La proverbiale difficoltà del linguaggio di Heidegger e la vertiginosa altezza delle questioni da lui affrontate rendono particolarmente ardua la comprensione del suo pensiero, tanto più che esso si inerpica per sentieri non praticati dal senso comune. L'unico vero modo per superare questo ostacolo è quello di affrontare la lettura diretta delle sue opere, seguendolo passo per passo nel suo cammino di pensiero. Mai come per Heidegger appare indispensabile una guida adeguata che aiuti a penetrare nei recessi talvolta oscuri del suo meditare.
Il pensiero liberale nell'Italia repubblicana ha avuto illustri rappresentanti: dall'ultimo Croce a Luigi Einaudi, da Guido Calogero a Carlo Antoni, da Norberto Bobbio a Nicola Matteucci, da Giovanni Sartori a Rosario Romeo. Naturalmente, ciascuno di questi autori ha privilegiato alcuni temi rispetto ad altri, ciascuno ha avuto una propria ispirazione e un timbro particolare. Il libro ricostruisce il pensiero di ognuno, ma mette altresì in rilievo come tutti in una Italia in cui il marxismo e il cattolicesimo politico avevano l'egemonia - abbiano condotto una decisa battaglia in difesa della società pluralistica (sia a livello economico, sia a livello politico, sia a livello culturale), e, al tempo stesso, abbiano combattuto le grandi disuguaglianze sociali e abbiano rivendicato una società più giusta. Il libro mostra che, per ricchezza di cultura e per capacità di riflessioni teoriche, il pensiero liberale italiano dell'Italia repubblicana occupa un posto di tutto rispetto nella contemporanea cultura europea.
Il volume raccoglie alcuni saggi che costituiscono - a giudizio dell'autore - altrettanti contributi storiografici alla conoscenza dell'intera storia della filosofia, dai presocratici ad oggi. Non tutti i filosofi significativi vi sono considerati, perché molti di essi (per esempio Galilei, Kant, Hegel, Marx, Heidegger) sono stati oggetto di saggi precedenti, già ripubblicati. Trattandosi talora di scritti di occasione, i saggi sono in parte condizionati dalle circostanze in cui sono stati concepiti, ma tuttavia conservano - sempre a giudizio dell'autore - un significato più generale, e in ogni caso rispecchiano fedelmente il suo pensiero attuale. Per questo motivo sono stati inclusi nella raccolta anche saggi su pensatori poco noti, più o meno recenti, che meritano una particolare attenzione.
Categoria temibile e sfuggente, concetto che "corrompe e altera tutti gli altri" (Borges), l'infinito ha una storia millenaria, che coinvolge matematica, misticismo, letteratura e filosofia. In questo volume Zellini ne analizza l'evoluzione, dalla Grecia antica a oggi, dall'apeiron di Anassimandro alle attuali suggestioni dell'"infinito aperto".
Le nostre vite sono cambiate di colpo, travolte da qualcosa di inatteso. La società della tecnica si è fermata a causa del salto di specie di un microrganismo. Difficile accettare che sia tutto vero, faticoso capirne il senso. Questo diario meditato parte dal racconto di un tempo sospeso per farne una lettura del nostro vivere insieme, che troppo a lungo abbiamo maltrattato; ora siamo chiamati a prendercene cura diversamente, per ripensare in modo responsabile il cammino tra generazioni.
Fare l'elogio del rischio in un'epoca che cerca prima di tutto la sicurezza, l'azzeramento dell'incertezza e ci inonda di previsioni, calcoli delle probabilità, scenari politici e finanziari, valutazioni psichiche, sondaggi...sembra un'impresa impossibile, controcorrente, destabilizzante. Ma proprio questo fa Anne Dufourmantelle: rimette, si può dire, le cose a posto, restituendo al rischio la sua valenza di occasione per riattivare la libertà di decidere, per aprire una linea d'orizzonte nuova e trovare una dimensione del tempo e della relazione non più schiava del controllo e della dipendenza. Perché il rischio di cui parla in questo libro non è certo la temerarietà, la scossa adrenalinica di chi gioca a dadi con la vita, ma, nelle sue stesse parole, una «piccola musica», un «meccanismo segreto» in grado di condurci davanti alla notte, all'ignoto, al desiderio, per riconquistare la vita vera. È il rischio di affrontare e riconoscere le nostre «passioni negative», le esperienze critiche che ritmano la nostra esistenza, di fronte alle quali di solito indietreggiamo, e un po' moriamo. Perché spesso, per volerla proteggere troppo, finiamo per perderla, la vita. Quella vera, ricca di senso, di amore, di gioia. In brevi capitoli, con una scrittura che è la sua cifra personale, poetica e profonda, lancinante e delicata, Anne Dufourmantelle affronta «crisi» tra le più consuete e le più impegnative - la tristezza e la paura, la dipendenza, i traumi familiari e l'omologazione sociale, la solitudine e l'abbandono, i rimossi, le nevrosi - ben consapevole che superarle positivamente non è affatto facile. Ma, alla fine, prendersi il rischio della libertà interiore è prendersi il rischio di amare e di amarsi, di assaporare la vita come un dono quotidiano e aperto all'incognito, all'insperato.
Esercizi spirituali: prima di essere una costruzione concettuale, la filosofia antica era un cammino preparato e accompagnato da esercizi per trasformare la propria visione del mondo e il proprio modo di vivere. Gli scritti di Arnold I. Davidson qui raccolti mostrano come questo cammino sia percorribile ancora oggi, non necessariamente seguendo solo la strada delle categorie tradizionali della filosofia, ma sperimentando altri percorsi, come quello dell'improvvisazione musicale, che secondo Davidson è in grado di diventare un altro genere di pratica filosofica. Pensando insieme straordinari musicisti come Cecil Taylor, Sonny Rollins e Steve Lacy e grandi filosofi come Pierre Hadot, Michel Foucault e Stanley Cavell, l'autore si domanda cosa significhi pensare l'etica e la politica come pratiche di libertà, come atti creativi che danno una forma individuale e collettiva al nostro ethos e al nostro modo di vivere.
La dimensione estetica associa l'umano sentire a un "comune" che si è soliti qualificare "universale" per via di una natura percettivo-sensibile di cui tutti siamo partecipi e che l'arte trasfigura in forme. Di questo sentire ci parlano le voci diversissime eppure segretamente accordate di venti figure esemplari della cultura moderna che hanno intrecciato nei loro sguardi Occidente e Oriente e che sono qui ripartite sotto tre insegne. La prima, Sguardi da Occidente, allinea le voci di Goethe, Schlegel, Schopenhauer, Montessori, Rilke, Focillon, Lacan, Malraux, Lévi-Strauss, Dorfles, Barthes, Zolla. Sotto la seconda, Sul confine tra Occidente e Oriente, troviamo Solov'ëv e Florenskij. La terza, Sguardi da Oriente, raccoglie le interpretazioni di Tagore, Nishida Kitar?, Coomaraswamy, Kuki Sh?z?, Fung Yu-lan, François Cheng. Sono venti perle di un pensiero comparativo con due secoli di storia scelte per costituire un unico filo di riflessioni sulla bellezza, sullo svelarsi inesauribile dei suoi riflessi; perché, come dice Solov'ëv, «la bellezza non appartiene né al corpo materiale del diamante né al raggio di luce che quello rifrange ma è un prodotto d'ambedue nella loro azione reciproca».
Quale risposta ai dilemmi e alle contraddizioni della ipermodernità? Attraverso un excursus lungo la storia millenaria di homo sapiens, un viaggio che unisce le recenti scoperte scientifiche sul funzionamento del cervello umano ai più urticanti nodi sociali della contemporaneità. Una diagnosi severa sul nostro tempo cui segue una terapia di uso pratico, caratterizzata da un approccio mentale esplorativo, coniugato ad alcuni immobili morali del paganesimo e ai cardini concettuali di un Cristianesimo privato della illusoria promessa oltremondana. Una sfida personale che, partendo dagli eterni problemi connaturati nella mente umana, "sfonda" la parete dell'Altro superando sia il principio di piacere che la naturale tendenza alla prevaricazione, per impossessarsi di una prospettiva nuova ove l'homo editus nell'esprimere il proprio potenziale irradia benefici concreti alla propria specie, attraverso un uso responsabile e non antropomorfizzante del "Dio/partner", costituito dalla sua creatura più promettente e più inquietante: la macchina.
Perché ci prendiamo cura degli altri anche quando non siamo legati da rapporti personali? Perché lottiamo per la giustizia anche quando non ci riguarda direttamente? Quali sono, insomma, i fondamenti motivazionali che ci spingono ad agire eticamente e ad adottare comportamenti socialmente empatici? La risposta a questa domanda richiede di interrogarsi sul ruolo delle passioni, per gettare un nuovo sguardo sui due paradigmi nei quali si riassume di fatto la proposta etica del nostro tempo. Partire dalle passioni (come invidia e indignazione, paura e compassione, risentimento e amore), purché affrancate da ogni sospetto di irrazionalità, ci consente in primo luogo di pensare un'idea di giustizia diversa da quella che fonda il paradigma razionalistico corrente, per mostrarne piuttosto i fondamenti affettivi e distinguere tra pretese legittime e pretese illegittime di giustizia. In secondo luogo, ci consente di sottrarre la cura a una visione altruistico-assistenziale per mostrarne, insieme alla complessità emotiva non priva di aspetti perturbanti, le potenzialità di una forma di vita. Infine, permette di riaffermare, contro ogni riduzione unilaterale, la complementarità tra le due prospettive etiche, tanto più necessaria quanto più esse sono chiamate a misurarsi con le sfide radicali del nostro mondo globale: prima fra tutte, l'ampliamento dell'idea stessa di altro attraverso le due figure inedite dell' altro distante nello spazio (lo straniero, il diverso) e dell' altro distante nel tempo (le generazioni future). Muovendosi attraverso i grandi classici della «simpatia» (Hume e Smith), la riflessione filosofica del Novecento (da Anders a Jonas, da Arendt a Derrida, da Mauss a Ric?ur) e il dibattito contemporaneo (da Rawls a Sontag, da Gilligan a Nussbaum, fino a Foucault e Sloterdijk), Elena Pulcini si chiede quali passioni presiedano alla lotta contro l'ingiustizia e quali alimentino la capacità di una buona cura, confidando nella genesi di un soggetto emozionale: un soggetto che attraverso la dinamica interminabile della relazione con l'altro, sappia distillare dalle passioni la qualità etica e generativa capace di promettere un mondo migliore.
Nel cercare di comprendere quello che sta accadendo in Italia ma anche nel resto del mondo, dopo la comparsa agli inizi del 2020 del virus SARS-CoV-2, Paolo Becchi decide per un approccio riflessivo e inedito, nel panorama dei troppi schiamazzi e proclami televisivi e non solo, elevando la discussione ad interessante meditazione filosofica e introducendo il lettore al concetto di biopolitica. Come lui stesso le definisce, quelle che seguono sono pagine controcorrente e provocatorie, ma che ben illustrano come si stia utilizzando una emergenza per modificare stili di vita, abitudini, modi di essere che hanno contraddistinto la nostra società. Una dissertazione carica della lucidità di uno sguardo schietto e consapevole su eventi che siamo ben lungi da aver capito ancora a pieno.