, pianiste patetiche, scrittori distratti, facili vittime di incidenti stradali, l'eterno studente argentino Horacio Oliveira si muove attraverso la città e l'esistenza come attraverso le caselle del "gioco del mondo". Un percorso dalla terra al cielo, da Parigi a una Buenos Aires grottesca alla ricerca del Centro, della vera vita e soprattutto di Lucia, "la Maga", inconsapevole depositaria di ogni mistero e pienezza, l'unica che non dimentica che, in fondo, "per arrivare al Cielo servono solo un sassolino e la punta di una scarpa". A cinquant'anni dalla prima pubblicazione "Rayuelo. Il gioco del mondo" è accompagnato da un'appendice in cui Cortázar stesso racconta la storia del libro. Con un'intervista di Omar Prego a Cortázar e una selezione di frammenti di lettere.
Pubblicato per la prima volta nel 1959, "Goodbye, Columbus" è la storia di Neil Klugman e della bella e determinata Brenda Patimkin. Lui vive in un quartiere povero di Newark, lei nel lussuoso sobborgo di Short Hills, e si incontrano durante una vacanza estiva, tuffandosi in una relazione che ha a che fare tanto con l'amore quanto con la differenza sociale e il sospetto. Questo romanzo breve è accompagnato da cinque racconti, il cui tono va dall'iconoclasta al sorprendentemente tenero.
Da trent'anni, da quando la rivoluzione sessuale ha bussato alla sua porta, il professor David Kepesh tiene fede al suo giuramento: non avere mai una relazione stabile con una donna. Ma un giorno, nell'aula del suo corso di critica letteraria all'università, entra Consuela Castillo, ventiquattrenne di una bellezza conturbante, una ragazza cubana alta e affascinante che scatena il desiderio e la gelosia del maturo professore.
Tre romanzi in cui nessuna verità sembra reggere e ogni certezza è capovolta. Tre indagini che hanno dato vita alla detective più tosta del noir italiano. Il Lupo mannaro è un killer del tutto privo di sensi di colpa, e dunque imprendibile: di giorno è un padre di famiglia e un imprenditore di successo, di notte uccide a morsi giovani prostitute. L'Iguana corre per la città coprendone i rumori con il rock metallico, e ruba di volta in volta la vita delle proprie vittime. Il regno del Pit bull, invece, è una doppia rete, reale e virtuale: da un lato le autostrade, da cui entra ed esce cambiando sempre identità, dall'altro Internet, dove vende i suoi servizi professionali. Sulle tracce di questi tre serial killer "animali", incarnazioni maledette di un'Italia criminale nel profondo, c'è una donna, fragile nell'aspetto ma con una determinazione da vendere, e un intuito che non sbaglia un colpo: il suo nome è Grazia Negro, e non esiste assassino che possa sfuggirle.
Semi-disoccupato, semi-divorziato, semi-felice. C'è solo una cosa che Vincenzo Malinconico sa fare al cento per cento: filosofeggiare. Mentre cammina per le strade di Napoli, mentre si ritrova con i colleghi che come lui non hanno nessuna voglia di lavorare, mentre entra nello studio di uno psicoterapeuta di cui si sente più medico che paziente, mentre assiste a un tragicomico reality in un supermercato, Vincenzo ha sempre un pensiero in testa. Anzi, una miriade di pensieri che lievitano e che, di deriva in deriva, vanno lontano, passando dall'amore alla giustizia, dal senso della vita a Sharon Stone, dai becchini al frigorifero che la sua nuova ragazza continua a riempirgli, fino alle canzoni di Raffaella Carrà. E proprio mentre seguiamo il filo dei suoi pensieri stravaganti e fuori luogo e i suoi tentativi di analisi fai-da-te, ci accorgiamo che De Silva con questa raccolta ("Non avevo capito niente", "Mia suocera beve" e "Sono contrario alle emozioni"), non ci racconta soltanto le vicende tragicomiche di un avvocato anomalo ma ci porta in giro per un mondo e una società incomprensibili, e che Vincenzo Malinconico è la lente da cui guardare, lo strumento per capire dove stiamo andando.
Non conoscono Giovanni Falcone né Paolo Borsellino, e non sanno perché il 25 aprile è festa. Ignorano chi sia il presidente della Repubblica, anche se la sua foto è appesa in tutte le aule, e sulla seconda guerra mondiale hanno letto poche righe nei libri di testo, o al massimo visto qualche film. In compenso sono maghi del computer, amano le storie avventurose e non si stancano mai di riflettere, ascoltare, sperimentare, dire la loro. Sono i nostri figli. Con una scrittura appassionata e divertente, Alex Corlazzoli traccia per la prima volta il ritratto di questa generazione. Dalla storia imparata a ritmo di Gaber alle lezioni di democrazia, uno dei maestri più rivoluzionari d'Italia ci trascina tra i banchi di scuola, per svelarci cosa sognano e cosa pensano i nostri bambini, cosa sanno e cosa ignorano del mondo che li circonda. E per farci scoprire che, in fondo, abbiamo sempre qualche cosa di nuovo da imparare. Anche su di loro.
In una Trieste quasi incantata, seduti su una panchina del porto vecchio, Margherita Hack e Marco Morelli si immergono in un dialogo appassionato e sincero sulle piccole e grandi questioni della vita. Da Galileo alla religione, dalla politica ai giovani di oggi, dalle favole di quand'era bambina all'incontro con il marito Aldo De Rosa, dalla Firenze degli anni Venti alla casuale scoperta delle stelle, la Hack passa in rassegna novantuno anni eccezionali, regalandoci il ritratto ironico e anticonformista di una donna "laica e ribelle".
"Il respiro del buio" comincia con un viaggio in treno, alcune centinaia di chilometri che sanciscono l'ingresso in una nuova vita. Il servizio militare in Cecenia è finito, è tempo di tornare, ma per il protagonista la parola ritorno ha perso significato. È un altro uomo quello che arriva alla stazione di Bender, e un'altra è la città che lo accoglie: identica a un primo sguardo, eppure diversa. Rinchiuso nel suo appartamento, solo con le sue armi importate illegalmente dalla Cecenia, Nicolai vive il suo "dopoguerra" di solitudine, ansia, paura. E, soprattutto, odia. Odia gli edifici, le strade, l'umanità "pacifica" che gli appare fasulla, intollerabile nella sua pretesa di civiltà. Per provare a fare i conti con le atrocità subite e commesse, decide allora di intraprendere un nuovo viaggio, verso il luogo che rappresenta l'unico ritorno possibile: la Siberia. Immerso nella natura, nel silenzio, guidato dalla saggezza del nonno, sembra trovare una vita semplice e quieta. Ma un passato così pesante non si cancella con il silenzio, e neppure con la determinazione, e quella che sembra una possibilità di riscatto può rivelarsi in ogni momento una trappola che inverte la corsa e riporta al punto di partenza. Così, può succedere che un impiego in una ditta di sicurezza privata a San Pietroburgo si trasformi in una nuova guerra, più nascosta e apparentemente meno violenta rispetto a quella combattuta in divisa, eppure, se è possibile, ancora più pericolosa. Una guerra che fa le sue vittime nelle strade e nelle piazze...
Scritti e pubblicati in Giappone nell'arco di oltre un ventennio, i racconti che compongono questa raccolta ci offrono, nella estrema varietà di ispirazione, lunghezza e stile che li caratterizza, un affascinante campionario delle tematiche e delle atmosfere che troviamo nei grandi romanzi di Murakami. Dalla leggerezza di brevi episodi come "II tuffetto" e "Splendore e decadenza delle ciambelle a cono", condotti sul filo della comicità e dell'assurdo, passiamo alla nostalgica, eppure lucida rievocazione di ricordi autobiografici nel racconto "II folclore dei nostri tempi" e in quello che dà titolo al volume, "I salici ciechi e la donna addormentata", entrambi basati sull'esperienza giovanile dei mitici anni Sessanta. L'angoscia di scoprire sotto l'apparente trasporto verso qualcuno un senso di repulsione ispira "Granchi", mentre "I gatti antropofagi" porta alla luce l'angoscia dell'uomo che per scelta ha dato alla sua vita una svolta irreversibile, rinunciando a tutto ciò che aveva creduto di amare. Altrove ("Lo specchio", "Storia di una zia povera", "Nausea 1979", "L'uomo di ghiaccio"), troviamo l'irruzione del fantastico nella vita quotidiana, mentre ne "II settimo uomo" il tema dell'errore di gioventù che condiziona, e rovina, la vita intera di una persona, è introdotto da una di quelle visioni folgoranti con cui lo scrittore sa rappresentare l'orrore di una tragedia.
Sei incontri che possono cambiare il corso di un'esistenza, o che promettono una via d'uscita dal dolore, la cura di una ferita, la decifrazione di un mistero, o addirittura la salvezza di una città intera. Un uomo abbandonato dalla moglie parte per l'isola di Hokkaido per consegnare un pacchetto alla sorella di un collega. Cosa contiene il pacchetto? Forse il vuoto che sente dentro, quella "bolla d'aria" per cui la moglie lo ha lasciato. In una località di mare una ragazza stringe amicizia con un pittore la cui unica vera passione è accendere falò sulla spiaggia. Qual è la forma del fuoco? Quale il modo di ottenere un fuoco veramente libero?
"In una semplicissima newsletter, un giovane agente pubblicitario inserisce la fotografia, in apparenza banale, di un gregge: uno degli animali, una pecora bianca con una macchia color caffè sulla schiena, suscita tuttavia l'interesse di un inquietante uomo vestito di nero, stretto collaboratore del Maestro, un politico molto potente i cui esordi si perdono nel torbido passato coloniale giapponese. Al giovanotto viene affidato l'incarico - ma si tratta in sostanza di un ordine - di ritrovare proprio quella pecora: unico indizio, la foto in questione, ricevuta per posta dal Sorcio, un amico scomparso da anni. Accompagnato da una ragazza con le orecchie bellissime e dotata di poteri sovrannaturali, attraverserà tutto il Giappone sino a raggiungere la gelida regione dello Hokkaido, vivendo una vicenda mirabolante e al tempo stesso realistica nella descrizione di luoghi e circostanze. Considerato l'esordio letterario di Murakami, 'Nel segno della pecora' introduce molti dei temi cari all'autore: la solitudine dell'uomo, l'arroganza e lo strapotere della politica, la nostalgia per l'atmosfera esaltante degli anni Sessanta, la passione per il rock e il jazz, l'irrompere del surreale nella prosaicità della vita quotidiana. Un romanzo che ci trasporta in uno di quegli scenari onirici che nelle storie di Murakami fanno da cassa di risonanza ai nostri dubbi e alle nostre ansie più profonde." (Antonietta Pastore)